BOLLETTINO SELLA DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME LXI I. - 1953 (Pubblicato il 30 Marzo 1954) TIPOGRAFIA G. DI BLASIO - NAPOLI INDICE ATTI (MEMORIE NOTE E COMUNICAZIONI) Capone A. — Una nuova tecnica applicata allo Studio dei poliio- duri di basi organiche quaternarie . pag. 3 Parenzan P. — Osservazioni sul nuoto degli Squali ...» 17 Merola A. — Sul rinvenimento di Linaria reflexa Chaz. a Capri. » 21 Merola A. — Fenomeni iperplastici in Gracilaria confervoides (L.) Grev. della laguna di Venezia (Con 1 tav. f. testo) . . » 26 Sinno R. — Studio sulle così dette leuciti caolinizzate. . . » 41 Pierantoni A. — Applicazione del metodo Bellier alla ricerca del grasso di cocco nelFolio di oliva . » 47 Sersale R. — Sulla presenza di notevoli quantità di acido borico in acque ipertermali incontrate durante una trivella¬ zione profonda, nella zona flegrea ...... 51 CoiEccHrA V. — Utillizzazione di un calcare cristallino della Sila per la correzione dei terreni agrari . » 57 Ippolito F. — Primi risultati delle ricerche di acque profonde nel Tavoliere di Foggia . » 63 Lazzari A. — Stratigrafia di un pozzo di ricerca acquifera per¬ forato in località Carmito, presso il margine sud-orien¬ tale della Piana di Catania . » 65 Majo Andreotti E. — L’ eccezionale grandinata del 16 febbraio 1948 a Napoli . » 77 Sinno R. — La periclasia del Monte Somma (Con 1 tav. f. testo) » 81 Parenzan P. — Fauna del sottosuolo di Napoli. (1° contributo) » 89 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ ITALIA MERIDIONALE Lazzari A. — Osservazioni geo-morfologiche sulla valle del Sor- rencello e sulla grotta degli Sportiglioni presso Avella (Avellino). (Con 1 tav. f. testo) . pag. 1 PROCESSI VERBALI DELLE ADUNANZE ED ELENCO DEI SOCI Processi verbali delle tornate ordinarie . Elenco dei Soci . • pag- I » VII BOLLETTINO 'HylTiTiA SOCIETÀ 00 NATURALISTI I1V NAPOLI VOLUME L X I I . - 1953 Tipografo G. DI BLASIO - presso Tip. « La Floridiana Via Frane. Sav. Correrà 243 - Napoli ,45 < /• no Co / 0 V, 62-64 /953-5'4 Una nuova tecnica applicata allo studio dei poliioduri di tasi organiche quaternarie. Nota del socio Antonio Capone (Tornata del 28 gennaio 1953) È noto già da tempo che l’iodo contrae legami di addizione con molte basi organiche, formando complessi caratteristici che prendono il nome di poliioduri. Tra i contributi degni di maggior rilievo segnaliamo i classici lavori di Weltzien (*), Mullèr (2), Dafert (3), Lùdecke (4), Francois (5), Geuther (6). Una cospicua serie di tali complessi risulta preparata da questi AA., sulla base sopratutto dei lavori di Weltzien, e di essi sono accuratamente definite le proprietà fisiche : colore, punto di fusione, forma cristallina, solubilità e la composizione chimica. I composti iodurati delle basi ammoniche, noti fino al 1887 sono raccolti in un lavoro a carattere riassuntivo di Geuther (7), il quale avanza l’ipotesi che gli atomi di J nei poliioduri si leghino fra loro, mediante due o più valenze che soddisfino la penta o F eptavalenza del metalloide. Ad esempio, indicando con un puntino F atomo di J e con lineette la valenza, egli così rappresenta un eptaioduro : C) Weltzien C. - Ann., 91, 33 (1854) ; 99, 1 (1856). (2) Mùller R. - Ann., 108, 1 (1858). (3) Dafert - Monat. Chem., 496 (1883). (4) Ludecke O. - Ann., 240, 85 (1887). (5) Francois M. M. - J. Pharm. China., [6), 30, 193 (1909). (6) Geuther A. - Ann. 240, 66 (1887). (7) Geuther A. - loc. cit. - 4 - Con il variare del numero di atomi di J nella molecola, il co¬ lore si modifica passando dal rosso -bruno- violetto-blu nei tri- e pentaioduri al verde nei penta- ed eptaioduri. Tutti i composti ci¬ tati sono stati ottenuti in modo agevole allo stato cristallino, mesco¬ lando le soluzioni alcoolicbe di J e della base ammonica, in quan¬ tità stechiometriche. Le ricerche sui composti di addizione che T iodo forma con so¬ stanze organiche di natura basica sono state estese da numerosi ri¬ cercatori. Tra queste ricordiamo quelle sugli equilibri di solubilità fra J e sostanze organiche (8), sui poliioduri dell’ antipirina, iodoan- tipirina e del piramidone (9), sui complessi fra J e solventi organi¬ ci (10), con i relativi spettri di assorbimento (u), sui complessi fra J e chinolina, anilina, paratoluidina, difenilamina e trifenilamina (12), ed infine con gli alcaloidi, (13) nei quali T iodo si fissa all’ iodidrato della base, come si verifica nella reazione di Bouchardat -1839-, oppure ad un sale della base diverso dall’ iodidrato. Più che preparare nuovi complessi dell’ iodo con le basi orga¬ niche, scopo delle presenti ricerche è stato quello di studiare il mec¬ canismo di formazione dei complessi fra iodo e basi ammoniche qua¬ ternarie. Indagini analoghe sono state effettuate sui poliioduri del biioduro di esametil-l-3-diaminopropanolo-2 (l4) mediante la spettrografia nell’ultravioletto, operando su soluzioni alcooliche di molarità 1/20 e l/50 M e con rapporto variabile J/C9H24ON2J2 : è stata dimostrata F esistenza di tre poliioduri della formula : I- C9H24ON2J2.J4 II- c9h24o N2J2J6 III- C9H24ON2J2J8 Consigliato dal Prof. Covello, ho ripreso le ricerche di cui so¬ pra e, per poter seguire il fenomeno di addizione dell’ iodo in fase (8) Olivari F. - Atti R. Accad. Lincei, 20, (1), 470-4 (1911). (9) Emery W. O. e Palkin S. - Am. Chem. Soc., 38, 2166 (1916). (10) Feigl F. e Chargoff E. - Mon. f. Chem., 49, 417 (1928). Chrétien MM. A. e Laurent P. - Bull. Soc. China. France, [5], 2, 945, (1935). Chirnoaga E. e M me Chirnoaga E. — Z. anorg. Chem., 218, 273, (1934). (n) Chatelet M. - Ann. Chim., II, 2, 8-57 (1934)- (12) Chrétien A. e Laurent P. - C. R. hebd. Séances Acad. Sci., 199, 639, (1934). (13) Jòrgensen - J. f. prakt. Chem., 2, 433 ; 3, 145, 328; 14, 213, 356; 15. 65, 318. (14) Covello M. - Ann. Chim. Appi., 26, 405, (1936); 29, 187 (1939); 30, 272 (1940). - 5 - vapore all’ ioduro della base in fase solida, sono ricorso ad un’ ap¬ parecchiatura che potesse consentire la registrazione grafica delle va¬ riazioni ponderali della base presa in esame, messa a contatto con vapori di iodo a temperatura costante. In questa nota si descrive V apparecchio utilizzato a tale scopo e si riferiscono i risultati raccolti con le relative conclusioni. Descrizione dell* apparecchio L’ apparecchio usato è schematicamente rappresentato nel gra¬ fico 1. Esso è costituito da una bilancia idrostatica, a bracci dise¬ guali, di cui uno reca all’estremità un uncino al quale si sospende 1’ apparecchio di vetro che fa da supporto alla sostanza in esame, e 1’ altro un galleggiante c metallico. Per poter equilibrare il sistema si sposta, lungo la vite d , la massa metallica e. Il galleggiante c è immerso in olio di vaselina (d = 0.880) conte¬ nuto in un becaer da 150 cc., appoggiato sul piano f. L’apparecchio di vetro, su cui si deposita la sostanza in esperimento, consta di due cilindri di vetro coassiali, la cui superficie totale risulta essere di - 6 - circa 380 cm2. Solidale con il fulcro della bilancia è uno specchietto i, leggermente inclinato, che riflette il sottile fascio di luce, prove¬ niente dalla lampada /, alimentata da una batteria di accumulatori. Dallo specchietto il raggio luminoso è inviato sul cilindro m, ^del diametro di mm. 60 e alto mm. 125, girevole attorno al suo asse con moto uniforme a mezzo di un sistema ad orologeria. Per le nostre esperienze, dato che occorrono diversi giorni per¬ chè si formino i poliioduri, la velocità di rotazione è stata fissata in modo che il cilindro compia un’ intera rotazione in 107 ore. Sul cilindro si avvolge un cartoncino sensibile fotografico. Tutto F apparecchio è tenuto in una custodia di legno, dalla quale fuo¬ riescono il portalampada ed il meccanismo per azionare il movimento del cilindro. Le esperienze sono state condotte in camera oscura e, praticamente, termostatica. Parte sperimentale Si è preparata una soluzione alcoolica satura di biioduro di esa- metil-l~3- diaminopropanolo-2 della formula: (CH3)3 (CH3)3 L’ apparecchio di vetro è stato accuratamente tarato, quindi im¬ merso nella soluzione alcoolica satura della sostanza ed essiccato in stufa a bassa temperatura (35°-40°). Dopo di averlo tenuto in essic¬ catore a cloruro di calcio, è stato pesato in modo da determinare esattamente la quantità di sostanza deposta sulla sua superficie. Agganciato F apparecchio di vetro al giogo della bilancia e si¬ stematolo nella campanella di vetro fi, è stato immerso il galleggiante nel becher contenente Folio di vaselina. Trovata la posizione di equi¬ librio, spostando la massa e, si è regolata F inclinazione dello spec¬ chietto i, in modo che il raggio luminoso, opportunamente diafram¬ mato, cadesse sulla base del cilindro. Ricoperto quest’ultimo col car- J I CHj- N = I CHOH I ch2- n = I J - 7 - toncino di carta fotografica, si è chiusa la custodia. Si è quindi in¬ trodotto dall’ esterno, dal disotto della custodia, l’ iodo ed infine si è messo in moto il cilindro. La variazione di peso, subita dalla sostanza per assorbimento di iodo, si tramuta in una rotazione proporzionale del giogo della bi¬ lancia : lo specchietto, solidale con questo, ruota dello stesso angolo, cosicché il raggio riflesso da esso viene ad innalzarsi lungo la gene¬ ratrice del cilindro. Alla fine di ogni esperienza 1’ apparecchio di vetro è stato ac¬ curatamente pesato alla bilancia analitica : si è ottenuto così 1’ au¬ mento di peso, ovvero la quantità d’ iodo fissata. Il cartoncino di carta sensibile, sviluppato, ha messo in evidenza la traccia del punto luminoso : la curva ottenuta esprime la variazione di peso della so¬ stanza in funzione del tempo, ciò che corrisponde all’ iodo fissato. Tale variazione viene riprodotta su carta millimetrata raccordandola in una sola curva, apportando le opportune correzioni, dovute alla costante direzione dell’ asse del cilindro, in relazione alla sempre di¬ versa lunghezza del raggio luminoso. Il grafico 2 riproduce fedelmente alcune delle numerose espe¬ rienze da noi condotte : le condizioni sperimentali e i risultati finali, ottenuti da esse, sono raccolti nella tabella I, col riferimento nume¬ rico al grafico. TABELLA I. N. Sostanza deposta gr. Distribuzione media in y/mm2 di superficie Aumento di peso gr- Aumento percentuale gr. Durata dell’esperimento 1 0,1265 3,42 0,0635 50,27 ore 74 2 0,0949 2,49 0,0644 67,84 79 ! 3 0,0921 2,42 0,1454 157,87 » 432 4 0,0690 1,81 0,0668 93,91 » 166 5 0,1593 4,19 0,0659 41,36 » 287 6 0,0854 2,25 0,0768 89,92 » 217 Si rileva innanzitutto che la fissazione di iodo da parte del bi- ioduro di esametildiaminopropanolo è un fenomeno discontinuo, che non può interpretarsi come un semplice assorbimento di iodo bensì una vera e propria reazione chimica nel sistema eterogeneo : fase gas¬ sosa (molecola J2 O e fase solida (base organica). d) Fig. 2 © Ad ogni salto dovrebbe perciò corrispondere un determinato equi¬ librio, cui fa riscontro una combinazione chimica od associazione mo* lecolare fra 1’ iodo e il biioduro di esametildiaminopropanolo : ad av¬ valorare ciò sta il fatto che la pellicola solida della sostanza in esame appare, alla fine di ogni esperienza, colorata in rosso-bruno, ed il (x) La grandezza molecolare dell’iodo allo stato gassoso è, secondo Conroy, J2 (Proceed. of Royal Society, London, 25, 51). - 9 - prodotto ottenuto presenta proprietà fisiche, solubilità nei vari sol¬ venti, punto di fusione, colore, ecc. del tutto differenti dalla sostanza originaria. Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5 Per meglio interpretare il fenomeno si è analizzato punto per punto l’andamento della curva, descritta dalla traccia luminosa e si è dato un valore quantitativo ad ogni salto della curva stessa. I gra¬ fici 3, 4, 5 e 6 riproducono quantitativamente alcune delle esperienze eseguite. In queste si è aumentato progressivamente la durata di contatto tra iodo e base da 74 ore nella la, 217 ore nella 2a, 336 ore nella 3a e 432 ore nella 4a. La quantità di sostanza deposta varia da un minimo di gr. 0,069 ad un massimo di gr. 1265. 10 TABELLA IL N. Durata Sostanza deposta gr. J fissato gr. Sostanza deposta gr- J fissato gr. Percent. Temperai. 1 ore 74 0,1265 0,0635 0,01 0,00502 50,2 14°-15° 2 » 217 0,0854 0,0768 0,01 0,00899 89,9 12°-13° 3 - 366 0,0949 0,1303 0,01 0,01373 137,3 14°-15° 4 » 432 0,0921 0,1454 0,01 0,01578 157,8 12°-13° Come risulta dalla tab. II la quantità di iodo fissata dalla so¬ stanza è in funzione della quantità messa a reagire, della durata del¬ l’esperienza e della temperatura. Si è fatto inoltre variare la sensibilità della bilancia in modo da poter osservare dapprima il fenomeno nelle linee generali (sensi¬ bilità minore), e quindi più dettagliatamente (sensibilità maggiore). Cosicché lo spostamento della traccia luminosa lungo la generatrice del cilindro risulta essere rappresentato da segmenti, variabili per ogni esperienza, e della lunghezza seguente : la Esp. 2a - 3a » 4a » Per 1 mg. d’incremento di peso » » » » mm 3,48 » 1,79 » 3,11 » 0,98 Pur variando le condizioni sperimentali, il fenomeno, conside¬ rato dal punto di vista quantitativo, si presenta riproducibile e svela il meccanismo di formazione di questi poliioduri della base airi mo¬ llica quaternaria. Le Tabelle, relative alle esperienze 1, 2, 3 e 4, annesse ai gra¬ fici 3, 4, 5 e 6, ci rivelano il significato quantitativo di ogni salto, che si rileva dalla curva. Ivi sono riportate le quantità d’iodo fissate, espresse in gr. e in gr. mol., nonché i rapporti molecolari fra l’iodo ed il biioduro di esametildiaminopropanoìo. 11 TABELLA II I. — Esperienza N. 1 Biioduro di esametil-l-3-diaminopropanolo-2 — quantità deposta: gr. 0,3 265: gr. mol. 0.0002835. — aumento di peso o quantità d’iodo fissata : gr. 0,0635 dopo 74 ore alla temperatura di 14°-15°. N. Ore Incremento gr. Incremen¬ to totale gr. Incremento totale gr. mol. J2 Rapporto mol. biiod. Rapporto mol. J2 Rapporti semplici e interi mol. J2 mol. biiod. 1 19,38 da a gr gr 0,1298 0,1342 0,007752 0,00003054 1 : 0,10 1 : 9,3 1:9 2 28,18 da a gr gr 0,1349 0,1365 0,009598 0,00003781 1 : 0,13 1 : 7,5 2:15 3 40,17 da a gr gr 0,1390 0,1682 0,04171 0,0001643 1 : 0,56 1 : 1,72 4:7 4 51,15 da a gr gr 0,1704 0,1741 0,04762 0,0001876 1 : 0,66 1 : 1.51 2:3 5 64,46 da a gr gr 0,1752 0,1900 0,0635 0,0002501 1 : 0,88 1 : 1,13 1 : 1 - 12 - TABELLA IV. — Esperienza N. 2. Biioduro di esametil- 1 -3-diaminopropanolo-2 — quantità deposta : gr. 0,0854 : gr. mol. 0*0001721 — aumento di peso o quantità d’iodo fissata : gr. 0,0768 dopo 217 ore alla temperatura di 12°-13° C. N. Ore Incremento gr* Incremen¬ to totale Incremento totale gr. mol. J2 Rapporto mol. biiod. Rapporto mol. J2 Rapporti semplici e interi Sr- J a mol. J2 mol. biiod. 1 25,15 da a gr 0,08891 gr 0,09161 0,006214 0,00002448 1 : 0,14 1 : 7,0 1 : 7 2 40,05 da a gr 0,09302 gr 0,09712 0,01172 0,00004617 1 : 0,27 1 : 3,7 2:7 3 53,07 da a gr 0,09771 gr 0,1100 0,02462 0,00009699 1 : 0,56 1 : 1,77 4:7 4 83,0 da a gr 0,1102 gr 0,1182 0,03283 0,0001293 1 : 0,75 1 : 1,33 3:4 5 93,1 da a gr 0,1184 gr 0,1241 0,03869 0,0001524 1 : 0,88 1 : 1,12 1:1 6 122,05 da a gr 0,1252 gr 0,1417 0,05628 0,0002217 1 : 1,28 1 : 0,77 4 : 3 7 151,02 da a gr 0,1487 gr 0,1586 0,07328 0,0002887 1 : 1,67 1 : 0,59 5 : 3 8 176,05 da a gr 0,1592 gr 0,1604 0,07504 0,0002956 1 : 1,71 1 : 0.58 7:4 - 13 TABELLA Y. — Esperienza N. 3 . Biioduro di esametil-l-3-diaminopropanolo-2 — quantità deposta: gr. 0,0949: gr. mol. 0,0002127. — aumento di peso o quantità d’iodo fissata : gr. 0,1303 dopo 366 ore alla temperatura di 14°-15°C. N° Ore Incremanto gr. Incremen- to totale Incremento totale Rapporto mol. biiod. Rapporto mol. J2 Rapporti semplici gr. J2 gr. mol. J2 mol. J2 mol. biiod. e interi 1 35 da gr 0,0996 a gr 0,1059 0,01108 0,00004365 t 1:0,20 1 : 4,88 1 : 5 2 38,35 da gr 0,1061 a gr 0,1081 0,01322 0,00005208 1 : 0,24 1 : 4,07 1 : 4 3 51,06 da gr 0,1090 a gr 0,1257 0,03087 0,0001216 1 : 0,57 1 : 1,75 4:7 4 54,10 da gr 0,1259 a gr 0,1307 0,03582 0,0001411 1 : 0,66 1 : 1,50 2 : 3 5 74,37 da gr 0,1349 a gr 0,1593 / 0,06440 0,0002537 1 : 1,19 1 : 0,84 1:1 6 117,1 da gr 0,1622 a gr 0,1693 0,07440 0,0002931 1 : 1,37 1 : 0,72 4:3 7 129,33 da gr 0,1709 a gr 0,1730 0,07810 0,0003037 1 : 1,44 1 : 0,69 3:2 8 147,31 da gr 0,1739 a gr 0,1793 0,08440 0,0003325 1:1,56 1 : 0,64 8:3 9 168,50 da gr 0,1972 a gr 0,2047 0,1098 ( 0,0004325 1 : 2,03 1 : 0,49 2 : 1 10 197,42 da gr 0,2066 a gr 0,2085 0,1136 0,0004475 1 : 2,10 1 : 0,47 15:7 11 214,31 da gr 0,2089 a gr 0,2114 0,1165 0,0004589 1:2,15 1 : 0,46 11 : 5 12 235,3 da gr 0,2118 a gr 0,2156 0,1207 0,0004755 1 : 2,23 1 : 0,44 9:4 13 241,28 da gr 0,2156 a gr 0,2189 0,1240 0,0004885 1 : 2,30 1 : 0,43 7:3 14 331,02 da gr 0,2239 a gr 0,2252 0,1303 0,0005133 1 : 2,41 1 : 0,41 5:2 TABELLA VI. — Esperienza N. 4. Biioduro di esametil- 1-3-diaminopropanolo — quantità deposta ; gr. 0921 : gr. mol. 0,0002064. — aumento di peso o quantità d’iodo fissata : gr. 0,1454 dopo 432 ore alla temperatura di 12°-13°C. Incremento gr. Incremen¬ Incremento Rapporto Rapporto Rapporti N. Ore to totale totale mol. biiod. mol. J2 semplici gr. J2 gr. mol. J2 mol. J2 mol. biiod. e interi 1 92,21 da gr 0,1136 a gr 0,1216 0,02953 0,0001163 1 : 0,56 1 : 1,77 4:7 2 225,13 da gr 0,1375 a gr 0,1557 da gr 0,1738 a gr 0,1761 0,06361 0,0002506 1 : 1,21 1 : 0,82 6 : 5 ' : 3 327,50 0,08405 0,0003311 1 : 1,60 1 : 0,62 2:1 4 428,50 da gr 0,1852 a gr 0,2375 0,1454 0,0005728 1 : 2,77 1 : 0,36 3 : 1 1 15 Dall insieme dei dati sperimentati risulta che : 1°) viene confermato con questo metodo l’esistenza di almeno due poliioduri, già rilevati spettrograficamente (14) : « I - C9H24ON2J2 .J4 rapporto mol. 1 : 2 esper. n. 3 e 4 II - C9H24ON2J2 . J6 rapporto mol. 1:3 » » 4 2°) è verosimile ammettere che, prolungando la durata della esperienza n° 4, si abbia la formazione di complessi con rapporti molecolari biioduro/iodo superiori a quello riscontrato di 1:3. 3°) i tre poliioduri già noti non sono le sole associazioni mo¬ lecolari fra l’iodo ed il biioduro di esametildiaminopropanolo, ma probabilmente tre stadi di maggiore stabilità di una serie numerosa di complessi, sempre più instabili, nei quali i rapporti fra i compo¬ nenti variano secondo numeri interi e semplici. Si passa così, attra¬ verso modificazioni continue della struttura molecolare, da composti di addizione a basso tenore in iodo ad altri con contenuto di iodo più elevato. I salti, rilevati dalle curve tempi/incrementi di peso, sono la manifestazione di un fenomeno chimico -fisico che, con l’ausilio di altri mezzi di indagine più rigorosi, potrebbe meglio mettere in evi¬ denza il meccanismo di formazione dei complessi che l’iodo in fase vapore è capace di formare con le più svariate sostanze organiche di natura basica. Le ricerche continuano su altre sostanze d’ interesse farmaceutico. Napoli , Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica dell’ Università. Osservazioni sul nuoto degli Squali. Nota del socio Pietro Parenzan (Tornata del 28 gennaio 1953) La scuola italiana che segue sperimentalmente il problema cui si riferiscono le nostre osservazioni è rappresentata dal dott. Giuseppe Tamino, di cui sono noti i pregevoli studi sulle caratteristiche aero- dinamiche degli insetti, sul volo, e sul nuoto del Pinnipedi. Lo stesso Tamino (« Arch. Zool. Ital. », voi. XXXVI, 1951) riconosce che il fe¬ nomeno, come dimostrarono il Marey e I’Antoni, «nonostante il grande sviluppo della scuola che studia il volo umano, nel campo degli as¬ sertori dell’« overlift » (sovraportanza), è ancora poco nnto e dipen¬ de, a quanto se ne sa, dalla razionale distribuzione dell’elasticità : un’ala artificiale, in cui la elasticità sia distribuita come in natura (decrescente sul bordo costale, crescente sul bordo posteriore, dalla spalla all’apice), e assoggettata ad un moto alternativo di battuta (vedi la mirabile opera citata di Antoni) «fugge*> in avanti, decisa¬ mente : propulsioue. » Queste affermazioni del |Tamino, dedotte dal lavoro dell’Antoni del 1925, tenuto conto degli studi e delle espe¬ rienze successive, oggi perfezionati, vanno oggi così corrette : il fe¬ nomeno del nuoto, come quello del volo, dipende dalla razionale distribuzione della flessibilità : un’ala artificiale, in cui la flessibilità sia distribuita come in natura (crescente sul bordo costale dall’in¬ serzione all’apice, crescente sul bordo posteriore dall’apice verso il corpo e pure crescente nella sezione trasversale dal bordo costale verso il bordo posteriore), e assoggettata ad un moto alternativo di battuta, fugge decisamente in avanti, ed il fenomeno è da attribuire fondamentalmente alla reazione molecolare del materiale flessibile di cui sono costituiti tutti gli organi del nuoto e del volo. Con ciò è svelato il mistero dell’eccezionale rendimento col minor sforzo ot¬ tenuto dalla natura nel volo e nel nuoto, (vedi : Antoni, Il meccani- mo del volo animale. « Arch . di Fisiologia », XXIII, Firenze, 1925; - 18 - e Antoni. Osservazioni e ricerche sul fenomeno del volo e nuoto in Fig. I — 1) Alopias vulpes ; 2) Echinorhinus brucus ; 3) Galeorhinus australis; 4) Notorynchus pectorosus; 5) Catorhinus maximus ; 6) Daania kaikourae; 7) Scylliorhinus. - 19 - Le osservazioni cui si riferisce la presente nota sono state fatte in collaborazione col citato studioso del problema, Ugo Antoni, la cui teoria, accolta con entusiasmo da tutti i competenti in materia, allarga notevolmente gli orizzonti in vari settori delle pratiche ap¬ plicazioni. Ho premesso il breve preambolo in quanto questi principi, ap¬ plicati al nuoto degli Squali, spiegano la forza e la velocità di questi animali, fenomeni che presentano una interessante variante rispetto al nuoto degli altri pesci. La differenza è questa : che nel mentre tutti i propulsori caudali dei pesci in genere, di forma omocerca, posti sull’asse longitudinale del pesce stesso, devono necessariamente agire in un mezzo scon¬ volto dal passaggio della massa del corpo, per gli Squali a coda ete- rocerca le cose vanno diversamente. Si nota, anzitutto, la grande differenza nella costituzione del propulsore. Questo è composto di un lobo superiore sviluppatissimo e di un lobo inferiore generalmente molto ridotto. La colonna ver¬ tebrale si prolunga in gran parte del lobo superiore conferendo al propulsore stesso un coefficiente di flessibilità molto più elevato che nei propulsori di tipo omocerco. In quest’ultimo tipo la colonna vertebrale ha termine là dove ha inizio il propulsore caudale com¬ posto da elementi raggiati più o meno chiudibili a ventaglio, con la solita distribuzione razionale della flessibilità nel piano. Lo scopo di questa differenza è da ricercare nel tenore di vita degli squali stessi e cioè nel fatto che la posizione del lobo superiore della coda dà modo di esplicare tutta la loro forza in un ambiente calmo c quindi di raggiungere forti flessioni della colonna vertebrale, con il risultato di un maggiore impulso utile a raggiungere alte velocità necessarie alla natura di predoni di questi animali. Interessante è il fatto che un tale dispositivo (cioè la coda ete- rocerca elevata) produrrebbe un grave inconveniente, e precisamente una spinta della parte anteriore (testa) verso il basso. Ma la natura ha eliminato l’inconveniente, e difatti, più elevato è il lobo supe¬ riore della coda eterocerca, più marcato è il piano inclinato che pre¬ senta la parte inferiore della testa degli squali. Esiste quindi un rap¬ porto equilibratore fra struttura caudale e cefalica atto a controbi¬ lanciare la spinta disassata della pinna caudale nel nuoto rettilineo dei pescicani, Il fatto è molto evidente se si considera che i comuni Gattucci ( Scylliorhinus ), che notoriamente non sono veloci e si ten¬ gono presso il fondo, non presentano il piano inclinato facciale, nè - 20 - il lobo superiore della coda eterocerca è disposto al disopra del¬ l’asse del corpo. L’unito disegno comparatico illustra con molta evi¬ denza quanto sopra esposto. Nei casi in cui il piano inclinato facciale è meno accentuato in relazione all’elevazione del lobo superiore della caudale, intervengono, come correttivo, le pinne pettorali col loro angolo d’ attacco più o meno marcato, a seconda della necessità. Le osservazioni riportate in questa breve nota sono poca cosa ma dimostrano come basandosi sui principi enunciati dall’ Antoni, e tanto apprezzati dagli studiosi più accreditati del problema del nuoto e del volo, possiamo spiegarci il significato di certe strutture anato¬ miche e illuminarci sulla vera natura di certi fenomeni relativi alla propulsione animale. BIBLIOGRAFIA 1) Antoni U., Il meccanismo del volo animale , “ Arch. di Fisiologia „ XXIII, Firenze, 1925. 2) — — Osservazioni e ricerche sul fenomeno del volo e del nuoto in na¬ ture x. Ed. Ferri, Roma, 1942. 3) Giacomelli R., Il volo nella teoria e nella natura , 1932. 4) Marey, Le voi des oiseaux, 1890. 5) Silvestri A., Iper sostentazione. In : “ L’Ala d’Italia febbr. 1936. 6) Tamino G., Osservazioni sulle caratteristiche aerodinamiche nei Ditteri e sul volo degli Insetti , “Arch. Zool. Ital. „, XXXVI, 1951. 7) — — Il fenomeno del movimento nei Pinnipedi , “ Boll, di Zoologia „, Voi. XI, Nr. 1-2-3, 1952. 8) (Anonimo). Congresso Scientifico di Aerolocomozione , di Verona. In: “L’Adige,,, Nr. 147, 31 maggio 1910. 9) „ „ / nuovi studi dell’ ingegneria navale. In: “ Lo Stato Economico „, A. Vili, Nr. 2, Genova, 15-30 gennaio 1913. „ I dispositivi di iper sostentazione. In: “ Le Vie dell’Aria ,„ A. IX, Nr. 1, gennaio 1937. 10) Sul rinvenimento di L1NAR1A REFLEXA Ohaz. a Capri. Nota del socio Aldo Merda (Tornata del 29 aprile 1953) Nell’aprile del 1948 il capogiardiniere dell’Orto Botanico di Na¬ poli mi portò da Capri alcune piante ; tra di esse ve ne era una nella quale subito riconobbi la Linaria reflexa che avevo vieta qualche mese prima nelle Puglie. Fatto il confronto con esem¬ plari di provenienza pugliese e siciliana potetti assicurarmi che trattavasi della medesima entità. Il reperto era interessante per¬ chè questa specie risultava nuova non solo per la flora di Ca¬ pri (*) ma addirittura per tutta la flora di estese regioni viciniori. Infatti la Linaria reflexa , in Italia, si trova allo stato spontaneo nelle Puglie, verso l’estrema punta della Calabria in prossimità dello stretto di Messina, in Sicilia ed isole vicine e, infine, in Sardegna. Mi recai subito a Capri per visitare questa stazione situata nei pressi dell’albergo Cesare Augusto di Anacapri (2) ed infatti potei osservare su di un muricciuolo a secco alcuni individui di questa graziosa pianticella in piena fioritura. Ne prelevai ancora un indivi¬ duo da conservare in erbario e ne lasciai sul posto altri tre o quat¬ tro. L’anno successivo nel medesimo mese, son ritornato sul posto ma, con mia grande sorpresa, non vi ho più trovato traccia di Lina - (* 1) Cerio, I. e Bellini, R. Flora dell’Isola di Capri, Napoli, 1900. Guadagno, M. Flora Capraearum nova. Flora di Capri. Archivio Botanico, Voi. VII. 1931, pagg. 7-38, 143-176, 244-275; Voi. Vili, 1932, pagg, 65-80, 142-158, 275-295. Pasquale, G. A. Flora dell’isola di Capri. Eserc. Asp. Natur., Voi. II, parte I, Napoli, 1840. ( 2- ) Più esattamente la stazione era rappresentata da un muro rustico cingente fagrumeto al quale si accede entrando prima nella villa dell’albergo e poi girando a sinistra. - 22 ria reflexa. Lo stesso potei constatare nel 1950. E poiché anche una visita di quest’anno, a distanza di cinque anni dal primo rinvenimento, ha avuto esito negativo, mi son deciso a rendere pub¬ blica questa notizia affinchè rimanga traccia del reperto in questione il quale, come ora vedremo, può essere di grande interesse. Anche una accurata perlustrazione da me fatta nelle zone circostanti è stata vana, per quanto mi sia potuto poco estendere perchè i terreni pros¬ simi alla stazione ben presto degradano in rupi con strapiombi inac¬ cessibili non solo, ma neanche parzialmente esplorabili sia dall’alto che dal basso. Così stando le cose, rimane problematica l’esistenza della Lina- ria reflexa a Capri. Certo che il ritrovare in quest’isola una specie spontanea, nuova per la flora caprese, non è cosa frequente dato che essa è stata visitata da numerosi botanici e da antica data (1). Però proprio a Capri non mancano esempi di specie rarissime che, sebbene rinvenute una o poche volte, non per questo debbono es¬ sere attualmente escluse dalla flora della isola. Mi piace ricordare a questo proposito la Scabiosa eretica la quale, raccolta da Boccone (2), non fu poi ritrovata da botanici che successivamente pure esplorarono discretamente l’isola. Solo il Pedicino, nel 1864, ve la raccolse nei pressi del salto di Tiberio (m. 340 s. m.), come dice il Pasquale (3) e come è convalidato da un esemplare di Scabiosa eretica di Capri esistente nell’erbario generale dell’Istituto Botanico di Roma (4). Suc¬ cessivamente, sebbene diversi botanici ve l’abbiano cercata nella zona tra l’arco naturale ed il salto di Tiberio, ogni indagine è risultata vana. Ma non credo che per questo si possa senz’altro asserire che la Scabiosa eretica sia scomparsa da Capri dato che essa può vivere 0) Ad onta di ciò, la flora di Capri non può dirsi completamente esplorata. Infatti il Guadagno (1. c., VII, 1931, Pag. 21) scriveva : “ L’isola, accidentata quale è, è ben lontana dall’essere esplorata a fondo. In alcuìii siti poi è stato mai il botanico per le difficoltà di accesso..,,,. (2) Boccone, P. Museo di piante rare della Sicilia , Malta , Corsica , Italia, Piemonte, e Germania. Venezia, X° 1697. Id. Id. Appendix ad suum Mu— saeum de plantis siculis, anno 1101 , cum observationibus physicis nonnullis. Venetiis, 1702. (3) Pasquale, A. Flora vesuviana o catalogo ragionato delle piante del Ve¬ suvio , confrontate con quelle dell’isola di Capri o di altri luoghi circostanti. Atti R. Acc. Se. Fis. Mat. Nat. di Napoli, Voi. IV, 1869, (4) Guadagno, M. L. c., 1932, pag. 282. - 23 - sulle rupi e dato che, in prossimità della classica stazione, vi sono estesi dirupi inaccessibili (1). Il caso della Scabiosa eretica sta ad indicarci, dunque, che an¬ che per la Linaria reflexa possa essersi verificato qualcosa del ge¬ nere, per quanto questa ultima specie non sia rupicola. La presenza della Linaria reflexa a Capri non deve meravigliare perchè la flora caprese annovera non poche entità che hanno una di¬ stribuzione italiana non molto diversa da quella della specie in que¬ stione. Alludo particolarmente alle specie che in Italia sono presenti esclusivamente o quasi in Sicilia, Sardegna, Corsica ed isole vicine. Ma di esse quella a distribuzione maggiormente simile alla distri¬ buzione della Linaria reflexa è la Fedia cornucopiae -anch’essa e- lemento piuttosto raro della flora di Capri - come si deduce dal se¬ guente quadro comparativo (2) : Linaria reflexa Puglie ‘ Reggio Calabria e dintorni Sicilia, Lipari Lampedusa Sardegna (Africa boreale) Fedia cornucopiae Bari, Otranto Pizzo Cab, Squillane, Reggio Cab Sicilia ed isole vicine Malta, Lampedusa, Pantelleria Sardegna, Corsica, Gorgona Capri (Africa boreale, Francia, Spagna) (x) Per confermare la estensione e la inaccessibilità dei dirupi del salto di Tiberio, necessariamente poco esplorati, e quindi per avvalorare la probabilità che la Scabiosa eretica possa ancora esistervi da qualche parte, aggiungerò che, secondo una vecchia tradizione caprese, una volta un pescatore riuscì a salire dal mare giungendo sino alla sommità del salto laddove Tiberio si era fatta co¬ struire una villa. Tiberio, indignato perchè lo vide accedere alla sua villa da quel lato dal quale egli maggiormente si sentiva sicuro, lo fece scudisciare. Anche va¬ lenti rocciatori avevano più volte, sin dal secolo scorso, tentato invano di rag¬ giungere la villa di Tiberio dal mare; e solo di recente ciò è stato realizzato. Come ho potuto direttamente constatare in più visite, di tutte queste difficoltà son causa la precipitosità dei dirupi e la franabilità del terreno; pertanto credo che non si possa asserire nel modo rpiù assoluto che la classica stazione di Sca¬ biosa eretica sia stata scrupolosamente visitata senza ritrovare la pianta e de¬ durne addirittura, come da qualcuno si vorrebbe, che questa specie sia scom¬ parsa dall’isola, La famosa località di rinvenimento, facilmente accessibile dall’in¬ terno, potrebbe addirittura essere al margine di una stazione che avrebbe il suo fulcro proprio su quegli estesi dirupi. (2) Queste indicazioni sono molto generali servendo solo a dare una visione di insieme sulla diffusione, in Italia, delle due specie sopra menzionate, e, per- - 24 - Si rileva dunque che a motivo la Linaria reflexa potrebbe es¬ sere ritenuta autoctona di Capri. Se così fosse, essa avrebbe certa¬ mente lo stesso significato fitogeografico della Fedia cornucopiae ; specie, quest’ultima, che Béguinot (*) ritenne essere tra quelle che meglio dimostrano quella corrente migratoria che, provenendo dal sud, tanti elementi apportò alla flora delle nostre isole partenopee, non solo, ma anche di quelle ponziane. Inoltre, sempre che si ac¬ cetti la autoctonia della Linaria reflexa a Capri, essa non potrà es¬ sere esclusa da ogni discussione sulla ipotesi della Tirrenide data la vetustà geologica di Capri, specialmente in confronto alle altre isole partenopee, e data, a quanto pare, la sua indifferenza edafica. Tuttavia, la considerazione che la Linaria reflexa è specie cam¬ pestre e dei margini dei coltivati, piuttosto che rupicola, fa pur sor¬ gere il dubbio che la si debba considerare a Capri come avventizia. Infatti, in quest’isola, il numero delle avventizie aumenta continua- mente come sì può dedurre da quanto scrisse Cèrio (2) o da quanto ho detto io stesso in altra occasione (3) o, ancora meglio, come si può constatare visitando l’ isola. Così, ad esempio, negli ultimi anni ho potuto rilevare che 1’ Echium fastuosum delle Canarie, di recente introdottovi in coltura, si è addirittura spontaneizzato trovandosene qua e là robusti individui che fioriscono e fruttificano abbondan¬ temente. Per assicurarmi dell’ eventuale avventiziato di Linaria reflexa a Capri, chiesi se nel podere annesso all’albergo Cesare Augusto fossero state introdotte piante dalla Sicilia e mi fu detto che di tale prove¬ nienza c’erano soltanto degli agrumi. Ma questi alberetti erano stati piantati solo molto di recente mentre 1’ esistenza sul muro di indi vidui bene sviluppati della specie qui in oggetto lasciava pensare ad una non altrettanto recente conquista di tale stazione da parte della Linaria reflexa. Ad onta di ciò, allo stato attuale, a me sembra che tanto, prescindono da particolari distributivi che, ovviamente, pur sussistono. Così, ad esempio, la Fedia cornucopiae , frequente in Sicilia, è tutt’altro che tale in Sardegna (FiORr, A. Erborizzazioni primaverili in Sardegna, N. Giorn. Bot- Ital., N. S., Voi. XX, 1913, pag. 153). (1) Béguinot, A. La vegetazione delle isole ponziane e napoletane. Annali di Bot., Voi. Ili, 1905. pag. 181, (2) Cerio, E. Note sulla flora caprese. Archivio Botanico, Voi. XV, 1939, pag. 134. (a) Merola, A. Osservazioni su piante del napoletano. Nota prima. Delpinoa (Nuova serie del Bullettino dell’Orto botanico di Napoli) Voi. II, 1949, pag. 5. - 25 - non si debba escludere l’avventiziato sopratatto in considerazione del fatto che la pianta in esame vive raramente sulle rupi inaccessibili essendo sue stazioni di elezione i coltivati ed i margini di essi che credo si possan dire bene esplorati a Capri. Ma, anche se è così, quello che meraviglia è la fugacità della comparsa di Linaria reflexa la quale, per le sue esigenze e per la abbondante produzione di semi, benissimo si sarebbe potuta conservare nella stazione se non proprio diffondere. Ed infatti nelle vicinanze si realizzano tutte quelle con¬ dizioni che si riscontrano laddove essa vive allo stato spontaneo, come ho potuto personalmente constatare in Sicilia e nelle Puglie. Tanto più che la stessa Linaria reflexa è segnalata come avventizia in Corsica e nel Nizzardo. In conclusione è probabile che la Linaria reflexa , nuova per la flora di Capri, vi sia avventizia sebbene fondate considerazioni di carattere fitogeografico, nonché topografico, la possano far ritenere autoctona dell’ isola. F enomeni iperplastici in GB A C IL ARI A CONFERVOIDES (L.) Grev. della laguna di Venezia. Nota del socio Aldo Merola (Tornata del 29 Aprile 1953) (Con 1 tav. f. testo). Lo studio da me fatto sui processi proliferativi che accompa¬ gnano la cecidogenesi della Gracilaria confervoides del golfo di Na¬ poli mi ha spinto ad indagare anche altri fenomeni iperplastici che si osservano altrove su questa specie. E poiché in un recente lavoro dei Proff. M. Minio e N. Spada (l) si accennava alla grande frequenza, nella laguna veneta, di forme mostruose di Gracilaria confervoides , mi son rivolto ai sopra lodati AA. per avere del materiale. Essi, appoggiandosi all’Istituto di Studi Adriatici, mi han procurato tale materiale con estrema cura e sollecitudine ; del che qui pubblica¬ mente li ringrazio. Mentre precedentemente avevo supposto che si trattasse delle alterazioni caratterizzanti una « forma » di Gracilaria confervoides ( Gracilaria confervoides (L.) Grev., var. ramulosa Kùtz., fo. mon- struosa J. Ag.) segnalata da lungo tempo per la laguna veneta (^), lo studio dei saggi avuti in esame mi ha poi dimostrato che trattasi di ben altro tipo di distrofie. Infatti le alterazioni della forma sopra (4) Minio, M. e Spada, N. Distribuzione e polimorfismo di Gracilaria con¬ fervoides nella laguna di Venezia. Istituto di Studi Adriatici, pubblicazione N° 3, Venezia, 1950. (2) Schiffner, V. e Vatova, A. Le alghe della laguna. Delegazione italiana della Commissione per Fesplorazioue del Mediterraneo : La laguna di Venezia, voi. Ili, pt. V, T. IX, fase. 1, cap. XLII, sez. I, parti I e II, pag. 213. - 27 - menzionata sono verruciformi, come scrive anche il De Toni (4), e si avvicinano di più a quelle iperplasie di Gracilaria confervoides trovate da Chemin (2) su materiale di Roscoff e di Hyères e da me (3) su materiale del golfo di Napoli. Quelle da me qui prese in consi¬ derazione sono, al contrario, ben lungi dall’essere verruciformi di¬ mostrando sempre una tendenza a risolversi nella produzione di rami e ramuscoli più o meno profondamente alterati. Comunque sia, lo studio della Gracilaria confervoides var. rantolosa fo. monstruosa ri¬ mane ancora da farsi ed io mi riprometto di eseguirlo in seguito su abbondante materiale. In questa nota mi limito soltanto ad illustrare le iperplasie presenti sui saggi che ho avuto in esame. Non è impro¬ babile che esse si riscontrino anche altrove e che siano state com¬ prese e confuse nel ben noto polimorfismo di Gracilaria confervoides (infatti antichi AA. come il Kùtzing (4) distinsero, nell’ambito di questa specie, numerose varietà e forme che poi si sono rivelate di nessun valore sistematico). Questo concetto del resto si ritrova anche in Mazza (5) il quale afferma che il polimorfismo di Gracilaria con¬ fervoides conduce talora a « molteplici forme di cui alcune stra¬ nissime e quasi mostruose ». Ora, come io dimostrerò nella presente nota, le alterazioni qui descritte sono autentiche patosi e pertanto non possono rimaner confuse nel suddetto polimorfismo. Il materiale che ho avuto in esame proviene da diverse località della laguna di Venezia ed esattamente : Giudecca (Rio della Pa- lada), Sacca della Misericordia, San Pietro, Fondamenta Nuove, Lido (Rio Rovigno). Osservazioni morfologiche Base per questa descrizione è il materiale raccolto alla Sacca della Misericordia. Infatti esso, pur presentando alterazioni che si osservano nel materiale raccolto in altre località della laguna di Ve¬ nezia, ne appare più ricco e pertanto fornisce una gamma più com¬ pleta dei diversi stadi di sviluppo. C) De Toni, G. B. Sylloge algarum. Voi. IV, 1897, p. 432. (2) Chemin, E. Sur la présence de galles chez quelques Floridées. Rév. Al - gologique, T. VI, 1931, p. 315. (3) Merola, A. La cecidologia della Gracilaria confervoides (L ) Grev. del golfo di Napoli. Pubbl. Staz. Zool. Napoli, voi. XXTII, 1952, p. 229. (4) Kuutzing, F. T. Species algarum, Lipsia, 1849, p. 772. (5) Mazza, A. Saggio di algologia oceanica , 1905-1911, voi. I, 170. - 28 - L’alterazione in questione, come meglio vedremo in seguito, con¬ siste essenzialmente in una iperplasia più o meno diffusa la quale, normalmente, conduce ad un incurvamento del tallo di diversa in¬ tensità. Tali iperplasie si succedono nel tallo ad intervalli vari e, più precisamente, la distanza tra due di esse consecutive è, di so¬ lito, tanto maggiore quanto più grosso è il tallo. Di conseguenza nelle piccole ramificazioni laterali praticamente le iperplasie si succe¬ dono con continuità. Ed è proprio in queste ultime che si deter¬ minano curvature imponenti le quali, attuandosi secondo diversi piani intersecantisi tra di loro, portano addirittura alla formazione di veri grovigli. Talora questi sono così fitti che, ad occhio nudo, danno l’impressione di corpi compatti a superficie bitorzoluta e solo al binoculare è possibile rendersi conto della loro reale costituzione (v. fig. 7 tav. I). Tuttavia, sebbene tali gravigli siano costituiti da più rami, è sempre facile il riconoscimento e l’isolamento di cia¬ scuno di essi perchè, pur contorcendosi, conservano la loro indipen¬ denza. Infatti, ad onta di queste contorsioni, è diffìcilissimo che due rami vicini risultino saldati. Possiamo dunque affermare che il fenomeno iperplastico in que¬ stione si manifesta essenzialmente con curvature del tallo le quali talora possono essere così intense da far assumere al tallo stesso l’aspetto di spirali schiacciate secondo l’asse. Anzi, sebbene non di frequente, si può osservare anche un certo appiattimento. le proli¬ ferazioni causa delle curvature nei rami più grossi del tallo portano anche alla formazione, nei punti alterati, di ramuscoli molto distrofici e che in certi casi si appiattiscono a guisa di falce (v. fig. 1 e fig. 2 del testo). Queste formazioni semilunari lasciano però riconoscere agevolmente la loro natura perchè è facile identificarvi, al binocu¬ lare, l’apice del ramo. Su di esse si trovano impiantati altri ramu¬ scoli sempre profondamente alterati. Circa la localizzazione delle iperplasie si può dire che esse in¬ teressano in prevalenza e molto più intensamente i rami laterali dei talli principali (v. fig. 1 della tavola I). Questi ultimi infatti sono sempre poco alterati e tutto si limita a delle incurvature più o meno distanziate e diffìcilmente molto intense. Inoltre va notato che, se i processi ipertrofici si attuano in prossimità dell’apice, esso di solito ne è indenne e pertanto sempre in grado di accrescersi. Le altera¬ zioni in esame possono disporsi dallo stesso lato del tallo - caso più frequente per i piccoli rami - ed allora si ha la formazione di quelle spirali cui è stato accennato prima o di una specie di uncini ; altri- - 29 menti, se esse si riscontrano indifferentemente sui diversi lati del tallo - caso più frequente per i grossi rami - quest’ultimo appare a superficie bitorzoluta (v. fig. 5 del testo e fig. 6 della tavola I). È raro osservare alla stessa altezza del tallo iperplasie disposte su due lati opposti. In certi casi si osserva che i rami laterali formano, alla loro base, una spirale di un sol giro la quale aderisce fortemente al ramo principale sul quale essi sono impiantati. Quindi il ramuscolo si presenta normale per buon tratto e solo più distalmente si riscon¬ trano alterazioni che danno luogo a spire molto più lasse (v. fig. 6 della tavola I). Si ha così l’impressione che questo ramo si origini dal centro di un anello impiantato sul tallo principale. Sul lato convesso dei talli più grossi si osservano quasi sempre delle neoformazioni le quali o si risolvono in esili rami che, pur essendo più o meno alterati, possono conservare il loro aspetto nor¬ male oppure danno luogo, abortendo, ad una serie di protuberanze disposte l’una dietro l’altra secondo l’asse del tallo principale sul quale sono impiantate. In qualche caso queste protuberanze si risol¬ vono in appiattimenti crestiformi a margine ondulato ed a base di impianto molto ristretta in modo che si originano delle formazioni dall’aspetto di ventaglietti facilmente riconoscibili al binoculare. In generale si può affermare che le neoformazioni riscontrabili sul lato convesso delle curvature dei talli più grossi, se poche, si risolvono in ramuscoli i quali, anche se alterati, conservano più o meno il loro aspetto normale; se invece esse sono molte si riscontrano quegli imponenti fenomeni iperplastici cui è stato prima accennato. In con¬ seguenza, le convessità dei rami più grossi appaiono lisce o quasi se da esse si sviluppano ramuscoli più o meno normali mentre la loro superficie é bitorzoluta se su di essi sono impiantate protuberanze e neoformazioni di aspetto irregolare. Poiché l’uno e l’altro modo di essere delle iperplasie in questione si osservano su due ramuscoli vicini o addirittura sul medesimo ramuscolo a breve distanza, se ne deve dedurre che solo se il processo neoformativo riesce a sfociare nella produzione di piccoli rametti laterali più o meno abbondanti la convessità cessa di produrre nuove neoformazioni (v. fig. 3 della tavola 1). Comunqe sia, nell’uno e nell’altro caso, si osserva quasi sempre che in ogni curvatura le escrescenze, siano esse ramuscoli o semplici protuberanze, sono più brevi nella parte prossimale e gra¬ datamente si vanno facendo più lunghe verso il tratto distale. L’alterazione iperplastica dei ramuscoli laterali può essere di in- - 30 - tensità varia. Se essi sono poco alterati e si sviluppano più o meno numerosi sulle convessità del tallo principale assumono l’aspetto di una frangia. In altri casi, ma sempre che le distrofie siano poco marcate, si nota che tali ramuscoli laterali, sebbene molto corti, hanno pressocchè le stesse dimensioni dei rami principali sui quali si sono sviluppati, mentre in condizioni normali essi dovrebbero es¬ sere più piccoli. Raramente si osservano ramuscoli che presentano Figure 1-6. — Rami iperplastici di Gracilaria confervoides (L.) Grew. alterazioni soltanto alla base e che consistono in un appiattimento non troppo marcato oppure in un rigonfiamento che fa assumere a tali rametti un aspetto piriforme o clavato. Quest’ultimo conseguenza oltre che del rigonfiamento del tratto prossimale anche di una base di impianto molto ristretta. Talora il rigonfiamento è così accen¬ tuato che del ramo originario non rimane che solo l’apice a guisa di mucrone. Ramuscoli così alterati sono frapposti tra rametti più -31- langhi di aspetto quasi normale ed è probabile che il loro minore sviluppo sia dovuto alla iperplasia basale. In altri casi i rametti la¬ terali possono anche presentarsi sotto forma di piccole appendici spiniformi che sono sempre in numero rilevante e sorgono non da noduli bitorzoluti ma solo da lievi ingrossamenti. Se poi l’alterazione è più intensa, si hanno curvature più o meno accentuate. Nel caso che esse siano poco marcate, alla estre¬ mità dei ramuscoli si formano dei piccoli uncini che ricordano quelli di Hypnea. Altrimenti si hanno delle curvature molto più decise. Su di esse si formano altri ramuscoli di terzo e quarto or¬ dine i quali, sempre in conseguenza dei fenomeni iperplastici, pos¬ sono dicotomizzarsi alla estremità ; fenomeno, quest’ultimo, che in condizioni normali non si osserva giammai in Gracilaria. In casi nei quali l’iperplasia è ancora più spinta, i ramuscoli laterali risul¬ tano fortemente appiattiti divenendo, in tal modo, quasi alati (v. fig. 2 della Tavola I). È da notare che questi diversi gradi di alte¬ razione si riscontrano in rametti vicini originatisi addirittura da una stessa iperplasia del tallo principale. Come ho detto in principio la precedente descrizione si riferi¬ sce al materiale proveniente dalla Sacca della Misericordia. In quello raccolto in altre località si può dire che i fenomeni iperplastici si presentano allo stesso modo. Tuttavia qualche piccola differenza si trova. Così, ad esempio, nel materiale raccolto nel Rio Rovigno si osserva che le curvature sono poche e poco accentuate mentre più spiccata è la tendenza agli appiattimenti che si risolvono in tanti ramuscoli abortiti molto per tempo. Ben presto anche questi si appiat¬ tiscono producendo al loro margine altre protuberanze che ripetono il processo. Si originano in tal modo delle singolari formazioni che si ripetono a catena. Su di esse molto raramente si forma qualche ramuscolo normale o poco alterato come, all’opposto, accade di fre¬ quente nel materiale della Sacca della Misericordia. Ed anche nei ramuscoli che si presentano quasi normali, verso la base si osserva una certa tendenza all’appiattimento o, comunque, a formare piccole protuberanze. Le Gracilaria provenienti dal Rio Rovigno erano, inoltre ampiamente ricoperte da tubi di Spirorbis . Lo stesso dicasi per il materiale proveniente dal Rio della Pa- lada e che si distingue solo per la scarsezza delle alterazioni. Anche scarse sono le iperplasie della Gracilaria confervoides pescata a S. Pietro ed alle Fondamenta Nuove, sebbene esse si av¬ vicinino di più a quelle riscontrate sugli esemplari della Sacca della Misericordia. - 32 - Osservazioni istologiche. L’esame istologico delle iperplasie in questione non lascia ve¬ dere grandi particolarità degne di nota. Le cellule midollari che in esse si osservano sono un po’ più piccole delle corrispondenti del tallo normale con le quali si continuano. Tuttavia è sempre ben_ netta la distinzione tra di esse per le differenti dimensioni cellulari. La zona corticale risulta più spessa di quella di un tallo normale perchè costituita da più strati di cellule le quali, come quelle mi¬ dollari, sono un po’ più piccole del consueto. Inoltre, in sezioni tra¬ sversali del tallo iperplastico, esse si presentano leggermente allun¬ gate invece che tondeggianti. Ciò è conseguenza dello schiacciamento subito per il continuo neoformarsi di cellule in seno ai tessuti sede della iperplasia. Le prime segmentazioni che portano alla formazione di nuove iperplasie si attuano nello strato più superficiale del tallo o al di sotto di esso, ma comunque sempre nella zona corticale. La sezione trasversale di una iperplasia si presenta a margine irregolare a causa di altre piccole giovani iperplasie su di essa im¬ piantate. In sezioni tangenziali tali giovanissime iperplasie risultano costituite da ammassi di cellule a parete sottile e che si colorano intensamente. Infatti, ponendo siffatte sezioni tangenziali in una so¬ luzione di bleu d’anilina sciolto in lattofenolo, al microscopio si os¬ servano delle piccole aree colorate in azzurro più intenso e che son formate da gruppetti di piccole cellule. Questi noduli cellulari sono in attiva divisione e corrispondono ai punti di accrescimento della iperplasia i quali, se il fenomeno iperplastico è poco accentuato, daranno origine a ramuscoli ; altrimenti si svilupperanno altrettante iperplasie che ripeteranno il processo. Insomma le iperplasie in questione si distinguono istologicamente dalle galle da me prece¬ dentemente descritte perchè, mentre in queste l’accrescimento è più o meno esteso a tutta la superficie della iperplasia di guisa tale che essa iperplasia acquisti una forma sferica o subsferica, anche se talora un po’ bitorzoluta, nelle iperplasie in esame 1’ accresci¬ mento è limitato solo ad alcuni punti. Ciò non toglie che tutta la superficie della iperplasia si accresca perchè, pur essendo tutte le cellule superficiali suscettibili di divisione, è solo in alcuni punti che l’accrescimento risulta in modo particolare esaltato. In sezioni trasversali di giovani talli incurvati, ma nei quali an¬ cora non si osservano iperplasie secondarie dal lato convesso, si ri- - 33 - leva che la convessità è determinata da un aumento numerico delle cellule, nei confronti del lato concavo, e non da semplice aumento volumetrico di esse. Si può asserire quindi che il fenomeno iper- plastico dapprima porti ad una curvatura del tallo con conseguente compressione delle cellule neoformate ; poi, intensificandosi, quando il limite di comprimibilità di queste cellule è raggiunto, la super¬ ficie convessa si solleva in più punti dando luogo a bozze che si risolveranno in altrettante iperplasie. Eziologia. Le iperplasie in questione vanno senza dubbio interpretate quali espressione di uno stato patologico dell’alga. Stabilire però se esso abbia una base genetica o se sia semplicemente conseguenza di altri fattori, biologici o non, presenti nell’ambiente lagunare non è cosa agevole. Tuttavia, mettendo in rapporto queste alterazioni con altre poche più o meno analoghe distrofie descritte per le alghe, io, per quanto concerne la eziologia, mi orienterei verso l’azione di orga¬ nismi parassiti. E ciò ad onta che, nel caso presente, la ricerca mi¬ croscopica di essi mi abbia dato sempre risultati negativi o che comunque non avvaloravano inconfutabilmente la tesi sopra esposta. Infatti all’osservazione microscopica ho rilevato talora sulla super¬ ficie gelatinosa del tallo delle ife. Ciò però non autorizza ad affer¬ mare senz’altro che siano questi funghi i responsabili di tali anomalie poiché, sebbene sia ricorso ad opportune colorazioni, non sono mai riuscito a rintracciare ife nell’interno del tallo. Lo stesso dicasi di colonie di schizomiceti presenti, con una certa frequenza, sulla su¬ perficie delle Gracilaria osservate Sebbene sia gli uni che gli altri non si riscontrino con costanza sulla superficie delle iperplasie e seb¬ bene l’ambiente nel quale vivevano le Gracilaria iperplastiche da me osservate rappresentasse l’ideale per lo sviluppo di banali funghi e batteri marini saprofiti, tuttavia non devesi a priori escludere che essi possano essere stata la causa di tali processi neoformativi. In¬ fatti in primo luogo noi sappiamo che certi agenti cecidogeni per le alghe, per lo meno nelle prime fasi della loro attività possono anche esercitare la loro azione dallo esterno del tallo (L) ; in secondo luogo (x) Starmarch, K. Die Bacteriengallen auf manchen susswasserarten der Gattung Chantransia Fr. Acta Soc. Bot. Poloniae, Voi. 7, 1930, p. 435. - 34 - è ben noto che in molti casi fanghi e batteri parassiti, pur svilup pandosi nello interno dei tessuti, non sono in essi facilmente rico¬ noscibili. Solo la inoculazione a Gracilaria sane di tali organismi, prele¬ vati direttamente dalla superficie dei talli ipertrofici o da colture, risolverebbe la questione; ma si oppongono insuperabili difficoltà te¬ cniche che fecero sfociare in un pieno fallimento i tentativi di quelli (Cantacuzène, Chèmin) (*) che cercarono di realizzare un tale esperi¬ mento. Nei grovigli costituiti dai ramuscoli più o meno alterati qual¬ che volta ho trovato anche delle larve. Ma esse non possono essere chiamate in causa nella genesi delle alterazioni in questione poiché assenti in molti casi. La loro presenza deve solo mettersi in rap¬ porto con la particolare conformazione dei rami delle nostre Graci¬ laria le quali offrivano a tali larve un asilo sicuro. Anche la pre¬ senza di tubi di Spirorbis , molto abbondanti specialmente nel materiale proveniente dal Rio della Palada, certamente non è da mettersi in rapporto con la genesi delle iperplasie. Infatti, mentre essi erano molto numerosi nei talli poco alterati raccolti nel Rio della Palada, erano, all’opposto, completamente assenti nei talli pro¬ fondamente distrofici pescati alla Sacca della Misericordia. Discussione e conclusioni. In questa nota vengono prese in considerazione delle iperplasie presenti su individui di Gracilaria confervoides della laguna di Ve¬ nezia. L’aver avuto a disposizione materiale discretamente abbon¬ dante proveniente da diverse località della laguna veneta (Giudecca : Rio della Palada, Lido : Rio Rovigno, Sacca della Misericordia, San Pietro, Fondamenta Nuove) mi ha permesso di studiare a fondo tale alterazione iperplastica. Essa consiste essenzialmente in una attiva divisione cellulare la quale, attuandosi di solito da un sol lato del tallo, porta ad un incurvamento di esso. E questa la prima manife¬ stazione iperplastica la quale raramente si arresta a tal punto ; più di frequente essa, intensificandosi, conduce alla formazione, sul lato convesso della curvatura, di rami e ramuscoli sempre profondamente alterati. Anzi, in questi ultimi, se non si ha aborto - nel quale caso (x) Cantacuzène, A. Contribution a Vétude des tumeurs bactériennes chez les algues marines. Thèse Fac. Se. ParÌ3, 1929. Chemin, E. Ròte des baciéries dans la formation des galles chez les Flo- ridées. Ann. Se. Nat. Bot., sér. 10, t. 19, 1937, p. 61. - 35 - si formano delle semplici protuberanze - la lesione neoformativa è molto più intensa al punto tale che si formano delle spirali più o meno irregolari e contorte con apice ripiegato ad uncino o ad¬ dirittura degli appiattimenti. Talora i rami neofoimati sono così strettamente aggrovigliati da dare, ad occhio nudo, l’impressione che si tratti di corpi compatti a superficie rugosa. In altri casi l’asso¬ ciazione di curvatura ed appiattimento origina particolari formazioni falciformi nelle quali a mala pena si distingue l’apice del ramo ori¬ ginario. L’esame istologico lascia vedere che il processo iperplastico si attua sempre a carico degli strati più superficiali del tallo cioè della zona corticale ; la zona midollare, al contrario, rimane nor¬ male e solo si distingue per le sue cellule un po’ più piccole del consueto. Un fatto analogo si osserva nelle piante superiori nelle quali i tumori prodotti dal Phytomonas tumefaciens si originano totalmente o per buona parte dalla proliferazione di cellule più o meno superficiali (l). Inoltre l’esame istologico fa rilevare che le cur¬ vature, così caratteristiche in queste alterazioni, sono sempre e solo determinate da un aumento numerico, mai volumetrico, delle cellule. Va ancora notato che nel tratto superficiale di ogni iperplasia si ri¬ scontrano sempre dei noduli di cellule in attiva divisione. Essi rap¬ presentano i punti di partenza di altrettante iperplasie che si svi¬ luppano su quelle preesistenti. Piccole differenze che si riscontrano su materiale proveniente da varie località sono attribuibili a diversa intensità di un fenomeno che, in fondo, è sempre lo stesso. Tale di¬ vario, se è vero che le alterazioni in oggetto sono determinate da organismi, potrebbe essere conseguenza di una diversa virulenza forse condizionata anche da varie condizioni ambientali. Circa le cause di queste distrofie ben poco posso dire Sulla su¬ perficie esterna dei talli ho riscontrato ife e colonie batteriche. Ma dubito molto che queste possano essere chiamate in causa non tanto perchè esse si trovano esclusivamente allo esterno - chè è stato dimostrato proprio nelle alghe che i batteri cecidogeni possono agire dallo esterno - ma piuttosto per la loro non costante presenza e so¬ pratutto perchè l’ambiente lagunare, ricchissimo di detriti organici in decomposizione, è quanto mai favorevole allo sviluppo di banali schizomiceti e funghi marini. Allo opposto, sebbene sia ricorso ad (x) Ciarrigues, R Recherches sur les Cécidies, le cancer et V action des car- bures cancérigènes sur les végélaux. L’année biologique, T. 29, 1953, p- 39- - 36 - opportune colorazioni, giammai sono riuscito a mettere in evidenza nei tessuti iperplastici tracce di organismi responsabili della stimola¬ zione neoformativa. Questa constatazione, tuttavia, non costituisce un elemento assolutamente negativo poiché, in casi analoghi e sempre in tema di ficocecidologia, la scoperta di organismi cecidogeni- in talli sedi di iperplasie è stata fatta solo più tardi ed in condizioni particolari. Pertanto, in base a diverse considerazioni, io non esclu¬ derei che possano essere degli organismi gli agenti responsabili delle lesioni in questione. Infatti, innanzi tutto va ricordato che queste ultime presentano tutte le caratteristiche delle reazioni delle alghe a certi funghi e schizomiceti parassiti nonché ad altre alghe paras¬ site. A proposito di questo ultimo caso ricordo la spiralizzazione dello stipite di Laminaria flexicaulis (i), precedentemente attribuita a tropismi di contatto, determinata invece dallo Ectocarpus defor - mans (2). Inoltre le condizioni ecologiche delle acque lagunari, se¬ condo quanto ho detto altrove (3), favoriscono lo sviluppo, nelle alghe, di fitocecidi. Il fatto sopra riferito di non aver riscontrato traccia di organismi nei tessuti iperplastici non impedisce per nulla di pensare che, nel nostro caso, la causa sia di natura biologica. Ciò vien confermato specialmente se si fanno dei confronti con i batte- riocecidi delle piante superiori ai quali possono ravvicinarsi, con le debite limitazioni, buona parte delle galle delle alghe, come ho ten¬ tato di dimostrare in altra occasione. Nelle piante superiori infatti è stato dimostrato che si possono avere anche autentici tumori as¬ solutamente sterili (4) l’azione dei batteri agenti delle crown-gall es¬ sendo necessaria solo per le prime ore. Poi essi possono essere an¬ che allontanati senza che il tumore regredisca (a). Così, inoculando batteri delle crown-gall ad una pianta e poi dopo poco ammazzan- (1) Alterazione, questa, che ricorda molto le morfosi qui illustrate della Gra- cilaria confervoides. (2) Dangeard P. Sur un Ectocarpus parasite provoquant des tumeurs chez Laminaria flexicaulis (E. deformans n. sp.). C. R. AG. Se. Paris, 192, 1931, p. 57. (3) Merola, A. Considerazioni sui rapporti tra ambiente e cecidogenesi nelle alghe. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 61, 1952, p. 65. (4) Braun, A. C. and White, P. R. Bacteriological sterility of tissues deri- ved from secondary crown -gali tumors. Phytopatology, voi. 33, 1943, p. 85. (5) De Ropp, R. S. The isolation and behaviour of bacteria-free crown- gall tissus from primary galls of Helianthus annuus. Phytopatology, voi. 37, 1947, p. 201. - 37 - doli in modo da sterilizzare i tessuti con la piroterapia (‘), si otten¬ gono lo stesso delle neoplasie le quali però si rivelano sterili ad ogni sorta di indagine batteriologica. Nel caso in esame potrebbe verificarsi qualcosa del genere, cioè gli agenti cecidogeni (schizomi- ceti ?), dato il primo impulso neoplastico, magari addirittura soltanto dallo esterno, rimarrebbero localizzati laddove c’è stata l’infezione primaria mentre l’iperplasia, ormai scatenata, continuerebbe il pro¬ prio sviluppo indipendentemente da ogni stimolo. Credo invece che non sia proprio il caso di attribuire l’assenza dei microrganismi al fatto che essi siano divenuti temporaneamente invisibili, come è stato osservato in qualche batteriocecidio delle alghe. Infatti in questi casi prima o poi si addiviene sempre ad un processo di fanerosi degli schizomiceti, cosa che io, ad onta dell’abbondante materiale in tutti gli stadi di sviluppo, non ho potuto mai riscontrare. Inoltre, nel caso ora citato, le iperplasie hanno tendenza a localizzarsi ed a formare protuberanze verruciformi che si disfanno in seguito alla formazione di cavità di degenerazione ripiene di cecidiobatteri. All’opposto, nel caso nostro, le iperplasie hanno tendenza a diffondersi e mai ne ho osservate in degenerazione. Si potrebbe anche pensare che particolari sostanze di rifiuto presenti nelle acque lagunari potrebbero rappresentare la causa chi¬ mica delle iperplasie osservate sulla Gracilaria confervoides. Se ci si vuole orientare in questo senso bisogna pensare a sostanze ad azione auxinosimile piuttosto che ad altri composti per esempio a quelli ben noti come cancerigeni per gli animali. Infatti questi ul¬ timi (metilcolantrene, benzopirene, dibenzantracene, etc.) nelle piante superiori sembrano essere senza effetto o al più danno reazioni molto poco appariscenti (2). Invece, per quanto riguarda le sostanze ad azione auxinosimile, in primo luogo è dimostrato che le alghe rea¬ giscono ad esse, in secondo luogo è stata provata la loro azione fa- (x) Braun, A. C. Thermal studies ori thè factor responsible for tumor ini- tiation in crown-gall. Amer. Journ. Bot., voi. 34, 1947, p. 234. Braun, A. C. and Mandle, R. J. Studies on thè inactivation of thè tumor— inducing principle in crown-gall. Growt, voi. 12, 1948, p. 255. (2) Garrigues, R. Action des carbures cancérigènes sur les végétaux. Bull. Assoc. Fr. pour l’ét. du cancer, voi. 32, 1944-45, p. 131. - 38 - vorevole sulla insorgenza e sullo sviluppo di iperplasie vegetali (1). E le iperplasie della Gracilaria confervoides della laguna veneta, caratterizzata da spiralizzazioni, contorsioni, appiattimenti, etc., ri¬ cordano molto quelle distrofie determinate dall’ uso delle etero- auxine. Anche il ritrovamento di animaletti nei grovigli dei rami più o meno contorti deve essere ritenuto senz’altro un fatto banale ; tanto più che in quei pochissimi casi nei quali piccoli animali marini (Harpacticus chelìfer , Tylenchus fucicola , un copepode non meglio identificato) sono causa di neoformazioni nelle alghe, queste reagi¬ scono sempre solo localmente con la formazione di vere e pro¬ prie (2) galle e mai con processi iperplastici più o meno diffusi quali sono, invece, quelli qui considerati. Lo stesso dicasi della presenza di tubi di Spirorbis che abbondano su tante altre alghe marine senza che a carico di esse si verifichi alterazione di sorta. In conclusione, al termine dell’esame precedente, esteso a saggi raccolti in diverse località della laguna di Venezia, possiamo affer¬ mare che quivi è abbastanza diffusa una Gracilaria confervoides ca¬ ratterizzata da iperplasie più o meno imponenti. Esse inducono nell’alga delle morfosi tali che la distinguono bene dagli individui normali di questa specie. E, se ad una prima osservazione queste morfosi sembrano potersi includere nel ben noto polimorfismo pro¬ prio della specie in questione, l’accurato esame morfologico, anato¬ mico ed istologico da me fatto convince che si tratta di vere lesioni a carattere neoformativo - anche se ne è sconosciuta la causa - le quali, pertanto, vanno ben distinte da quella che può essere la variabilità (x) Braun, A. C. and Laskaris, T. Tumor formation by attenuated crown- gall bacteria in thè presence of growt-promoting substances. Proc. Nat. Ac. Sci. (U. S.), voi- 28, 1942, p. 468. Camus, G. et Gautheret, R. Sur le répiquage des proliferations induites sur des fragments de racines de scorsonère par des tissus de crown— gali ayant subi le phénomèn d’accotUmance aux héteroauxine. C. R. Soc. Biol. Paris, T. 97, p. 771. De Ropp, R. S. The growth-promoting action of bacteria -free crown- gali tu- mor tissus. Bull. Torrey Bot. Club. voi. 75, 1948, p. 45. (2) Barton, E. S. On thè occurence of Galls in Rhodymenia palmata Grev. Jour. of Bot., voi. 26, 1891, p. 65. Barton, E. S. On malformations of Ascophyllum and Desmarestia. British Museum Phycol. Mem., I, 1892. De Man, J. C. Ueber eine neue in Gallen einer Meeresalge lebende Art der Gattung Tylenchus Bast. Festschr. zum siebenszigsten Geburtstage Rudolf Leu- ckarts. 1892, p. 121. 1 - 39 - specifica. Del resto per la stessa Gracilaria confervoides e proprio nella lacuna di Venezia, si è verificato un caso analogo: una pre¬ tesa piccola entità sistematica distinta nell’ambito di questa specie ( Gracilaria confervoides (L.) Grev., var. ramulosa Kiitz. , fo. mon- struosa J. Ag. caratterizzata dalla presenza di verruche) molto pro¬ babilmente non è altro che una normale Gracilaria confervoides con galle. Tale è l’opinione di Minio e Spada e tale è anche la mia opinione dato che Chemin ha trovato galle su Gracilaria raccolte a Roscoff ed a Hyères ed io su Gracilaria del Golfo di Napoli. Ed ho voluto ricordare qui la pretesa Gracilaria confervoides var. ra mu¬ lo sa fo. monstruosa (*) perchè in essa, così come nella G. confer¬ voides oggetto di questa nota, trattasi sempre di fenomeni iperpla- stici con la sola differenza che mentre nella prima i processi neo¬ formativi hanno tendenza a localizzarsi, nella seconda essi tendono piuttosto a diffondersi. RIASSUNTO In que3ta nota vengono illustrate alcune morfosi della Gracilaria confervoides vivente nella laguna di Venezia. L’esame morfologico, anatomico ed istologico di¬ mostra che trattasi di autentiche lesioni a carattere neoformativo. Esse, originan¬ dosi sempre dagli strati corticali, tendono a diffondersi a tutto il tallo la cui forma originaria viene fortemente alterata- Di conseguenza tali distrofie non vanno in¬ cluse nel ben noto polimorfismo della Gracilaria confervoides nè sono identifica¬ bili con altre alterazioni che si riscontrano in una pretesa forma di questa specie G. c., var. ramulosa, fo. monstruosa). L’indagine anatomica ed istologica mette anche in evidenza che i processi iperplastici delle alghe, sotto molti aspetti, sono paragonabili a quelli delle piante superiori. E ampiamente discussa l’eziologia sulla base delle conoscenze attuali sia nel campo specifico della ficocecidologia sia in quello più ampio della cecidologia delle piante superiori. C) Non ho potuto esaminare materiale appartenente a questa “ forma „ ; ma da quanto scrive il De Toni (Sylloge, IV, 432: V enetiis pianta obvenit, suadente J. Agardh, monstruosa , verrucis pedicellatis lateralibus, ramulis divergentibus constantibus) son portato a ritenere che essa vada distinta dalla Gracilaria qui trattata. - 40 Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. Fig. 5, Fig. 6. Fig. 7. Fig. 8 Fig. 9. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. \ — Sacca della Misericordia - Talli primari quasi integri portanti ramu- scoli laterali fortemente alterati. Notare l’aspetto che assumono i talli di Gracilaria confervoides interessata da fenomeni iperplastici (2 X). — Rio Rovigno — Tallo sede di lesioni iperplastiche molto accentuate e con spiccata tendenza all’appiattimento (7 X). — Rio Rovigno - Estremità di tallo distrofico nel quale, prossimalmente, l’iperplasia tende alla produzione di protuberanze e ramuscoli mentre distalmente essa si risolve in appiattimenti (4 X). — Fondamenta nuove - Massimo grado di alterazione osservato nel ma ¬ teriale pescato in questa località (4 X). — Sacca della Misericordia - Tallo sede di intensa alterazione risolven- tesi in un misto di spiralizzazione, produzione di ramuscoli ed appiat¬ timento (4 X). 1 — Rio della Palada — Estremità di tallo nel quale il fenomeno iperpla- stico, essendo poco accentuato, ed interessando, da lati opposti, tratti molto vicini, provoca una lassa spiralizzazione (4 X). — S. Pietro - Fitto groviglio di numerosissimi corti ramuscoli originatisi da un’unica iperplasia. L’insieme dà l’impressione di una sola grossa iperplasia a superficie bitorzoluta (4 X). — Fondamenta nuove - Tallo nel quale, contrariamente al solito, l’iper- plasia si manifesta soltanto alla estremità (4 X). — Rio della Palada — Due iperplasie, localizzandosi sul tallo a breve distanza, hanno provocato in esso una doppia piegatura (5X). Merola A. - Fenomeni iperplastici in Gracilaria confervoides. Tav. I. Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5 Fig. 9 Poto À. M e r o 1 à Studio sulle così dette leuciti caolinizzate. Nota del socio Renato Sinno (Tornata del 27 maggio 1953) Tra i numerosi prodotti di alterazione della leucite in caliofil- lite, davyna. microsommite, melilite, sodalite. nefelina, sanidino. haùynite, ed analcime, quest’ultima ne rappresenta certamente la tra¬ sformazione più frequente. Accanto alle analisi di alcune leuciti analcimizzate riportate dal Doelter (1), vanno ad aggiungersi altre due analisi dovute rispetti¬ vamente allo Scherillo (2), che nel 1943 dette comunicazione di un nuovo esempio di analcimizzazione della leucite proveniente dalla località « I Monti » sul lago di Bracciano, ed al Fornaseri (3) che nel 1947 nei tufi incoerenti, provenienti dalla località « Finocchio », nella zona compresa tra Osa-Saponara- Valle di Castiglione (Vulcano Laziale), richiamò l’attenzione su tale fenomeno di analcimizzazione, mai fino ad allora riscontrato nel Vulcano Laziale. Le analisi 1,2 (Roccamonfina-analista Rammelsberg), 3 (Kaiser- tuhl-an. Cathrein), 4 (Oberwiesenthal-an. Sauer) sono citate dal Doel¬ ter nel suo trattato, la 5 è dello Scherillo, la 6 del Fornaseri. 1 2 3 4 5 6 SiOa 53.39 53.32 53.45 54,72 52.68 53.49 Ai2o3 25.07 26.25 23.31 23.12 24.07 23.39 Fe203 - — 0.80 0.60 0.61 — MgO — — tr. — 0.17 tr. i CaO 0.28 0.66 1.50 0.36 0.62 0.86 | Na20 11.94 8.76 11.00 12.30 | 10.55 12.58 : k2o 0.64 1.98 1.07 0.79 3-20 0.98 h2o 9.26 9.03 9.14 8.25 8.80 8.52 Totale 100.58 100.00 100.26 100.14 1 100.70 99.83 - 42 Ma se l’analcimizzazione della leucite è ormai senz’altro con¬ fermata da risultati così evidenti ed inconfutabili, non altrettanto può dirsi per il processo di caolinizzazione, fenomeno quest’ ultimo che, per quanto perfettamente possibile in teoria, purtuttavia fino ad oggi non ha trovato, a quanto mi consta, alcun riscontro in natura. Con il presente lavoro, mi son prefisso allora di ricercare un tale esempio per le leuciti appartenenti al Vesuvio ed ai Campi Flegrei, con quale risultato lo si può osservare, in seguito alle analisi da me effettuate. Nel 1773 in suo lavoro, il Ferber (4) dette per primo comuni cazione di aver rinvenuto un esempio di leucite trasformata in una sostanza bianca, farinosa, definita argilla. Nel 1851 il Sillem (5) de¬ scrisse un tipo di leucite caolinizzata, rinvenuta al Vesuvio. Ho vo¬ luto rendermi conto del modo come quest’ultimo fosse giunto a tale affermazione. Ecco quanto dice il Sillem, testualmente : « Caolino dalla leucite: Nelle lave del Vesuvio si rinvengono cristalli di leucite trasformati in caolino. In un campione scuro di lava leucotefritica di Fossa Grande al Vesuvio, vi sono leuciti, nell’ interno inalterate, ricoperte di caolino che penetra anche nelle spaccature dei cristalli molto fessurati. » Tali affermazioni, non poggiano purtroppo su alcuna base so¬ lida, in quanto una precisa valutazione del minerale alterato può ve¬ nire esclusivamente da un risultato analitico quantitativo, cosa di cui il Sillem non parla affatto. Del resto se vi è stato un errore di valutazione da parte del sopracitato Autore, cosa che in realtà io penso, ciò non deve meravigliare, perchè a prima vista l’aspetto di talune leuciti profondamente alterate, richiama istantaneamente alla mente il caolino per alcuni suoi tipici caratteri, ma in realtà un’in¬ dagine più profonda permette di constatare che al massimo, può trattarsi di analcime. Ho iniziato il mio lavoro col prelevare dalla Collezione Vesu¬ viana riordinata recentemente nell’Istituto di Mineralogia, alcuni cri¬ stalli di leucite del 1849, cristalli che se non erano perfettissimi, non presentavano tuttavia un’alterazione evidente. Mi sono accon¬ tentato del minerale abbastanza puro, senza spingere 1’ assoluta eli¬ minazione degli inclusi, cosa che mi serviva per il confronto con le leuciti alterate dove questa cernita è evidentemente impossibile. Tale analisi è riportata in I. Successivamente mi sono posto alla ri¬ cerca di rocce leucitiche di qualunque tipo, purché provenienti dal Vesuvio o dalla Regione Flegrea, la cui alterazione subita dal felspa- - 43 - toide fosse stata massimamente evidente. Tra i numerosi esemplari di rocce leucitiche esistenti nellTstituto di Mineralogia, raccolti dal prof. Parascandola nelle sue frequenti escursioni, ho potuto pren¬ dere in considerazione i seguenti campioni, in cui la leucite si pre¬ sentava sotto forma di sostanza bianca, farinosa, facilmente sgreto¬ latile tra le dita. 1 - Roccia leucotefritica, cavata da un pozzo scavato in pro¬ prietà Bifulco, presso la stazione di Pompei - Villa dei Misteri. Questa roccia si presenta di color grigio chiaro, di aspetto spon- gioso, ricchissima di leucite accompagnata da augite e da olivina. La leucite ha perduto il suo tipico aspetto vitreo ed i cristalli alte¬ rati che si presentano farinosi nella parte esterna, nella parte in¬ terna conservano quasi inalterato « l’aspetto cristallino ». Ho isolato dapprima dalla roccia sia la parte farinosa che quella « cristallina », ma successivamente, nell’approntare la sostanza per l’analisi, ho pa¬ zientemente eliminato tutta la parte cristallina, che peraltro, al tatto, ancora eia abbastanza resistente. L’analisi è riportata in IL 2 - Roccia leucotefritica cavata da un pozzo, scavato in località « Pozzo Boscoreale » di proprietà del Barone Massa. Tale roccia, ca¬ vata a m. 11.70 di profondità si presenta di color grigio scuro, in alcuni punti addirittura nerastra, nettamente differenziandosi dal campione precedente. Il colore nerastro, come ho potuto dedurre da un accurato esame microscopico, è dovuto alla presenza di sostanza fondamentale vetrosa, ciò che in alcuni altri saggi di leucotefriti dello stesso pozzo non si verifica ; come pure non si verifica nelle identiche rocce del pozzo di proprietà Bifulco presso la Stazione di Pompei-Villa dei Misteri. L’analisi è riportata in III. 3 - Proietti leucitici appartenenti al complesso craterico di Terra Murata, provenienti dalla « Breccia Museum » della Punta della Lingua nell’Isola di Procida. Tali proietti si presentano di un colore tendente al marrone, alquanto poveri di vacuoli. Sono ricchissimi di leucite, che sotto forma di macchiette biancastre, ha conservato di originale la sola forma rotondeggiante e questa in tutti gli individui. La roccia si sgretola tutta al solo stringerla tra le dita. L’analisi è riportata in IV. 4 - Grande blocco leucitico, appartenente al complesso crate¬ rico di Pozzo Vecchio, proveniente dalla « Breccia Museum » di Pozzo Vecchio. - 44 È questo blocco di colore marrone, riccamente bolloso, contra¬ riamente ai proietti della Punta della Lingua, da me presi in con¬ siderazione. E molto tenace e si rompe solo sotto i colpi del martello. An¬ che qui la leucite, diffusa in tutta la roccia sotto forma di macchie bianco-latte, si presenta enormemente alterata, incoerente e fari¬ nosa. L’analisi è riportata in Y. I risultati a cui sono pervenuto sono i seguenti : I II III IV V Si02 54.20 53.50 53.16 49.20 48.44 ai2o3 22.38 22.76 22.20 19.64 23.16 Fe203 2.34 1.50 1.26 4.20 5.20 CaO 1.10 0.90 1.22 4.14 4.40 MgO 0.77 1.06 0.72 2.81 1.55 k2o 15.45 12.60 9.20 7.08 5.70 NaaO 3.33 5.66 8.20 5.70 4.60 h2o 0,72 2.20 4.60 7.50 7.00 Totale 100.29 100.18 100.56 100.27 100.05 Da un’osservazione delle varie analisi chimiche si possono ri¬ cavare le seguenti considerazioni : 1) - In tutti i prodotti di alterazione della leucite da me ana¬ lizzati vi è sempre presenza di una notevole quantità di potassio. 2) - Nell’ambito delle analisi I— III l’aumento del tenore del- l’H20 si accompagna alla maggiore quantità di Na20 presente. 3) - Nelle leuciti provenienti dai due pozzi di Pompei-Villa dei Misteri e da Boscoreale, quest’ultimo prelevato a circa m. 12 di profondità, in una zona tipicamente vulcanica e quindi esposta con¬ tinuamente all’azione dell’acqua e di C02, anche se sono sulla via dell’analcimizzazione, tale trasformazione non è completamente av¬ venuta. Tale trasformazione è più spiccata nella leucite di Bosco¬ reale, ove la quantità di sodio espessa in Na20, e dell’H20 sono ri¬ spettivamente dell’8.20% e del 4.60% contro il 5.66% ed il 2.20% di quella Villa dei Misteri. - 45 - 4) - Le leuciti provenienti dai proietti vulcanici, facenti parte della « Breccia Museum » di Punta della Lingua e di Pozzo Vecchio nella Isola di Procida, sono quelle che hanno subito un’alterazione più profonda e quindi un’analcimizzazione più spinta. Sulla base dei valori delle analisi, ho calcolato le rispettive for¬ mule chimiche, delle quali riporto solamente la prima (quella della leucite del 1849): (Na, K, Ca, Mg) i?01 (Fe , Al) 0.99 Si 1<94 0R che non si discosta molto dalla formula teorica della leucite : K Al Si2 06 Le rimanenti hanno purtroppo un valore molto relativo, in quanto le inevitabili impurezze, trattandosi di prodotti di alterazione, disturbano il calcolo della formula stessa. 5) - In ogni modo non v’è dubbio che le leuciti in questione si vanno trasformando in analcime e questo vale anche per il mi¬ nerale proveniente dalle rocce leucitiche di Procida, il cui tenore in K20 è troppo elevato per far pensare che, già originariamente si trattasse di analcime. Allo stato attuale delle mie ricerche devo escludere che sia al Vesuvio sia nella Regione Flegrea esistono leu¬ citi caolinizzate. L’unica riserva che si potrebbe fare è che queste leuciti provengono da zone profonde, ove l’alterazione atmosferica non è durata presumibilmente molto a lungo. Mi riservo di studiare su campioni adatti l’effetto della prolugata azione degli agenti at¬ mosferici. Napoli, Istituto di Mineralogia della Università. Maggio 1953. - 46 E BIBLIOGRAFIA [1] Doelter C , Handbuch der Minerulchemie , Voi. II, parte 2. Lipsia, 1917, Pag. 474. [2] Scherillo A., Un nuovo esempio di analcimizzazione della leucite . Bol¬ lettino della Società dei Naturalisti, Voi. LUI. Pag. 195, Napoli, 1942. [3] Fornaseri M., Ricerche petografiche sul Vulcano Laziale. La zona Osa— Saponara-Valle di Castiglione. Periodico di Mineralogia, Anno XVI n° 3, Pag. 12. Roma, 1947. [4] Ferber J., Briefe aus W elschland ueber natuerliche Merkwuerdigkeiten dieses Landes. Pag. 222, Praga, 1773. [5] Sillem H., Ueber pseudomorphosen. Neues Jahrbuch fuer Min. Geol. Pag. 389. Stuttgart, 1851, T Applicazione alla ricerca del grasso del metodo Bellier di cocco nell olio di oliva Nota del socio Angiolo Pierantoni (Tornata del 27 maggio 1953). Molte sono le miscele usate per la sofisticazione dell’olio d’o¬ liva ; molto comune è l’aggiunta di oli di semi di diversa natura quali l’olio di arachide, di colza, di lino, di cotone ecc. Ma da qualche tempo alcuni produttori usano aggiungere come adulterante, all’olio di oliva anche il grasso di cocco, spinti dal basso costo di questo. Questa sofisticazione si usa specialmente in estate perchè il grasso anzidetto essendo d’inverno solidificato, in tale stagione non potrebbe usarsi che in quantità minima. I primi sospetti di adulterazione con tale grasso si hanno dal¬ l’esame dei caratteri fisici. L’olio così miscelato è infatti di aspetto torbido ed ha una maggiore densità di quella dell’olio d’oliva puro. Finora il mezzo per scoprire questa frode consisteva nel deter¬ minare gli acidi volatili solubili cioè nella determinazione del Nu¬ mero di Reichert e Meissl. Infatti per l’olio di oliva esso oscilla da 0,3 a 0,5 (1). Se in tale determinazione risulta un numero maggiore si può essere sicuri che vi è grasso di cocco. Infatti il N.R.M. per questo grasso va da 6 a 8 (2). Tutto ciò deve essere, naturalmente, confermato dal grado refrattometrico che deve risultare inferiore al limite minimo di quello dell’olio di oliva che è 62. La determinazione del N.R. M. però richiede un tempo più o meno lungo e perciò non è pratico, specialmente quando i campioni da esaminare sono numerosi ed il tempo a disposione è limitato. Parte sperimentale Avendo riscontrato che il grasso di cocco può mettersi in evi¬ denza con la reazione di Bellier (3), metodo che si usa per rivelare la presenza di olio di arachide, ed avendo visto che i cristalli che - 48 - si formano in questa reazione sono molto più grossi di quelli che appaiono per l’olio di arachide, ho pensato che si possa adottare questo metodo il quale offre il grande vantaggio di essere più rapido. I campioni che ho avuto a disposizione erano di grasso di cocco datomi dalla ditta Arrigoni di Crema e di olio d’oliva rettificato A. Ho scelto il rettificato A perchè è l’olio che attualmente viene venduto come olio d’oliva puro non trovandosi sul mercato altro olio d’oliva, Successivamente ho operato anche su olii d’oliva per¬ venuti in Laboratorio. Per potere riscontrare la quantità percentuale di cocco nell’olio d’oliva, li ho mescolati nelle proporzioni del 5 ; 10 ; 20 ; 30 ; 40 ; 50 ; 60 ; 70 ; 80 ; 90 grammi di cocco partendo da 100 grammi di olio d’oliva. Per avere un quadro più completo sulle miscele così for¬ mate oltre che il metodo Bellier modificato (4) ho eseguito la rea¬ zione di Brullè (5) ed ho ricavato il grado refrattometrico. Qui appresso riporto una tabella in cui si possono vedere i gradi di intorbidamento delle varie percentuali ed il grado refrattometrico considerando i limiti per le varie percentuali e facendone una media. Nella tabella n. 1 non figura la reazione di Brullè perchè la colorazione, per tutte le singole miscele è sempre giallo-paglierino essendo tale la reazione cromatica del grasso di cocco. Tabella N. 1 Miscele % di olio di cocco in olio d’oliva Temperature di intorbi- dam. in gradi C. Grado refrattometrico a 25° C. Olio oliva puro 8-10 62 - 61,50 5 10 - 11 61 - 60,50 10 11 - 12 60 - 59,30 20 12 - 14 58,50 - 57,50 30 15 - 17 57 - 56,30 40 17 - 18 55,50 - 54 50 18 - 19 53 - 52 60 19,50 51 - 50,50 70 20 50,50 - 49 80 21 49 - 47 90 22 - 23 46,50 - 45 j cocco puro 24 (33,58) - 43 - 49 - Con questa tabella comodamente si può risalire alla percen¬ tuale del grasso di cocco, dopo aver riscontrato il grado refratto- metrico. Dopo di ciò con un campione di olio di arachide, in miscela con olio di oliva nelle medesime percentuali, ho determinato il grado refrattometrico mettendolo in relazione con le temperature di intorbidamento ricavate dalla reazione Bellier (4). I risultati otte¬ nuti li ho trascritti nella tabella n. 2 che qui riporto. Tabella N. 2 Miscele % di olio di ara¬ chide in olio di oliva Temperature di intorbi¬ damento in gradi C. Grado refrattometrico a 25° C. | Olio oliva puro 12 - 13 61,50 - 62 5 16 - 17 62,00 - 62,50 10 19 - 20 62,50 - 62,80 20 25 - 26 62,80 - 63 | SO 29 - 30 63,00 - 63,20 40 31 - 32 63,20 - 63,50 50 33 - 34 63,50 - 63,70 60 35 - 36 63,80 - 64 70 36 - 37 64,00 - 64,20 80 38 64,20 - 64,50 90 39 64,50 - 65 olio arachide puro 40 66 Con l’aggiunta del grado refrattometrico ho così completato la tabella già esistente riguardante le temperature di intorbidamento. In tal modo si è avuto un quadro più completo ai fini dell’indivi¬ duazione delle frodi con olio di arachide. Conclusioni Da ciò si possono trarre le seguenti conclusioni : 1° La reazione di Brullè per qualsiasi mescolanza, si presenta di colore giallo-paglierino, cioè nel medesimo colore di un olio di oliva puro. 2° Il grado refrattometrico diminuisce a misura che le percen¬ tuali di grasso di cocco aumentano. S 50 - 3°) La reazione di Bellier si differenzia da quella per l’olio di arachide a causa dei cristalli che sono più grandi e le tempera¬ ture d’intorbidamento che sono molto differenti. Ciò si può vedere facilmente mettendo a confronto le due ta¬ belle n° 1 e n° 2. Infatti abbiamo per le temperature di intorbidamento che, mentre nelle percentuali di olio di cocco (vedi tabella nc 1) partono da un minimo di 10-11 per il 5 % e gradatamente salgono ad un massimo di 22 23 per il 90 %, nelle percentuali con olio di arachide (vedi tabella n. 1) partono da un minimo di 16-17 per il 5 % ad un mas¬ simo di 39 per il 90 %. Riguardo poi al grado refrattometrico si nota che mentre per le miscele con cocco (vedi tabella n 1) si parte da 60,50 - 61 e si diminuisce fino a 45-46,50, per le miscele con olio di arachide (vedi tabella n. 2) si aumenta da 62,20 - 62,50 a 64,50 - 65 ri¬ spettivamente da 5 % al 90 %. Il ricercatore, quindi, se non è più che accorto e nell’esame di un olio si limita alla reazione di Brullè facilmente può lasciarsi ingannare compilando una perizia che dichiari l’olio normale quando è sofisticato chissà in che misura con grasso di cocco. Invece dal confronto sopra detto, per la diversità delle temperature d’intorbi¬ damento e dei gradi refrattometrici non può sbagliarsi. Riassunto Per ricercare il grasso di cocco nell’olio di oliva può applicarsi il metodo di Bellier, ricavando inoltre ii grado refrattometrico èd applicando la reazione di Brullè. L’autore inoltre fa un confronto fra le temperature d’intorbidamento delle miscele con olio di arachide e con olio di cocco e con i rispettivi gradi refrat¬ tometrici. BIBLIOGRAFIA 1) Sarnagiotto - La Bromatologia. Ediz. Rosemberg e Sellier p. 391. 2) — — ibid., pag. 521. 3) Bellier — Ann. de Chim. Analyt., 1899, 4. 4) V illavecchi a - "Trattato di Chimica Applic. Volume II, p. 608, 1947. 5) — - ibid., pag. 603. Napoli, 20 aprile 1953 - Laboratorio Chimico Provinciale. N — Sulla presenza di notevoli quantità di acido borico in acque ipertermali incontrate du¬ rante una trivellazione profonda, nella zona flegrea (Fusaro). Nota del socio Riccardo Sersale (Tornata del 24 giugno 1953) In una precedente comunicazione (*) ho riferito sui depositi di aragonite che prendono origine a seguito della decompressione e del raffreddamento di acque ipertermali, salse, fortemente carboniche, provenienti dalla zona in questione e precisamente da una trivella¬ zione che aveva raggiunto gli 800 metri di profondità. Avendo avuto la possibilità di disporre di discrete quantità di quelle acque incrostanti, ho ritenuto interessante di sottoporle all’a¬ nalisi chimica completa, con lo scopo di individuare i costituenti minori della loro mineralizzazione. Tanto più che io stesso avevo ri¬ levato la presenza di stronzio nei depositi aragonitici che da quelle acque prendono origine, e circa dieci anni or sono (1942) la dr. Alma de Cindio (2) vi aveva trovato l’acido borico. La individuazione dei costituenti minori si è arrestata a quanto è sicuramente dosabile con i metodi ordinari dell’analisi quantitati¬ va, frazionando il residuo ottenuto dall’evaporazione di 15 -f- 20 litri di acqua. Sarebbe utile tuttavia di procedere all’esame spettroscopico del suddetto residuo, data la provenienza di queste acque e P interesse che, a fini geochimici, potrebbe avere il ritrovamento anche di pic¬ colissime quantità di certi elementi. (x) R. Sersale — Questo “Bollettino» voi. 61; pag.'57; 1952. (2) F. Penta e B. Conforto - Risultato di sondaggi e di ricerche geomine • rarie nei Campi Flegrei, per vapore , acque termali e forze endogene in generale - Annali di Geofisica, voi. 4; 1951. - 52 - Le acque, oggetto di queste indagini, fortemente carboniche e salse, all’atto della fuoriuscita dal pozzo contengono notevoli quan¬ tità di silice colloidale che col raffreddamento floccula per buona parte separandosi al fondo dei recipienti in forma di deposito bru- nastro, gelatinoso. La composizione di codesti fiocchi, seccati a 110°, è risultata la seguente : Composizione del materiale solido in sospensione 1) - Perdita al fuoco ....... 5,39 % 2) - Titolo di silice ....... 90,29 % 3) - „ „ allumina ....... 0,75 % 4) - „ ,, sesquiossido di ferro .... 1,44 % 5) - „ „ ossido di calcio ..... 1,64 % 6) - ,, ,, ossido di magnesio ..... assente 7) - Perdite e non dosato ...... 0,49 % 100,00 l * * * L’acqua, ben raffreddata ed accuratamente filtrata, presenta i ca¬ ratteri generali riportati qui di seguito : a) - Residuo fisso a 110°. b) - Residuo fisso a 180°. c) - Durezza totale . d) - Durezza temporanea e) - Alcalinità totale f) - Alcalinità permanente g) - Peso specifico: 15°/l5° h) - p H . . . . . 43,820 gr/litro . 43,192 „ „ . 185°, 95 Francesi . 2°, 73 0,040 gr. CaC03/litro 0,0128 „ „ 1,030 7,1 - 53 - TABELLA I. Rappresentazione dei risultati analitici Componenti Grammi/litro Millimoii/litro Milli v a 1 e n z e (ioni) cationi anioni Nal : 14,6540 637,270 637,270 nh4+ 0,0224 1,242 1,242 R+ 1,4770 37,785 37,785 Ca++ 0,6851 17,093 34,186 Sr++ 0,1167 1,332 2,664 Mg++ 0,0361 1,485 2,970 Aì++-+ 0,0124 0,4625 1,3875 Fe++ 0,0433 0,7756 1,5512 719,0557 cr 25,20 710,700 710,700 Br- 0,0727 0,9097 0,9097 j F~ 0,004 0,2105 0,2105 sor 0,1712 1,782 3,564 aco3~ 0,0491 0,804 0,804 h2bo3_ 0,238 3,926 3,926 720,1142 Si02 0,1664 Sono assenti: iodio, fosforo, idrogeno solforato, litio e manganese. E’ presente ammoniaca in discrete quantità : 0,0211 gr/litro. E’ altresì presente il fluoro in ragione di : 0,004 gr/litro. Tutte le determinazioni di cui alla tab. 1 sono state eseguite secondo i dettami dei metodi classici della chimica analitica quan¬ titativa. La determinazione del fluoro è stata eseguita con il metodo co¬ lorimetrico riportato da F. D. Snell e C. T. Snell (l). Per la titolazione dell’ acido borico mi son servito sia del me¬ todo ponderale sia di quello volumetrico applicato da R. Nasini e (x) F. D. Snell e C. T. Snell — Colorimetrie Methods of analysis — Voi. II; pag. 748: New-York, 1949. / - 54 - C. P orlezzà (*) per la determinazione deli’ acido borico nelle acque di Salsomaggiore. 1 valori sono risultati del tutto concordanti. * * * I costituenti della mineralizzazione dell’ acqua esaminata sono effettivamente quelli dell’acqua marina la quale, come è noto, con¬ tiene discrete quantità sia di acido borico sia di stronzio. Pur tut¬ tavia i rapporti fra i suddetti costituenti sono diversi da quelli che usualmente caratterizzano la mineralizzazione dell’acqua marina. E’ noto infatti, ad esempio, che esiste una relazione lineare (“), fra « salinità *> e « clorinità » dell’acqua di mare, denominazioni que¬ ste che indicano: la prima il residuo secco, fino a completa espul¬ sione dell’acqua di cristallizzazione, riferito ad 1 kgr. di acqua ; la seconda il titolo di cloro, sempre per kgr. di acqua. Salinità e clorinità risultano legate dalla formula : Salinità = 0,030 -\~ 1,8030 Gl °/00 che applicata ai risultati analitici di cui sopra fornisce, per la sali¬ nità, un valore leggermente più alto di quello trovato sperimen¬ talmente. « Anche i rapporti: sodio/cloro, potassio/cloro, calcio/ cloro, stron¬ zio/cloro, magnesio/eloro, acido borico/cloro, sono nettamente di¬ versi da quelli che caratterizzano la mineralizzazione dell’ acqua marina. TABELLA IL 1 G +~ < a 1 U i u 03 V L, u tu a 1 CJ +~ ki CO L u i o co L u o PQ Acqua di mare (x) 0,5549 0,02000 0.02090 0,06801 0,C007 0,1395 0,00137 Acqua in esame 0,5813 0,05861 0,0271 0,00143 0,00463 0,006794 0,009601 (x) R. Nasini e C. Porlezza — Gazzetta Chim. Ital., voi. 43; pag. 244; (1913). (2) H. W. Harvey - Chimie et biologie de Veau de mer •- Presses Universi- taires de France - Parigi, 1949. (x) da H. W. Harvey - 1. c. Dai dati della tab. II si rileva che le maggiori deviazioni riguar¬ dano : il magnesio ed i solfati, dei quali l’acqua esaminata è molto povera rispetto all’acqua del mare, e lo stronzio, il potassio e l’acido borico di cui essa è invece più ricca. Il contenuto dell’ acido borico dell’ acqua ipertermale studiata appare notevole, pur senza raggiungere quello delle acque di Sal¬ somaggiore. Avendo individuato e dosato anche il bromo, ho insistito per rintracciare l’iodiò, lavorando su 20 litri di acqua salsa, ma non¬ ostante i differenti frazionamenti escogitati onde separare la più gran parte del cloruro di sodio, non mi è stato possibile di porre in evi¬ denza la presenza dello iodio, anche in tracce. Istituto di Chimica Industriale dell’ Università di Napoli Napoli, 17 Giugno 1953 i Util izzazione di un calcare cristallino della iSila per la correzione dei terreni agrari. Nota del socio Vincenzo Cotecchia (Tornata del 24 giugno 1953) Per incarico dell’Opera Nazionale per la Valorizzazione della Sila, nél quadro delle ricerche svolte dal Centro Studi Silani del C.N.R. (sez. geomineraria) sotto la direzione del prof. ing. Felice Ippolito, ho eseguito nello scorso anno lo studio preliminare di un calcare cristallino, incluso negli scisti nella zona di Sersale, sul ver¬ sante jonico della Sila, al fine di stabilire l’eventuale possibilità di impiego di tale materiale per la correzione di terreni agrari dell’al¬ topiano stesso. Nel dare alle stampe i risultati conseguiti ringazio il prol. F. Ippolito, sotto la cui guida ho eseguito lo studio, e l’Opera della Sila. Cenni geologici sulla zona. I Gii affioramenti di calcari esaminati si rinvengono a poco più di 10 Km dall’abitato di Sersale, sulla strada Sersale-C. Buturo, nel pieno della formazione kinzigitica (1), ben nota per presentare - sia nelle Alpi che in Calabria - notevoli inclusioni lenticolari di calcari cristallini, alcuni dei quali, nelle Alpi, sono sfruttati come marmi ornamentali, come il celebre marmo di Candoglia, col quale è co¬ struito il Duomo di Milano, o il marmo di Vallestrona, largamente adoperato anche a Napoli (~). Lenti di calcari metamorfici e calce- (a) Sulla formazione dioritico-kinzigitica in Calabria si veda NoYAREse V., 44 Boll. R. Uff. Geologico,,; LVI, Roma, 1931. Attualmente questa formazione è in studio, da parte della sez. geomineraria del Centro Studi Silani, ad opera di M. Bertolani e P. Nicotera (Confr. Ippolito F., 44 La Ricerca Scientifica,,; a. 21, p 1859; a. 22, p. 2123). (2) Vedi Penta F. e Ippolito F., Marmi ornamentali adoperati nel nuovo palazzo delle poste di Napoli. Marmi, pietre, graniti, 1939. firi, in parte inclusi nella medesima formazione, in Sila, sono stati pure studiati e segnalati dal Vighi (*) di recente. La zona interessata è costituita da scisti gneissici, talora kinzigiti- ci, attraversati in tutte le direzioni da una gran copia di filoncelli di varia natura (pegmatitici, aplitici, etc.), tanto che tutta la formazione è in alcuni punti analoga a quella detta degli « scisti vari di Pen- tone » , essenzialmente rappresentati da scisti di iniezione (2), specie verso il contatto col massiccio granitico della Sila Grande. Da que¬ sta formazione, che si presenta, come sempre in Calabria, fortemente alterata e quindi ricoperta da uno spesso manto di disfacimento, emergono frequentemente degli spuntoni di calcari cristallini esten- dentisi in superficie anche per alcune decine di Ha (Arietta, Cerva, Tiriolo, Vincolise, Gariglione, etc.). Essendo tali affioramenti di cal¬ cari cristallini lontani perfino alcune decine di Km dalla zona di contatto scisti-graniti, si può affermare che il loro metamorfismo è legato unicamente a quello stesso cui si deve la formazione degli scisti, e non ad un contatto con la plutonite. Questi calcari contengono spesso, in maggiore o minore quantità, minerali vari (miche, idocrasio, spinello), particolarmente in vici¬ nanza del contatto con gli scisti, per cui talora sono da ritenersi più propriamente dei calcefiri. Uno dei numerosi affioramenti di detti calcari è rappresentato da quello che descriverò più in dettaglio, citandone quelle princi¬ pali caratteristiche che interessano ai fini del presente studio. Descrizione dell’affioramento. I limiti estremi di questo affioramento di calcare metamorfico non si possono facilmente distinguere sul terreno, perchè coperti da vegetazione. L’esistenza di alcune cave, vicine fra loro, e di alcuni spuntoni di roccia, che emergono qua e là dal terreno, lasciano dedurre che il materiale è presente in cospicue quantità. (*) Vighi L., Su due lenti carbonatiche metamorfiche delle valli del Busento e dell’Jassa in prov. di Cosenza. Atti Fondazione Politecnica del Mezzogiorno; voi. Ili, Napoli, 1947. (2) Su questa formazione vedi Ippolito F., Contributo alle conoscenze geolo¬ giche sulla Calabria. Memorie e note dell’Istituto di Geologia Applicata dell’Uni¬ versità di Napoli; voi. II, 1949. - 59 - La strada, nella sua ascesa, qualche km prima di raggiungere il C. Buturo, incontra sulla destra, in corrispondenza di una piccola incisione, i primi affioramenti di calcare cristallino a contatto con gli scisti, che si presentano intensamente fessurati, in modo che da essi risulti facile isolare dei campioni esattamente poliedrici non più grossi di qualche cm. I calcari si presentano invece in masse più compatte : essi sono ridotti in blocchi grossi per lo meno alcuni me. Ciò risulta pure da quanto si ha modo di osservare nelle cave che descriverò. Sempre lungo la strada che va verso C. Buturo, dopo poco meno di 200 m dai primi affioramenti di calcare rinvenuti, si incontra sulla destra una cava abbandonata, sul cui fronte si ha modo di no¬ tare distintamente la disposizione di alcune masse calcaree. Su detto fronte si rileva un banco di calcare compatto, di spessore circa 6 m e con disposizione subverticale, nel quale si nota un’alternanza di grosse strisce bianchissime, come marmo, che gradualmente passano a strisce più sottili di calcare più scuro, per presenza di altri mi¬ nerali oltre la calcite, e di calcefiri. La stessa natura rivelano alcuni blocchi rinvenuti sul piazzale di cava. A valle della strada, una trentina di m al disotto di questa cava, abbandonata dal Corpo Forestale 10 anni fa, e sullo stesso pendio, raggiungibile con una stradetta che si parte sulla sinistra della strada comunale prima di incontrare la detta cava abbandonata6 esiste un’altra cava coltivata da privati, che inviano il materiale ca¬ vato alla Soc. Montecatini di Crotone. In questa cava gli strati di calcare sono spessi ciascuno oltre un m e sono quasi orizzontali. Dai proprietari di questa cava in sfruttamento sono stati ese¬ guiti molti saggi lungo il pendio, fin su al livello della strada co¬ munale, allo scopo di accertare la potenza del materiale in loro pos¬ sesso. Dall’osservazione di questi saggi e delle due cave ora descritte appare evidente, per la diversa inclinazione degli strati e per il loro stato di rottura, che il calcare cristallino, disposto probabilmente a lente nei terreni sedimentari metamorfosatisi in scisti, si è successi¬ vamente intensamente rimosso e fracassato, insieme agli scisti, du¬ rante le vicissitudini tettoniche che ha subito quella regione. Sempre in destra della strada comunale, e quindi in zona espro¬ priata, si incontrano sul pendio altre due cave, anche sfruttate dal Corpo Forestale in passato. Le cave distano tra loro al massimo circa 200 m. Durante il sopraluogo è stata eplorata anche la zona a monte delle - 60 - cave abbandonate, zona che si eleva di oltre 40 m sul livello della strada. Fino a distanza di oltre 200 m dalle cave si sono incontrati sparsi sul terreno ciottoli di calcare bianco, e subordinatamente ciot¬ toli di calcefiro e di scisti. Piccoli spuntoni di roccia calcarea affio¬ rante assicurano la presenza del calcare anche a distanza notevole dalle cave ubicate sulla strada. Materiali delPaffioramento utili al fine in oggetto. Dei materiali che affiorano nella località non tutti possono es¬ sere utilizzati come correttivi di terreni acidi. È necessario che fra essi il cavatore sappia discernere qual’è quello più adatto. Essendo tutto il pendio ricoperto da terreno vegetale, non è possibile delimitare fin da ora quali siano all’incirca le zone di ma¬ teriale non adatto allo scopo. Possiamo però, dall’esame dei cam¬ pioni estratti dalle cave e dagli spuntoni di roccia affiorante, indi¬ care il tipo di materiale da sfruttare fra quelli esistenti nella zona. Il materiale affiorante è, come si è detto, costituito prevalente¬ mente da calcite microcristallina, a struttura saccaroide. Pertanto, quando è puro, il materiale è un vero e proprio marmo. Di questo calcare microcristallino esistono nella zona varietà che vanno dal bianco al grigiastro ; esse risultano totalmente costituite da CaC03, come da prove chimiche da me eseguite, e pertanto rispondono per composizione ottimamente allo scopo. La struttura cristallina vieta però di distribuire sul terreno il materiale macinato. Così facendo la polvere di calcare verrebbe facilmente dilavata dalle acque, prima di essere assorbita dai componenti del terreno. Occorre perciò cal¬ cinare la pietra calcarea, in modo da ottenerne calce. Distribuendo sul terreno calce sfiorita si ottengono infatti i migliori risultati. Associati al calcare cristallino, si rinvengono nella zona vari altri tipi di rocce : calcefiri e calcescisti. Campioni di queste rocce sono stati da me esaminati in sezione sottile al microscopio. Da tale esame è emerso che tali rocce hanno struttura tipicamente scistosa, nella quale si alternano zone lamel¬ lari di calcite microcristallina con zone costituite da minerali mi¬ cacei (muscovite e flogopite). Il contenuto di miche di questi calce¬ firi è molto variabile. Molto spesso esso è trascurabile, per cui la roccia può essere lo stesso utilizzata per gli scopi che interessano, usando di essa quantità leggermente maggiore che se si trattasse di - 61 - calcare puro. Se le miche sono presenti invece in sensibili quantità, non conviene adoperare la roccia per l’uso in parola. Altro tipo di roccia che si suppone possa più volte incontrarsi neH’affioramento di calcare è la dolomite. Di essa si è rinvenuto uno spuntone affiorante a circa 100 m di distanza e 20 m più in alto della prima cava abbandonata dal Corpo Forestale lungo la strada. Il materiale si presenta in grossi cristalli, fra i quali talvolta è presente della biotite. Dall’esame chimico quantitativo eseguito su un campione di questa roccia è risultato che i cristalli sono costi¬ tuiti da dolomite. Quantità di calcare necessaria per la correzione. Diamo qui alcuni cenni sull’argomento, soltanto allo scopo di porre in rilievo il valore intrinseco dell’affioramento di calcare rin¬ venuto. Come risulta da studi eseguiti sui terrreni silani dal Prof. G. Tommasi, sotto gli auspici della Fondazione Politecnica del Mezzo¬ giorno d’Italia, nel 1937 (*), l’acidità di essi varia in relazione del grado di acidità delle rocce di base e delle altezze di pioggia locali. Così, per esempio, i terreni provenienti dall’alterazione di graniti an- fibolici, dioriti, porfidi, rocce più ricche di basi alcalino-terrose, ri¬ velano alla reazione acida gradi di acidità superiori a 6 (S. Gio¬ vanni in Fiore, Carlomagno). La Sila Greca, la parte occidentale della Sila Piccola, le valli del Lese e del Neto, sono invece zone nelle quali i terreni presentano alla reazione acida pH < 6. È noto però che delle due forme di acidità, quella idrolitica e quella cosiddetta di scambio, la seconda è più dannosa per le col¬ ture. E assolutamente necessario rimuovere dal terreno almeno quella porzione di ioni Hf assorbiti, che partecipa comunque allo scam¬ bio. Una volta eliminata l’acidità di scambio, è soltanto un eccesso di prudenza correggere l’acidità idrolitica di un terreno fino a ren¬ derlo neutro : ciò viene fatto al solo scopo di premunirsi dalla even¬ tuale ricomparsa nel tempo dell’acidità di scambio. Da ciò risulta quindi che in Sila si devono correggere solo quei terreni nei quali esiste una certa acidità di scambio. Gli studi del Tommasi hanno confermato che tali risultano soltanto quei terreni 0) La valorizzazione agraria dell’Altipiano Silano (nel voi. “ Studi Silani Napoli, 1937). ~ 62 - aventi pH < 6, e che per essi sono sufficienti ed efficaci mediamente 35 q/Ha di CaO come correttivo. Voler correggere il totale fabbi¬ sogno in calce di questi tipi di terreni sarebbe oltremodo costoso e poco conveniente, occorrendo per essi oltre 150 q/Ha, di CaO. Per quanto riguarda la potenza dell’affioramento di calcare de¬ scritto, abbiamo precedentemente detto che di esso si ignorano i precisi limiti finché non sarà eseguito un rilevamento geologico di dettaglio, accompagnato da scavi di assaggio, trincee, etc. Da quanto può osservarsi risulta comunque per esse assicurata nella zona una estensione di 200 X 100 mq, mentre in profondità il calcare, sotto forma di lente, penetra negli scisti più di quanto occorre ai fini di un suo agevole sfruttamento. Ammesso che lo spessore del banco di roccia da coltivare sia di soli 20 m, che l’estensione resti limitata a 200 X 100 mq, che la resa in materiale utile sia del 70 %, e che questo si utilizzi sotto forma di CaO in quantità di 35 q/Ha, si riesce a correggere, con gli affioramenti qui descritti, un’estensione di suolo pari a circa 120.000 ha. Napoli , Istituto di Geologia applicata della Università. Centro Studi risorse naturali dell’Italia Meridionale. Primi risultati delle ricercke di acque profonde nel Tavoliere di Foggia ^ Comunicazione verbale del socio Felice Ippolito (Tornata del 25 giugno 1952) (2) Come è noto la idrogeologia profonda del Tavoliere Pugliese è condizionata dalla presenza della formazione delle argille marnose az¬ zurre del Pliocene (facies Piacenziana), le quali poggiano direttamente sui calcari cretacici sottostanti e sostengono la serie di sedimenti clastici, prevalentemente sabbioso-conglomeratici, del Pliocene Su¬ periore (Astiano) e del Pleistocene. Al disopra delle argille del Pia- cenziano sono presenti numerose falde freatiche, che talvolta nelle zone più vicine al mare assumono un carattere artesiano con mo¬ desti carichi, laddove sono presenti, nelle sabbie e nei conglomerati, intercalazioni argillose prevalentemente calabriane. Il problema che si poneva era quello di stabilire la potenza delle argille plioceniche di base per avere a priori dei dati sulla profondità dei sondaggi da eseguire per raggiungere il sottostante calcare cretacico, probabilmente sede di una percolazione in pres¬ sione (falda carsica). L’indagine geofisica eseguita col metodo elet¬ trico dalla Compagnie Génerale de Géophisique di Parigi ha mostrato che il calcare cretacico sottostante alle argille plioceniche non forma una dolce sinclinale, come immaginavano talune ipotesi precedenti, ma invece presenta una struttura ad horst e graben , a causa di un sistema di faglie appenniniche, parallele alla faglia marginale del Gargano, detta «faglia del Candelaro ». La presenza di queste faglie, con l’argilla di frizione in esse con¬ tenuta, ha impedito il passaggio dell’acqua dal promontorio del Gar¬ gano verso il Tavoliere e pertanto, in tutta la parte settentrionale (x) Le ricerche sono state compiute per incarico dell’ Ente per lo sviluppo delle irrigazioni in Puglia e Lucania. (2) Pervenuta alla Società il di 18 giugno 1953. - 64 - del Tavoliere di Foggia, il calcare cretacico non contiene acqua car¬ sica in pressione adatta alFirrigazione. Nella parte meridionale del Tavoliere invece il calcare creta¬ cico sottostante F argilla azzurra è alimentato dagli affioramenti calcarei delle Murge ed in essi si rinviene una « falda carsica » in pressione, la cui piezometrica ha una pendenza dell’ordine deH’L-2%0 verso il mare. Le indagini geofisiche e la loro interpretazione geologica hanno permesso di ubicare i sondaggi nelle zone corrispondenti ad horst del calcare cretacico e quindi ove era possibile raggiungere questo ultimo a non grande profondità (dell’ordine di 4-600 m). Una particolareggiata relazione sull’ esecuzione di questi studi, sulla loro interpretazione ai fini idrogeologici e sui sondaggi di ri¬ cerca di poi eseguiti sarà prossimamente data alle stampe a cura deWEnte per lo Sviluppo delle irrigazioni in Puglia e Lucania , per incarico del quale ha agito la Compagnie Génerale de Geophysique, con la consulenza geologica del sottoscritto. Stratigrafia di un pozzo di ricerca acquifera perforato in località Carmilo* presso il mar¬ gine sud-orientale della Piana di Catania» Nota del socio Antonio Lazzari (Tornata dei 25 novembre 1953) I. - Premessa. Nel gennaio del 1953 mi veniva affidato l’incarico di esprimere un parere in merito alla eventuale convenienza di procedere all’ ul¬ teriore approfondimento di un pozzo di ricerca acquifera, trivellato in località Gannito, in una proprietà della N. D. Angelina Paterno del Grado, maritata Fusco, che aveva raggiunto la profondità di m. 316.50 senza che vi venissero riconosciute manifestazioni acquifere di una certa importanza pratica. All’ epoca del mio sopraluogo la trivellazione aveva già attra¬ versato, come ultimo termine stratigrafico, una settantina di metri di una formazione calcareo-marnosa che non esitai ad attribuire, già ad un primo esame, alla serie mesomiocenica (Langhiano-Elveziano) così largamente rappresentata sull’ altopiano Ibleo; di guisa che ri¬ tenni opportuno consigliare che la perforazione venisse senz’ altro sospesa in considerazione delle caratterisriche litologiche e di poro¬ sità dei terreni nei quali il sondaggio era pervenuto ; difatti assai scarsa sarebbe stata la probabilità di rinvenimento di soddisfacenti quantitativi di acqua in quella formazione che verso nord, nello stesso altopiano Ibleo, si presenta con una tale facies da non essere atta a fungere da roccia acquifera. Ma, al di sopra di questo che rappresentava 1’ interesse imme¬ diato e pratico dell’esame dei terreni attraversati dal sondaggio, un altro importante aspetto della ricerca mi apparve subito connesso ai campioni venuti a giorno, in quanto la successione dei materiali incontrati nel corso della perforazione mi si mostrava di notevole importanza non solo per la conoscenza della stratigrafia del sotto¬ suolo della porzione sud-orientale della Piana di Catania, ma so- - 66 1 prattutto per le considerazioni paleogeografiche che mi sembrava ne sarebbero potuto scaturire. Grazie alla cortese concessione accordatami mi è stato possibile assicurarmi, prima che il materiale estratto dal pozzo venisse disperso, una serie completa dei campioni dei terreni attraversati, ora con¬ servati nelle collezioni dell’ Istituto di Geologia dell’ Università di Napoli. La stratigrafia che ne risulta è di notevolissimo interesse gene¬ rale e pertanto ritengo utile portarla a conoscenza degli studiosi, anche in relazione al fervore di studi geologici in atto in Sicilia, specialmente con riferimento pratico alla ricerca degli idrocarburi e dello zolfo, grazie all’ impulso dato all’attività geo-mineraria dal competente Assessorato del Governo Regionale Siciliano. Ringrazio la N. D. Angelina Paterno del Grado maritata Fusco per l’avermi consentito il prelevamento e lo studio del materiale, nonché l’ing. G. Aliffi da Catania, sotto la cui direzione è stato ese¬ guito il sondaggio, per le notizie fornitemi in merito all’ andamento della perforazione, al recupero delle carote e a quant’altro si rife¬ risce alle manifestazioni acquifere riscontrate. 2. - Cenni geologici. La Piana di Catania è rappresentata da una vasta area che si allunga da est ad ovest per circa 40 Km., con una larghezza di 15-20 Km., ed è limitata da rilievi ben definiti, anche se di non notevole importanza. Specialmente lungo il margine meridionale, che ci interessa in particolar modo, i rilievi sono bassi ed apparente¬ mente di scarso interesse geologico, risultando costituiti soprattutto da formazioni quaternarie, sia di natura sedimentaria marina (brec¬ cia conchigliare, tufo calcareo superiore) come pure da colate basal¬ tiche e da materiali piroclastici, spesso di natura palagonitica. Verso occidente, al margine meridionale della Piana di Catania compaiono i terreni pertinenti alla serie pliocenica, con i trubi, le argille azzurre e le sabbie gialle; nessun segno è dato osservare della eventuale presenza di terreni rappresentanti il flysch o le argille scagliose paleogeniche, le cui colate gravitativi, volute da taluni studiosi, si sarebbero fermate, nella loro traslazioue verso sud, con¬ tro l’altopiano Ibleo, aggirandolo senza sovrapporgli. Notevole è stato l’apporto di conoscenze dovuto alla applica- zione del, metodo delle correnti telluriche nella Piana di Catania, come ho reso noto sin dall’aprile dello scorso anno, in occasione del VII Convegno Nazionale del Petrolio e del Metano tenutosi a Taormina (1). Tali indagini, condotte dalla Compagnie Generale de Géophysique di Parigi per conto dell’E. S. V. A.I.S.O. hanno messo in evidenza la esistenza di un substrato elettricamente assai resistente che dalla profondità di 2-300 metri presso il margine meridionale della Piana di Catania, si immerge verso nord ed è ricoperto da sedimenti ad elevata conduttività, e quindi prevalentemente argillosi. La interpretazione della natura litologica di tale substrato (essendo noto che elevate resistività sono da attribuirsi tanto alle serie cal¬ caree, quanto ai terreni vulcanici, soprattutto se si tratta di lave) aveva dato luogo a qualche dubbio, in quanto, per le conoscenze geologiche precedentemente acquisite, non si poteva preliminarmente stabilire se si trattasse di basalti, della serie ragusana a carattere prevalentemente calcareo, o della serie gessoso-solfifera di età m es¬ si nian a. Ora, con l’accertamento fornito dal pozzo di cui trattasi, ogni dubbio viene ad essere eliminato e si dispone di elementi pre¬ ziosi per una interessante interpretazione paleogeografica della por¬ zione più orientale della Piana di Catania, nel corso del Miocene superiore e del Pliocene. I risultati delle indagini condotte con il metodo delle correnti telluriche, ed i dati forniti dal pozzo di cui trattasi, hanno trovato recentemente una convalida con la applica¬ zione del metodo sismico a riflessione. 3. - Descrizione dei campioni estratti dal pozzo. Il sondaggio perforato in località Carmito, comune di Lentini, è ubicato nella tavoletta F° 270 III SO (Foce Simeto) della carta d’Italia dell’I.G.M., a poco più di 100 m. sulla sinistra della strada che conduce verso Caltagirone. La perforazione del pozzo, effettuata dalla Società di Ricerche idriche e minerarie dell’Ing. G. Aliflì di Catania, ha avuto luogo con un apparecchio della Soc. Motomeccanica di Milano, a recupero in» (’) Lazzari A. — Prospettive della Piana di Catania per la ricerca degli idrocarburi e primi risultati conseguiti dall’E. S. V. A. I. S. O. Atti VII Convegno Naz. Metano e Petrolio (Taormina, 21-24 aprile 1952). Palermo, I.R.E S., 1952. 68 tegrale della carota ; di guisa che - a parte le sempre inevitabili perdite di campione, peraltro di non grande importanza - si è ve¬ nuti a disporre di un perfetto campionario, grazie anche alla peri¬ zia del personale teenico addetto alla perforazione ed altamente spe¬ cializzato a seguito di lunga esperienza. Il pozzo, iniziato con un diametro di circa 30 cm. è giunto alla profondità finale di m. 316.50 con il diametro di 75 mm., attraverso una graduale riduzione del diametro. Lungo tutto il profilo attraversato la campionatura è stata soddisfacentissima. Le manifestazioni acquifere sono state di scarsis¬ sima importanza. I terreni attraversati sono i seguenti : N. Profondità Descrizione 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 0-2 2-19 19-22 22-27 27-42 42-50 50-53.50 53.50-58 Terreno vegetale. Tufo vulcanico fine, con rari elementi grosso¬ lani, di colore grigio chiaro e con elementi cal¬ carei e tracce di cemento calcareo. Brecciola vulcanica di colore bianco-gialliccio, ad elementi medi e grossolani, debolmente ce¬ mentata da cemento calcareo. E presente qual¬ che raro piccolo radiolo di echino. Tufo vulcanico fine e medio, di colore gialla¬ stro e grigio chiaro, con abbondanti elementi calcarei, debolmente cementato. Brecciola vulcanica poligenica, con qualche raro elemento marnoso e calcareo, bene cementata, di colore grigio chiaro. Molassa grossolana ad elementi basaltici gene¬ ralmente bene arrotondati ed a debole cemento calcareo, di colore grigio, con abbondanti tracce di fossili ( Cardium , Venus , piccoli gasteropodi e foraminiferi mal conservati appartenenti ai generi Rotalia , Quinqueloculina , Elphidium). Molassa grossolana basaltico-calcarea di colore grigio chiaro, con elementi Spassanti a ghiaietto. Tracce di fossili indeterminabili (Lamellibranchi). Molassa grossolana ad elementi basaltici arroton¬ dati, e calcarei, di colore gialliccio, con abbon¬ dante cemento calcareo. Tracce di fossili inde¬ terminabili. - 69 - N. Profondità Descrizione 9. 58-66 Tufo vulcanico grigio chiaro di grana media, con tracce di elementi calcarei ed abbondante cemento calcareo. Tracce di fossili. 10. 66-79 Brecciola vulcanica debolmente cementata, di colore grigio chiaro, ad elementi esclusivamente basaltici. 11. 79-91 Molassa calcareo-basaltica di colore grigio, fine, a cemento calcareo, con qualche rara impronta di lamellibranchi indeterminabili. 12. 91-103 Arenaria grigiastra grossolana, passante a ghia¬ ietto, ad elementi basaltici ed a cemento calcareo. 13. 103-109.50 Molassa calcarea con abbondanti elementi ba¬ saltici, di grana media e con tracce di fossili ( Venus). 14. 109.50-113.50 Arenaria grossolana ad elementi basaltici e ce¬ mento calcareo, di colore grigio. Tracce fossili (Lamellibranchi e briozoi). 15. 113.50-125.50 Tufo cineritico grigio giallastro, con straterelli di arenaria grossolana ad elementi basaltici e cemento calcareo. 16. 125.50-131 Argilla sabbiosa di colore verde oliva; con in¬ clusi numerosi ciottolini poligenici. Tracce fossili. 17. 131-133 Tufo vulcanico a grana fine, quasi cineritico, di colore grigio-oliva. 18. 133-135 Brecciola vulcanica, giallastra, con elementi ba¬ saltici e pomici alterate. 19. 135-138 idem, con cemento argilloso chiaro. 20. 138-140 Brecciola vulcanica, giallo rossiccio, bene ce mentala, con molte pomici alterate. 21. 140-149 Basalto alquanto fratturato e leggermente alte¬ rato, assai povero di fenocristalli. 22. 149-159 Brecciola vulcanica, grossolana, varicolore (ver- dastro, giallo scuro, verde oliva) con abbondanti elementi basaltici e piccole e medie pomici al¬ terate; generalmente debolmente cementata, e con depositi salini biancastri. 23. 159-168 Brecciola vulcanica fine, varicolore, con elementi basaltici e pomici molto alterate. N. Profondità 168-170 - 70 - Descrizione 24. 25. 170-181 26. 181-196 27. 196-204 28. 204-206 29. 206-207 30. 207-211 31. 211-225 32. 225-226 33. 226-231 34. 231-239 35. 239-240 36. 240-243 37. 243-244 38. 244-316.50 Brecciola vulcanica media, rossiccia ed in parte grigio vardognola, poco cementata, con molte pomici biancastre molto alterate. Brecciola vulcanica, grossolana e fine, di colore verdognolo scuro, grigio chiaro e gialliccio, con grossi elementi basaltici e molte pomici alterate. Breccia biancastra con grossi elementi basaltici ed elementi marnosi, variamente cementata. Marna bianca e bianca gialliccia, di aspetto ma¬ croscopico identico simile ai trubi o marne bian» che a foraminiferi di Seguenza. Marna biancastra frammista a ciottoli basaltici. Argilla granulosa grigio verdognola. Basalto fratturato. Breccia vulcanica rossastra, specialmente nella porzione superiore, con indizi di alterazione per effetto della colata basaltica soprastante. Nella porzione inferiore del complesso la breccia è più fine e meno cementata. Si notano inclusioni di argilla rossastra alquanto tettunizzata. Argilla granulosa grigio verdognola con nuclei calcarei. Breccia basaltica a grossi elementi e con cemento calcareo dolomitico. Basalto. Calcare marnoso dolomitico di colore rosa, pro¬ babilmente alterato per termometamorfismo. Argilla verdastra con inclusi calcatei. Conglomerato marnoso-calcareo con elementi ba¬ saltici. Calcare alquanto detritico, leggermente marnoso, parzialmente organogeno, intercalato da marne calcaree con tracce di bitume secco ed impronte di vegetali (serie Ragusana). L’ esame dei campioni sopradescritti, pur con le immancabili piccole lacune dovute alla perdita del nucleo durante la perforazione, mostra chiaramente che il profilo attraversato può considerarsi co- 'gr- X - 71 - stituito da alcuni tratti essenziali rappresentanti particolari condi¬ zioni nelle quali si è venuta a trovare la zona dopo il Miocene me¬ dio (Elveziano). Si tratta, in definitiva, di una successione di pro¬ dotti di origine vulcanica, pervenuti sul posto sia per colate di ma¬ teriale igneo da centri probabilmente non molto lontani, sia per de¬ posizione subaerea (brecce vulcaniche) sia per deposizione in am¬ biente marino (molasse ad elementi basaltici con fossili). I terreni sedimentari di facies marina (esclusi ben s’intende quelli dell’ultimo tratto di profilo da m. 244 a m. 316.50) per i quali si riscontra la mancanza del materiale vulcanico, si può dire siano del tutto assenti nel profilo attraversato ; o, se presenti, sono di potenza assai limi¬ tata, e per la povertà di reperti fossili inducono a pensare che la sedimentazione debba essere avvenuta in ambiente poco propizio alla vita di organismi marini. 4. - Considerazioni generali Ove si voglia procedere ad una sintetica ricostruzione della sto¬ ria geologica della zona dopo l’Elveziano, è anzitutto da rilevarsi la mancanza di sedimenti ascrivibili al Tortoniano ed al Messiniano, che, come è noto, in queste aree della Sicilia si presentano rispet¬ tivamente nelle facies delle argille salifere e della serie gessoso-sol- fifera. Tale mancanza, come meglio sarà dimostrato in seguito, non mi pare possa essere interpretata come dovuta ad una completa aspor- tazioae di tali termini stratigrafici per azione degli agenti superfi¬ ciali, data la cospicua potenza che generalmente assumono i com¬ plessi Tortoniano-Messiniano, anche in zona assai vicina a quella in esame. Più logico è, difatti, il pensare che si tratti di una lacuna stratigrafica originaria e che nel corso del Tortoniano e del Messi¬ niano la zona risultasse nel dominio continentale. Del resto è noto che l’attuale non lontano altopiano Ibleo, dopo l’Elveziano è rimasto a rappresentare una zona emersa, per una estensione areale proba¬ bilmente assai maggiore di quella che ci appare, e non precisabile perchè ora circondato dappertutto da sedimenti pliocenici senza che vi si possa osservare direttamente a contatto la serie tortoniana. Del resto è anche noto - sopratutto per studi recenti - che il Tortoniano in Sicilia è dappertutto trasgressivo su termini stratigra¬ fici di varia età più antica, ed appare quindi logico ammettere che 72 - dopo il sollevamento post-elveziano anche questa parte dell’ antico altopiano Ibleo sia rimasta fuori dal dominio del mare. Il tratto di profilo compreso fra il tetto della serie Iblea e la base delle marne biancastre, così caratteristicamente simili alla for¬ mazione dei trubi, che rappresentano il Pliocene inferiore, è occu¬ pato da una serie di prodotti di origine vulcanica, massicci o sciolti, quali basalti tipici e brecce vulcaniche ad elementi basaltici con piccole intercalazioni argillose. A questo proposito è interessante notare che mancano i rappre¬ sentanti di quelle argille scagliose che secondo qualche studioso si sarebbero sovrapposte alla serie iblea tutt’intorno all’attuale altopia¬ no, provenendo da nord per un fenomeno di traslazione gravitativa. Attribuendo al Piocene inferiore le marne biancastre attraver¬ sate dal sondaggio, sopratutto per le strette analogie litologiche, la situazione sopraindicata risulta essere del massimo interesse in quanto consente di datare con buona approssimazione almeno alcune delle manifestazioni del vulcanismo della Sicilia Orientale, le quali, quindi dovrebbero essersi verificate nel lasso di tempo compreso tra la fine dell’Elveziano ed il principio del Pliocene. Come si può osservare in base all’esame dei campi, disponibili il tratto di profilo compreso fra m. 204 e m. 244 non è costituito soltanto da materiali piroclastici, che potrebbero far pensare a ma¬ nifestazioni vulcaniche connesse a centri eruttivi lontani, i cui "ma¬ teriali fossero pervenuti nella zona per via area o trasportati dalle acque, ma risultano anche presenti due colate basaltiche distinte, le quali parlano, quindi, in favore di un vulcanismo in atto nella zona, a non grandissima distanza dal posto in cui ora trovasi ubicato il pozzo. Che qui si tratti di materiale eruttato sul posto (basalti presenti a m. 207 211 ed a m. 231-239) e non di eventuali grossi blocchi isolati, trasportati dalle acque, è da ritenersi senz’ altro dimostrato dagli effetti di termometamorfismo riconoscibili assai chiaramente nei materiali sottoposti alle due colate, le quali, quindi, vi sono giunte a temperatura ancora abbastanza elevata. Appare quindi evidente che, dopo il sollevamento post-elveziano, la zona è rimasta nel dominio continentale per un lungo lasso di tempo, tale, in ogni caso, da consentire l’ accumulo di una quarantina di metri di materiale vulcanico, le cui parti ora osservabili allo stato di brecce più o meno cementate sono costituite da elementi troppo caoticamente distribuiti e senza alcun segno di classazione secondo - 73 - ? le dimensioni; ed è quindi logico ammettere che si tratti di mate¬ riali piroclastici pervenuti per via subaerea e non sedimentati a se¬ guito di trasporto da parte delle acque superficiali. Non sembra facile interpretare la presenza degli esigui livelli argillosi, difficilmente databili a causa della mancanza di microfaune, ma il cui aspetto porterebbe a pensase che si possa trattare di ma¬ teriale ivi giunto sotto forma di frane locali, da zona non molto distante, più che di sedimenti depositatisi lentamente sul fondo del mare, a meno che non si voglia ammettere che si tratti di una se¬ dimentazione, sotto forma di colate argillose, in una zona costiera, a profondità limitatissima, ove il mare perveniva solo occasionalmente. Procedendo verso l’alto, a partire dalla profondità di m. 196 (tetto delle marne biancastre analoghe ai trubi per il loro aspetto litologico, anche se prive di microfaune carctteristicbe), la serie è rappresentata da un cospicuo complesso di brecce vulcaniche, con elementi di dimensioni assai varie, per le quali valgono le stesse considerazioni genetiche già esposte per le brecce vulcaniche inferiori. Una intercalazione basaltica della potenza di 9 m, sta a de¬ notare anche qui un ambiente subaereo; e bisogna risalire fino alla profondità di m. 131 per incontrarvi elementi che parlino in favore di un ambiente di sedimentazione marina. Difatti, tanto nelle argille sabbiose dei m. 121.50-125.50, quanto nell’ arenaria grossolana dei m. 109.50-113.50, come pure nei vari livelli di molasse poligenicbe che compaiono fino a m. 42, la presenza di fossili, talvolta abba¬ stanza ben conservati e diagnosticabili almeno per i generi presenti, mostrano chiaramente, che si tratta di un ambiente di sedimenta¬ zione marina nel quale pervenivano materiali di origine basaltica che avevano però subito un lungo trasporto, almeno a giudicare dalla quasi generale assenza di spigoli vivi nei vari elementi, da sabbie a ciottolini fino a 2 mm. di diametro ed anche oltre. I fos¬ sili rinvenuti non consentono, per il loro stato di conservazione e per la scarsezza delle forme presenti, di fornire un giudizio sulla età di tali sedimenti; ma sembra logico attribuirli al quaternario, in quanto manca evidentemente il complesso sedimentario di pertinenza del Pliocene medio e superiore. 5. - Conclusioni. I dati forniti dal sondaggio e le considerazioni sopraesposte portano quindi a formulare il seguente quadro schematico della sto¬ ria geologica della zona fin esame: - 74 - a) Dopo la deposizione della serie Iblea (Langbiano-Elveziano) si è avuta una generale emersione dell’ area corrispondente all’ at¬ tuale Sicilia sud-orientale, ivi compresa almeno la porzione più orien¬ tale della Piana di Catania, ove i risultati della geofisica (dati inediti) mostrano che il basamento ad alta resistività si approfonda verso nord e giace alla profondità di circa m, 8-900 m. sotto il livello del mare, presso la città di Catania. h) Nel corso del Tortoniano e del Messiniano tali zone sareb¬ bero rimaste emerse; in particolare, in corrispondenza dell’ attuale confine orientale della Piana di Catania, verso il mare, doveva esistere un piatto rilievo che inibiva l’ingresso delle acque marine verso occi¬ dente. Tale fatto, come vedremo, risulta essere di importanza fon¬ damentale per quanto si riferisce alla distribuzione dei terreni di facies evaporitica di età messiniana nelle zone poste ad occidente della Piana di Catania e in altre vaste aree della Sicilia centrale ove pure si riscontrano terreni di tale facies. c) In questa fase di continentalilà dell’ area di cui trattasi si sono avute alcune manifestazioni del vulcanismo ibleo, certo di no¬ tevole importanza, con la perforazione della serie del Langhiano- Elveziano e 1’ accumulo dei prodotti vulcanici del tipo basaltico. Tali manifestazioni debbono avere portato, gradatamente, al ribassa- mento della zona, in guisa tale da consentire 1’ avanzata del mare nel Pliocene, almeno nelle aree orientali e centrali della Piana di Catania, mentre in quelle meridionali, lungo il margine dell’ antico altopiano Ibleo, lo spessore dei sedimenti pliocenici è risultato assai ridotto, od addirittura mancante per la massima parte. d ) Nelle medesime zone marginali meridionali, deve essere suc¬ cessivamente avvenuto un fenomeno di leggera emersione in guisa da consentire il depositarsi delle brecce di origine subaerea sovra¬ stanti alle marne bianche del tipo « trubi ». Più a nord, invece, la zona rimaneva sotto il dominio marino e si verificava una continuità di sedimentazione nel corso del Pliocene e del Quaternario antico come risulta da alcuni elementi emersi con i sondaggi per ricerca di metano perforati a sud di Catania (dati inediti). e) Finalmente il mare quaternario perveniva anche sulle zone meridionali della Piana attuale, fino al suo margine ed ancora più a sud, consentendo il depositarsi di quei sedimenti psammitici, scar¬ samente fossiliferi, nei quali abbondano in particolare modo gli ele¬ menti basaltici. Per quanto si riferisce al periodo di continentalilà della serie ragusana, dopo la sua deposizione, e nel corso del Tortoniano e del Messiniano, è evidente che con tale accertamento si viene a di¬ sporre di un elemento di eccezionale interesse paleogeografico, atto a chiarire anche la condizione nella quale ebbero a sedimentarsi, nelle aree occidentali della Piana di Catania, ed in generale verso ovest per molte parti della Sicilia, i termini del Tortoniano e del Messiniano (argille salifere e serie gessoso-solfifera) che nelle aree più orientali mancano del tutto. Difatti, come già accennato, non sembra ammissibile che tali Piani stratigrafici, se si depositarono in regolare successione sulla serie ragusana, ma sempre con V interposizione di una trasgressione fra Tortoniano ed Elveziauo, siano stati poi completamente erosi, in guisa da non lasciare più alcuna traccia. E’ quindi da pensare, più logicamente, che si tratti invece di una mancanza originaria del Tortoniano e del Messiniano ; la serie ragusana avrebbe subito un periodo di continentalità non solo nel¬ l’ambito dell’attuale altopiano Ibleo vero e proprio, ma anche a no¬ tevole distanza dal margine di questo, vale a dire fin nel dominio di quella che doveva poi diventare la Piana di Catania. Una tale situazione, che mi pare senz’ altro accettabile in base alle considerazioni sopraesposte e tenendo soprattutto presenti i dati del sondaggio di Carmito, porta ad ammettere che tutto il Miocene superiore così vastamente sedimentatosi ad occidente, si sia formato in un mare interno ed in lagune che avevano la loro comunicazione con il mare aperto non verso oriente, ma solo verso sud, in dire¬ zione della Piana di Gela, mentre in corrispondenza della parte più orientale della Piana di Catania, e probabilmente anche verso oriente della Sicilia, esisteva un rilievo che, anche se poco elevato sul li¬ vello del mare, inibiva a questo la sua penetrazione verso occidente, sulle zone centrali della Sicilia, la quale, quindi, nel corso del Tor¬ toniano e del Messiniano veniva bagnata dalle acque che vi pene¬ travano dalle zone meridionali. Una tale situazione determinava, evi¬ dentemente, condizioni propizie allo stabilirsi di un regime di sedi¬ mentazione tutto particolare, a ragione dei ridotti scambi che dove¬ vano potere avvenire con il mare aperto; di guisa che era possibile la sedimentazione della serie argillosa del Tortoniano, faunistica- mente così poco tipica in tutta la Sicilia, e successivamente la serie gessoso-solfifera. Napoli , Istituto di Geologia, Paleontologia e Geografia fisica delV Università. 16 novembre 195 3, L’eccezionale grandinata del 16 febbraio 1948 a Napoli. Nota del socio Ester Andreotti Majo (Tornata del 28 gennaio 1953) Già fu rilevato dal Ghistoni (*) che a Napoli è assai rara la vera grandine, mentre è frequente, specie in inverno e in primavera, la caduta del nevischio (che talvolta supera il diametro di cm. 1,5) e ancora meno frequente è la caduta della pioggia ghiacciata e degli occlusi di neve . La formazione della grandine è strettamente legata alle condi¬ zioni orografiche della superficie terrestre perchè basta il rilievo di una collina o un corso d’acqua o la presenza di una folta vegeta¬ zione, per modificare lo sviluppo della meteora, come, in particolari condizioni, può anche formarsi la grandine, a piccole altezze, cioè tra 1000 e 2000 metri sul livello del mare, di contro ai 4-6 mila metri dell’ordinaria altezza di formazione. Mi è sembrato, quindi, un importante fenomeno meteorologico quello verificatosi il 16 febbraio 1948, per cui una violenta, grandi¬ nata, preceduta e accompagnata da forti scariche elettriche, inizia¬ tesi verso le 17h 50m , si è abbattuta sul centro della città, ricoprendo il suolo di uno strato grandinifero, alto parecchi centimetri, che rese impossibile il traffico, mentre nelle zone viciniore cadeva sola¬ mente pioggia (2). Riporto i rilievi e i dati da me raccolti : La pioggia, in circa 15 minuti, misurata dall’ Osservatorio di Capodimonte fu di mm. 13.6; dall’Istituto di Fisica terrestre di mm. 17.4 e dal Servizio Idrografico di mm. 20.4. 0) Chistoni C. — Notizie sulla pioggia torrenziale e sulla grandine del giorno 6 di giugno 1918. Read. R. Acc. Scienze Fis. e Mat., Napoli, serie 3a Voi. XXIV, 1918. (2) I giornali riportarono ampia cronaca, rilevando che si dovette ricorrere subito a spalamento e idranti. 78 - La nube grandinifera si risolse sull’asse nord-sud su di una striscia lunga circa 2 km. e larga 5-600 metri, da Via Museo Na¬ zionale, per Piazza Carità, fino a Piazza Plebiscito, con le relative vie trasversali, interessando quindi, le sezioni : S. Lorenzo, S. Giu¬ seppe, Avvocata, Montecalvario e S. Ferdinando. La grandine, caduta al suolo, raggiunse una altezza di circa : cm. 18 a Piazza Dante, cm. 20 a Via Roma, cm. 30 a Piazza Ple¬ biscito. I chicchi raccolti avevano un aspetto perfettamente sferico e quasi tutti erano trasparenti (solamente qualcuno aveva piccolissime tracce di opacità) e notevole, consistenza e durezza: ciò a differenza del solito nevischio, frequente a Napoli, che subito si sgretola. In generale i chicchi, tutti di forma sferica, avevano una mi¬ sura diametrale di circa 12 m m . ; parecchi però raggiungevano i 18 rum. ed erano eccezionalmente trasparenti. La zona investita dalla grandine resta abbracciata a nord dalla collina di Capodimonte (m. 148) e ad ovest dalla collina di S. Mar¬ tino (m. 266). - 79 - Per questa grandinata, data la ristrettezza della striscia, oltre che dai rilievi aerologici a me forniti dall’Osservatorio aeronautico di Capodichino, dobbiamo rilevare, come fu notato anche per quella del 26 agosto 1886, nei dintorni di Roma: a Grottaferrata, Marino e Castelgandolfo, che pure ricoprì il terreno con uno strato di ghiac¬ cio che in taluni punti raggiunse l’altezza di 30 cm., che il nembo grandinifero non superava i 1000 metri di altezza (3). La causa del raffreddamento per cui si è potuto congelare una gran massa di acqua sotto forma di grandine , non è unicamente la diminuzione di temperatura dell’ aria con l’altezza, ma anche la formazione di vortici atmosferici ad asse orizzontale , i quali, fa¬ cendo scendere colonne di aria fredda fino a piccole altezze sul suolo, determinano il regime di espansione adiabatica dell’aria che affluisce e quindi intenso raffreddamento e conseguente congelamento in grandine. Fig. 2 D’altra parte, le forti differenze di potenziale verificatesi per azione temporalesca, mettono in gioco le azioni elettriche che certa¬ mente presiedono alla formazione della grandine stessa. Il giorno successivo la grandine era ancora ammucchiata nelle strade, ai margini dei marciapiedi. A Piazza Dante vi erano mucchi (d) Secchi A. — Di una grandinata caduta il 26 agosto 1876. Boll. Osserv. del Collegio Romano, XV, 1876. - 80 - i bellissimi, nei quali l’integrità dei chicchi e la loro trasparenza era perfetta. Non volli lasciarmi sfuggire l’occasione di ritrarre qualche muc¬ chio, per cui ne riporto le fotografie nelle figure 1 e 2. Nella figura 2, sotto a destra, è possibile individuare un grosso chicco di gran¬ dine di eccezionale trasparenza delle dimensioni dei più grossi chicchi caduti (18 mm. di diametro). La periclasia del M onte Somma Nota del socio Renato Sinno (Tornata del 25 novembre 1953) Nel 1841, in una raccolta di pubblicazioni, inclusa nell’ «Antolo¬ gia di Scienze Naturali », A. Scacchi (1) descrisse per la prima volta, tra i minerali dei proietti calcarei del M. Somma, una « sostanza vetrosa, bianca o verde scura, confusamente cristallizzata, incastrata in una roccia calcarea, con caratteristiche esteriori aventi tutte le qualità apparenti che sogliono distinguere le specie della numerosa famiglia dei silicati ». Tale sostanza che cristallizza in ottaedri regolari, infusibile al cannello, facilmente solubile negli acidi quando è finemente polve- rizzata, analizzata dallo stesso Scacchi, risultò essere costituita da ossido di magnesio, con piccole quantità di ossido ferroso. A tale minerale lo stesso Scacchi assegnò il nome di periclasia, per la facile sfaldatura secondo le tre direzioni parallele alle facce del cubo. Essa si presenta associata alla forsterite e ad una sostanza bianca, terrosa, considerata, sempre dallo stesso Scacchi, carbonato di magnesio puro. Successivamente la periclasia è stata rinvenuta dal Cossa, in al¬ cuni blocchi aventi una composizione chimica analoga alla predaz- zite, nei quali blocchi però non si nota la presenza della forsterite. Oltre che al Monte Somma, la periclasia è stata rinvenuta: 1 - In Sardegna, presso Teulada, in contatto tra il calcare silurico ed una roccia granitica, in una roccia formata essenzialmente di calcite e brucite. 2. - Nel Trentino, nei dintorni di Predazzo, in una roccia calcarea, (o meglio dolomia) metamorfica per contatto: la periclasia è per lo più trasformata in idromagnesite. Al di fuori dei confini italiani, la periclasia è stata inoltre rin¬ venuta: 1 - In Spagna, a Sodilo (Leon); 2 - In Svezia, a Wermland e Langbans, in giacimenti di manganese, in uno scisto calcareo accompagnato da una dolomia. I granuli di periclasia sono circon¬ dati da una zona di alterazione di brucite ; 3 - In Tasmania, nel serpentino del fiume Don. - - 82 - In conclusione, come si può notare, la maggior parte di queste giaciture mostra che la periclasia è un tipico minerale di contatto, in rocce calcaree e dolomitiche. La prima analisi di questa nuova specie è dovuta a Scacchi A. e risale al 1841: viene riportata in I. Tre analisi furono successiva¬ mente eseguite nel 1849, dal Damour (2) (riportate in II e III), due su materiale inviatogli dallo Scacchi, ed una terza (riportata in IV) su altro campione inviatogli dal Sig. De Reyeneval A. Gli ultimi studi analitici (analisi riportate in V e VI) risalgono al 1876 e fu¬ rono pubblicati dal Cossa (3), che dette comunicazione di una varietà di periclasia meno ferrifera. I valori delle varie analisi sono riportati nella tabella seguente: I II III IV V VI MgO . . . 89.04 92,57 91,18 93,38 95,39 95,78 FeO ... 8.56 6,91 6,30 6,01 4,56 4,13 Ins. . . . — 0,86 2,10 — — — ! Totale 97,60 100,34 99,58 99,39 99,35 99,91 Scopo della presente nota è non solo di dare una nuova analisi chimica più moderna, della periclasia, ma anche e soprattutto, di dare una interpretazione della sua genesi che sia più rispondente, più vicina a quei criteri derivanti dallo studio della sua giacitura, in cui il minerale in oggetto abitualmente si rinviene, per lo meno al Vesuvio. Nei vari campioni di rocce con periclasia, facenti parte della Collezione Mineralogica Vesuviana, ho potuto notare che, ove con maggiore nitidezza di forme, ove con minore, il minerale è sempre riconoscibile per la sua tipica sfaldatura cubica e per il suo tipico colore verde oliva, talora così intenso in taluni cristalli, da tendere al nero. In genere i cristalli non hanno un contorno netto e, solo in quelli più grandi, il diametro raggiunge il valore di qualche mil¬ limetro, essendo gli altri ridotti a dei minuscoli puntini. Il minerale che accompagna sempre la periclasia è la calcite, che ho ritrovato e facilmente individuato in tutti i campioni in esame. Accanto ai cristalli di calcite, una sostanza bianca, molto finemente cristallina, con durezza maggiore di tre: tale sostanza lo Scacchi classificò come dolomite. Ho potuto notare, ma in misura molto minore, la pre¬ senza della forsterite. In alcuni campioni esaminati la roccia si presentava interamente tappezzata di numerose vacuole, che al bordo avevano assunto una caratteristica colorazione giallo -arancio. Ora, mentre tale colorazione è da ascriversi alla presenza di idrati di ferro vari, generatisi per alterazione del ferro contenuto nella periclasia, le vacuole vanno interpretate come spazi precedentemente occupati dalla periclasia in parte alterata, in parte andata via. Avendo eseguito di tutti questi campioni descritti delle sezioni sottili, l’indagine microscopica, aven¬ domi confermato tutto ciò che già avevo osservato, in parte ad oc¬ chio nudo, in parte al binoculare, è servita a darmi indicazioni più precise su talune sostanze non ben definibili con la sola osserva¬ zione macroscopica. Osservata in sezione sottile la periclasia si presenta sotto forma di vari cristalli di grandezza molto variabile e, mentre talvolta la forma cristallina è abbastanza incerta, in quanto l’aspetto è addirit¬ tura rotondeggiante, talaltra l’babitus ottaedrico è riconoscibile. Co¬ munque in tutti i cristalli, siano essi di forma regolare oppur no, sempre perfettamente isotropi, si notano evidentissime le tracce di sfaldatura cubica. Nella fitta rete di maglie, determinate appunto dalla sfaldatura, vanno ad interporsi numerosi piccoli aggregati di squamette, della stessa natura di quelli che circondano la periclasia. Tali cristalli, con debole birifrangenza, sono di idromagnesite, che rappresenta, come si dirà in seguito, uno dei prodotti di alterazione della periclasia. In talune sezioni in cui la quantità di idromagne¬ site è maggiore, ho potuto notare degli aggregati di cristalli, con birifrazione più elevata. Anche questo minerale, che riferisco alla brucite, si è formato per alterazione della stessa periclasia. Partico¬ lare aspetto assumono poi quei prodotti che si sono generati per alterazione del ferro contenuto nel verde minerale. Infatti, là dove l’alterazione è più spinta, la periclasia risulta circondata da alcuni anelli concentrici di color giallo ruggine, costituiti da idrossidi di ferro vari, intimamente mescolati a sostanza serpentinosa, che si di¬ stingue dagli idrati di ferro, per essere debolmente birifrangente a nicols incrociati. Queste sostanze serpentinose hanno struttura rag¬ giata: sono birifrangenti ma non pleocroiche. La loro origine è do¬ vuta (molto probabilmente) alla azione di acque, contenenti silice, che hanno agito sull’ossido di magnesio. Gli anelli, che ho innanzi \ - 84 descritto, presentano nel centro o un cristallo di periclasia, ancora riconoscibile dalle tracce di sfaldatura, oppure un vuoto determinato dalla perdita del cristallo stesso di periclasia Ho infine osservato, oltre ai cristalli di calcite, in numero rilevantissimo, la presenza della forsterite, con vivi colori di interferenza, e dello spinello, (in misura molto minore ed in cristalli minutissimi, perfettamente rico¬ noscibili, perfettamente conformati, di forma ottaedrica) che, in se¬ zione sottile, appare giallognolo. Prima di iniziare qualsiasi discussione circa la genesi del mine¬ rale che è stato oggetto del mio studio, ho voluto personalmente rendermi conto della sua effettiva composizione chimica, risalendo l’ultima analisi, come ho già detto in precedenza, al 1876. Avendo opportunamente isolato un buon numero di cristalli di periclasia, dopo aver eliminato qualsiasi impurezza, ho proceduto alla ricerca analitica qualitativa e quantitativa, ottenendo il risultato che riporto nella seguente tabella : 1. - Analisi periclasia del Monte Somma (Analista Sinno) : Residuo insolubile .... 0.80 MgO .... 91.25 CaO .... 1.14 FeO .... 2.67 MnO .... 0.20 Fe203 .... 4.47 Totale 100.53 Ho proceduto, con esito negativo, alla ricerca dei nichel e del titanio. Avendo stabilito l’esatta composizione chimica della pericla¬ sia, la mia indagine si è quindi rivolta a stabilirne la sua probabile genesi. Naturalmente molti studiosi mi hanno preceduto in simile ricerca : F. Zambonini (4), nella sua « Mineralogia Vesuviana % riporta un’ipotesi dovuta al Cfsaro (5), che, nel 1917, comunicò di avere ottenuto artificialmente la periclasia, « fondendo il MgCl2 idrato e scaldandolo al calor rosso ». In seguito alla reazione : MgCl2 -(- 0 == MgO + Cl2 (testualmente riportata), l’Autore ottenne un prodotto che al micro¬ scopio appariva cristallizzato ed isotropo : difficilmente poteva scor- - 85 - gersi la forma ottaedrica, ed i cristalli, artificialmente ottenuti, in generale risultavano dalla combinazione del cubo con l’ottaedro, con irregolarissimo sviluppo che dava poca nettezza alle forme. Sulla scorta di tale risultato, il Cesaro concluse che la pericla- sia si sarebbe generata « per azione di un gas o di un liquido con¬ tenente HO, sui blocchi calcarei, ricchi di MgO, azione che avrebbe condotto alla formazione di numerosi vacuoli (*), in cui si sarebbe raccolto il MgCl2 formato. Successivamente questo cloruro, sotto l’a¬ zione del calore e dell’ossigeno dell’aria, si sarebbe trasformato ra¬ pidamente in periclasia ». Studi più recenti, dovuti ad Autori americani, hanno condotto ad individuare nella dolomia, la roccia da cui avrebbe avuto origine la periclasia. Infatti, secondo Hunt F. W. e Faust T. G. (6), tutto il processo genetico dell’ossido di magnesio sarebbe racchiuso nella così detta « dedolomitizzazione della dolomite », dovuto ad un metamor¬ fismo termico, che avrebbe generato da un lato CaC03 (che si ritrova sempre in cristalli di varia grandezza, disposti a mosaico ed inclu¬ denti la periclasia) e, dall’altro l’ossido di magnesio, che, a sua volta, si sarebbe trasformato in parte in idrato, la brucite, ed in parte in carbonato, la magnesite. Ora, prima di poter convalidare o formulare ogni altra ipotesi occorreva tener presente la composizione chimica della roccia madre in cui abitualmente la periclasia è stata rinvenuta al Monte Somma. Tra i vari campioni che mi sono serviti per lo studio della peri¬ clasia e della sua giacitura, uno più che gli altri ed in quantità maggiore, lasciava scorgere la presenza di una sostanza (confinante con i cristalli di calcite, facilmente riconoscibile anche ad occhio nudo) di media durezza, di color bianco -latte. Ho isolato con grande cura una quantità tale di questa sostanza bastevole per la ricerca analitica, allontanando tutte le eventuali impurezze, ad eccezion fatta per la idromagnesite, che si introduce sempre nelle piccole fendi¬ ture della roccia. Ho ottenuto i risultati che qui riporto : 2. - Analisi di una roccia contenente periclasia. M. Somma (Ana¬ lista Sinno) : O Devo notare che i vacuoli, come ho già detto in precedenza, esistono ef” fettivamente in molti campioni, ma rappresentano gli spazi vuoti lasciati dai cri¬ stalli di periclasia. Residuo insolubile .... 0.55 Si02 .... 0.82 C02 .... 43.50 CaO .... 27.90 MgO .... 23.43 Fe203 .... 1.10 A1203 .... 1.05 H20 .... 1.60 Totale 99.95 La determinazione dell’ H20 è stata effettuata col metodo di Brusch-Penfield. Come si può ricavare dai risultati dell’analisi su una quantità di MgO pari a 0.585, soltanto 0.88 vanno a costituire l’idromagnesite (ciò che spiega la presenza dell’ 1.60 °/0 di H20) ; il restante MgO, pari a 0.497, insieme al CaO, pari al 0.498, vanno, insieme alla C02, a costituire un carbonato doppio di calcio e magnesio, per cui si può concludere che la sostanza analizzata é una dolomia. Siamo, a mio parere, proprio dinanzi alla roccia, che avrebbe generato per successive trasformazioni, delle quali sto per dire, la periclasia. Per meglio chiarire la mia idea, ricordo come è noto, che se si riscalda il carbonato doppio di calcio e magnesio, questo a 550° su¬ bisce una prima dissociazione, in quanto a tale temperatura è solo il carbonato di magnesio che si scinde in ossido di magnesio ed anidride carbonica. È soltanto in una fase successiva, e propriamente sui 900° circa, che anche il carbonato di calcio inizia la propria dissociazione in ossido di calcio ed anidride carbonica. Ricordo che nella industria si approfitta di tale tipo di dissociazione doppia della dolomite, che avviene, come è stato detto, a temperatura diversa, per ottenere la magnesia (Processo Pattinson). In base a quanto ho esposto, io penso che l’unico agente del metamorfismo sarebbe stata l’alta temperatura, che, agendo sulla dolomia, avrebbe, in un prima tempo, a temperatura più bassa, for¬ mato la periclasia ed in seguito, a temperatura più alta l’ossido di calcio. A questo punto, mentre l’ossido di calcio, avendo possibilità di combinarsi con l’anidride carbonica, avrebbe rigenerato il carbo¬ nato di calcio, (che noi ritroviamo quale minerale che accompagna - 87 - sempre la periclasia) ciò non sarebbe stato possibile per l’ossido di magnesio, che, com’è noto, con la anidride carbonica non ha affatto possibilità di reagire. Al contrario, una certa quantità di ossido di magnesio, reagendo con 1’ acqua, avrebbe formato il composto Mg0.H20, vale a dire la brucite, che, quasi insolubile nell’acqua, avendo la possibilità di reagire con l’anidride carbonica avrebbe ge¬ nerato il carbonato basico di magnesio, vale a dire 5MgO. 4C02. 5H20, noto col nome di idromagnesite, minerale che si associa quasi sempre alla periclasia, e che dal Lenecek (7) fu osservato e descritto quale tipico minerale di alterazione della periclasia. Napoli , Istituto di Mineralogia della Università. Ottobre , 1953. BIBLIOGRAFIA (1) Scacchi A. - Della periclasia. Nuova specie del minerale del Monte Som¬ ma. Antologia di Scienze Naturali. Voi. 1, pag. 274, Napoli, 1841. (2) Damour A. — Nouvelles analyses de la periclase. Bulletin de la Soc. Geol. de France. Serie II, Voi. VI, pag. 311, Paris, 1849. (3) Cossa A. — Sulla predazzite periclasifera del Monte Somma. Atti R. Acc. dei Lincei. Serie II, Voi. Ili, pag. 3, Roma, 1876. (4) Zambonini F. - Mineralogia Vesuviana, pag. 56, Napoli, 1935. (5) Cesaro G. - Periclasia artificiale. Probabile genesi della periclasia del Monte Somma. Rivista di Min. e crist. ital. Voi. XLVIIl, pag. 80, Pa¬ dova, 1916. (6) Hunt W. e Faust G. - Pencatit from thè Organ Mountains, New Mexico. Americ. Min., Voi, XX, pag. 1151, 1937. (7) Lerecek O. - Uber predazzit und pencatit. Tschermak’s min. petr., Voi. XII, pag. 448, Wien, 1891. Sinno R. — La periclasia del M. Somma j Boll. Soc. Natur. Napoli , Voi. LX1I, 1953 Fig. 1. - Periclasia. Abito ottaedrico con tracce di sfaldatura. Nicols // ; ingrandimento: X 50. Fig. 2. - Cristallo di periclasia con evi¬ denti tracce di sfaleatura. Nicols //; ingrandimento: X 50. Fig. 3. - Cristallo di periclasia con pro¬ dotti ferruginosi di alterazione a strut¬ tura concrezionata. Fig. 4. - Concrezione di minerali ferriferi al posto di un cristallo di periclasia* Nicols // ; ingrandimento : X 50. F aun a del sottosuolo di ISfapoli (P rimo contributo). Nota del socio Pietro Parenzan (Tornata del 25 novembre 1953) La città di Napoli, come gran parte delle maggiori metropoli antiche, è costruita su un complesso di ruderi, di gallerie, di cata¬ combe, la cui costruzione risale, in certi casi, a molti secoli addietro. Residuati di opere romane, greche, etrusche o medioevali che siano, queste opere che sono frammiste alle fondazioni della parte vecchia delle metropoli attuali, subiscono infiltrazioni di acque superficiali, sia piovane che di provenienza domestica, il che, in aggiunta alle infiltrazioni provenienti dalle vaste reti delle civiche fognature, in¬ filtrazioni che contribuiscono ad arricchire il terreno, le sabbie, le argille, tutti i depositi che in maggior o minor coppia si accumulano nelle cavità in parola, di sostanze organiche, costituisce ovviamente una attrazione per gli organismi endogeobi, troglobi e troglofili. In talune delle cavità in parola, del sottosuolo di Napoli, si è costituito, attraverso i secoli, un habitat cavernicolo, o quasi, con formazione addirittura di stalattiti. Del resto, vari AA. considerano le caverne artificiali, dal punto di vista biologico, parte integrante del dominio sotterraneo. In Francia già vari studiosi se ne occupa¬ rono, e fra essi : Balazuc J., Dresco E., Gerards E., Henrot H., Hus- sen R., Jeannel R., Mary A., Negre J., Yirè A. - L. Van der Hammen studiò in particolare gli Aracnidi delle cavità artificiali olandesi. In Italia il Sanfilippo (1950) riferì su alcune cavità artificiali della pro¬ vincia di Genova. Ho creduto interessante perciò, iniziare una sistematica esplo¬ razione biologica del sottosuolo di Napoli, esplorazione che sin dal principio ha fruttato delle vere sorprese. In questa nota riferirò succintamente sulla fauna di un unico complesso romano, che da oltre venti secoli giace nelle fondazioni di un palazzo della Sezione di San Lorenzo. In considerazione del¬ l’interesse dei reperti, ho continuato l’esplorazione, ed altro materiale è in corso di studio. Considererò quindi le sale sotterranee in parola come quelle di una caverna naturale. - 90 - L’entrata è rappresentata da una botola di 60-70 cm. che si apre sul pavimento di una piccola cantina buia. Lo sviluppo dei locali non supera i 40-50 metri, e la superficie complessiva delle tre sale principali più passaggi e sottopassaggi minori, è di circa 140-150 mq. La temperatura, oseilla, durante l’anno, fra i 13 °e 17°C. Assenza assoluta di ogni infiltrazione di luce, presenza di sgocciolio in alcuni punti della volta. Le pareti sono in parte tagliate nel tufo in sito, in parte rivestite di blocchi rozzi di tufo, in parte costruite con i ca¬ ratteristici «chiodi» romani (opus reticulatum ) pure in tufo, in parte minore intonacate. L’umidità e lo sgocciolio hanno formato in certi punti una patina argillosa, limacciosa, od una lieve efflorescenza, che in un punto della volta si è concrezionata ed ha dato luogo alla formazione di un gruppetto di stalattiti tubolari lunghe da 4 a 12 cm. Ho raccolto fino ad oggi, nei locali in parola, ben 23 specie animali, e precisamente : Molluschi : Oxychilus cellarius Muli, (conchiglie vuote e vari es. vivi) Crostacei : Androniscus dentiger Verh. Chaetophiloscia cellaria (Dollfus) Coleotteri : Centrosphodrus acutangulus (Schauf) Ditteri : Phoridae : Megaselia rufipes (Meigen) Diplonevra cornuta Bigot Ortotteri : Dolichopoda ( palpata ) Costa Gryllomorpha dalmatina (Osck.) Collemboli : H eteromurus nitidus (Tempi.) Psocidi : (in studio) Scorpionidi : (in studio) Pseudoscorpionidi : Chthonius ischnocheles (Hermann) Chernetide (sp.) Acari : (in studio) Àraneidi : I\esticus eremita Sim. Nesticus eremita italica Di Cap. Leptonetà sp. Amaurobius sp. Ostearius melanopygius (O. P. Cambr.) Physocyclus Simoni Berland Miriapodi : (due sp. in studio) (determinazioni di Brian A., Delamare Debouteville, Dresco E., Henrot H., La Greca M., Piersanti C., H. Schmitz S. J., Vachon M. che qui vivamente ringrazio). - 91 - Ora, mentre appare a prima vista quel complesso che è carat¬ teristico per gran parte delle nostre caverne naturali, della Campania.; notiamo delle novità assolute per 1’ Italia. Ma procediamo con ordine. L’ Oxychilus cellarius, unitamente all’ O. glabrus , rappresenta uno dei reperti più frequenti della tauna malacologica troglòfila. Gli isopodi Androniscus dentiger e Chaetophiloscia cellaria , secondo le affermazioni dello specialista Prof. Brian, furono trovati fino ad oggi solamente in caverne, e mai all’ aperto, anche se la Chaet. cellaria è stata trovata in qualche cantina. L’ A. dentiger è noto per la Grotta della Dragonara (Miseno) ; la Chaet. cellaria è stata trovata nella Grotta del Convento di S. Francesco (Eboli), in una grotticella della Masseria Principe, nella Gr. della Dragonara e nella Grotta di Castellana (Bari). Il coleottero Centrosphodrus acutangulus è pure noto per varie caverne della Campania, fra le quali la Grotta del Bosco Reale di Capodimonte, la Grotta di Pertosa, la Grotta alle Fontanelle (Seiano), la grotticella della Masseria Principe. L’ Henhot ritiene questa specie troglòfila ma quasi troglobia vera, propria dell’ Italia meridionale, dal Lazio alla Calabria, sostituita in Toscana dalla sottospecie alticola. Fra i ditteri, nei locali esplorati trovai solo dei Forìdi, nei quali H. Schmitz S. J. riconobbe le due specie Megaselia rufipes e Diplo- nevra ( Dohrniphora ) cornuta. La M. rufipes è una specie sinantropa onnivora già trovata in varie caverne; ma la D. cornuta è stata tro¬ vata per la prima volta in caverna, recentemente, nell’ Inghiottitoio del Patricello (Com. di Rivello). Sarebbe quindi questo il secondo reperto del sottosuolo. Il gen. Leptoneta non comprende che specie cavernicole, endogee e troglòbie. Il collembolo Heteromurus nitidus vive nei sotterranei di Parigi, come l’araneide Physocyclus Simoni e l’isopodo Androni¬ scus dentiger (il « Trichoniscus roseus » di Yiré). Ma a parte l’interesse eventuale delle altre specie in corso di studio, le novità più importanti sono date dagli araneidi. Difatti le due specie Physocyclus Simoni e Ostearius melanopygius , sono del tutto nuove per la fauna italiana. Il primo rinvenimento viene quindi segnalato per il sottosuolo di Napoli, mentre il reperto di Ostearius melanopygius rappresenta inoltre una scoperta eccezionale. Descritto nel 1879 come specie comune della Nuova Zelanda, fu trovato in continuo progresso, dal 1906, nelle isole inglesi : 1906 nel Kent e nell’ Essex, 1932 nel Lancashire e nel Cheshire, 1935 nello Yorkshire. Il Dresco, che determinò il materiale del sottosuolo - 92 - di Napoli, è d’accordo col Bristowe nel ritenere YOstearius melano - pyrgius proveniente dalle isole dell’Atlantico. Difatti, nel 1930 è stato segnalato dalle Azzorre (racc. Chopard e Mèquignon), e nel 1935 il Lundblad lo raccolse a Madera. Il de Barros Machado ritiene che sia comune in Portogallo, particolarmente presso Porto. Concordano trat¬ tarsi di specie di importazione in Europa, pure Berland e Jackson. Solo nel 1945 1’ O. m. è stato scoperto in Francia, e Dresco ri¬ ferì sull’ interessante reperto, avendo ricevuto in studio il materiale raccolto sotto una pietra dal dott. Henrot. Il Chiarissimo specialista Edouard Dresco, che tanto premurosa¬ mente studia il materiale aracnologico che vado raccogliendo nelle mie continue esplorazioni speleologiche meridionali , ritiene che 1’ O. m., Erigònide tanto caratteristico, sia un araneide gondwaniano differenziatosi nel giurassico nella Paleantartide dopo la separazione dall’Africa meridionale. In Nuova Zelanda sarebbe giunto nel Cretaceo. Interessante è anche il fatto che il gen. Ostearius si avvicina maggiormente, per i caratteri degli organi genitali, al gen. Cory - phaeolana , le cui varie specie, salvo eccezioni, hanno una distribu¬ zione geografica che segue il Circolo Polare Artico. Appare quindi evidente un esempio di bipolarità. Un fatto infine devo rimarcare ; e cioè che, trattandosi di una caverna - chiamamola così - non aperta all’ esterno, tutti gli orga¬ nismi che vi si trovano devono riprodursi nell’ interno. Difatti, non trovai nessun microlepidottero. E la mancanza di Chirotteri, rende possibile lo sviluppo tranquillo dei piccoli insetti volanti, come ad esempio i forìdi, la cui speeie Megaselia rufipes abbonda e si può raccogliere in qualunque momento. Sono sicuro che le ricerche in corso nel sottosuolo di Napoli frutteranno non pochi altri reperti faunistici di particolare interesse. Sento il dovere di ringraziare qui le Stimatissime Signorine Massa, che mi hanno concesso di accedere ed occupare in qualun¬ que momento, per le mie ricerche, i sotterranei di loro proprietà. Staz , Biol. Sperimentale Sotterraneaf Napoli , 25 nov. 1953 - 93 - BIBLIOGRAFIA 1) Balazuc j Dresco Em Henrot H. et Negre J. — Biologie des carrières souter- raines de la Région Parisienne. “ Vie et Milieu T. II, 1951. 2) Berland R. — Remarques sur la ripartition géographique d’une Araignée : Ostearius melanopygius. “ Bull. Soc. Entom. Fr. XLV, 1940. 3) Berland R. — Polynesian spiders. 44 Occas. Pap. Bishop Muse. „ XVII, 1942. 4) Bristowe W. S. — The Comity of Spiders. Voi. I, Ray Soc., CXXVI, London 5) Dresco Ed. — Urie Araignée nouvelle pour la Faune de France. 44 Bull. Soc. Entomol. Fr. 1946. 6) Gerards E. — Les catacombes de Paris. Chamuel éd., Paris, 1892. 7) Hammen Van der — The Arachnida of thè artijicial caves in southern Lim~ burg ( Netherlands ). Naturhist. Maandblad. Maastricht, 1950. 8) Husson R. — Contribution à l’étude de la faune des cavités souterraines artificielles. Ann. Sci. nat. Zool., 1936. 9) Mary A. — Recherches géologiques , hydrologiques et biologiques sur les sou— terrains de Saint-Martin—le-Noeud. Ctes Rend. Congr. Soc. sav. Paris et Dép., Paris; 1907. 10) Sanfilippo N. - Le grotte della prov. di Genova Mena. Com, Scient. Centr. del C. A. 1., 1950. 11) Vire A. - La faune des Catacombe « de Paris. Bull. Mus. Hist Nat. Paris, 1896. STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE SUPPLEMENTO AL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI N. 19 Settembre 1953 ANTONIO LAZZARI Osservazioni geo-morfologiche sulla valle del Sorrencello e sulla grotta degli Sportiglioni presso Avella (Avellino). (Con 1 Tav. f. testo) (Tornata del 25 novembre 1953) La zona oggetto della presente nota è compresa nell’ angolo nord-orientale della tavoletta IY NE, Nola, del F° 185 della Carta d’Italia, ed è per la massima parte rappresentata da calcari bene stratificati di età mesozoica, in merito ai quali, però, assai scarse sono le conoscenze geologiche. Si debbono, difatti, soprattutto ad Oppenheim (*) le prinie notizie geologiche sulla zona, con le quali veniva attribuita genericamente all’infracretaceo la serie calcarea del Nolano. Di assai maggiore interesse risultano invece gli studi del Bas- sani (2) il quale, prendendo lo spunto da un equivoco determinato da un lavoro di Franco (3) a proposito di omonima altra località, descrisse la serie dei terreni affioranti nella zona e, in base ai re¬ perti paleontologici, ne attribuì l’appartenenza al Neocomiano ed al- l’Urgo-Aptiano. O Oppenheim P., Ueber die Jurafauna von Visciano bei Nola in Campanien . Neues Jahrbuch fur Miner., GeoL, und Pai., Band I, Jahrgang 1890. (2) Bassani F , Il Calcare a Nerinee di Pignataro Maggiore. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., ser. 2a, voi. IV, 1890, Napoli, 1890. (3) Franco P., Di alcuni fossili che occorrono nel calcare giurese di Visciano. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., XXIV, 2°; Napoli, 1885. - 2 - Vi è infine da citare un breve lavoro del Cassetti (*), a carat¬ tere assai generale e con sommarie notizie strati grafi che che certo non contribuiscono ad una esauriente conoscenza della zona, ed una nota di Dell’Erba (2) riguardante le caratteristiche dei tufi vulcanici grigi di Avella. Ma per questa, come per la più gran parte delle zone ad affio¬ ramenti calcarei dell’ Italia meridionale, sono soprattutto da lamen¬ tarsi gli studi a carattere geo-morfologico, nonostante il notevole interesse che presenta tale genere di indagini, specialmente per la stretta dipendenza che quasi sempre esiste fra tettonica e morfologia delle masse mesozoiche calcaree, le cui forme attuali non solo ci danno ragione delle direttrici tettoniche fondamentali (tirrenica ed appenninica) che suddividono quelle formazioni in zolle variamente spostate, ma ci forniscono preziosi elementi relativi ai più recenti movimenti di sollevamento subiti da quelle aree. Ed è da rilevare come nel breve ambito della tavoletta F° 185 IV NE le caratteristiche morfologiche risultino del massimo interesse e rappresentino quasi un insieme di esempi tipici dei fenomeni che si sono verificati in quasi tutto l’Appennino meridionale. Qui, difatti, la gran parte dei rilievi e le relative forme vallive che li dividono, si presentano con il tipico andamento appenninico, anche là dove assai più logico sarebbe, almeno per i solchi vallivi, attendersi tutt’altro orientamento; il che sta senza dubbio a dimo¬ strare la relazione esistente fra le forme del terreno e le caratteri¬ stiche strutturali dell’area esaminata. Tali caratteri di stretta dipendenza sono particolarmente evidenti nella zona dei Monti Avella e del Monte Ciesco Alto e nella Valle del Sorrencello che riceve le acque delle pendici meridionali di quei rilievi che si portano rapidamente alle quote rispettive di m. 1600 e 1500 circa e si allungano per alcuni chilometri, con perfetto alli¬ neamento appenninico, offrendo alla osservazione forme di notevole interesse specialmente per quanto si riferisce ai movimenti verticali, assai recenti, se non addirittura in atto, delle varie zolle calcaree nelle quali risulta suddivisa la massa di quelle montagne. (4) Cassetti M., Rilevamento geologico di alcuni gruppi montuosi dell’ Italia meridionale , eseguito nel 1895. Boll. Com. Geol. Ital., XXVII, p. 313, Roma, 1896. (5) Dell’Erba L., Il grigio di Avella. Attt Ist. Incoraggiam. Napoli, ser. V, voi. I, n. 3. Napoli, 1899. - 3 - Non diversamente, difatti, deve essere interpretata la balza ver¬ ticale che corre a sud della linea di cresta dei Monti Avella, del Monte Vallatrone (m. 1511) al Monte Ciesco Alto (m. 1495) per una lunghezza di oltre 6 Km. e con una altezza di circa 300 m. Che movimenti abbastanza recenti si siano verificati nella zona è dimostrato, ad esempio, dalla profonda incisione che le acque del¬ l’attuale Sorrencello hanno praticato nei conglomerati deposti da quel corso d’acqua in precedenza, alla sua sortita dalla stretta valle com¬ presa fra i rilievi sopra citati (a nord) ed i Monti Toppola Grande e Travertone a sud, presso la località Capo di Ciesco, oltre la quale quel torrentello è costretto, per le condizioni morfologiche determi¬ nate da una faglia ad andamento «tirrenico», a volgere verso sud ad angolo retto, per riprendere poi la sua direzione verso occidente dopo essere giunto alle porte di Avella. I depositi lasciati dal Sorrencello in una fase precedente al più recente sollevamento della zona risultano costituiti da sabbie calcaree e ciottoli bene arrotondati e bene stratificati. Le sabbie abbonda¬ no specialmente nella parte alta del profilo, corrispondentemente, quindi, ad una fase di ridotta attività di trasporto di quel corso d’acqua. Attualmente essi appaiono incisi per una ventina di metri circa dall’ attuale corso del Sorrencello che vi ha approfondito il suo letto, corrispondentemente a quanto si verifica anche nella porzione alta del suo profilo, ove anche l’abbondante detrito di falda, bene cementato, risulta profondamente intaccato a seguito delle mu¬ tate condizioni di equilibrio di quel torrente. Risalendo il Sorrencello lungo la stretta incisione valliva è dato osservare due fatti interessanti. Anzitutto è da rilevare che in corri- sponenza del lato destro della valle, vale a dire ai piedi dei Monti Avella e del Monte Ciesco Alto, il detrito di falda cementato, con elementi di media grandezza, costituisce lembi assai sviluppati tanto in senso areale che per la potenza che in qualche punto raggiunge, se non oltrepassa, i 70 m. Tale deposito è costituito da elementi calcarei a spigoli vivi, assai bene saldati da cemento calcareo, sì da potere costituire - come appresso verrà indicato - la volta di am¬ pie cavità sotterranee. Sul fianco destro della valle del Sorrencello, là dove il detrito di falda non compare, i sottostanti calcarei mesozoici si presentano in più punti con pareti perfettamente verticali ; il che mi sembra doversi attribuire, più che ad un effetto dell’ azione erosiva delle acque, alla presenza di una faglia. Ciò, del resto, risponde bene allo - 4 - schema tettonico morfologico già indicato per queste zone, ed è com¬ provato da altri elementi morfologici che si notano qua e là lungo tutta la valle ed in particolare nella Grotta degli Sportiglioni. La breccia calcarea che così vastamente appare lungo la riva destra del Sorrencello determina anche un terrazzo che può essere seguito per lungo tratto, e che si presenta in tutta la sua importanza in corrispondenza della Grotta di S. Michele e presso la Grotta de¬ gli Sportiglioni, situata alcune centinaia di metri a monte della pri¬ ma ed affacciantesi nella valle del Sorrencello. Ambedue tali cavità sotterranee si aprono proprio nella massa della breccia calcarea; ma le due cavità non debbono la loro origine alla diretta azione solubilizzante delle acque sotterranee sulla breccia stessa, essendo invece attribuili, per la massima parte, come meglio si vedrà in seguito, ad una serie di frane sotterranee. - 5 - La Grotta degli Sportiglioni si apre a circa 50 m. dal fondo della valle, sulla riva destra di questa ed in corrispondenza di una profonda incisione che scende dal Monte Ciesco Alto. L’apertura at¬ traverso la quale si accede alla grotta non rappresenta la via attra¬ verso la quale fuoriuscivano le acque sotterranee, ma deve la sua origine al fatto che le acque superficiali scendenti dalle pendici della montagna, nell’approfondire ed allargare l’ incisione torrentizia scen¬ dente dal Ciesco Alto, hanno aperto un varco nella massa della brec¬ cia calcarea, consentendo così l’ accesso a quella cavità sotterranea che, assai probabilmente, senza questa circostanza, sarebbe rimasta inaccessibile. La Grotta degli Sportiglioni (fig. 1) può essere considerata come una unica grande cavità, essendo solo apparente la divisione in due vani distinti, dovuta ad alcuni enormi blocchi di breccia, alto circa 10 m. nella porzione visibile fuori terra, staccatosi dalla volta. I due vani nei quali la grotta può considerarsi suddivisa, offrono all’osservazione caratteristiche e fenomeni assai differenti. Il primo, di forma irregolarmente ellittica (vedi pianta) e con gli assi di m. 50 e di m. 30 circa, rappresenta il risultato di una serie di crolli, dalla volta, di numerosissimi enormi blocchi di breccia, distaccatisi a se¬ guito della avvenuta dissoluzione del cemento calcareo che ne teneva uniti gli elementi. E’ da notare che il distacco è avvenuto quasi sempre lungo su¬ perimi piatte sub- orizzontali ; il che induce a ritenere che le acque superficiali, penetrando nella compagine della breccia, vi abbiano trovato delle vie preferenziali, nel senso della stratificazione di quel deposito, menomandone le condizioni di resistenza. Conseguente¬ mente, la superficie di calpestio del primo tratto della grotta è rap¬ presentata da tali massi, caoticamente sovrapposti gli uni agli altri, fra i quali è possibile discendere (a destra dell’ingresso) per almeno una quindicina di metri, senza peraltro raggiungere il suolo originario della cavità. Procedendo verso l’interno, sulla sinistra dell’asse maggiore, un vasto diverticolo si distacca dal primo vano per una lunghezza di circa 15 m. Volta e pavimento sono riccamente rivestiti di forma¬ zioni stalattitiche e stalagmitiche, come avviene nelle cavità apren- tisi nei calcari compatti. Ciò mostra, evidentemente, che mentre là dove le acque percolano sicuramente attraverso la massa della brec¬ cia calcarea non è dato osservare alcun deposito stalattitico (cosa che del resto si osserva anche nella grotta di S. Michele), nel caso 5 - 6 - \ ■ che le acque passino attraverso la massa dei calcari mesozoici, si determinano tutti i fenomeni del carsismo tipico. E’ evidente, quindi, che il diverticolo sopra indicato si apre nella compagine dei calcari compatti e che esso probabilmente rappresenta una delle vie attra¬ verso le quali le acque scaturivano nel passato per immettersi nella valle del Sorrencello. Una tale situazione si può osservare ancora meglio nel secondo dei vani principali in cui si può considerare divisa la grotta, acces¬ sibile attraverso un basso cunicolo, oltre il quale — come già accen¬ nato — ci troviamo in presenza di forme e fenomeni propri alle cavità carsiche, specialmente sul tato destro che rappresenta il limite, verticale, della massa di calcare compatto e che, per il suo anda¬ mento rettilineo con direzione approssimativa NW-SE, indica sicu¬ ramente la presenza di una faglia, in corrispondenza della quale è stata più agevole l’azione delle acque sotterranee. Il suolo di questa seconda cavità è rappresentato da uno spesso deposito di materiale terroso, convogliato dalle acque e depositato, evidentemente, a seguito del ristagno subito dalle acque stesse, im¬ possibilitate a proseguire rapidamente nel loro cammino. Difatti, lungo la parete verticale di cui è stato fatto cenno precedentemente, è dato osservare, fino all’altezza di m. 1.50 dal suolo attuale della cavità, un ricco deposito di calcite cristallizzata che sta a dimostrare non solo ristagno delle acque, ma anche la loro particolare ricchezza in sali calcarei. Il deposito terroso, ricoperto quasi dappertutto da una sottile crosta stalagmitica, e nel quale si rinvengono numerosi e grossi cristalli di calcite, assume una potenza non nota, ma certo superiore a m. 1.50. Uno scavo effettuato fino a tale profondità non ha per¬ messo di raggiungere la roccia sottostante, ed ha messo in evidenza, nella porzione superiore, cristalli di augite e di biotite, quasi certa¬ mente provenienti da depositi piroclastici di origine vesuviana. Cam¬ pioni prelevati a m. 0.60 ed a m. 1.50 hanno rivelato la presenza, oltre ai suddetti minerali, di terra rossa e di piccole pomici. Verso il basso il deposito si presenta assai fine, con passaggio ad un limo argilloso. Dalla volta della seconda cavità cade uno stillicidio persistente anche nella stagione non piovosa, ma la cui intensità aumenta rapi¬ damente a seguito delle piogge, in relazione al ridotto spessore della roccia soprastante. - 7 - Nella parte più profonda della seconda cavità, e nel mezzo di questa, sono presenti alcuni grossi blocchi di breccia staccatisi dalla volta, ed in parte ricoperti da crosta stalagmitica. La presenza di tali massi alla distanza di pochi metri dal margine nord-orientale della cavità, parla in favore di quanto già affermato circa la presenza di una faglia limitante la cavità. La grotta termina con una anfrattuosità profonda circa 10 m., il cui suolo si eleva gradatamente fino a circa 10 m. dal piano della cavità precedente (Fig. 2, Tav.). Tale anfratto è assai ricco di forma¬ zioni stalatittiche e stalagmiticbe. Nella parte più alta, là dove eviden¬ temente esisteva il cunicolo di provenienza delle acque, la spessa coltre stalagmitica risulta spaccata per un tratto di circa 4 m., e con sposta¬ mento delle due parti di due centimetri. I margini di tale spaccatura sono tuttora bene angolosi e non denotano che vi sia avvenuto un successivo deposito di carbonato di calcio; e poiché l’attività di de¬ posizione di tale materiale è tuttora in atto, è evidente che tale frattura deve essersi determinata in epoca assai recente, forse in relazione a qualche movimento sismico della zona. Per quanto si riferisce alla genesi della grotta, considerata nel suo complesso, appare logico pensare che le acque dovessero prove¬ nire, prevalentemente, dall’ultimo aufratto, probabilmente già prima che sulle più basse pendici meridionali del Monte Ciesco Alto si depositasse il detrito di falda il quale, in tal modo, sarebbe venuto a sbarrare la fuoriuscita delle acque sul fianco della antica valle del Sorrencello, che veniva intanto colmata dalla breccia che si andava depositando. Il persistente ed abbondante passaggio delle acque nei livelli inferiori di tale deposito, mentre ne impediva il processo di cemen¬ tazione (che intanto poteva invece effettuarsi nelle parti più alte) menomava la resistenza di tutto il deposito ; e poiché in basso le acque scioglievano il materiale breccioso, o lo asportavano allo stato solido, si iniziava il distacco, dalla volta della cavità originariamente determinatasi nella breccia, di blocchi, fino a determinare la situa¬ zione che ora si osserva. Se si voglia tenere conto del volume del primo vano (che si apre completamente nella breccia) e dei vuoti esistenti fra la congerie dei blocchi franati, ne risulta che l’attività delle acque sotterranee ha portato alla dissoluzione, od al trasporto allo stato solido, di una gran quantità di materiale; il che deve es¬ sere stato senza dubbio facilitato dalla scarsa resistenza offerta dal - 8 - materiale e dalla enorme superficie lungo la quale le acque venivano a contatto con gli innumerevoli elementi costituenti la breccia (1). Allo stato attuale la grotta non è più percorsa dalle acque che si debbono essere cercato un cammino più in basso, anche a ragione dell’avvenuto sollevamento della zona. (x) Un fenomeno del genere ma in materiale di diversa natura, è avvenuto, su scala assai più vasta, nel Colle Pugliano, presso Telese (Caserta), determi¬ nando la formazione di numerose, imponenti doline da crollo. Ivi la compagine dei calcari cretacei è menomata dalla situazione tettonica che li ha ridotti, in gran parte, in una massa di elementi delle più varie dimensioni, con scarsa possibilità di costituire la volta di ampie cavità. Le acque hanno sciolto, man mano che pre¬ cipitavano dall’alto delle cavità originarie, il detrito calcareo ; ed arricchite no¬ tevolmente in sostanze carbonatiche hanno poi depositato, su vasta area e per notevole spessore, dei travertini benestratificati. Ancora oggi le sorgenti che sca¬ turiscono al piede del Colle Pugliano sono straordinariamente calcarifere, tanto da esserne sconsigliato l’uso per alimentazione. Boll. Soc. Natur . Napoli Voi. LX1I, 1953. Fig. 2-11 fondo della Grotta degli Sportiglioni, rocessi verbali delle Tornate ordinarie Processi verbali delle tornate ordinarie Tornata ordinaria del 28 gennaio 1953 Presidente ff. : M. Salfi Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci: Scherilìo, La Greca, Pierantoni Angiolo, Parenzan, Vittozzi, Covello, Capone, Arena, Sinno, Parascandola, Sarà, Desiderio, Merola, Majo Ester. La seduta è aperta alle ore 17. Presiede in assenza del prof. D’ Erasmo, che Scusa 1’ assenza perchè fuori Napoli per ragioni d’ufficio, il Vice Presidente prof. M. Salti. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Dott. A. Capone presenta ed illustra una nota dal titolo : Una nuova tecnica applicata allo studio dei polioduri di basi organiche quaternarie. Il Socio prof. Ester Majo presenta una nota dal titolo : V eccezionale grandinata del 16 febbraio 19k8 a Napoli. Il Socio prof. A. Parascandola fa le seguenti comunicazioni verbali : 1) Sulla tracliite rinvenuta nel nuovo tunnel di Montesanto per la Circumflegrea, ragguagliando i soci sull’estensione, la morfologia e la struttura di questa massa. Dichiara inoltre di continuare le sue indagini. 2) Sull’ingrandimento della fangaia della Solfatara, facendo rilevare la grande diffusione dell’alga Entophysalis rivularis, la quale tappezza le zone di recente sprofondamento della fangaia ed i fossi di sperimentazione cavati nella Solfatara. A proposito della nota del prof. Parenzan, Osservazioni sul fenomeno naturale del volo e del nuoto, il Presidente, rifacendosi a quanto esposto nel precedente verbale, comunica che l’Assemblea dovrà in questa seduta stabilire se essa debba essere accettata o meno. Chiede la parola il prof. Parenzan, che ritiene ingiustificata l’opposi¬ zione fatta da alcuni soci alla pubblicazione della sua nota. In favore di essa interviene il socio dott. Vittozzi, il quale riferisce di essere stato presente alle esperienze condotte dall’Antoni e di ritenerle interessanti dal punto di vista delle possibili applicazioni pratiche. Il socio prof. Covello fa osservare che la Società si limita a far pub¬ blicare nel suo Bollettino risultati di studi, esperienze e ricerche eseguite dai soci e collaboratori diretti, e non lavori di estranei, tanto più se questi sono frutto di indagini ancora nella fase iniziale e non ancora formulate sotto forma scientificamente rigorosa. Quindi, pur non escludendo che le esperienze dell’Antoni possano essere interessanti, interpretando il pensiero di altri soci, gradirebbe che la nuova teoria, enunciata in termini generici dal socio Parenzan, fosse ■ — II presentata sotto un profilo matematico tale da giustificare la pubblica¬ zione. L’Assemblea, quasi unanime si esprime favorevolmente alla proposta del socio Covello e pertanto decide che la nota non venga inserita nel Bollettino. La seduta è tolta alle ore 18.15. Tornata ordinaria del 25 febbraio 1953 Presidente : G. D’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci : Napoletano, Lazzari, Sarà, Maini, Parenzan, Ca¬ pone, La Greca, Trotta, Parascandola, Sinno, Casertano, Schedilo, Yittozzi, Arena, Moncharmont-Zei, Desiderio, Pescione, Sersale, Mazzarelli, Mon- charmont Ugo. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente informa l’Assemblea che la Commissione per lo studio del Serapeo ha recentemente espletato l’incarico che le era stato affidato dalla Società nello scorso mese di giugno, e che sono stati conseguiti i risultati seguenti : I) — Il Direttore dell’Istituto Geografico Militare, Generale Morosini, ha riconosciuto l’importanza scientifica del problema e cortesemente pro¬ messo che apposita squadra idoneamente attrezzata procederà, nella cam¬ pagna di questo anno 1953, alla richiesta riquotazione dei caposaldi del Serapeo, in relazione alla livellazione geometrica di precisione già eseguita nei Campi Flegrei a cura dello stesso Istituto. II) — Il Direttore dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’ Università di Napoli, prof. Giuseppe Imbò, ha ottenuto dalla cortesia del Soprinten- tente alle Antichità, prof. Amedeo Maiuri, l’uso di due locali annessi all’e¬ dificio del Serapeo per l’impianto di una stazione mareografìca e di una stazione clinografica. Gli strumenti registratori (1 mareografo e 2 clino- grafì) sono già pronti per l’installazione, che avverrà fra pochi giorni, ed un tecnico dell’Istituto sarà incaricato del funzionamento e della neces¬ saria sorveglianza degli apparecchi. Ili) — Si sono ottenute fondate promesse di una buona manutenzione del canale di comunicazione col mare, in modo da eliminare l’ inconve¬ niente della deposizione di fanghiglia sul fondo e la conseguente occlu¬ sione per insabbiamento e da consentire, invece, il libero deflusso delle acque. Il Presidente conclude osservando come il dibattito sollevato nella So¬ cietà dei Naturalisti dalla comunicazione del socio Parascandola, in ri¬ sposta alla recente pubblicazione del prof. Ranieri, abbia ravvicinato al¬ l’auspicata soluzione definitiva il problema dello studio sistematico del bradisisma puteolano e ringrazia quanti hanno contribuito, nell’ambito della Società e fuori di essa, alla realizzazione dell’antico voto. ■ _ ■ / ■ ; ' ■ ■ - ' - ' " [ Illustra poi il bilancio consuntivo 1952 e quello preventivo 1953, sul primo dei quali riferiranno nella prossima adunanza i due revisori dei conti. L’assemblea approva all’unanimità. Il Segretario presenta alcuni lavori del socio Lazzari, recentemente pervenuti in omaggio alla biblioteca della Società. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio prof. Parenzan presenta ed illustra una sua nota dal titolo : Osservazioni sul nuoto degli squali. La seduta è tolta alle ore 18. Tornata ordinaria del 25 marzo 1953 Presidente: G. D’ Erasmo Segretario: V. MrisirERi Sono presenti i soci : Parenzan, Signore, Merola, Yittozzi, Capone, Covello, Moncharmont-Zei, Lazzari, Antonucci, Pannain Lea. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente comunica : 1) l’avvenuta riscossione del contributo mi¬ nisteriale per l’esercizio 1952-1953; 2) la lettera del Consiglio Nazionale delle Ricerche che annunzia l’assegnazione di un contributo straordinario di L. 200.000, destinato alla stampa del Bollettino sociale. Informa quindi i soci che è stato richiesto un sussidio al Servizio Informazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Ufficio del Libro e della Carta). Il socio dott. Yittozzi, anche a nome del socio dott. Della Ragione, legge la relazione dei revisori dei conti sul bilancio consuntivo 1952, che conclude con la proposta di approvazione. L’Assemblea unanime approva. La seduta è tolta alle ore 17,30. Tornata ordinaria del 29 aprile 1953 Presidente ff . : A. Orrù Segretario: V. Min ieri Sono presenti i soci : Orrù, Merola, Desiderio, Pierantoni Angiolo, Capone, Maini, Moncharmont - Zei. La seduta è aperta alle ore 17. Presiede in assenza del Presidente e del Vice - presidente, la prof. Antonietta Orrù. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio dott. A. Merola presenta due note dal titolo : Fenomeni iperplastici in Gracilaria confervoi- des (L.) della Laguna di Venezia e Sul ritrovamento di binaria reflexa Chaz. a Capri. Prima di chiudere la seduta il Presidente, a nome dell’Assemblea, rivolge al Prof. Geremia D’ Erasmo fervidi voti augurali per una rapida e completa guarigione della di lui consorte, colpita da recente e repen¬ tina malattia. La seduta è tolta alle ore 18. Tornata ordinaria del 27 maggio 1953 Presidente : G. D’ Erasmo Segretario V. Minieri Sono presenti i soci : Scherillo, Desiderio, Sinno, Parascandola, Ca¬ sertano, Merola, Pierantoni Angiolo, Moncharmont - Zei, Covello. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente, dopo avere ringraziato i consoci per i voti augurali gen¬ tilmente} espressigli nell’ adunanza precedente, annuncia che è pervenuto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche il sussidio straordinario di L. 200.090, concesso per la pubblicazione del Bollettino, e che il volume relativo al 1952, per varie ragioni ritardato, è finalmente tutto composto e verrà di¬ stribuito ai soci nei prossimi giorni. Ha quindi il dolore di partecipare la morte, avvenuta in Catania il dì 18 dello scorso aprile, del prof. Otto De Fiore, ordinario di Geologia in quella Università, che fu socio resi¬ dente della Società dei Naturalisti di Napoli per molti anni, a comin¬ ciare dal 1924, e dette al nostro Bollettino contributi molteplici del suo ingegno, fra cui ricorda la Geologia di Linosa (1927), Il pluviometro di Ni¬ colosi (1928), le Meteoriti del Museo mineralogico di Napoli (1929), il Vento dell’Etna (1929), il Clima di Pantelleria (1931), La meteorologia e la idrografia dell’Etna (1931) ecc. Aggiunge che il compianto collega fu sopratutto un vulcanologo, ma si interessò anche di sismologia, meteorologia, paletno¬ logia e stava negli ultimi anni lavorando assiduamente ad una importante monografia, rimasta purtroppo incompiuta, sulla fauna postpliocenica della Sicilia. Ne rileva infine le principali doti di uomo e di ricercatore, fra cui sopratutto Y amore costante per la scienza, non fiaccato neppure dalla grande malattia, contratta in climi malsani del Brasile, che doveva portarlo immaturamente alla tomba, e si dice sicuro interprete dell’una¬ nime sentimento dei colleghi inviando alla cara memoria di Lui il mesto omaggio del comune rimpianto. Si passa quindi alle comunicazioni scien¬ tifiche. Il socio dott. R. Sinno presenta una nota dal titolo : Studio sulle cosi- dette leuciti caolinizzate. Il socio dott. A. Pierantoni presenta una nota dal titolo Applicazione del metodo Bellier alla ricerca del grasso di cocco nell’ olio d’ oliva. Prima di chiudere la seduta, il Presidente offre in omaggio una sua nota pubblicata nel. Bollettino della Società Geografica Italiana e destinata a mettere in rilievo quanto, per Y interessamento della Società dei Natu¬ ralisti, fu fatto nello scorso anno 1952 per lo studio sistematico dei lenti movimenti del suolo nella zona del Serapeo di Pozzuoli. La seduta è tolta alle ore 18. - v Tornata ordinaria del 24 giugno 1953 Presidente : G. D’ Erasmo Segretario V. Minieri Sono presenti i soci : Parenzan, Augusti Selim, Moncharmont - Zei, Casertano, Pierantoni U. e Pierantoni A., Vittozzi, Arena, Sersale, Capone, Ippolito, Lazzari, Scherillo. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente comunica che il Voi. LXI del Bollettino sociale è stato recentemente distribuito ai soci e che si è iniziata anche la stampa del Voi. LXII. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio prof. F. Ippolito presenta una nota del socio ing. V. Cotec- chia dal titolo Utilizzazione di un calcare cristallino della Sila per la cor¬ rezione di terreni agrari. Il socio dott. R. Sersale presenta ed illustra una sua nota dal titolo Sulla presenza di notevoli quantità di acido borico in acque ipertermali incontrate durante una trivellazione profonda, nella zona Flegrea (Fusaro). Entrambe vengono accolte, con le norme consuete, per P inserzione nel Bollettino. La seduta è tolta alle ore 18. Tornata ordinaria del 25 novembre 1953 Presidente : G. D’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci: Mazzarelli, Sinno, Pierantoni A., Moncharmont - Zei, Lazzari, Parenzan, Imbò, Casertano, Vittozzi, Moncharmont Ugo, Pa- rascandola, Della Ragione, Maini. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente comunica: 1) la lettera 12 novembre 1953 del Rettore del- PUniversità di Napoli, relativa alla concessione di un sussidio di L. 25.000 ; 2) la lettera 6 nov. 1953 dell’Ente per la Cellulosa e la Carta, relativa alla concessione di un contributo straordinario di L. 70.000 per la stampa del Bollettino; 3) il calendario delle adunanze ordinarie per l’anno 1954. Dà quindi notizia che il 31 ottobre scorso si è chiuso il concorso al premio « Antonio e Paolo Della Valle », al quale ha partecipato in tempo utile un solo concorrente, il dott. Armando Fiorio, che risulta regolar¬ mente ammesso. Accogliendo la proposta del Presidente, P Assemblea alPunanimità nomina la Commissione costituita dai soci proff. Pierantoni, Salii e Galgano, con l’incarico di riferire in una delle prossime adunanze VI L’Assemblea decide pure all’ unanimità di bandire, in accordo con le decisioni del Consiglio Direttivo, i nuovi concorsi ai premi « Cavolini - De Mellis » per gli studenti del 2° biennio di Scienze Naturali e al premio « Antonio e Paolo Della Valle», secondo le norme consuete. Fra le pubblicazioni recentemente pervenute in omaggio, il Presidente segnala gli «Annali dell’Istituto Super, di Scienze e Lettere di S. Chiara». Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio prof. Parascandola presenta una nota dal titolo: Lo stato attuate del Vesuvio al 23 novembre 1953 , e ne discorre. Il socio prof. A. Lazzari presenta ed illustra due note rispettivamente dal titolo : Osservazioni geo-morfologiche sulla valle del Sorrencello e sulla grotla degli Sportiglioni presso Avella ( Avellino ) e Stratigrafia di un pozzo di ricerca acquifera presso il margine sud-orientale della Piana di Catania. II socio dott.R. Sinno presenta ed illustra una nota titolo: La pericla- sia del Monte Somma. Il socio prof. Parenzan presenta e legge una nota dal titolo: Fauna del sottosuolo di Napoli (1° contributo). La seduta è tolta alle ore 18.45. Tornata ordinaria del 30 dicembre 1953 Presidente : G. D’Erasmó Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci: Mazzarelli, Sinno, Pierantoni A., Moncharmont-Zei, Lazzari, Parenzan, Imbò, Sarà, Vittozzi, Orrù, Moncharmont Ugo, Trotta, Arena, Scherillo, Casertano. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo della seduta precedente, che é approvato. Il Presidente informa l’Assemblea che il socio Pierantoni ha espresso il desiderio che le adunanze ordinarie vengano spostate in altro giorno della settimana, per consentirgli di partecipare più assiduamente all’ at¬ tività sociale. Si stabilisce, d’accordo fra i presenti, che le tornate del 1954 abbiano luogo, di regola, l’ultimo venerdì del mese. Si procede successivamente alla designazione dei revisori dei conti. Risultano nominati i soci prof. G. Mazzarelli e dott. A. Pierantoni a re¬ visori effettivi ed il socio Aldo Merola a revisore supplente. Si passi quindi alla votazione per la elezione di nuovi soci nella ca¬ tegoria degli ordinari residenti. Il Presidente fa rilevare che i posti dispo¬ nibili risultano -attualmente in numero di quattro, in seguito alla delibe¬ razione del Consiglio Direttivo di trasferire nella categoria dei non resi¬ duili i consoci De Lerrna, Patroni, e Cotecchia, che si sono trasferiti fuori della provincia di Napoli. Soci presenti e votanti 17; scrutatore il socio dott. Arena. Risulta eletto a socio ordinario residente con voti 15 su 17 il prof. Armando Fiorio, ordinario di Scienze Naturali nel 2° Liceo Scien¬ tifico di Napoli, presentato dai soci Pierantoni e Salii. Si passa infime alle comunicazioni scientifiche. Il socio dott. Arena prese. ita ed illustra uni sua nota dal titolo: Contributo alla conoscenza della biologia e citologia di una Mixo ficea del Golfo di Napoli (Lgngbga Martesiana M megli.). La sed ita è tolta alle ore 18. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1953 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Alfano Giovambattista - Prof, di Scienze naturali e Direttore dell’Osservatorio sismico del Seminario Arcivescovile. Napoli, Via Cangi a Materdei, 7 (telef. 45992). 2. Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, Corso Umberto 1°, 2 (telef. 21702). 3. Antonucci Achille - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, Via Benedetto De Falco, 14 (telef. 51474). 4. Augusti Selim - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, Via Cima- rosa, 69 (telef. 17951). 5. Sacci Guido - Dottore in Scienze naturali. Assistente nella Sta¬ zione Zoologica di Napoli, Villa Comunale. 6. Califano Luigi - Prof. ord. di Microbiologia Università Napoli, Corso Vittorio Emanuele, 88 (telef. 20301). 7. Capaldo Pasquale -Studente di Scienze Naturali, Napoli, Via Gia¬ cinto Gigante, 36. 8. Caroli Ernesto - Lib. doc. di Zoologia. Stazione Zoologica. Na¬ poli, Via Cimarosa 66. 9. Carrelli Antonio - Prof. ord. di Fisica. Università di Napoli. Piazza d’Ovidio, 6 (telef. 43313). 10. Casertano Lorenzo - Assistente nell’Istituto di Fisica Terrestre. Università di Napoli. 11. Castaldi Francesco - Libero doc. di Geografia. Napoli, Via A. Falcone, 260. 12. Catalano Giuseppe - Prof. ord. di Botanica. Università Napoli, Via Foria, 223 (telef. 41842). 13. Covello Mario - Prof, di Chimica Farmaceutica Università. Na¬ poli, Via S. Pasquale a Ghiaia 48 (telef. 11888). 14. Cutolq Costantino - Ingegnere. Napoli, Via Salvatore Di Gia¬ como (a Marechiaro) N. 24 (telef. 14470). 15. Della Ragione Gennaro - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, Via S. Pasquale a Ghiaia 29. 16. De Lorenzo Giuseppe - Prof, emerito di Geologia Università. Napoli, Via Luca da Penne, 3 (telef. 82397). 17. D’Erasmo Geremia - Prof. ord. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino 10 (telef. 21075). Vili 18. De Rosa Antonio - Doti, in medicina. Napoli, Via Nardones 14. 19. Desiderio Carlo - Doti, in Scienze Naturali. Napoli, Via Filippo Rega, 18. 20. Dohrn Rinaldo - Direttore della Stazione Zoologica. Napoli, Villa Comunale (telef. 61705). 21. Fagella Renato -- Assistente di Geografia economica Fac. Ec. e Comm. Napoli, S. Rocco di Capodimonte, Villa Faggella. 22. Florio Armando - Prof. ord. Liceo Scient. Statale 2° di Napoli. Via S. Margherita a Fonseca 23. 23. Galgano Mario - Prof. ord. d’ Istologia e di Embriologia Uni¬ versità. Napoli, Via Latilla 18 (telef. 43798). 24. Giordani Francesco - Prof. ord. di Chimica Università. Napoli, Corso Umberto I, N. 34 (telef. 20747). 25. Goggio Empedocle - Lib. doc. di Anatomia comparata e ine. di Zoologia Veterinaria Università. Napoli, Corso Vitt. Eman. 183. 26. Xmbò Giuseppe - Prof. ord. di Fisica terrestre Università e Diret tore dell’Osservatorio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, 10. 27. Ippolito Felice - Prof. ord. di Geologia applicata Università. Napoli, Via Fr. Crispi, 32 (telef. 10420). 28. La Greca Marcello - Lib. doc. di Zoologia. Università. Napoli. 29. Lazzari Antonio -- Prof. ine. di Geografia fisica Università. Napoli, Via S. Liborio, N. 1 (telef. 26658). 30. Majo Ester - Lib. doc. di Geografia fisica Università. Napoli, Corso Umberto 1°, N. 2 (telef. 21702). 31. Majo Ida - Dott. in Scienze naturali. Napoli, Via S. Anna dei Lombardi, 10. 32. Malquori Giovanni - Prof. ord. di Chimica Industriale. Napoli. Largo S. Marcellino, 10 (telef. 22904). 33. Maranelli Adolfo - Dott. in Scienze Naturali. Napoli, Corso Vittorio Emanuele, 281 (telef. 64695). 34. Mazzarelli Gustavo - Lib. doc. di Geografia fisica Università. Napoli, Via Luca Giordano, 51. 35. Merola Aldo - Assistente nell’Orto Botanico Università. Napoli, Via Foria, 148. 36. Migliorini Elio - Prof. ord. di Geografia Istituto Universitario Orientale Napoli. 37. Minieri Minervini Raffaella - Dott. in Scienze Naturali. Napoli, Via Kerbacher, 104 (telef. 17706). 38. Minieri Vincenzo - Assistente nell’Istituto di Geologia Università. Napoli, Via Kerbacher, 104 (telef. 17706). IX 39. Mirigliano Giuseppe -- Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Napoli, Via E. De Marinis 1. 40. Moncharmont Ugo - Prof, di Scienze Naturali nei Licei. Napoli, Via Aniello Falcone, 88 (telef. 13982). 41. Moncharmont Zei Maria - Assistente nell’ Istituto di Geologia Università. Napoli, Via Aniello Falcone 88 (telef. 13982). 42. Montalenti Giuseppe - Prof. ord. di Genetica Università Napoli, (telef. 24261). 43. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’Aeronautica. Napoli, Via Purgatorio ad Arco, 2. 44. Nicotera Pasquale - Assistente nell’Istituto di Geologia applicata Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16. 45. OrrÙ Antonietta - Prof. ord. Fisiologia generale Università. Na¬ poli, Rione Beisito a Posillipo, Palazzina D’Onofrio (telef. 19818). 46. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Napoli, Via Fiorentine a Ghiaia, 8 (telef. 17360). 47. Pannain Lea - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, Via Giosuè Carducci, 29 (telef. 61725). 48. Parascandola Antonio - Prof. ine. Petrografia Università. Napoli, Via Mezzocannone 99 (telef. 24486). 49. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrobiologia Università. Napoli, Via Cesare Rossarol N. 95 (telef. 56364). 50. Parisi Rosa - Prof. ine. di fisiologia vegetale Università. Napoli, Via Giuseppe Zurlo, 13 (telef. 58631). 51. Pescione Adelia - Assistente nell’Istituto di Geologia applicata Università. Napoli, Via Nuova Capodimonte, 210 (telef. 42152). 52. Pierantoni Angiolo - Chimico Laboratorio Igiene e profilassi della Provincia. Napoli, Galleria Umberto 1°, 27 (telef. 21076). 53. Pierantoni Umberto - Prof, emerito di Zoologia Università. Napoli, Galleria Umberto 1°, 27 (telef. 21076). 54. Punzo Giorgio - Prof. Scienze Naturali. Napoli, Via Mergellina, 226 (telef. 16796). 55. Quagliariello Gaetano - Prof. ord. di Chimica Biologica Uni¬ versità. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (telef. 42844). 56. Rippa Anna - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, Piazzetta Marco- niglio, 4 (telef. 52516). 57. Salfi Mario - Prof. ord. di Zoologia Università. Napoli, Via Mezzocannone 53 (telef. 23692). 58. Salvi Pasquale - Dott. in Medicina e Chirurgia. Napoli, Via Carlo Poerio, 91. X 59. Sarà Michele - Assistente nell’ Istituto di Zoologia Università. Napoli, Riviera Ghiaia 92. 60. Scherillo Antonio - Prof. ord. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (telef. 23388). 61. Sersale Riccardo - Assistente nell’Istituto di Chimica Industriale Università Napoli, Via Mezzocannone, 16. 62. Signore Francesco - Prof. ine. di Vulcanologia Università. Napoli, Via Tasso, 199 (telef. 16723). 63. Sinno Renato - Assistente nell’Istituto di Mineralogia Università. Via Solimena, 6 (telef. 71715). 64. Tarsia in Curia Isabella - Prof. Scienze nei Licei. Napoli, Corso Umberto 1°, 106 (telef. 24568). 65. Torelli Beatrice - Lib. Doc. di Zoologia. Università. Napoli, Via Luca da Penne 3 (telef. 15036). 66. V iggiani Gioacchino - Lib. docente di Ecologia agraria Università. Napoli, Via Posillipo, 281 (telef. 14325). 67. Vittozzi Pio - Assistente nell’ Ist. di Fisica Terrestre. Università, Napoli. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Arena Vittorio - Doti, in Scienze Naturali. Napoli, Via Gesù e Maria, 3. 2. Bonanno Giuseppe - Prof, di Scienze Naturali. Brindisi, Piazza S. Dionisio, 2. 3. Bruno Alessandro - Ispettore Centrale al Ministero della Pubbl. Istruz. Roma, Via Poerio, 87. 4. Candura Giuseppe - Direttore dell’Osservatorio Fitopatologico. Bolzano, Corso Armando Diaz, 15. 5. Capone Antonio - Assistente nell’ Istituto di Chimica farmac. Università. Napoli, Vico Bagnara, 11 (telef. 43202). 6. Carnera Luigi - già Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Firenze, Viale Ugo Bassi, 38. 7. Cerruti Atttilio - Direttore dell’Istituto Talassografico, Taranto Via Roma 3. 8. Costantino Giorgio - Direttore dell’Osservatorio di Fitopatologia per la Calabria. Catanzaro. 9. Cotecchia Vincenzo - Prof, incaric. di Geologia applicata nel¬ l’Università di Bari. 10. Cucuzza Silvestri Salvatore - Assistente nell’ Istituto di Vulca¬ nologia Università di Catania. 11. D’Ancona Umberto - Prof. ord. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan 6. 12. De Lerma Baldassarre - Prof, di Zoologia Università Bari. Napoli, Via Latilla, 18. 13. De Stefano Teodoro - Dott. in Scienze Naturali. Palermo, Via Alloro, 49. 14. Giordani Mario - Prof. ord. di Chimica Università. Roma, Piazza Mazzini 27. 15. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Naturali. Ischia. 16. Jucci Carlo - Prof. ord. di Zoologia Università. Pavia. 17. Laquaniti Luigi - Via S. Rocco, Trav. 5 N. 5, Palmi (Reggio Ca¬ labria). 18. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Università. Perugia. 19. Maino Armando - Docente in Fisica. Ufficio Geologico Roma, Piazza S. Susanna, 13. 20. Maini Padre Dante - Convento S. Chiara, Napoli. 21. Mendia Luigi - Assistente nell’Istituto Idraulico Fac. Ingegne¬ ria Università. Napoli, Via Mezzocannone 16. 22. Meo Fernando - Assistente nell’Istituto di Chimica Industriale. Università. Napoli. Via Mezzocannone 16. 23. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali. Napoli. 24. Monroy Alberto - Prof, di Anatomia Comparata, Università. Palermo. 25. Omodeo Pietro - Prof. ine. di Istologia Università. Siena. 26. Fasquini Pasquale - Prof. ord. di Anatomia Comparata Univer¬ sità. Bologna, Via Belmeloro 14. 27. Patroni Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Torre del Greco, Via Nazionale 198a (Villa Palombo). 28. Penta Francesco - Prof. ord. di Geologia applicata Fac. Ing. Università. Roma, Via Ferratelle 33. 29. Ranzi Silvio - Prof. ord. di Zoologia Università. Milano, Via Celoria, 10. 30. Rodio Gaetano - Prof. ord. di Botanica Università. Catania, Via Tonini a selli 19. 31. Ruffo Sandro - Assistente nel Museo Civico Storia Naturale. Verona, Lungadice Porta Vittoria 9. I - XII - — 32. Scorza Vincenzo - Assistente nell’ Istituto di Chimica Indu¬ striale Università. Napoli. Via Mezzocannone 16. 33. Sicardi Ludovico - Doti, in Chimica. Torino, Corso XI febbraio N.< 21. 34. Sorrentino Stefano - Prof, di Scienze Natur. Garbagnate (Milano). 35. Stegagno Giuseppe - Prof, di Scienze Natur. Verona, Via Gaz- zera 23. 36. Trotta Michele - Salerno, Via Papio 27. 37. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vit¬ torio Veneto (Treviso), Via Cavour 15. 38. Vighi Luciano -- Dottore in Ingegneria. Soc. Montecatini. Milano. 39. Zavattari Edoardo -- Prof. ord. di Zoologia Università. Roma, Viale Regina Margherita 326. INDICE ATTI (MEMORIE NOTE E COMUNICAZIONI) Capone A. — Una nuova tecnica applicata allo studio dei poliio duri di basi organiche quaternarie .... Parenzan P. — Osservazioni sul nuoto degli Squali Merola A. — Sul rinvenimento di Linaria reflexa Chaz. a Capri Merola A. — Fenomeni iperplastici in Gracilaria confervoid.es (L.) Grev. della laguna di Venezia (Con 1 tav. f. testo) . Sinno R. — Studio sulle così dette leuciti caolinizzate. Pierantont A. — Applicazione del metodo Bellier alla ricerca del grasso di cocco nelFolio di oliva .... Sersale R. — Sulla presenza di notevoli quantità di acido borico in acque ipertermali incontrate durante una trivella zione profonda, nella zona flegrea .... Coi'EccniA V. — Utillizzazione di un calcare cristallino della Sila per la correzione dei terreni agrari .... Ippolito F. — Primi risultati delle ricerche di acque profonde nel Tavoliere di Foggia . Lazzari A. — Stratigrafia di un pozzo di ricerca acquifera per¬ forato in località Carnuto, presso il margine sud-orien¬ tale della Piana di Catania . Majo Andreotti E. — L’ eccezionale grandinata del 16 febbraio 1948 a Napoli . Sinno R. — La periclasia del Monte Somma (Con 1 tav. f. testo) Parenzan P. — Fauna del sottosuolo di Napoli. (1° contributo) pag. 3 17 21 26 41 47 51 57 63 65 77 81 89 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ ITALIA MERIDIONALE Lazzari A. — Osservazioni geo-morfologiche sulla valle del Sor- rencello e sulla grotta degli Sportiglioni presso Avella (Avellino). (Con 1 tav. f. testo) . PROCESSI VERBALI DELLE ADUNANZE ED ELENCO DEI SOCI Processi verbali delle tornate ordinarie ...... Elenco dei Soci . . pag. 1 pag. I » VII Direttore responsabile : Prof. U. PIERANTONI Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli — I-VI-1950 ■V?>1 ‘rV . -, * . “itisi iflil r* I a . ? r . % '■ .;V V*.‘ BOLLETTINO 1 NAPOLI VOLUME LXIII ■ 1954 (Pubblicato il 30 Marzo 1955) l Tip. G. DI BLASIO — Napoli — Via Costantinopoli, 104 INDICE ATTI (MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI) Moncharmont Zei M. — La microfauna delle argille pleistoceni- che di Cutrofiano (Lecce). (Con 1 tav. f. testo) . . pag. 3 Sinno R. — Sui carbonati basici di magnesio presenti al Vesuvio. (Con 1 tav. f. testo; . » 45 Parenzan P. — Scoperta di resti scheletrici dell’uomo preisto¬ rico in una grotta presso Marina di Camerota. . . » 62 Moncharmont Zei M. — Sulla presenza del gen. Globolmncana Cush. in una serie calcareo-marnosa a liste di selce pres¬ so Rodi Garganico (Foggia). (Con 1 tav. f. testo) . » 63 Lazzari A. e Moncharmont Zei M. — Sulla presenza dell’oligoce¬ ne in località Porto Badisco, sul canale d’ Otranto, in provincia di Lecce . » 65 Parenzan P. — Contributo alla conoscenza delle elevazioni sot¬ tomarine del Golfo di Napoli. Costituzione bio-topo¬ grafica e biocenologia . » 68 Parenzan P. — Ricerche biologiche nell’ Italia Meridionale della Sez. Speleologica dell’I. R. B . » 96 Scherillo A. — La stratigrafia della zona Vomero-Arenella (Na¬ poli). (Con 3 fìg. intere, e 2 tav. f. testo) . . . » 102 Sinno R. — Un cristallo di idocrasio del Vesuvio con un in¬ solito habitus cristallino . ...» 113 Moncharmont Zei M. — Sopra una nuova spècie di Parastrophia del Quaternario della Punta delle Pietre Nere (Foggia). (Con 1 tav. f. testo) . . . . . . . . » 118 Scherillo A. — Osservazioni stratigrafiche sul sottosuolo di via Roma (Napoli). . . » 121 Merola A. — Andromonoicismo in Pruims caroliniana Ait. . » 123 De Stefani T. — Studi di stratigrafia siciliana : IV. Breve cenno sulla stratigrafia di Cerda e di Termini Imerese. . » 126 Lazzari A. — Aspetti geologici dei fenomeni verificatisi nel Sa¬ lernitano in conseguenza del nubifragio del 25-26 ot¬ tobre 1954. (Con 2 tavole f. testo) ...... 131 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE Servazzi O. — Su di un interessante micromicete cavernicolo ( Parenzania Sybillaea n. gen. n. sp.) (Con 1 tav. f. testo) pag. 1 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE, ELENCO DEI SOCI, ED ELENCO DEI PERIODICI IN CAMBIO Processi verbali delle tornate ordinarie Elenco dei Soci . . . . . Elenco dei periodici . BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ BEI NATURALISTI I3V NAPOLI VOLUME LXIII. - 1954 Tipografia G. DI BLASIO - Via Costantinopoli lOk NAPOLI 4;V ;• ■ La microfauna delle argille pleistoceniche di Cutrofiano (Lecce) Nota del socio Maria Moncharmont Zei (Con 1 tav. fuori testo) (Tornata del 29 gennaio 1954) 1. Premessa. — Questa prima nota, alla quale mi riprometto di farne seguire altre, ha lo scopo di contribuire all’ illustrazione di microfaune neogeniche e quaternarie dell’Italia meridionale, delle quali, come è noto, poco si conosce. Si può dire infatti, che, ad ec¬ cezione dei vecchi e classici studi di O. G. Costa e di Seguenza e successivamente del Fornasini, il quale in certo modo riprese gli studi del Costa per l’ Italia meridionale, manchino del tutto, per questa regione lavori sui microforaminiferi. Tali vecchi studi pe¬ raltro, hanno carattere sporadico e non organico, e non consentono, quindi, una buona utilizzazione dei dati riportati, non fosse altro perchè frequentemente le indicazioni di provenienza delle micro¬ faune sono assai vaghe ed imprecise. Attualmente, poi, in relazione alla grande importanza che ha assunto lo studio delle microfaune, non solo dal punto di vista della ricerca scientifica pura, ma anche per le applicazioni pratiche che se ne fanno specie nella geologia del petrolio, una tale mancanza si fa maggiormente sentire, sopratutto per le correlazioni che sarebbe possibile stabilire fra i sedimenti coevi delle varie regioni italiane, ottenendo con ciò anche la possibilità di utili deduzioni di carat¬ tere paleogeografico. Bisogna aggiungere che spesso, la mancanza o la scarsezza di altri elementi faunistici, ad esempio malacofaune, può lasciare in¬ certi su varie questioni di carattere stratigrafico, nelle quali talvolta si è indotti in errore da spiccate analogie litologiche. Così, infatti, è avvenuto un po’ dappertutto in Italia per il Pliocene inferiore e medio e per il Pleistocene, là dove non intervenivano altri ele¬ menti per dirimere i dubbi. I risultati degli studi microfaunistici cominciano a rendere evidente che gran parte delle formazioni ar¬ gillose delPItalia meridionale, fin qui ritenute plioceniche, debbono essere invece più propriamente attribuite al Pleistocene. miém . — 4 — 2. Cenni geologici. — La microfauna studiata nella presente nota proviene da argille leggermente sabbiose, di colore azzurro¬ gnolo, e talvolta giallastro per ossidazione, che si rinvengono a eu¬ trofia no, nella parte meridionale della provincia di Lecce, ai piedi delle Serre salentine : esse sono sottoposte ad un complesso di tufo calcareo ( zuppigno , càrparo , màzzaro, secondo i nomi locali) della potenza di pochi metri. Tali condizioni di giacitura sono ana¬ loghe a quelle che si verificano in altre località della stessa provincia e di quelle limitrofe, e sono evidentemente il risultato di analoghe condizioni paleogeografiche, determinatesi per l’intera Penisola Sa- lentina. Questa, come è noto, dopo l’emersione dal mare meso¬ zoico, non è stata più interessata da movimenti verticali di note¬ vole ampiezza, nè ha più subito una generale sommersione. Per quanto sia accertata la presenza di quasi tutti i termini stratigrafici successivi al Cretaceo superiore (1), pure si può agevol¬ mente riconoscere la scarsa potenza che i terreni post-mesozoici assumono dappertutto, appunto in conseguenza dei limitati movimenti di sommersione verificatisi. Un altro importante fattore deve essere qui ricordato, e cioè che di solito, dopo la prima emersione di quell’area, i successivi sedimenti si sono sempre formati a spese dei calcari organogeni e- mergenti dal mare ; nel complesso, quindi, si è avuto una persi¬ stenza di questa facies, con la ripetizione, talvolta fino all’iden¬ tità, degli stessi tipi lit logici. La presenza di ridotti orizzonti ar¬ gillosi come appunto quello di Cutrofiano, deve essere quindi messa in relazione con particolari condizioni che hanno consentito l’arrivo nella zona di quel materiale sedimentario. Così ad es., nessuna apprezzabile differenza litologica è dato osservare fra i calcari del Cretaceo superiore e quelli dell’Eocene e dell’Oligocene. Considerazioni analoghe si possono fare per i tufi calcarei, la cui formazione si è ripetuta tanto nel Pliocene quanto nel Quaternario. Anzi, è proprio in questi ultimi termini stratigra¬ fici, che lo studio delle microfaune contenute nei livelli argillosi, di limitata potenza, appare di notevole interesse per stabilire la (1) A questo proposito va notato come, per quanto dalle carte geologiche ufficiali non risulti la presenza dell’ Oligocene, pure i terreni di tale periodo sono largamente rappresentati, specialmente nella porzione meridionale della provincia di Lecce. - i - m - 5 - posizione stratigrafica dei tufi sovrastanti, specie quando in questi non sia dato rinvenire malacofaune sufficientemente indicative, an¬ che perchè spesso ridotte a modelli interni. A questo proposito ricorderò che già O. G. Costa aveva for¬ nito elementi sulle microfaune delle argille di Lucugnano (anche qui sottoposte ai tufi) ma le notizie date a questo proposito nella sua fondamentale opera sulla Paleontologia del Regno di Napoli, non mi sembrano utilizzabili ai fini della datazione di quei sedi¬ menti. Quanto poi alla possibilità di confusione tra le argille di varia età, basandone la determinazione sul solo carattere litologico, ba¬ sterà ricordare come le argille affioranti presso Galatina, a circa 10 km. a NNW di Cutrofiano, risultano plioceniche secondo la carta geologica ufficiale (F° 214, Gallipoli) mentre gli accurati studi del De Franchis (1) (2) le hanno giustamente ascritte al Pleistocene in base alla percentuale delle specie tutt’ora viventi ed alla presenza di Cyprina islandica L. e di altre forme artiche. Le argille di Cutrofiano, come pure quelle già citate di Lucu¬ gnano, sono largamente utilizzate per la fabbricazione di tegole, di stoviglie ecc. e vengono cavate in sotterraneo attraverso pozzi pra¬ ticati nel banco di tufo sovrastante. Come sarà meglio precisato nelle conclusioni della presente nota, un notevole contributo alla datazione deila microfauna qui studiata viene dalla presenza di alcune specie che caratterizzano un ambiente freddo, il quale richiamerebbe ridea di un mare notevol¬ mente profondo. D’altra parte le condizioni di giacitura dei sedi¬ menti marini meno antichi, sia pliocenici che quaternari, mostrano con certezza che non doveva trattarsi di un mare profondo e con¬ seguentemente freddo, ma piuttosto di un mare la cui temperatura, relativamente bassa, deve essere messa in rapporto con gli eventi climatici propri del Quaternario inferiore. 3. Descrizione della fauna. — L’argilla di Cutrofiano si disgrega assai facilmente in acqua senza ricorrere all’ebollizione. Il residuo del lavaggio, su setaccio di 4000 maglie per cm.1 2, risulta (1) De Franchis F., Ricerche sui terreni del Bacino di Galatina (prov. di Terra d’ Otranto). Boll. Soc. Gecl. It., voi. XVIII, fase. 1, pag. 122. Roma, 1897. (2) — — Descrizione comparativa dei molluschi post-pliocenici del bacino di Galatina . Boll. Scc, Malac. It., voi, XIX, Pisa, 1895, — 6 — costituito quasi esclusivamente da Foraminiferi e da abbondanti Ostracodi a superficie esterna liscia o variamente ornamentata. Si no¬ tano anche colonie di Briozoi, frammenti di piccoli Lamellibranchi e Gasteropodi, radioli di Echini, frustoli di vegetali carbonizzati. Il residuo sabbioso vero e proprio è assai scarso. Allo scopo di fornire un’idea della composizione complessiva della microfauna, ne viene data una fotografia d’insieme, all’ingran¬ dimento di circa 15 diametri, dalla quale si rileva la particolare frequenza di alcune forme : Elphidium crispum (L.), Pyrgo vesper¬ tilio (Schlum.), Quinqueloculina seminula (L.), Sigmoilina celata (Co¬ sta), Virgulina schreibersiana Czjzek, Rotalia beccarii (L.), Bulimina gibba (Fornasini), Elphidium lidoense Cush., Glandulina laevigata d’Orb. Fam. TEXTULARIIDAE Textularia gramen d’ Orb. P* Orbigny, A., Foramin. foss. du bussili tert. de Vienne, p. 248, tav. 15, figg. 4-6. Paris, 1846.] Guscio cuneiforme con pareti arenacee, composto generalmente di poche camere, che aumentano rapidamente in larghezza. Margine laterale acuto, suture poco distinte, apertura allungata alla base del bordo interno deU’ultima camera. Frequente. Vivente da 55 a 4.250 m. : .. . > ' ; ”, .. -7 — * è ' Bigenerina nodosaria d’ Orb. [D’ Orbigny, A., Tabi. méth. de la Classe des Céphalopodes. Ann. des Sciences Nat., voi. VII, p. 261, N. 1, tav. XI, figg. 9-12. Paris, 1826.] Guscio di forma allungata, subcilindrica, con la prima porzione biseriale, alquanto compressa, cui segue una porzione uniseriale cilindrica. Suture distinte. Le camere della parte iniziale sono nu¬ merose. Nell’ unico esemplare della mia fauna la prima porzione, biseriale, fa un angolo di circa 130° con quella successiva. Rara. Vivente da 110 a 620 m. — 7 — ■ Fam. MILIOLIDAE Quinqueloculina seni imi la (L.) [Linneo, C., Systema naturae, ed. X, pag. 786. Holmia, 1758 (Serpula).] Guscio allungato, porcellanaceo, con margine arrotondato, su¬ perficie liscia ; F apertura, all’ estremità di un cortissimo collo, è ^fornita di un sottile dente. Frequente. Vivente fino a 5.500 m. Quinqueloculina venusta Karrer [Karrer, F., Die Miocene F or amini feren-Fauna von Kostej im Banat. Sitz. d. k. Akad. Wiss., voi. LVIII p. 147, tav. II, fig. 6. Wien, 1868.] Guscio di forma allungata, con le tre ultime camere subcari- nate. L’ apertura è posta su un corto prolungamento dell’ ultima camera. Questa specie sta generalmente a caratterizzare acque pro¬ fonde. Frequente. Vivente da 3.250 a 4.900 m. Spiroloculina excavata D’Oib [D’ Orbigny, A., Foraminifères foss. du Bassin tertiaire de Vienne , p. 271, tav. 16, figg. 19-21. Paris, 1846.] Ascrivo a questa specie alcuni esemplari che si presentano com¬ pressi, con profonda escavazione al centro a ragione del crescente spessore delle camere man mano che si aggiungono. L’ apertura presenta un dente largo, robusto. Rara. Vivente da 180 a 760 m. Sigmoilina asperula (Karrer) [Karrer, F., Die Miocene Fora niniferen-Fauna von Kostej in Banat. Sitz. d, k. Akad. Wien, voi. LVIII, p. 136, tav. I, fig. 10. Wien, 1868 (Spiroloculina).] Guscio più lungo che largo, lenticolare, periferia arrotondata ; numerose camere disposte in linea sigmoidale, suture piuttosto in¬ distinte ; pareti calcaree non perforate, ricoperte da materiale are¬ naceo fine ; apertura quasi circolare. Rara. Vivente da 30 a 980 m. C ; : • •• Sigmoilina celata (Costa) [Costa, O. G., Foraminiferi fossili della Marna blu del Vaticano. Mem. Accad. Se. Napoli, voi. 2, pag. 126, tav. I, fig. 14. Napoli 1855 - 57 (Spiroloculina).] È noto che spesso è stata confusa la S. celata con la S. schlum- bergeri per la somiglianza del guscio di forma ovale e con super¬ ficie rugosa. I numerosi esemplari rinvenuti mi hanno permesso un perfetto confronto. La forma più ovale, la superficie finemente rugosa, la mancanza di suture distinte e la presenza di un piccolo collo, mi consentono di attribuirli alla S. celata (Costa). Tale deter¬ minazione è stata avvalorata dal confronto diretto con i tipi di Costa conservati presso l’ Istituto di Geologia di Napoli. Frequente. Vivente da 51 a 2.782 m. Triloculina oblonga (Montagu) [Montagu, G., Test. Brit., or naturai hist. of Brit. shells, ecc. pag. 522, tav. 14, fig. 9. Romsey, 1803 ( Vermiculum). ] Guscio poreellanaceo, allungato, a sezione trasversa triangolare; si distinguono tre camere, Fultima delle quali si presenta più lunga delle altre. Suture distinte e depresse. Apertura ovale con un dente semplice o talvolta bifido. Poco frequente. Vivente da 1.600 a 1.800 m. Pyrgo depressa (d’ Orb.) P’ Orbigny, A., Tableau métliodique de la classe des Céphalopodes. Ann. Sci. Nat., s. 1. tome 7, p. 298. Paris, 1826 (Biloculina). ] Si tratta di esemplari di medie dimensioni con guscio depresso, a contorno quasi circolare o talvolta leggermente ellittico, margine sottile e largo, apertura sottile ed allungata. Frequente. Vivente da 48 a 3.345 m. Pyrgo elongata (d’ Orb.) [D" Orbigny, A., Tableau méth. de la classe des Céphal. Ann. Se. Nat., voi. VII, p. 248, N. 4. Paris, 1826 (Biloculina).] Guscio allungato, piuttosto piriforme, che si assottiglia graduai- — 9 — mente verso 1’ apertura ed è largamente arrotondato dal lato oppo¬ sto; margine periferico arrotondato; suture distinte. I miei esemplari, pur dimostrando una certa variabilità, sono perfettamente rispondenti alle forme designate dai vari AA. con tale nome. A proposito, si veda Fornasini C., Indice critico delle Biloculine fossili d’Italia. Mem. Acc. Se. Istit. Bologna, Tomo IV, s. VI, 1907. Frequente. Vivente da 910 a 2.200 m. Pyrgo vespertilio (Sellimi!.) [Schlumberger, C., Révision des Biloculines des grands fonds. Mém. Soc. Zoo). France, tome 4, p. 561, tav. 10, fig. 74- 76. Paris, 1891 (Biloculina). ] Ascrivo a questa specie numerosi esemplari che rispondono pienamente alla figura riportata dal Brady (tav. II, fig. 8), secondo la revisione di Thalman. Si tratta di esemplari quasi sferoidali, nei quali la penultima camera è molto prominente rispetto a quella successiva. Apertura allungata con un dente piatto, che all’ estre¬ mità si slarga in due lobi arrotondati. Le figure date da Schlumberger mostrano, lungo la sutura fra le ultime due camere, una piccola bordura ondulata che manca invece nei miei esemplari. La specie tipica proviene dal golfo di Guascogna, dalla profondità di m. 1.850. Molto frequente. Vivente fino a 3.404 m. Fam. OPHTALMIDIIDAE Cornuspira involvens (Reuss) [Reuss, A. E., Neue Foraminiferen aus dea Schichten des Oster. Tertiàrbeckens. K. Akad. Wiss., Math-Nat. Cl. Denksch., parte I, pag. 370, tav. 46, fig. 20. Wien, 1850 (Operculina).] Ascrivo a questa specie un solo esemplare che si presenta ti¬ picamente costituito da un proloculo e da una seconda camera che si avvolge in forma pianispirale. Rarissima. Vivente in acque generalmente basse e calde, anche tropicali (161 m.), ma può rinvenirsi talvolta in acque profonde fino a 850 m. Cornuspira foliacea (Philippi) [Philippi, R. A., Enumeratio mollusc. Siciliae curri viventium ecc. voi. II, pag. 147, tav. 24, fig. 26. Halle, 1844 (Orbis). ] Soltanto pochi frammenti ben riconoscibili posso attribuire a questa specie tuttora vivente e con distribuzione da 384 a 2.157 m. Fam. LAGENIDAE Robulus serpens (Seg.) [Seguenza, G., Le formazioni terziarie della prov. di Reggio (Calabria), Atti R. Accad. Lincei, s. Ili, voi. VI, pag. 143, tav. XIII, fig. 25. Roma, 1880 ( Robulina).] Ascrivo a questa specie un solo esemplare, che si presenta ca¬ ratteristicamente con le linee suturali angolose, come nella tipica specie descritta da Seguenza. Il margine è arrotondato ma non molto largo e privo di carena. Rarissimo. Darbyella nitida Ten Dam e Reinhold [Ten Dam, A. e Reinhold, T., Oti foraminifera from thè Netherlands ; N. 1. The genus Darbyella and its species. Geol. en Mijnb’ s, n. 8., Jaarg. 3, N. 4, p. 110, tav. 1, fig. 2, 2a . Gravenhage, 1941.] Guscio strettamente avvolto, che diventa evoluto da un lato ; ultima camera notevolmente sviluppata ; periferia arrotondata con indizio di carena. L’ ultimo giro è formato da sei camere piuttosto rigonfie, specialmente sul lato ventrale ; suture depresse. Nel com¬ plesso i caratteri risultano quelli della D . nitida come stabiliti da Ten Dam e Reinhold per gli esemplari provenienti dall’ Oligocene medio di Winterswijk (Olanda). Rarissima. Dentalina communis (d’Orb.) [D’ Orbigny, A. D., Tableau méthodique de la classe des Céphalopodes. Ann. Se. Nat. ser. II, VII, p. 254, n. 35. Paris, 1826 (Nodosaria). ] Guscio allungato, alquanto sottile ed appiattito. Camere liscie con linee suturali oblique, chiare e depresse. Apertura raggiata alla estremità dell’ ultima camera, che è alquanto rigonfia. Rara. Vivente da 130 a 2.950 m. — 11 — Dentalina consobrina d’ Orb. [D’ Orbigny, A. D., Foraminifères fossiles du bassin tertiaire de Vienne ( Autriche ), pag. 46, tav. 2, fig. 1-3. Paris, 1846.] Ascrivo a questa specie un esemplare poco arcuato, costituito da camere di diametro pressoccbè costante, ma di varia lunghezza. La camera iniziale è quasi globulare, con un diametro maggiore della seconda, ed è provvista di una spina all’ estremità. È facil¬ mente distinguibile dalla D. communis per 1’ insieme dei caratteri. Rara. Vivente da 236 a 2.520 m. Dentalina mucronata Neug. [Neugeboren, J. J., Die Foram. aus d. Ordnung der Stichostegier von Ober-La- pugy in Siebenburgen. K. Akad. Wiss., Matk.-Nat. Cl. Denkschr., Bd. 12, Abth. 2, p. 83, tav. 3, figg. 8- 11. Wien, 1856.] Guscio di forma allungata, alquanto curvo, leggermente appiat¬ tito all’ estremità iniziale, mentre l’ultima camera è conica. Suture oblique e profonde. Apertura raggiata. Raro. Vivente da 650 a 4.700 m. Lagena clavata (d’ Orbigny) [D’ Orbigny, A., Foramin. foss. du Bassin tert. de Vienne, p. 24, tav. 1, fig. 2, 3. Paris, 1846 (Oolina),\ Guscio a forma di clava, con un lungo collo, alla cui estremità si apre la bocca circolare, con labbro fialino. Sezione trasversale quasi circolare. Parete sottile e trasparente. Rara. Vivente da 48 a 1.638 m. Lagena curvilineata Balkwill e Wright [Balkwill, F. P. e Wright, J., Recent Foraminifera of Dublin and Wicklow. Proc. R. Irish Acad., s. 2, voi. Ili, pp. 545-550. Dublin, 1882.] Guscio a forma di fiasco, con superficie ornata da strie sottili e meandriformi con andamento molto vario. Rarissima. Vivente, segnalata rare volte e solo fino a 110 m. . 12 — Lagena exagona (Williamson) [Williamson, W. C., Oli thè recent British species of thè genus Lagena. Ann. Nat. Hist., s. II, voi. 1, pag. 20, tav. 2, fig. 23. London, 1818 ( Entosolenia ).] Guscio piriforme, con margine basale arrotondato; apertura si¬ tuata all’ estremità di un corto collo ; superficie ornata da un reti¬ colo esagonale. Poco frequente. Vivente da 50 a 3.140 m. Lagena fasciata (Egger) [Egger, J. G., Die Foraminiferen der Miocàn-Schichten bei Ortenburg in Nieder- Bayern. Neues Jahrb. Min., Geogn. Geol., pag. 270, tav. 5, figg. 12-15. Stuttgart, 1857 (Oolina).] Guscio ovale, talvolta quasi piriforme, tipicamente caratteriz¬ zato da due fasce longitudinali provviste di pori, che decorrono parallelamente ai margini. La bocca si apre in una stretta fessura, che si trova lungo il margine anteriore. Il sifone, ben visibile, è piuttosto corto. Rara. Vivente da 10 a 900 m. Lagena laevis (Montagu) [Montagu, G., Testacea Britannica, or naturai history of British shells, ecc., p. 524. Romsey, 1803 ( Vermiculum ). — Walker, G. e Boys, W., Testacea minuta rara, ecc., pag. 3, tav. 1, fig. 9. London, 1874.] Specie poco frequente, rappresentata da piccoli esemplari con guscio trasparente e molto sottile a sezione trasversale circolare. Il margine basale presenta talvolta delle piccole e corte spine. Rara. Vivente da 1.260 a 2.053 m. Lagena lagenoides (Will.) [Williamson, W. C., On thè recent foratninifera of Great Britain, pag. 11, tav. 1, figg. 25 - 26. London, 1858 (Entosolenia).] Ho trovato un solo esemplare attribuibile a questa specie. Esso presenta guscio molto compresso, di forma ovale, con un corto collo. Una larga carena circonda lateralmente il guscio, compreso — 13 — il collo, provvisto di labbro, che sporge appena. Nella camera si notano numerosi ispessimenti che si dipartono dalla parete e rag¬ giungono quasi il margine esterno della carena. Rarissima. Vivente da 740 a 4.150 m. Lagena lateralis Cushman [Cushman, J. A., Foram. North Pacific Ocean. U. S. Nat. Mus., Bull. 71, pt. 3, s. 9, tav. 1, fig. 1. Washington, 1913. ] Ho ritrovato un solo esemplare attribuibile a questa specie, che, peraltro, ha grande varietà di forma. Esso presenta guscio o- voidale, slanciato, senza alcuna carena. L’apertura allungata, è co¬ perta dorsalmente da un tratto che sporge a forma di unghia. Il sifone, bene sviluppato, si estende lungo il lato dorsale per circa due terzi della lunghezza del guscio. Rarissima. Vivente da 10 a 900 m. Lagena pseudoorbignyana Buchner [Buchner, P., Die Lagenen des Golfes von Neapel, ecc. Nova Acta Leopoldina, B. 9, 62, p. 460, tav. 10, figg. 157-160. Halle, 1940.] Guscio di forma ovoidale, talvolta più tondeggiante, piuttosto depresso. Il margine è provvisto di una carena sottile, bene svi¬ luppata, lateralmente alla quale decorrono due gronde longitudinali provviste esternamente di un margine rilevato. L’ apertura è sottile ed allungata, circondata da un labbro. Rara. Vivente da 60 a 450 m. Lagena semistriata Will. [Williamson, W. C., Ori thè recent BritisE species of thè genus Lagena. Ann. and Mag. Nat. Hist., s. 2, voi. I, p. 1, figg. 9-10. London, >-1848. ] Guscio costituito da una camera piriforme, con la base tronca. L’ estremità opposta si prolunga in un lungo collo con labbro fia- lino. La porzione inferiore è ornata da poche coste longitudinali, acute. Rara. Vivente da 46 a 200 m. — 14 — Lagena staphyllearea (Schwager) [Schwager, C., Fossile Foraminiferen von Kar Nikobar. Geol. Theil., Bd. 2, pag. 209, tav. 5, fig. 24. Wien, 1866 ( Fissurina ).] Guscio compresso, di forma ovale. Il margine presenta di so¬ lito una distinta carena con alcune spine disposte simmetricamente nella porzione basale. Rara. Vivente da 1.500 a 4.950. Lagena sulcata (Walker e Jacob) [Walker, G. e Jacob, E. : iti Kanmacher, F., Adams Essays on thè microscope, pag. 634, tav. 14, fig. 5. London, 1798 (Serpula).] Pochi esemplari posso attribuire a questa diffusa specie. Essi presentano guscio subgloboso, con un lungo collo cilindrico. Nu¬ merose e ben distinte coste percorrono tutta la superficie ed alcune di esse si continuano, avvolgendosi a spirale, anche lungo il collo. Poco frequente. Vivente da 0 a 5.027. Fam. POLYMORPHINIDAE Polymorphina, lactea (Walker e Jacob) var. oblonga Williamson [Williamson, W. C., On thè recent foraminifera of Great Britain, pag. 71, tav. 6, fig. 149. London, 1858]. Posseggo un solo minutissimo esemplare attribuibile sicuramente a questa specie per la forma ovale allungata, per P appiattimento e per la caratteristica disposizione delie camere, che sono lunghe e strette e disposte in serie alternate. L’ apertura è rotonda e rag¬ giata. Suture depresse e ben distinte. Rara. Vivente. Glandulina laevigata d’ Orb. [D’ Orbigny, A., Tabi. méth. de la classe des Céphalopodes. Ann. Se. Nat., 8. 1, tome 7, pag. 252, tav. 10, figg. 1-3. Paris, 1826.] Posseggo molti esemplari appartenenti a questa specie. Il gu¬ scio si presenta liscio, formato da camere che si sovrappongono, - 15 - inviluppandosi parzialmente. L’ ultima camera, libera, costituisce da sola gran parte del guscio ; alla sua estremità si trova 1’ apertura raggiata. La porzione iniziale è acuminata e fornita di corte spine. Frequente. Vivente da 12 a 2.513 m. Glandulina rotundata Reuss [Reuss, A. E., Neue Foraminiferen aus den Schichten den Osterreichischen Ter- tiàrbeckens. K. Akad. Wiss. Math. -Nat. Cl., Denkschr., Bd. 1, p. 366, tav. 46, fig. 2. Wien, 1850.] Distinguo dalla G. laevigata alcuni esemplari che si presen¬ tano con il margine basale meno acuminato e mancante totalmente delle tipiche spine. Gli esemplari rispondono esattamente a quelli illustrati dal Brady come G. rotundata Reuss (tav. LXI, figs. 17-19). Frequente. Vivente da 58 a 2.479 m. Globulina minuta (Roemer) [Roemer, F. A., Die Cephalopoden des Nord-Deutschen tertidren Meersandes. Neues Jahrb. Min. Geogn. Geol. Petref.-Kunde, p. 386, tav. 3, fig. 35. Stuttgart, 1838 ( Polymorphina ).] Piccoli gusci a forma ovoidale, alquanto appuntiti all’estremità orale. Camere poco rigonfie. Rarissima. Vivente. Fam. NONIONIDAE Nonion pompilioides (Fichtel e Moli) [Fichtel, L. e Moi.l, J. P. C., Testacea microscopica aliaque minuta ex generibus Argonauta et Nautilus, p. 31, tav. 2, figg. a - c. Wien, 1738 (Nautilus).] Guscio involuto, pianispirale, formato da 10 camere non ri¬ gonfie. Le suture, ben visibili, sono larghe, lisce e non rilevate. L’ ombelico si presenta profondamente incavato. La superficie è grossolanamente perforata. Margine molto arrotondato, F ultima ca¬ mera, bassa e larga, presenta alla base 1’ apertura costituita da una lunga fessura curva. I miei esemplari rispondono perfettamente a quelli figurati nella Monografia di Cushman (tav. 5, figs. 11-12). Raro. Vivente da 100 a 3.716 m. - 16 - Elphidium advenum (Cushman) [Cushman, J. A., Shallow-water foraminifera of thè Tortugas region. Carn. Inst. Wash., N. 311 (Dept. Mar. Biol., Papers, voi. 17, pag. 56, tav. 9, figg. 11-12) Washington, 1922 (Poly stornella). ] Posseggo numerosi esemplari di questa specie di medie dimen¬ sioni, compressa, e dalla periferia alquanto acuta. La regione om¬ belicale si presenta depressa e con un deposito di sostanza calca¬ rea, che però non sporge rispetto alla superficie laterale del guscio. Per il complesso dei caratteri, il mio materiale è perfettamente identificabile con le figure fornite da Cushman nella monografia della famiglia. (Tav. 16, figg. 31-35). Frequente. Vivente da acque poco profonde fino a 2.897 m. Elphidium crispum (L.) [Linneo, C., Systema naturae, ed. 10, p. 709. Holmia, 1758 ( Nautilus ).] Questa specie è molto diffusa nella fauna in esame. Gli indi¬ vidui, ben sviluppati e perfettamente conservati, permettono un preciso confronto con la specie tipica. Il guscio, lenticolare, è completamente involuto, con regione ombelicale di medie dimen¬ sioni, variamente sporgente e fornita di 10-12 piccoli tubercoli arrotondati. Le camere, sempre numerose, sono poco rigonfie con suture molto arcuate, quasi sigmoidali. Molto bene evidenti i pro¬ cessi retrali. La eccezionale abbondanza di questa specie nel mio materiale sta a dimostrare che si tratta di un sedimento di mare poco pro¬ fondo, conformemente a quanto è stato accennato nella introdu¬ zione. Abbondantissimo. Vivente da 0 a 650 m. Elphidium lidoense Cush. [Cushman, J. A., Some new species of Elphidium and related genera. Contr. Cush. Lab. Foram. Res., voi. 12, p. 86, pi. 15, fig. 6. Sharon, Mass., 1936.] Guscio poco compresso, con camere distinte e leggermente ri¬ gonfie, circa 10 nell’ ultimo giro. Suture poco profonde, che si slargano verso il margine più interno. L’ area ombelicale presenta - 17 - numerosi tubercoli. Margine periferico arrotondato. L’ apertura di forma semiellittica, è alla base delia faccia aperturale. Frequente. Vivente. Elphidium macellum (Fichtel e Moli) var. aculeatum (Silvestri). [Fichtel, L. e Moll, J. P. C. - Testacea Microscopica, ecc. pag. 66, tav. 10, figg. e - k. Wien, 1803 ( Nautilus ). — Silvestri, A., Appunti sui rizopodi reti¬ colati, della Sicilia, Atti e Rend. R. Accad. Sci. Lett. Arti Zelanti Acireale, Cl. Sci. n. s„ voi. 10, mem. 7, p. 45. Acireale, 1901.] Guscio lenticolare, completamente involuto, con regione ombe¬ licale piatta e margine periferico acuto, fornito di piccola carena, che in corrispondenza della sutura si prolunga in sottili spine. Ritengo pertanto di ascrivere alla varietà di Silvestri il mio esemplare. Rarissimo. Vivente. Elphidium selseyensis (Heron-Allen e Earland) Cushman [Heron-Allen, E. e Eari.and, A., Journ. Roy. Micr. Soc., p. 695, n. 215, tav. 21, fig. 2. London, 1909 ( Polystomella striatopunctata (Fichtel and Moll) var. Heron-Allen and Earland. — id. id. On thè Recent and fossil foraminifera of thè shore - sands of Selsey Bill, Sussex ; Part Vili. Roy. Micr. Soc., Journ., p. 448. London, 1911 (var. selseyensis). — Cush¬ man, J. A., A monograph of thè Foraminifera fam. Nonionidae. Geol. Survey Profess. Paper, 191, pag. 59, tav. 16, figg. 26-28. Washington, 1939.] Attribuisco a questa specie un solo esemplare che si presenta con guscio costituito da poche camere rigonfie, margine spesso ar¬ rotondato ed alquanto lobulato. Nel complesso, il mio esemplare è quasi identico alla figura 2a di Heron-Allen e Earland, per quanto non si riescano a distinguere le camerette dell’ area ombelicale di cui parlano gli Autori. Rarissimo. Vivente. Nonionella turgida (Will.) [WlLLiAMSON, W. C., On thè recent Foraminifera of Great Britain. pag. 50, tav. 4, figg. 95 - 97. London, 1858 (Rotalina).] Guscio più lungo che largo, molto compresso, con camere di¬ stinte, che aumentano rapidamente in grandezza. L’ ultima camera molto rigonfia, presenta, nella faccia ventrale, un prolungamento che si estende sull’ area ombelicale. Suture distinte, non depresse. Questa specie vivente nei mari freddi viene segnalata fino a circa 2.000 metri di profondità a Sud-Ovest dell’ Irlanda e sta nor¬ malmente ad indicare un ambiente freddo. Rara. Vivente da 20 a 2.970 m. Fam. BULIMINIDAE Robertina subteres (Brady) [Brady, H. B., Notes on some of thè reticularicin Rhizopoda of thè Challenger Expedit. P. III. Quart. Journ. Micr. Se., n. 8., voi. 21, p. 55. London, 1881 (Bulimina).] Guscio allungato, quasi appuntito nella porzione iniziale, con camere ben distinte, anch’ esse molto allungate. Suture poco de¬ presse, apertura stretta ed un po’ obliqua, leggermente più larga al- F estremità superiore. Gli esemplari presentano notevoli affinità con la R. artica d’ Orb., dalla quale tuttavia si differenziano per la forma generalmente più affusolata del guscio e delle singole camere. Rara. Vivente da 50 a 2.050 m. Bulimina gibba (Fornasini) [Fornasini, C., Contributo a la conoscenza de le Bulimine adrìatiche. R. Acc. Se. Ist. Bologna - Mem. Se. Nat., ser. V, tomo 9, p. 378, tav. 0. figg. 32-34. Bologna, 1901-1902.] Specie molto frequente nelle argille di Cutrofiano. Guscio gra¬ dualmente assottigliantesi verso la porzione iniziale, che è quasi triangolare in sezione trasversa. Camere ben distinte, ad avvolgi¬ mento triseriale, suture depresse. La porzione iniziale della con¬ chiglia presenta piccole spine. Apertura a forma ovoidale con un sottile labbro. Questa specie molto vicina alla B. acanthia Costa, si distingue tuttavia da questa per la mancanza delle tipiche sporgenze marginali. Frequentissima. Vivente. - 19 - Angulogerina anguiosa (Williamson) [Williamson, W. C., Oti thè recent forarninifera of Great Britain. Ray Soc. London, p. 67, tav. 5, fig. 140. London, 1858. (JJ viger ina).) I rari esemplari che ascrivo a questa specie di Williamson ri¬ spondono perfettamente ai caratteri del tipo. Di forma allungata, è composta da molte camere distribuite triserialmente, le quali presentano il margine esterno acuto, sì che, se esaminata in sezione trasversale, il guscio si presenta triangolare. La parete delle camere è ornata da numerose coste. L’ apertura è situata all’ estremità di un corto colio provvisto di labbro. Rara. Vivente da 122 a 3.314 m. ■ ' ■ - . •- ' ‘ • ' Uvigerina peregrina Cushman [Cushman, J. A., The forarninifera of thè Atlantic Ocean. Part IV Lagenidae. U. S. Nat. Museum, Bull. 104, p. 166, tav. 42, figg. 7 - 10. Washington, 1923.] Alcuni esemplari che ascrivo a questa specie sono caratteri¬ sticamente rispondenti alle fig. 9 e 10 date da Cushman. Essi si presentano allungati secondo il rapporto di 2,5 rispetto alla lar¬ ghezza massima. Le camere appaiono rigonfie e costulate. Le suture depresse. L’apertura, circolare e con labbro fialino, è all’estremità di un corto collo. La specie, quando molto frequente, è considerata indicativa per il Pleistocene. Frequente. Vivente da 27 a 4.300 m. Virgulina complanata Egger [Egger, J. G., Foraminiferen aus Meeresgrundproben ecc. Abhand. Kòn. Akad. Wiss., Cl. II, voi 18, p. 292, tav. 8, figg. 91 - 92. Munchen, 18?!^ Guscio diritto, allungato e slanciato, formato da numerose ca¬ mere (9-11) più o meno rigonfie che si presentano ritorte spe¬ cialmente nella prima porzione. Nel secondo tratto sono distinta- mente biseriali. Suture oblique e depresse. Apertura allungata e larga. Questa specie sta a dimostrare un habitat piuttosto freddo ed ha una distribuzione batimetrica fino ad oltre 4.000 m. Nei bacino del Mediterraneo è comparsa all’ inizio del Calabriano. Poco frequente. Vivente fino a 4.000 m. - 20 - Virgulina schreibersiana Czjzek [Czjzek, J., Beitrage zur Kenntniss der fossilen Foramin. des Wiener Beckens. Haidinger Naturwiss. Abhand., voi. 2, p.ll, tav. 13, figg. 18-21. Wien, 1867.] Guscio affusolato, formato da camere allungate e rigonfie, di¬ sposte a spira nel primo tratto, mentre le ultime quattro sono a disposizione biseriale. Suture depresse. Abbondante. Vivente da 180 a 5.400 m. Bolivina pseudoplicata Heron-Allen e Earland [Heron-Allen, E. e Earland, A., The foraminifera of thè Plymouth district. Part I. Roy. Micr. Soc. Journ., ser. 3, voi. 50, p. 81, tav. 3, figg. 36 - 40. London, 1930.] È questa una specie poco frequente nella mia fauna. Gli esem¬ plari trovati mi hanno tuttavia permesso un perfetto confronto con la specie tipica. I gusci, molto piccoli, hanno forma tozza, con mar¬ gine subacuto o talvolta quasi rotondo. Le camere, alquanto rigonfie, presentano un rilievo centrale che si prolunga verso 1’ indietro. Questa specie, considerata rarissima nel Quaternario della Valle padana, è più volte segnalata nel Pleistocene delle Isole britanni¬ che e dell’ Irlanda. Poco frequente. Vivente da 13 a 1.371 m., lungo le coste deli’ Irlanda. Fam. ROTALIDAE Spirillina vivipara Ehremberg [Ehremberg, Ch. G., Verhreitung und Einfluss des mikroskopischen Lehens in Sud- und Nord- America. Abhandl. d. k. Akad. d. Wissensch. p. 442, pi. 3, fig. 41. Berlin, 1841.] Guscio planispirale, formato da un proloculo e da una seconda camera tubolare avvolta a giri contigui. L’ apertura è rappresentata dall’ estremità della camera tubolare. La superficie è fittamente per¬ forata. Rara. Vivente fino a 1.115 m. - 21 - Patellina corrugata Will. [Williamson, W. C., On thè recent Foramin. of Great Britain, pag. 46, tav. Ili, fig/. 86-89. London, 1858.] Gì /scio conico, con le prime camere spiralate, mentre le ultime tendonjo a diventare anulari, divise da setti interni ben visibili anche Eternamente. Pareti assai sottili, trasparenti. Rara. Vivente da 130 a 1.125 m. Discorbis concinna (Brady) Brady, H. B., Report on thè f yraminifera dreaged by H. M. S. Challenger ecc. Rep. Chall. Exped., Zool., voi. IX, p. 646, tav. 90, figg. 7-8 ( Discorbina )]• Attribuisco a questa specie alcuni esemplari, per il loro con¬ torno circolare, il lato dorsale convesso ed il ventrale concavo ; l’ul¬ tima spira è costituita da 3-4 camere, Pultima delle quali, sul lato ventrale, occupa quasi metà delia spira. Le pareti sono assai sottili, trasparenti e grossolanamente perforate. Suture ben distinte e leg¬ germente depresse. Frequente. Vivente da 27 a 1.133 m. Discorbis globularis (D’ Orb.) [D’ Orbigny, A., Tableau méthodique de la classe des Céphalopodes. Ann. Se. Nat,, ser. I, t. 7, p. 271, tav. 13, figg. 1 -4. Paris, 1826 (Rosalina).] Guscio alquanto compresso, la cui superficie dorsale è leggermente convessa, mentre quella ventrale è piana o quasi concava. Camere distinte, suture depresse, superficie grossolanamente perforata, spe¬ cialmente sulla faccia dorsale. Frequente. Vivente in acque poco profonde. Discorbis orbicularis (Terquem) [Terquem, O., Essai sur le classement des animaux, ecc. II. fase., pag. 75, tav. 9, fig. 4. Dunkerque, 1877 (Rosalina).] Guscio piano convesso, con faccia dorsale a forma conica e ventrale quasi piatta. Contorno circolare, margine acuto, camere allungate avvolte a spirale trocoide, suture poco depresse, ma di¬ stinte. Rara. Vivente in acque poco profonde. Discorbis vilardeboana (d’ Orb). [D’Orbtgny, A., Voyage dans V Amérique mérid .: Foraminifères , pag. 44, tav. VI» figg. 13-15. Strasbourg, 1839 (Rosalina).] Guscio piano convesso, arrotondato dorsalmente, ventralmente concavo. Il margine periferico è arrotondato. Nell’ ultimo giro si notano 5 camere o raramente 6, l’ultima delle quali è notevolmente più grande delle precedenti. Suture distinte e depresse, specialmente sul lato ventrale. Ombelico bene evidente. Frequente. Vivente. Valvulineria bradyana (Fornasini) [Fornasini, C., Intorno ad alcuni esemplari di foraminiferi adriatici. Mem. Acc* Se. Ist. Bologna, s. 5, tomo Vili. Bologna, 1900 (Discorbinà).] Specie frequente, vicina per molti caratteri alla Discorbis rugosa, da cui tuttavia differisce per la spira non convessa e per la perfo¬ razione del guscio. I nostri esemplari presentano difatti la conchiglia finemente perforata e l’ombelico ben marcato, in parte ostruito. Suture arcuate delimitano otto camere nell’ultimo giro. Frequente. Vivente. Rotalia beccarii (L.) [Linneo, C., Syst. nat., ed. 13, p. 3370, N. 4. Leipzig, 1788 ( Nautilus ).] Questa specie è largamente diffusa nella fauna in esame e rappresentata da individui di varia grandezza. Essi corrispondono perfettamente alla specie tipica, di cui presentano tutti i caratteri. Abbondante. Vivente fino a 5.500 m. Fam. CASSIDULINIDAE Cassidulina crassa d’ Orb. [D’Orbigny, A. D,, Voyage dans V Amérique Mérid. : Foraminifères. Tome 5, pt. 4, pag. 56, t. 7, figg. 18-20. Strasbourg, 1839.] - 23 - Guscio di forma ovale, compresso, con contorno arrotondato ; suture poco evidenti, superficie liscia. Rara. Vivente da 72 a 4.800 m. Cassidulina laevigata d’ Orb. [D’orbigny, A., Tabi. méth. de la classe des Céph. Ann. Se. Nat., s. 1, tome 7, pag. 282, tav. 15, figg. 4-5. Paris, 1826.] Guscio lenticolare, compresso, formato da numerose camere poco rigonfie, molto arcuate e ad avvolgimento biseriale. Apertura stretta situata sotto il margine interno dell’ultima camera. Rara. Vivente da 110 a 2.900 m. Cassidulina laevigata d’ Orb. var. carinata Silvestri [CuSHMAN, J. A., The forarti, of thè Atl. Ocean, pari. 3 Textularidae. Bull. Mus. Nat. U. S., n. 101, pag. 121, tav. 25, figg. 6-7. Washington, 1922.] Il margine periferico presenta una sottile, ma ben distinta carena. Nella Valle padana la grande abbondanza di questa varietà sta ad indicare l’appartenenza al Quaternario. La scarsa frequenza di essa nel materiale in esame, deve essere forse messa in relazione con le condizioni ambientali in cui viveva. Rara. Vivente da 102 a 1.675 m. Fam. GLOBIGERINIDAE Globigerina bulloides d’ Orb. [D’ Orbigny, A. D., Tableau méthidique de la classe des Céphal. Ann. Se. Nat., s. 1, tome 7, p. 277, n. 1, modèles 17-76. Paris, 1826.] Specie poco frequente, per la quale valgono le considerazioni fatte per O. universa. Orbulina universa d’ Orb. [D’ Orbigny, A., F or amini fères. In Ramon de la Sagra, Histoire physique et naturelle de Vile de Cuba. Paris, 1839.] Pochi esemplari di questa comune specie. La limitata frequenza di essa, come pure delle Globigerine, non solo indica scarsa profon¬ dità delle acque, ma sta anche a dimostrare come le correnti marine, che di solito trasportano ed accumulano questi organismi planctonici, non penetravano in quei bracci interni di mare. Fam. ANOMALIMIDAE Anomalina balthica (Schr). [Schroeter, Einleitung in thè Conchylienkenntniss nach Linné , voi. I, p. 20, pi. 1, fig. 2 ( Nautilus ).] Un solo esemplare di questa caratteristica specie del Pleisto¬ cene. Vivente. Cibicides lobatulus (Walker e Jacob) [Walker, G. e Jacob, E., Adams Essays on thè microscope. 22 ed., p. 642, tav. 14, fig. 36. London, 1798 (Nautilus). ] Alcuni esemplari, che dimostrano una certa variabilità soprat¬ tutto per l’aspetto che assume l’ultima camera, si presentano con il lato dorsale appiattito o concavo, mentre il lato ventrale è notevolmente convesso. Le suture sono distinte e leggermente depres¬ se sul lato ventrale, mentre su quello opposto risultano quasi rile¬ vate. La superficie è grossolanamente perforata. Rara. Vivente fino a 5.500 m. Fam. PLANORBULINIDAE Planorbulina mediterranensis d’ Orb. [D’ Orbigny, A. D., Tableau méthodique de la classéT des Cyphalopodes. Ann. Se. Nat., ser. I, tomo 7, pag. 280, tav. 14, figg. 4-6 Paris, 1826.] Guscio quasi circolare, ma con margine irregolare, composto di numerose camere disposte più o meno spiralmente. Superficie in¬ feriore piatta, mentre quella superiore è convessa. Suture depresse; pareti perforate. Rara. Vivente, comune nelle acque poco profonde, si estende fino a 2.050 m. — 25 — 4. Significato della microfauna. — La microfauna delle argille di Cutrofiano esaminata in questo lavoro, consta di 63 specie, distribuite in 12 famiglie e 34 generi. Essa risulta quindi abbastanza varia, sì da poterne trarre alcune conclusioni, specialmente per quanto si riferisce alle condizioni ambientali nelle quali ebbe a vivere, quan¬ do cioè la penisola Salentina, quasi completamente sommersa dal mare quaternario, risultava ridotta ad un vasto arcipelago costituito da tre serie di isolotti appena emergenti dal mare ed allungati nella direzione appenninica. Due sono anzitutto gli elementi che scaturiscono dall’esame della microfauna, apparentemente fra di loro contrastanti: limitata profon¬ dità del bacino sedimentario e temperatura piuttosto bassa delle acque. Difatti la grande abbondanza di E. crispum di grandi dimensio¬ ni, accompagnato da Rotalia beccarii, pure assai frequente, sono elementi che parlano in favore di acque poco profonde, conforme¬ mente a quanto si può dedurre in base alla situazione geologica ge¬ nerale della zona. Si può infatti osservare, che i rilievi calcarei meso¬ zoici presenti aU’intorno, a distanza di alcuni chilometri, sovrastano la zona di Cutrofiano solo di alcune decine di metri; e poiché vi sono buone ragioni per ritenere che tali rilievi non sono stati certamente coperti dal mare quaternario, risulta evidente che la profondità del bacino, all’epoca della sedimentazione delle argille, doveva essere effettivamente assai limitata. Per contro, accanto alle forme suddette, ed a molte altre scar¬ samente indicative, ve ne sono alcune alle quali viene generalmente attribuito, ed a ragione, un significato stratigrafico assai importante, in quanto la loro presenza sta a rappresentare l’appartenenza al Quaternario antico, corrispondente - quindi - ad un ambiente quale si poteva avere nel corso delle glaciazioni. Le specie che parlano in tal senso sono: Anomalina balthica Schr. Nonionella turgida Will., Bolivina pseudoplicata Heron-Allen e Ear- land, Virgulina complanata Egg., Spirillina vivipara Ehrenberg, Angulogerina anguiosa Will. In accordo con gli elementi sopraindicati, vi è anche da notare la mancanza quasi totale di alcuni generi, di solito indicativi di acque temperate calde, della famiglia delle Lagenidae, quali ad es. Nodosaria e Robulus. Vi è inoltre da tenere presente che nella microfauna studiata sono frequenti varie specie di Pyrgo e di Lagena che, pur senza — 26 — assumere un categorico significato climatico, si accordano bene con un ambiente piuttosto freddo, trattandosi di specie che normalmente si spingono a profondità assai elevate. Un elemento che può forse rendere conto delle particolari e poco adatte condizioni ambientali nelle quali ebbero a vivere talune specie che trovano il loro habitat più adatto in acque basse e calde, è rappresentato, a mio avviso, dalla grande frequenza di esemplari di E . crispum e R. beccarii ad accrescimento anomalo; il che può forse essere messo in rapporto con la bassa temperatura che già si faceva sentire in quel bacino. Volendo ora seguire il metodo normalmente adottato per stabilire la profondità alle quale si è deposto un dato sedimento, tenendo presente la distribuzione batimetrica delle specie viventi nei mari attuali, si arriverebbe alla conclusione che la microfauna delle argille di Cutrofiano vivesse ad una profondità piuttosto considerevole, compresa fra m. 600 e m. 900, in assoluto contrasto, quindi, con quanto si può dedurre dalle condizioni geologiche generali della zona. E ovvio pertanto che la spiegazione più plausibile circa la presenza di specie di habitat freddo, nonché la già citata mancanza di specie spiccatamente significative di acque temperate calde, sono tutti elementi che parlano in favore di un ambiente di sedimentazione freddo, che ritengo di potere attribuire al Calabriano. Poiché nella mia fauna non ho riscontrato la presenza di forme indicanti un ambiente spiccatamente freddo, mi sembra logi¬ co pensare che si debba trattare di un Calabriano inferiore assai basso. Il progredire della glaciazione dovette poi portare al ritiro del mare da quelle zone ed alla conse guente sedimentazione dei tufi superiori. Napoli, Istituto di Geologia, Paleontologia e Geografia Fisica dell’ Università - Ottobre 1953. Monchakmont Zei M. - La microfauna delle argille pleistoceniche , ecc, Boll. Soc . Natur . Napoli - Voi. LXIII. — 27 — OPERE CONSULTATE 1. Bagg R. M., Pliocene and Pleistocene Foraminifera from southern California. Washington, 1912. 2. Brady H. B., Report on thè Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger during thè years 1873 -1876. London, 1884. 3. Cushmam A. J., Foraminifera. Cambridge, Mass., 1940. 4. — — A monograph of thè foraminiferal subfamily Virgulinidae. Sharon, Mass., 1937. 5. — — A monograph of thè foraminiferal family Verneuilinidae Sharon, Mass., 1937. 6. — — A monograph of thè foraminiferal family Valvulinidae. Sharon, Mass., 1937. 7. — — A monograph of thè foraminiferal family Nonionidae. Wa- shinton, 1939. 8. — — The Foraminifera of thè Atlantic ocean. Parts 1 - 8. Wa¬ shington, 1918-1931. 9. — — The Foraminifera of thè tropical pacifìc collections of thè « Albatross > 1899 - 1909. Parts 1 - 3. Washington, 1932 - 42. 10. — — Some Pliocene and Miocene Foraminifera of thè Coastal plain of thè United States. Washington, 1918. 11. Cusman A. J. e Parker F. L., Bulimino and related foraminiferal genera. Washington, 1947, 12. Di Napomi Alliata E., Contributo alla conoscenza dei foraminiferi pleisto¬ cenici della Conca d ’ Oro (Palermo). Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 56. Roma, 1937. — — , I foraminiferi di un nuovo giacimento del piano Siciliano nei din¬ torni di Palermo. Boll. Soc. Se. Nat. ed. Econom. di Palermo, voi. 19. Palermo 1936 - 1937. 13. Flint J. M., Recent Foraminifera. A descriptive catalogne of specimens dredged by thè U. S. fise, commission steamer Albatross. Wa¬ shington, 1899. 14. Ellis B. F. e Messina A. R., Catalogue of Foraminifera. 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Seguenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria). Atti Acc. Lincei, ser. Ili, voi. VI. Roma, 1880. 24. — — Prime ricerche intorno ai Rhizopodi fossili delle argille pleistoceniche pei dintorni di Catania. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., ser. II, voi. XVIII. Catania, 1862. 25. Silvestri A., Lagenine terziarie italiane. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 31. Roma, 1912. 26. Silvestri O., Saggio di stuci sulla fauna microscopica fossile ecc. Mono¬ grafia sulle Nodosarie. Atti Acc. Gioenia Se. Nat., ser. Ili, voi. VII. Catania, 1872. Sali dell’ acido 4 - amino - 5 - iodosalicilico ( J P A S ) Nota del socio Antonio Capone (Con 1 tav. fuori testo). (Tornata del 29 gennaio 1954) Poiché l’acido 4-amino-5 iodosalicilico (JPAS), precedentemente preparato (1), ha dimostrato fondate le previsioni circa il potenzia¬ mento dell’attività batteriostatica del PAS con l’introduzione dell’iodo nella molecola (2), ho ritenuto utile ai fini terapeutici preparare dallo stesso una serie di sali ben definiti analogamente a quanto è stato fatto da Co vello (3) a partire dall’acido iodosalicilico con lo scopo di ottenere sali di Hg e Bi chemioterapicamente attivi sulla lue e su altre forme infettive da protozoi. In questo senso è stato oggetto di studi anche il PAS del quale sono stati preparati numerosi derivati e, fra i suoi sali, quello di sodio è stato particolarmente oggetto di svariate ricerche, relative sia alla sua preparazione (4) e alle proprietà chimiche e fisiche (5), sia alla sua azione batteriostatica e farmacologica (6). Risulta inoltre che Carl e Marquarott (7), e successivamente Roth e Coll. (8), - ■ *; ,'■■■' : ’ ' f v (1) Covello M., Capone A. - La Ricerca Sci., 20, 79-82, 1950. — — Ann. Chim. Appi., 47, 367-373, 1951. (2) Palermo G. — La Riforma Medica, 64, 1335, 1950. (3) Covello M. — Boll. Soc. Natur. Napoli, 67, 1948. (4) Whittet T. D. — Lancet, 1 , 6492, 268, 1948. O’ Connor J. A. — Lancet, 1 , 6492, 191, 1948. Rosdahl K. G. — Swed., 126 , 383, 1949. (5) Ghielmetti G. — Il Farmaco, III, 652, 1948. O’ Connor J. A. — Lancet, 1 , 6492, 191, 1948. Curci G. — Arch. Tisiol. Napoli, 4, 2, 178, 1949. Oberwerger K. H., Seymour D. E., Simmonite D., — Quart. J. Pharm. 21, 292, 1948. (6) Me Anally e Seymour D. E. — Lancet, 1, 6495, 303, 1948. SoLOMiDfcs, Bourland — Presse Méd., 57, 29, 393, 1949. — — — C. R. Soc. Biol., 4, 2, 101, 1949. Kshitish, Divatia, J., Dufrenoy G., Pratt R. — J. Am. Pharm. Assoc., 39, 170, 1950. Ivanovics G. — Proc. Soc. exp. biol. N. Y. 76, 462, 1950. Nitti V., Curci G. — Arch. Tisiol. Napoli, 4, 149-157, 1949. Way e Coll. — J. Pharm. exp. therap., 33, 3, 368, 1948. (7) Zr. Naturforsch., 46, 280-283, 1949. (8) Helv. Chim. Acta, 34, 430, 1951. - 30 - hanno eseguito prove batteriologiche con il sale di Cu e con quello di Ca del PAS. Questi ultimi AA. hanno assegnato ai derivati del PAS, da loro ottenuti, le seguenti formule di struttura : 0 (-> considerandoli composti di coordinazione e ne hanno saggiato l’at¬ tività sul bacillo della tbc. In questa nota viene riferito sul metodo di preparazione e sulle proprietà fisico-chimiche dei sali di Na, Cu, Ag, Mg, Ca, Zn, Hg e Bi dell’ JPAS. I prodotti ottenuti, per la loro struttura, che ripete quella dell’JPAS, e per la presenza nella molecola di ioni metallici che si dimostrarono attivi dal punto di vista chemioterapico su batteri e spirochete, lasciano prevedere un’attività favorevole sul piano clinico. In tal senso sono in corso esperienze batteriologiche e farmacologiche delle quali sarà riferito in altra sede. - 31 - PARTE SPERIMENTALE Ad evitare una facile alterazione della molecola dell’JPAS, sia per decarbossilazione a caldo, sia per imbrunimento delle soluzioni acquose, si è preparata una soluzione alcoolica, sciogliendo a freddo per ogni 100 cc. di alcool a 95° gr. 5 di acido 4 -amino -5 -iodo- salicilico. Alla soluzione alcoolica così preparata si sono aggiunti, sepa¬ ratamente in becher da 150 cc. in eccesso rispetto alla quantità cal¬ colata, i seguenti sali anch’essi sciolti in alcool a 95° : Cu Cl2 ; Ag N03 ; Mg Cl2 ; Ca Cl2 . 6 H2 O ; Zn Cl2 ; Hg Cl2 ; Bi (N03 )3 . 5 H2 O . La soluzione del nitrato neutro di Bi è stata preparata scio¬ gliendo a b. m. il sale nella minima quantità occorrente di glice¬ rina pura e vi è stato poi aggiunto l’alcool. I sali dell’JPAS, tutti più o meno solubili nell’alcool a 95° , sono stati separati per cristallizzazione, evaporando a pressione ri¬ dotta le soluzioni alcooliche, previa aggiunta a ciascun campione di una piccola quantità di NaHC03 allo scopo di neutralizzare l’a¬ cido minerale che viene a formarsi dalla reazione fra il sale me¬ tallico e l’JPAS. Le sostanze, cristallizzate dall’alcool, sono state filtrate alla pompa e lavate con acqua distillata fino ad eliminare l’eccesso dei sale aggiunto. Ridi^ciolte in alcool, si sono cristallizzate di nuovo per evaporazione del solvente a pressione ridotta, ed infine filtrate alla pompa ed essiccate in essiccatore su Ca Cl2 . II sale di Ag, poco solubile in alcool, si è formato all’atto del¬ l’aggiunta della soluzione di Ag N03 a quella dell’JPAS. Il sale di Na è stato ottenuto facilmente dopo neutralizzazione dell’JPAS con NaHC03 per cristallizzazione dalla soluzione alcoo¬ lica satura. Su tutti i prodotti ottenuti è stato determinato l’iodo con il metodo di Zak e Boyle (9). Questo metodo consiste nella distru¬ zione della sostanza organica (gr. 0,008-0,030) con acido clorico (cc. 20-25), nella successiva neutralizzazione della soluzione con NaOli al 20 °/0, e, dopo aggiunta del reattivo amido-iodurato, nella (9) Zak B., Boyle A. J., - J. Am. Pharm. Ass., 41, 260 (1952). - 32 - titolazione con soluzione 0,01 N di tiosolfato di sodio, in mezzo reso acido con HC1 1 : 10. Dopo la distruzione della sostanza organica con il metodo sopra riportato, l’Ag ed il Ca sono stati determinati volumetricamente; il Na, il Cu, il Mg, lo Zn, il Hg ed il Bi ponderalmente con i metodi comuni dell’analisi quantitativa. Dai risultati analitici ottenuti ed in base alle caratteristiche chimiche, appresso riportate, si possono attribuire ai sali le seguenti formule di struttura: Sale di sodio. Polvere cristallina bianca, solubile in acqua ed in alcool. Cristallizza dall’alcool in cristalli allungati di aspetto aciculare, birifrangenti (v. Tav. fig. 2). La soluzione acquosa dà con FeCl3 colorazione rosa¬ viola, con NaN02 ed acido acetico a fred¬ do, per copulazione del diazoico formatosi con anilina e naftilammina, dà reazioni cromatiche ( presenza del gruppo NH2 ). Riscaldato in tubicino svolge vapori rosso-violetti d’iodo e tramanda odore fenolico. La sostanza, essiccata in essiccatore su CaCl2 dà all’ analisi i seguenti risultati: per C7 H 5 03 NNaJ cale. J % : 42,16 ; Na % : 7,64 trov. J % : 42,85 ; Na %. : 7,56 eoo Nò Sale di rame ( Cu ^ . Polvere cristallina di colore giallo - verdognolo, pochissimo so¬ lubile in acqua, solubile in alcool specie a caldo, poco solubile in etere, solubile negli idrossidi alcalini, dai quali riprecipita con l’ag¬ giunta di un acido. La soluzione acquosa si colora con Fe Cl3 in rosa -viola, im¬ brunisce con H3 S, edà la reazione del gruppo NH2 come per il -33- sale di sodio. Riscaldato in tubicino, si decompone con svolgi¬ mento di vapori rosso -violetti di iodo tramandando odore fenoli- co ; al riscaldamento una piccola parte del Cu volatilizza sotto forma di ioduro, impartendo alla fiamma del becco Bunsen colo¬ razione verde, il rimanente forma il residuo di ossido rameico. La sostanza essiccata in essiccatore su CaCl2 , dà all’analisi i seguenti risultati: per C14H10O6 N2 J2 Cu cale. J % : 40,96 ; Cu % : 10,26 trov. J % : 41,10 ; Cu % : 9,65 Polvere microcristallina di colore lie¬ vemente rosa, pochissimo solubile in acqua? poco solubile in alcool, più solubile in al¬ cool a caldo. All’esame microscopico pre¬ senta forme rotondeggianti colorate in rosa a cerchi concentrici (v. Tav. fig. 3). La so¬ luzione acquosa si colora con FeCl3 in rosa¬ viola intorbidandosi, imbrunisce con H2 S e con gli idrossidi alcalini, dà precipitato bianco con HC1 di¬ luito. Dà le reazioni del gruppo NH2 . Riscaldato in tubicino si decompone con svolgimento di vapori rosso -violetti di iodo, tra¬ mandando odore fenolico. La sostanza, essiccata in essiccatore su CaCl2 dà all’analisi i seguenti risultati: per C7 H5 03 N J Ag cale. J %.' : 32,95 ; Ag .%. : 27,95 trov. J 7 0 : 33,20 ; Ag % : 27,15 Sale di argento . eoo A$ O" NH, Sale di magnesio . co-o-ni-o-oc OH Polvere cristallina di colore bianco, pochissimo solubile in acqua, solubile in alcool, specie a caldo; solubile negli idrossidi alcalini da cui riprecipita con aggiunta di acido. Si presenta all’e- - 34 - same microscopico come concrezioni allungate di piccolissimi cri¬ stalli birifrangenti. (Tabella I, n. 4). La soluzione acquosa si colora con FeCl3 in rosa -viola, dà lieve intorbidamento con i reattivi pre¬ cipitanti del magnesio. Con NaN02 a freddo in ambiente acido dà reazioni cromatiche con diversi copulanti (gruppo NH 2 ). Riscaldato in tubicino si decompone svolgendo vapori rosso -violetti e tra¬ manda odore fenolico. La sostanza, essiccata in essiccatore su CaCl2 dà all’analisi i seguenti risultati: per C14H10O6 N2 J2 Mg cale. J % : 43,58 ; Mg % : 4,19 trov. J °/0 ; 44,05 ; Mg °/0 : 3,92 Sale di calcio. Polvere cristallina di colore bianco, poco solubile in acqua, so¬ lubile in alcool specialmente a caldo; solubile negli idrossidi alca¬ lini da cui riprecipita per aggiunta di un acido. Al microscopio pre¬ senta delle concrezioni tondeggianti di minuti cristalli birifrangenti. La soluzione acquosa si colora con FeCl3 in rosa-viola, con ossa¬ lato ammonico dà lieve intorbidamento. Dà le reazioni del gruppo NH2 . In tubicino per riscaldamento si decompone con sviluppo di vapori violetti di iodo, tramandando odore fenolico. Lascia alla calcinazione un residuo di CaO. Essiccato in essicatore su CaCl2 dà all’analisi i seguenti risultati: per C14 H10 06 N2 J2 Ca Sale di zinco. cale. J % : 42,58 ; Ca % : 6,72 trov. J °/0 : 43,04 ; Ca °/0 : 6,65 J OH CO-O-Zn-0-e£ o OH - 35 - Polvere cristallina color ocra. Pochissimo solubile in acqua, solubile in alcool, specialmente a caldo; solubile negli idrossidi alcalini da cui riprecipita per aggiunta di un acido. Cristallizza dal¬ l’alcool in piccolissimi cristalli birifrangenti. La soluzione acquosa si colora con FeCl3 in rosa-viola, diventa opalescente con H2 S e con (N3H4) S. Riscaldato in tubicino si decompone svolgendo vapori violetti di iodo e tramandando odore fenolico. Alla calci- nazione lascia un residuo di ZnO. La sostanza, essiccata in essicca¬ tore su CaCl3, dà all’analisi i seguenti risultati: per C14H10O6 N2 J2 Zn cale. J% : 40,85 ; Zn *°/0 : 10,52 trov. J % : 41,20 ; Zn % : 10,24 Sale di mercurio. ( 1 1 g ("). Polvere cristallina bianca, pochissimo solubile in acqua, solu¬ bile nell’alcool, specialmente a caldo; solubile negli idrossidi alca¬ lini con lieve ingiallimento. La soluzione acquosa imbrunisce con H2 S, si colora in rosa-viola con FeCl3 . Riscaldato nel tubi¬ cino si decompone, tramandando odore fenolico e depositando sulle pareti fredde un sublimato rosso di ioduro mercurico. Alla calci- nazione non lascia residuo. La sostanza, essiccata in essiccatore su CaCl2 , dà all’analisi i seguenti risultati: per C14Hio06 JN2 J2 Hg cale. J °/0 : 33,55 ; Hg °/0 : 26,51 trov. J % : 34,10 ; Hg % : 26,84 Al microscopio il sale presenta cristalli aghiformi, birifrangenti per lo più riuniti a gruppi, a fasci o a stella (v. Tav. fig. 5). \ I Sali di bismuto. 0 0 0 / I \ £0 è oc O" D" ,0" HH, NH2 MMj Polvere cristallina rosso -mattone, pochissimo solubile in acqua, solubile nell’alcool, specialmente a caldo; solubile negli idrossidi alcalini da cui riprecipita per aggiunta di un acido. La soluzione acquosa si colora in rosa -viola con FeCL ed imbrunisce per ag¬ giunta di H3S. Dà le reazioni del gruppo NH3. Riscaldato nel tubi- bicino si decompone, svolgendo vapori violetti e tramandando odore fenolico. Alla calcinazione lascia un residuo di Bi303. Al micro¬ scopio il sale, cristallizzato dall’alcool, si presenta sotto forma di cristalli allungati birifrangenti. (v. Tav. fig. 6). Il sale, essiccato in essiccatore su CaCl3, dà all’analisi i seguenti risultati: per (C7H503NJ)8Bi cale. J % : 36,86 ; Bi % ; 20,23 trov. J % : 37,15 ; Bi % : 20,34 I valori analitici riscontrati fanno attribuire al sale cristalliz¬ zato dall’alcool la formula di struttura, su riportata, rispondente al p-aminoiodosalicilato neutro di bismuto. Nella Tabella I vengono riportate alcune microfotografie dei sali dell’JPAS, la cui forma cristallina è maggiormente caratteristica Ringrazio qui sentitamente il dott. Aldo Merola dell’ Istituto di Botanica di questa Università per aver validamente collaborato nella esecuzione di esse. Napoli - Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica dell’ Università Ottobre 1953 Capone A. - Sali dall’acido, ecc. Boll . Soc. Natur. Napoli - Voi. LXIII. Fig. 1 Acido p-aminoiodosalicilico Fig. 2 p-aminoiodosalicilato di sodio Fig. 3 p-aminoiodosalicilato di argento * Fig. 4 p-aminoiodosalicilato di magnesio Fig. 5 p-aminoiodosalicilato di mercurio Fig. 6 p-aminoiodosalicilato di bismuto La rideterminazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli eseguita dall’ Istituto Geografico Militare nel 1953. Nota del socio Geremia D’ Erasmo (Tornata del 26 febbraio 1954) Nel Bollettino della Società Geografica Italiana pubblicai, or è un anno, una brevissima nota (i), destinata a mettere in evidenza il programma di lavori preliminari, di impianti strumentali e di osser¬ vazioni sistematiche che la Società dei Naturalisti di Napoli aveva ritenuto di dover tracciare quale necessaria premessa per un accu¬ rato studio metodico dei lenti movimenti del suolo nella classica zona del Serapeo di Pozzuoli. Avendo quel programma avuto sollecito e pressoché completo compimento, accolgo ora l’invito rivoltomi da parecchi colleghi del nostro Sodalizio, dando più particolareggiata notizia di quanto è stato fatto, in meno di due anni, per l’attuazione del voto espresso nell’adunanza del dì 25 giugno 1952. E perchè dell’opera della So¬ cietà resti una più precisa e durevole documsntazione, riassumo nella presente comunicazione scritta quanto ho verbalmente espo¬ sto nella tornata del 26 febbraio. Le circostanze che determinarono la nostra iniziativa, essendo note alla massima parte dei consoci, possono esser qui solo som¬ mariamente ricordate. Nel maggio 1952 una nota del prof. Luigi Ranieri, comparsa nel Bollettino della Società Geografica Italiana (2), attrasse particolar¬ mente la mia attenzione. In essa l’A., dopo aver esposto i risultati di alcune misure eseguite al Serapeo nell’agosto 1951 ed averle con¬ frontate con quelle da lui rilevate sei anni prima, nell’agosto 1945, ritiene di poter ammettere che un innalzamento div quella plaga - di ben 386 mm. - si sia verificato « nei dodici mesi intercorsi tra il settembre 1950 e l’agosto 1951 », o, tutt’al più - se tien conto del grafico da lui riportato - dal 1945 al 1951. (x) D’Erasmo G., A proposito di una nota del prof. Luigi Ranieri sul bradi - sisma di Pozzuoli. Boll. Soc. Geogr. It., s. Vili, voi. VI, pp. 42-44. Roma, 1953. (2) Ranieri L., Inversione del bradisisma di Pozzuoli. Boll. Soc. Geogr. It., s. Vili, voi. Y, pp. 27-36, con 1 fig. Roma, 1952. — 38 — Poiché varie considerazioni rendevano, a mio giudizio, poco pro¬ babile tale conclusione - che appariva, tra l’altro, in contrasto con quanto comunemente si ammette, per le ripetute osservazioni di molteplici studiosi, sulla perdurante fase di abbassamento del suolo, non solo nella zona puteolana ma altresì in assai più vasti tratti della costa tirrena - richiamai su quel lavoro l’attenzione dell’amico prof. Antonio Parascandola. Questi, infatti, oltre ad aver pubblicato nel 1947 sul bradisismo del Serapeo un’accurata ed importante memoria (*) destinata a riassumere le nostre conoscenze sull’andamento del fe¬ nomeno attraverso i secali, ha continuato a seguire, in questi ultimi anni, con ripetute escursioni e misure, le vicende geofisiche e geo¬ logiche del territorio di Pozzuoli (Serapeo e Solfatara), dandone più volte notizia alla Società dei Naturalisti. Ed il prof. Parascandola accolse il mio invito a compiere ulteriori indagini, riferendo al no¬ stro Sodalizio, nella tornata del 25 giugno 1952, i risultati delle sue osservazioni, che lo portavano a ritenere inesistente l’ inversione del bradisismo ammessa dal Ranieri e perdurante invece - sia pure con ritmo ineguale - il lento movimento di immersione iniziatosi nel XYII secolo (2). L’interessante comunicazione scientifica non poteva rimanere senza immediato e diretto interessamento da parte della Società dei Naturalisti, che ha sempre preso viva parte ad ogni questione che riguardi la migliore conoscenza dell’Italia meridionale ed in parti¬ colare del territorio campano. Un appassionato dibattito, al quale parteciparono parecchi tra i soci presenti, trovò tutti concordi nel- l’auspicare anzitutto una riquotazione dei caposaldi del Serapeo quale premessa indispensabile per ogni ulteriore studio del feno¬ meno bradisismico, e nel segnalare poi la necessità di installare in località opportunamente scelta apparecchi registratori moderni, ca¬ paci di fornire metodiche e precise misure della variazione del li¬ vello marino e della inclinazione del suolo. Si costituì una Com¬ missione, presieduta da chi scrive e composta dai soci Imbò, Ippo¬ lito, Lazzari, Maio Andreotti, Mazzarelli, Parascandola, Scherillo e Si¬ gnore, la quale fissò un concreto programma nei tre punti seguenti: 1) richiedere all’Istituto Geografico Militare di Firenze una nuova determinazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli, in rela- O Parascandola A., I fenomeni bradisismici del Serapeo di Pozzuoli. Voi. in 4°, di pp. XII -j- 116, con 26 figg. e 20 tav. Napoli, Tip. Genovese, 1947. (2) Parascandola A., Ulteriori osservazioni sul Serapeo di Pozzuoli. Boll. Soc. Nat., voi. LXI (1952), pp. 97-110, con 1 tav. Napoli, 1953. zione alla livellazione geometrica di precisione eseguita negli anni 1905 e 1919 a cura dello stesso Istituto ; 2) domandare al Soprintendente alle Antichità della Campania l’uso di adatto locale annesso all’edificio del Serapeo, da servire per l’impianto di una stazione mareografica e di una stazione cli- nografica, e al Direttore dell’Istituto di Fisica terrestre dell’Univer¬ sità di Napoli la installazione, il funzionamento e la necessaria sor¬ veglianza dei relativi apparecchi registratori ; 3) ottenere dal Provveditorato alle Opere Pubbliche la esecu¬ zione dei lavori necessari per una radicale pulizia ed una buona manutenzione del canale di comunicazione col mare, in modo da eliminare l’inconveniente della deposizione di fanghiglie sul fondo e la conseguente occlusione per insabbiamento, consentendo invece il libero deflusso delle acque. Mentre sotto gli auspici della Società dei Naturalisti e mercè il particolare interessamento personale del collega prof. G. Imbò - che mi è doveroso segnalare alla riconoscenza degli studiosi - comin¬ ciavano ad avviarsi a soluzione questi problemi, ponendo le neces¬ sarie basi per ogni ulteriore studio del fenomeno bradisismico, ve¬ nivano pubblicate, da parte del prof. Ranieri, due note di carattere polemico con lo scopo di controbattere alcune fra le osservazioni del Parascandola e di confermare - sia pure con qualche riserva - le precedenti conclusioni di una inversione nella fase positiva del bradisismo puteolano (1). Sono pienamente d’accordo col prof. Ranieri quando afferma, a conclusione del suo recente scritto, che, « ritenuto sterile ogni altro dibattito fondato su elementi non certi, consideriamo chiusa la di¬ scussione e cediamo il campo ai fatti, che faranno sèguito ai pro¬ positi ». E mi limito alla esposizione dei fatti, che testimoniano su quali basi la Società dei Naturalisti di Napoli abbia impostato il problema dello studio sistematico del bradisismo del Serapeo e quanto abbia finora ottenuto per l’attuazione del suo programma qui innanzi riassunto. I. — Nuova livellazione di precisione eseguita daWIstituto Geo¬ grafico Militare nel 1953 e suoi risultati. — Con lettera in data 23 gennaio 1954 il Direttore dell’Istituto Geografico Militare (Divi- (x) Ranieri L., Ancora sul bradisisma del Serapeo di Pozzuoli. Ann. Fac. Econ. e Comm. Univ. di Bari, n. 8., voi. XI, pp. 19, con 2 figg. e 1 tav. Bari, 1953. Id., Ancora sull’inversione del bradisisma di Pozzuoli. Boll. Soc. Geogr. It., s. Vili, voi. VI, pp, 425-426. Roma, 1953. — 40 sione Geodetica), Gen. di Div. A. Benedetti, cortesemente mi co¬ municava quanto segue: « In relazione al voto espresso da cotesta Società dei Naturalisti nella seduta del 25 giugno 1952 e alla con¬ seguente adesione di questo I. G. M. alla chiesta rideterminazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli, essendo stati ora ultimati i cal¬ coli del lavoro di campagna eseguito nell’ ottobre-novembre dello scorso anno, trasmetto in allegato una relazione sui criteri seguiti e sui risultati e confronti ottenuti. Da tali confronti si deduce che il Serapeo dal 1919 al 1953 ha subito un ulteriore abbassamento di circa cm 39,8, pari a una variazione annua media di circa cm 1,2: quasi analoga a quella del periodo 1905-1919. Comunico poi che sul «Bollettino di Geodesia e Scienze affini» di questo Istituto verrà prossimamente pubblicata una nota sul bra¬ disismo di Pozzuoli secondo le misure di livellazioni geometriche di precisione fin qui eseguite dall’Istituto Geografico Militare ». Mentre sento il dovere di mettere in particolare rilievo la lo¬ devole sollecitudine con cui il benemerito Istituto si piacque acco¬ gliere la nostra richiesta contribuendo a risolvere un problema del massimo interesse scientifico, mi corre l’obbligo di rinnovare pub¬ blicamente i ringraziamenti più vivi della Società dei Naturalisti di Napoli. E mi pare opportuno riportare integralmente la relazione che accompagna la lettera innanzi trascritta, rimandando chi voglia maggiori dettagli alla più ampia pubblicazione che sull’ argomento verrà prossimamente inserita nel Bollettino di Geodesia: « 1. — La Società dei Naturalisti di Napoli, co1 voto espresso nella riunione del 25 giugno 1952, e comunicato nel luglio dello stes¬ so anno dal suo Presidente prof. D’Erasmo alla Direzione del nostro Istituto, pregava di far procedere alla rideterminazione altimetrica di precisione del Tempio di Serapide o Serapeo di Pozzuoli, onde fornire alla scienza un sicuro elemento sull’andamento attuale del bradisismo del predetto Tempio. La Direzione dell’I. G. M. assi^ curava che, appena possibile, il suddetto voto sarebbe stato esau¬ dito e pertanto nell’ottobre-novembre 1953 vennero eseguiti i la¬ vori di campagna, affidati al Topografo Capo Angelo Filippi. Ora che i calcoli sono stati ultimati, si riportano qui di sèguito alcune brevi notizie sui criteri seguiti nel predetto lavoro di cam¬ pagna e i risultati numerici ottenuti, compresi quelli provenienti dal confronto fra le quote del 1953 e quelle delle due precedenti deter¬ minazioni effettuate rispettivamente nel 1905 e nel 1919. — 41 l 2. — La prima livellazione di collegamento del Serapeo alla rete generale nazionale ebbe luogo nel 1905, da parte dell’I. G. M., partendo dal caposaldo della Torretta di Ghiaia in Napoli, e pas¬ sando per Bagnoli. Lungo il percorso furono determinati caposaldi orizzontali a distanze non superiori ad 1 Km, e caposaldi verticali negli abitati di Fuorigrotta, di Bagnoli e di Pozzuoli. All’estremo della linea vennero collocati e determinati dei dischetti di ottone solidamente infissi ciascuno sul fusto delle tre colonne del Tempio di Serapide. Una relazione sul lavoro eseguito e sui valori ottenuti venne pubblicata nel « Bollettino della Società Geografica Italiana », serie IV, anno XL, voi. XLIY, anno 1906. Tale livellazione venne poi proseguita e sviluppata nel 1907 fino al Capo Miseno. La seconda misura venne eseguita nel 1919, pure partendo dal caposaldo della Torretta di Cbiaia e quotando altri punti a nord del Capo Miseno. Dopo tre anni, allo scopo di livellare la zona settentrionale dei Campi Flegrei, pure da parte dell’I. G. M. vennero eseguite alcune linee, non provenienti però dalla Torretta di Ghiaia ma da un ca¬ posaldo sistemato sensibilmente a nord di esso, e precisamente da quello di Melito della fondamentale Caianello - Napoli. Le dette linee si chiusero quasi tutte a caposaldi della linea Torretta di Ghiaia-Capo Miseno, e di esse due, chiusesi rispettivamente ai ca¬ posaldi di Bagnoli ferrovia e Chiesa di S. Maria delle Grazie (de¬ terminazione 1919), ancora esistenti nel 1953. 3. — Infine nel 1953 è stato effettuato il lavoro di cui sopra e nel seguente modo. Dopo una preventiva ricognizione della linea fra Pozzuoli e Napoli, come prima operazione di misura, è stata eseguita la ripe¬ tizione del tratto Serapeo-Torretta di Ghiaia. Però quest’ultimo ca¬ posaldo non era più quello quotato il 1905 e il 1919, perchè nel 1939, dovendo essere demolito il fabbricato sul quale si trovava si¬ stemato, si rese necessario il suo trasporto su un fabbricato vicino; in secondo luogo, era opportuno definire ora se la zona di Torretta di Ghiaia aveva subito o meno nel tempo trascorso eventuali mo¬ vimenti verticali e perciò sia per questa ragione che per un con¬ trollo dello spostamento effettuato nel 1939, come seconda opera¬ zione di misura, è stata effettuata la ripetizione del tratto di 4 Km di livellazione del 1894 fra la Torretta di Chiaia e il Palazzo Reale di Napoli, passando per i due caposaldi intermedi Monumento ai Ca¬ duti in via Caracciolo e Castel dell’Ovo. La riquotazione del percorso Serapeo - Napoli è stata eseguita — 42 — come nelle precedenti determinazioni, a doppio ed in senso inver¬ so, secondo le norme stabilite dall’ I. G. M. per le livellazioni di precisione. Lo strumento impiegato è stato un livello Zeiss mod. B con lamina pian parallela e mire invar. Nel tratto Pozzuoli (Sera- peo) - Torretta di Chiaia, dei 10 caposaldi intermedi esistenti al¬ l’atto delle misure del 1919 soltanto 4 ne sono rimasti nel 1953, e perciò ai fini di determinazioni future, è stata raffittita la linea me¬ diante l’inserimento di nuovi caposaldi orizzontali materializzati da sbarrette metalliche a sezione circolare di cm 2,5 di diametro e lunghe cm 20-f-25, murate sui fabbricati a una ventina di centime¬ tri dal suolo e sporgenti nel contempo di una quantità tale da po¬ tervi appoggiare verticalmente la mira. Inoltre a quasi tutti gli oriz¬ zontali sono stati applicati i corrispondenti verticali. Prima di procedere ai confronti dei valori dei suddetti capo¬ saldi rimasti e dei 3 del Tempio di Serapide, si sono esaminati i valori dei tre dislivelli parziali da Torretta di Chiaia ai Palazzo Reale di Napoli ottenuti nel 1894 e nel 1953. Da tale esame è ri¬ sultato : a) delle due piastrine di Castel dell’Ovo, quella inferiore era stata smossa verso il basso di circa 7 cm ; b) il dislivello fra il Palazzo Reale e il Castel dell’ Ovo era aumentato di circa 2 cm, quantità peraltro pressoché trascurabile, dato l’errore teorico tollerabile di circa 1 cm e l’ampiezza dell’intervallo di tempo di circa 60 anni; c) i dislivelli dei tratti chilometrici Castel delTOvo-Monumento ai Caduti e Monumento ai Caduti-Torretta di Chiaia non avevano subito, entro qualche millimetro, alcuna variazione. Dai punti b) e c) si è dedotto che la parte più stabile del tratto Torretta di Ghiaia-Palazzo Reale è quella che va da Torretta di Chiaia a Castel dell’Ovo, di lunghezza d’altronde doppia rispetto a quella di Castel dell’Ovo-Palazzo Reale, e perciò il caposaldo di Torretta di Chiaia è stato ritenuto il più idoneo per essere preso di partenza pure per il 1953. In base a ciò, si sono calcolate le quote 1953 dei caposaldi fino a Pozzuoli e dai confronti coi valori precedenti si è ottenuto : alla chiesa di S. Antonio Ardito (distanza Km 3, 2 da Tor¬ retta di Chiaia): dal 1905 al 1919 abbassamento di mm 26, ossia mm 1,9 all’anno; dal 1919 al 1953 abbassamento di mm 136, ossia mm 4 all’anno ; a Bagnoli stazione ferroviaria (distanza Km 5, 5 da Torretta di Chiaia): dal 1905 al 1919 abbassamento di mm 67, ossia mm 4,8 /. — 43 — all’anno; dal 1919 al 1953 abbassamento di min 128, ossia mm 3,8 all’anno; alla Chiesa S. Maria delle Grazie (distanza Km 10,2 da Tor¬ retta di Ghiaia): dal 1905 al 1919 abbassamento di mm 189, ossia mm 13,5 all’anno; dal 1919 al 1953 abbassamento di mm. 435, os¬ sia mm 12,8 all’anno; alla Capitaneria del Porto di Pozzuoli (distanza Km 10,2 da Torretta di Ghiaia): dal 1919 al 1953 abbassamento di mm 643, os¬ sia mm 18,9 all’anno; non si è potuto trovare una conferma di questa variazione, molto forte, perchè non è stato possibile deter¬ minare il valore relativo al periodo 1905 - 1919, perchè i capo¬ saldi messi nel 1905 furono distrutti fra il 1905 e il 1919, e per¬ chè il disco metallico con tutta probabilità è stato smosso fra il 1919 e il 1953, in quanto nel 1919 fu stabilizzato sulla soglia della porta di destra del fabbricato, mentre nel 1953 è stato trovato su uno scalino che prima non c’era; al Tempio di Serapide (distanza Km 10,8 da Torretta di Chiaia): dai 1905 al 1919 abbassamento di mm 176, ossia mm 12,6 all’anno; dal 1919 al 1953 abbassamento di mm 398, ossia mm 11,7 all’anno. Da tutto questo si deduce che nel periodo 1919-1953 è conti¬ nuato il movimento di abbassamento dalla Chiesa di S. Antonio Ar¬ dito al Tempio di Serapide, raggiungendo il massimo in Pozzuoli ed in particolare alla Capitaneria del Porto ». IL CAPO DIVISIONE firmato: Ing. Geogr. Sup. D. DIGIESI II. — Impianto e funzionamento di una Stazione geofisica nel- V edificio annesso al Serapeo. — Devo alla cortesia del prof. Giu¬ seppe Imbò, direttore dellTstituto di Fisica terrestre dell’Università di Napoli, le notizie appresso riportate sui lavori fin qui eseguiti per l’impianto di una Stazione mareografica e clinografica nella zona del Serapeo. In sèguito ad iniziativa della Soprintendenza alle Antichità della Campania, la Cassa per il Mezzogiorno accolse con entusiasmo non solo il progetto di una radicale sistemazione del Serapeo, ma anche quello della creazione sia di un a Antiquario Flegreo » destinato alla conservazione del materiale archeologico di Pozzuoli, di Baia e di Cuma, sia di una « Stazione geofisica » , adibendo allo scopo alcuni idonei ambienti dell’ Antiquario stesso. Le pratiche per la scelta e per l’adattamento di questi, nonché la relativa esecuzione degli op- 44 — portimi lavori, hanno lasciato trascorrere più di un anno e mezzo dal primo annunzio, nel dicembre 1951, alla direzione dell’Istituto di Fisica terrestre dell’ accettazione del programma dei lavori, re¬ datto dalla Soprintendenza. L’ attesa inaugurazione dell’ Antiquario con l’annessa Stazione è pertanto avvenuta il 14 luglio 1953. Nello stadio iniziale si è dato corso esclusivamente alle ricer¬ che riguardanti i moti lenti del suolo, siano essi verticali che di rotazione. Sono stati pertanto sistemati negli appositi locali: una coppia di clinografi (destinati alla registrazione delle variasioni nel- F inclinazione del suolo secondo due direzioni ortogonali) ed un mareografo, che con F indagine della variazione del livello medio del mare contribuirà in modo rigoroso allo studio dell’interessante classiso fenomeno bradisismico locale. Tale ultima ricerca esige però che sia ottenuta e curata la li¬ bera canalizzazione delle acque marine nell’ area del Serapeo. Si hanno assicurazioni che non solo tutte le premesse per la rigorosità e serietà . delle misure saranno sempre realizzate, ma che in un non lontano futuro la Stazione geofisica potrà estendere il campo di ri¬ cerche in modo da pervenire all’attuazione del programma Chistoni, che prevedeva la istituzione nella zona flegrea di un Istituto geo¬ fisico annesso alla cattedra di Fisica terrestre dell’ Università di Napoli. Purtroppo finora si è ancora in fase sperimentale; ma con le modifiche che vanno apportandosi agli strumenti per renderli sem¬ pre più adatti alle condizioni locali, e con la realizzazione dei pro¬ gettati lavori, si vanno creando le premesse per lo studio sistema¬ tico delle variazioni del livello marino e della inclinazione del suolo, ed i risultati ottenuti lasciano già intravedere la possibilità di feconde ricerche. Concludendo , la provvida e tempestiva iniziativa della Società dei Naturalisti di Napoli non solo ha permesso di acquisire un dato sicuro ed importante sulla continuata fase di bradisismo positivo del Serapeo di Pozzuoli — che nel 1919-1953 si è abbassato di inni 398, pari a circa min 12 all’ anno — ma ha altresì consentito la rapida realizzazione di una Stazione mareografica e clinografica in quella plaga , avviando a soluzione anche il problema della libera canalizzazione delle acque marine nelVarea del Serapeo. Napoli t Istituto geologico dell’Università , Febbraio 1954. Sui carbonati basici di magnesio presenti al Vesuvio. Nota del socio Renato Sinno (Con 1 tav. f. testo) (Tornata del 28 Maggio 1954) Lo studio dei carbonati basici di magnesio ha appassionato moltissimi Autori, i cui apporti cristallografici, ottici, roetgenogra- fici, analitici, hanno contribuito sempre più a rischiarare il nebu¬ loso orizzonte che aveva caratterizzato le prime confuse ed incerte determinazioni. Il rilevante numero di carbonati basici che il magnesio può formare a secondo delle variazioni anche minime di talune condi¬ zioni di reazione, spinse, in un primo tempo, diversi tra gli studiosi ad attribuire a nuove specie minerali taluni composti naturali di Magnesio, che, in seguito, al lume di più moderni mezzi di indagine, si rivelarono, invece, soltanto delle miscele saline, derivanti dalia mescolanza, in diverso rapporto, di minerali già noti. Il primo tra i carbonati basici di magnesio, descritto come specie minerale, è l’idromagnesite, identificata nel 1827 dal Trolle- Wacthmeister H. G. (1), ad Hoboken (New Jersey) e segnalata suc¬ cessivamente in un certo numero di giacimenti negli Stati Uniti, in Italia, in Grecia, in Austria, in Cecoslovacchia ed in Nuova Cale- donia. Esso si forma generalmente per alterazione delle rocce serpen- tinose, ma si trova anche, quale minerale secondario, in rocce di origine vulcanica. Un altro carbonato basico di magnesio, 1’ artinite, è un mine¬ rale che è stato scoperto nel 1902 dal Brugnatelli (2), che lo rin¬ venne in un giacimento di amianto in Val Lanterna e successiva¬ mente segnalato dallo Artini (3) in Val d’ Aosta, dal Grill (4) a Torre S. Maria in Val Malenco, dal Fenoglio (5) a Fubina in Val di Lanzo, e nelle miniere di Cogne in Val d’Aosta (6), dal Lincio (7) a M. Ramazzo in Liguria, e dal Ferrari e dalla Ghiron (8) ad Ho¬ boken nel New Jersey. Tra i carbonati basici di magnesio vanno ancora annoverati la idrogiobertite, rinvenuta per la prima volta al Vesuvio dallo Scac- Boll. Soc. Naturalisti 4 — 46 — chi E. (9), la idromagnocalcite, detta poi idrodolomite, rinvenuta dal Rammelsberg (10), ed infine, la giorgiosite, raccolta per la prima volta dopo T eruzione del 1866 a Giorgios dal Fouquè, e descritta come nuova specie mineralogica dal Lacroix (11). 1. Ricerche chimiche sui vari carbonati basici di magnesio. A) Idromagnesite. Gli studi analitici condotti sull’idromagnesite, come anche sui restanti carbonati basici, hanno avuto sempre il fine di stabilire le varie formule, cosa peraltro, che non si è mai presentata molto facile, in quanto le varie composizioni chimiche di questo minerale oscil¬ lano entro limiti molto ristretti, richiedendo, le varie formule, per¬ centuali molto vicine. Ad esempio per l’idromagnesite le due for¬ mule più probabili: 4 MgO. 3 C02. 4 H20 (I); 5 MgO. 4 C03. 5 H3.0 (II) richiedono le seguenti percentuali : I II MgO 44.15 43.11 C02 36.13 37.63 H2 O 19.72 19.26 Totale 100.00 100.00 Ora, mentre da un lato gli studi del Levi (12, 13, 14), permi¬ sero di attribuire all’idromagnesite la formula I, (infatti tra i vari carbonati basici di Mg preparati artificialmente dal Levi, uno e preci¬ samente quello che aveva appunto la composizione 4MgO. 3C02.4H20, risultava avere una struttura identificabile con quella dell’ idroma¬ gnesite) gli studi di Menzel e Bruckner (15), che considerarono an- ch’essi molti prodotti artificiali, attribuirono allo stesso prodotto preparato artificialmente dal Levi ed identificato con l’idromagnesite, la formula II. Soltanto recentemente gli studi M.me Valter-Lewy (16), (che otteneva idromagnesite dalla decomposizione del carbonato di magnesio triidrato, MgCOs . 3H2 O) ed ancor più recentemente gli studi roetgenografici del Fenoglio (17), hanno fornito elementi tali da attribuire, con tutta certezza, alla idromagnesite la formula 5MgO . 4C02 . 5H2 O. B) Artinite. Più concordi le ricerche analitiche sulPartinite, hanno condotto i vari Autori che se ne sono occupati, ad attribuire a questo mine¬ rale la formula 2MgO. C02 . 4H2 O. Anche gli ultimi studi, dovuti al Fenoglio (18) sulPartinite rinvenuta dallo stesso per la prima volta nelle miniere di Cogne in Val d’ Aosta, hanno confermato la for¬ mula ormai universalmente accettata. Questo minerale però, a diffe¬ renza dell’idromagnesite, non è stato ottenuto, almeno a quanto mi consta, sinteticamente in laboratorio. C) Idrogiobertite. Nel 1855, Scacchi E. (9) descrisse un nuovo carbonato basico di magnesio, l’idrogiobertite, rinvenuto nell’interno di un grande masso isolato di leucotefrite a grosse augiti raccolto nei dintorni di Poi- lena. Tale minerale, che si presentava sotto forma di sferette del diametro da 2 a 15 mm., di colore grigio chiaro, all’ analisi effet¬ tuata dallo stesso Scacchi, risultò avere la seguente composizione chimica: C02 = 25.16 MgO = 44.91 H2 0 = 29 . 93 per cui a tale nuova specie fu assegnata dallo Scacchi la formula 2MgO . C02 . 3H„0. L’esistenza della idrogiobertite fu messa in dub¬ bio però dal Brugnatelli (19), il quale in seguito ad un esame ottico, riconobbe nel minerale scoperto dallo Scacchi una miscela di due minerali, di cui uno, il più diffuso, ricordava, nel modo di presen¬ tarsi, Pantigorite. Lo Zambonini (20), avendo potuto avere dallo Scacchi gli stessi campioni che servirono allo studioso per la ricerca del- l’idrogiobertite, avendo potuto notare una grande affinità di caratteri tra il minerale del Vesuvio e l’idromagnesite di Lancaster, volle por fine ad ogni dubbio, analizzando i campioni in questione. I risultati ottenuti furono i seguenti: C02 = 33 . 12, MgO= 41.30, H2 0— 22.96, Res. ins. = 2 . 62. Ora, se l’analisi dello Scacchi non sembra molto attendibile, in quanto il rapporto dell’ H2 O e della C02 è completamente diverso da tutti i rapporti che sono stati ottenuti nei vari carbonati ba¬ sici di Magnesio, quello dello Zambonini ha il difetto della ricerca dell’ossido di Mg calcolato per differenza. Inoltre poi i rapporti molecolari conducono alla formula 3COs . 4MgO. 5 ILO che non coin¬ cide con nessuna delle due formule sicuramente accertate per Pi- dromagnesite. — 48 — D) Idromagnocalcite - Idrodolomite. Questi nomi furono dati dal Rammelsberg ad un minerale che si rinviene molto frequentemente nei blocchi cristallini del Monte Somma, sotto forma di sferette terrose e friabili. Le analisi di que¬ sti minerali sono dovute a Rammelsberg ed al Cesaro (21). Sono ri¬ portate in I ed in II: I II co2 43.40 39.61 CaO 26.90 29.50 MgO 23.23 20.39 h2o 6.47 9.34 Res. in. — 1.31 Totale 100.00 100.15 Il Dana (22) riferendo nel suo trattato il termine di idrodolo¬ mite per designare queste masse provenienti dal M. Somma fece osser¬ vare che questo nome poteva essere applicato ad un miscuglio di due minerali e, precisamente idromagnesite e calcite. Il Millo- sevich (23) nel 1913, dimostrò, con i dati analitici da lui stesso ri¬ cercati, che la idrodolomite di Marino (Vulcano Laziale), molto simile a quella del Vesuvio è una miscela di CaC03 e di 5MgO. 4C02 ,5H2 O. Successivamenta poi, anche l’analisi termica differenziale effettuata da M.elle Caillère (24) su alcune idrodolomiti, dimostrò l’esatta as¬ serzione del Dana e del Millosevich. Le curve ottenute per i diversi campioni di idrodolomite, tutte perfettamente identiche, mettono in evidenza, oltre un « uncinetto endotermico » a 110°, tre infles¬ sioni endotermiche verso 330°, 600° e 900°. Le due inflessioni a 330° e 600°, caratterizzano la idromagnesite, quella a 900° la calcite. E) Giorgiosite. Questo minerale che si presenta sotto forma di leggeri rivesti¬ menti bianco fioccosi su delle lamine di halite, fu analizzata, ma soltanto qualitativamente, dal Fouquè. Il Lacroix intravide in questo minerale proprietà ottiche completamente diverse da quelle dell’i- dromagnesite e nel 1905 ne fece una specie nuova. L’ analisi ter¬ mica differenziale dette a M.elle Caillère quattro inflessioni endoter¬ miche a 110°, 200°, 400° ed 800°. Quest’ ultima corrisponde alla temperatura di fusione del cloruro di sodio. Il Lacroix, pur ammet¬ tendo che la giorgiosite e l’idromagnesite hanno composizione chi- — 49 — mica poco differente, le considera come due specie distinte ma prossime. 2. Ricerche chimiche da me condotte sui carbonati basici di magnesio presenti al Vesuvio. Come ho precedentemente riferito lo studio di questi composti dei magnesio presenti al Vesuvio è legato a tre nomi: E. Scacchi, Brugnatelli, Zambonini. Poiché le tesi sostenute dai tre studiosi sono alquanto contrastanti, ho voluto condurre uno studio analitico siste¬ matico su numerosi campioni di « idrogiobertite » del Vesuvio, per poter ricercare, ove mai vi fosse stato, un rapporto, un legame ge¬ netico -mineralogico tra questi minerali. Naturalmente l’abbondanza del materiale da studio avrebbe do¬ vuto essere il primo requisito essenziale per quanto mi proponevo di fare. La collezione Mineralogica Vesuviana mi ha permesso di prelevare materiale sufficiente per la mia ricerca. Senza voler com¬ piere una descrizione particolareggiata di ogni singolo campione scelto, avendo riunito in un sol gruppo, quegli esemplari che mi sembravano più o meno simili, ho ottenuto tre gruppi. 1° Gruppo: Numero tre campioni di a Idrogiobertite globosa terrosa. Lava erratica di Pollena » (come da accluso cartellino com¬ pilato da A. Scacchi). Il minerale si presenta sotto forma di sferette di varie dimensioni: i più grandi raggiungono un diametro di cui. 2, i più piccoli, pur conservando sempre la tipica forma, raggiungono un diametro di mm. 4. Il colore è grigio chiaro, mascherato tal¬ volta da una patina di una sostanza bianca farinosa che si ritrova interposta anche qua e là tra alcune sferette. Osservando al bino¬ culare, in qualcuna di queste cavità, ho potuto individuare dei cri¬ stalli di calcite perfettamente cristallizzata. Uno di questi campioni risulta inglobato dalla lava. In sezione sottile, i cristalli di idro¬ giobertite si presentano allungati a fasci o a ventaglio, (fot. n° 1) di color grigio azzurrognolo, a nicols incrociati. In questa massa di cristalli nettamente birifrangenti, spiccano alcuni individui monori¬ frangenti, di color nero-pece: sono cristalli di magnetite, come ri¬ sulta anche dal contorno ottaedrico (fot. n° 3). 2° Gruppo: Numero cinque campioni di « Idrodomite globosa del M. Somma», come da accluso cartellino. L’aspetto di questi esemplari non sembra essere, almeno a prima vista, molto diverso — 50- da quelli innanzi descritti: infatti anche qui la forma è globulare con un ampiezza del diametro oscillante tra i cm. 2 ed i mm. 4, 5. Ove presentano netta differenziazione è nel colore: bianco- latte, che, in qualche punto sfuma verso il giallo-ruggine, per inclusioni di idrossido ferrico. Uno di questi campioni è inglobato in un tufo. In sezione sottile, accanto ai cristalli allungati o a ventaglio di idro¬ magnesite, si trovano cristalli non solo di calcite, ma anche di do¬ lomite, a contorno rotondeggiante (fot. n° 2). 3° Gruppo: Numero quattro campioni di « Idrodolomite, cosparsa di cavità sferiche». Ho tenuto distinto questo terzo gruppo in quanto questi ultimi esemplari, pur mantenendo inalterata la co¬ lorazione dei saggi precedenti, purtuttavia sono di aspetto un po’ diversi. Si notano delle cellette di varie dimensioni, nelle cui ca¬ vità, e, solo sporadicamente, vanno ad incastrarsi delle sferette bianco-terrose, che, all’ analisi, risultano della stessa natura della sostanza che costituisce le cellette. In sezione sottile si notano dei cristalli di idromagnesite, non molto diffusi, ed in misura molto maggiore, aggregati di dolomite (foto n° 4). Tutte le analisi da me effettuate vengono riportate nei quadri seguenti, che conservano la prima suddivisione in gruppi. 1° Gruppo: Idrogiobertite delia lava errata di Poliena. Ana¬ lisi 1, II e III (Analista Sinno). 2° Gruppo: Idrodolomite globosa del M. Somma. Analisi IV, V, VI, VII, Vili, (Analista Sinno). 3° Gruppo: Idrodolomite del Monte Somma con cavità sfe¬ riche. Analisi IX, X, XI, XII. (Analista Sinno). — 51 — I II III Residuo Insol. 1.20 0.31 1.22 C02 34.00 33.47 30.90 Fe2 03 2.14 2.20 2.80 A12 o3 1.05 1.64 1.30 CaO 2.04 1.46 3.60 Mg 0 41.30 42.16 40.16 h2 0+ 0.25 2.20 1.70 h2 0- 18.54 17.13 18.28 Totaie 100.52 100.47 99.96 IV V VI VII Vili Resid. Insol. 1.28 6.35 0.40 0.38 0.20 co2 38,88 40.20 40.10 40.90 39.94 Fe303 0.90 0.36 tracce 0.18 0.13 auo3 0.38 0.28 » 0.40 0.05 CaO 27.74 27.32- 27.24 28.98 31.80 MgO 20.80 21.54 22.60 20.70 20.20 h;o+ 0.60 0.44 0.20 0.30 0.20 hIo- 9.68 9.68 9.82 9.10 8.10 Totale 100.04 100.17 100.66 100.48 100.62 IX X XI XII Resid. Insol. 0.46 0.66 C.40 0.32 co2 41.38 45.76 46.44 47.50 Fe303 0.35 tracce 0.57 0.18 A1o03 0.19 » 0.45 0.06 CaO* 34.60 30.92 30.04 30.04 MgO 20.80 20.90 21.44 21.70 HsO+ 0.16 0.48 0.32 0.18 HoO- 2.10 1.26 0.35 0.12 Totale 100.04 99.98 100.01 100.10 52 — L’H20 è stata ricercata col metodo di Brusch-Pemfield. La C02 con lo apparecchio di Schoedter e controllata poi per differenza. Calcolati i rapporti molecolari, tenendo conto soltanto dei com¬ ponenti principali, ho ottenuto i seguenti risultati per le prime tre analisi che rappresentano, come dirò tra breve, l’idromagnesite allo stato relativamente puro. I II III Rapp. Mol. Rapp. Mol. Rapp. Mol. H2 O 1.030 5.60 0.952 5.17 1.016 6.11 (0.736 4. C02 0.772 (0.036 (0.736 4. 0.760 (0.024 (0.641 4. 0.705 (0.064 CaO 0.036 0.024 0.064 MgO 1.032 5.60 1.054 5.83 1.016 6.11 Prendendo come base per l’idromagnesite la formula del Feno- glio 5MgO . 4 C02 . 5 H2 O ho iniziato col sottrarre dalla quantità to¬ tale di anidride carbonica quella spettante all’ossido di Ca, per con¬ siderarlo, come in realtà è, sotto forma di calcite. Ho calcolato poi i rapporti molecolari tra H2 O, C02 , ed MgO, posto uguale a quat¬ tro la quantità di C02 residua. Dai rapporti ottenuti per ciascuna analisi si nota sia per l’H20 che per il MgO un eccesso rispetto alle quantità richieste dalla formula. Nell’ambito delle analisi I e III queste due quantità sono uguali, per cui si deve ammettere, almeno analiticamente, la presenza della brucite. Per l’analisi II essendovi una quantità eccedente di MgO si deve ammettere la presenza di periclasia. In sezione sottile, almeno per quelle che ho avuto modo di esaminare, non mi è stato possibile accertare con assoluta sicurezza la presenza di questi due minerali, che pur devono formarsi nel processo genetico dell’idromagnesite. Sulla scorta dei precedenti rap¬ porti, ho calcolato le percentuali di idromagnesite e dei minerali che l’accompagnano. ANALISI I. H20+=1.030 C02 i= 0.772 CaO = 0.036 MgO = 1.032 CaCOs : CaO 0.036 CO, 0.036 4 MgCO 8 • Mg (OH)» • 4H20 : MgO 0.920 CO, 0.736 Mg (OH),-. MgO 0.112 HoO 0.112 Da questi dati si possono ricavare le seguenti percentuali in peso: Calcite = 3.60 Idromagnesite r=2 85.74 Brucile = 6.49 Sesquios. di Fe == 2.14 Sesq. di Al = 1.05 Acqua igros. = 0.24 Res. Ins. = 1.20 = Totale 100.46 ANALISI IL H20+— 0.952 C02 =■ 0.760 CaO = 0.024 MgO = 1.054 CaCOs : CaO 0.024 C02 0.024 4 MgCO ^ • Mg (OH)2 • 4 H»0: MgO 0.920 C02 0.736 H20 0.920 Mg (OH), : MgO: MgO 0.032 0.102 H2Ó 0.032 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite = 2.40 Sesquios. di Fe = 2.20 Idromagnesite = 85.70 Sesq. di Al = 1.64 Brucite = 1.85 Acqua igros. = 2.20 Periclasia = 4.08 Res. Ins. = 0.31 Totale 100.38 — 54 — ANALISI III. H2O+=1.016 C02 = 0.705 CaÓ = 0.064 MgO == 1.016 C«C03 : CaO 0.064 co2 0.064 4 MgCO , • Mg (OH)» • 4 H»0: MgO 0.800 c°; 0.641 Mg (OH)»: MgO 0.216 H2Ò 0.216 Ho0 0.800 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite = 6.40 Sesquios. di Fe = 2.80 Idromagnesite = 74.56 Sesq. di Al — 1.30 Brucite = 12.52 Res. Ins. — 1.22 H Totale 100.50 Avendo preso ora in considerazione le analisi del 2° Gruppo, ho ottenuto : ANALISI IV. H2O+=0.514 C02 = 0.883 CaÓ = 0.493 MgO = 0.520 CaCOs : CaO 0.493 co2 0.493 4 MgCO,. Mg (OH),.- 4M J>. MgO 0.485 co2 0.389 Mg (OH),: MgO 0.029 H2Ò 0.029 MgO: 0.006 Ho0 0.485 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite = 49.30 Sesquios. di Fe = 0.90 Idromagnesite = 45.68 Sesq. di Al = 0.38 Brucite = 1.68 Acq. Ig. •= 0.60 Periclasia == 0.24 Res. Ins. = 1.28 = Totale 99.96 ANALISI V. CaC03 4 MgCO 3 • Mg (0H)2 • 4 H90 Mg (< OH )s H30+= 0.533 C03 — 0.913 CaÓ = 0.487 MgO = 0.538 CaO 0.487 MgO 0.530 MgO 0.008 C03 0.487 co3 ILO 0.426 0.008 ILO 0.530 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite — 48.70 Idroniagnesite — 49.39 Brucite — 0.46 Sesquios. di Fe = 0.36 Sesq. di Al = 0.28 Acqua, igr. == 0.44 Res. Ins. = 0.35 == Totale 99.98 ANALISI VI. H2Oh = 0.545 C03 = 0.911 CaÓ = 0.486 MgO = 0.565 CaCOz : CaO 0.486 co2 0.486 4 MgCO 3 ■ Mg (OH)., ■ 4H..O : MgO 0.530 co3 0.425 Mg (OH), -. MgO 0.015 h2o 0.015 MgO: 0.020 h3o 0.530 Da questi dati si ricavano le seguente percentuali in peso : Calcite = 48.60 Periclasia == 0.80 Idromagnesite — 49.39 Acqua igroscop. = 0.50 Brucite — 0.87 Resid. Ins. = 0.40 = Totale 100.56 — 56 — ANALISI VII H20+=0.510 C02 — 0.929 CaÓ = 0.518 MgO = 0.510 CaC02 : CaO 0.518 4 MgCO 3 • Mg (OH). • 4 H.O: MgO 0.510 C02 0.518 C02 0.411 H20 0.510 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite — 51.80 Idromagnesite = 47.53 Sesquios. di Fe = 0.18 Sesquios. di Al = 0.04 Acqua igr. = 0.30 Res. Insol. = 0.30 — : Totale 100.23 ANALISI Vili H2O+=0.455 C02 = 0.907 CaÓ — 0.550 MgO == 0.505 CaCOs : CaO 0.550 co. 0.550 4 MgCO z • Mg (OH)2 • 4 H20: MgO 0.445 co2 0.357 Mg (HO), : MgO 0.10 h2o 0.10 MgO: 0.50 H20 0.445 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite = 55.00 Sesquios. di Fe = 0.13 Idromagnesite = 41.47 Sesquios. di Al = 0.05 Brucite = 0.58 Acq. Ig. = 0.20 Periclasia == 2.00 Res. Ins. = 0.20 = Totale 99.63 Avendo in ultimo considerato le analisi del 3° Gruppo, ho ottenuto : ANALISI IX H2O4-=0.1!6 C02 = 0.940 CaÓ = 0.617 MgO = 0.520 CaCO, : CaO 0.617 co2 0.617 MgCO, : MgO 0.231 co. 0.231 4 MgCO., ■ Mg ( OH)2 ■ 4 H20: MgO 0.116 co. 0.92 MgO-. 0.173 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite Magnesite Idromagnesite Periclasia = Totale 99.75 — 61.70 Sesquiossido di Fe — 0.35 -• 19.32 Sesq. di Al = 0.19 — - 10.71 Acqua Igros. — 0.16 6.92 Res. Ins. = 0.46 ANALISI X Hs0-b=0.070 C02 — 1.040 CaÒ — 0.552 MgO = 0.552 CaCO, MgCO, Mg (OH), MgO CaO 0.552 MgO 0.488 MgO 0.07 0.27 C02 0.552 C02 0.488 H2Ó 0.07 Da questi risultati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite Magnesite Brucile = 55.20 == 41.99 = 1.08 == 0.46 = 0.48 = 0.66 Totale 99.97 Periclasia Acqua Igros. Res. Ins. — 58 — ANALISI XI H30+=r0.018 C03 = 1.055 CaÓ = 0.536 MgO = 0.536 CaCO, : MgCO, : Mg (OH), : CaO 0.536 MgO 0.519 MgO 0.018 C03 0.536 C03 0.519 H3Ó 0.018 Da questi risultati si ricavano le seguenti percentuali in peso : Calcite Magnesite Brucite Sesquios. di Fe = 53.60 = 43.59 = 1.05 = 0.57 Sesquiossido di Al = 0.45 Acq. Igr. = 0.32 Res. Ins. = 0.40 = Totale 99.98 ANALISI XII C03 = 1.079 CaÓ = 0.536 MgO == 0.543 CaCO 3: CaO 0.536 C03 0.535 MgCO MgO 0.543 C03 0.543 Da questi dati si ricavano le seguenti percentuali in peso : — 53.60 Sesquios. di Al = 0.06 = 45.61 Acq. Igr. — 0.18 — °*18 Res. Ins. = 0.32 = Totale 99.97 Calcite Magnesite Sesquios. di Fe — 59 — Dal complesso delle analisi da me effettuate e dalla discussione dei rapporti molecolari derivanti, ho potuto trarre le seguenti con¬ clusioni : 1° - Le sferette grigie prelevate dalla Collezione Mineralogica Vesuviana sotto il nome di « idrogiobertite » e successivamente ana¬ lizzate, (analisi del 1° gruppo) rappresentano il minerale idromagne¬ site. I risultati analitici ottenuti, rapportati ai valori richiesti dalla formula assegnata dal Fenoglio a questo minerale, mi hanno per¬ messo ancora una volta di stabilire, dopo gli studi dello Zambonini, la perfetta identità dell’idrogiobertite con l’idromagnesite. Devo però aggiungere, contrariamente a quanto affermano gli studiosi dell’idro- magnesite del Vesuvio, che mi hanno preceduto, che questo mine¬ rale, sempre limitatamente al Vesuvio, non si rinviene mai allo stato puro, essendo costantemente accompagnato dalla calcite non solo ma anche, il più delle volte, dalla brucile e dalla periclasia, che rappresentano i prodotti intermedi che generano, in opportune condizioni, il più semplice e comune tra i carbonati basici di ma¬ gnesio. Anche la presenza delio Fe„03 e dello A1203 non era stata mai finora segnalata nelle idromagnesiti del Vesuvio. 2° - Che la sostanza madre generatrice dell’ idromagnesite è senza dubbio alcuno la dolomia, che in seguito al processo di «de¬ dolomitizzazione » forma in un primo tempo magnesite e calcite (25), ed in un secondo tempo, periclasia ed ossido di calcio. Infine men¬ tre la periclasia viene trasformata ad opera della H20 e della C02 in brucile e successivamente in idromagnesite, l’ossido di calcio va a ricostituire la calcite, che accompagna sempre, anche se in piccole quantità, la più pura delle idromagnesiti. 3° - Che le sferette bianche denominate « idrodolomite » del M. Somma, non rappresentano un minerale, ma una miscela in pre¬ valenza di due minerali, e precisamente calcite ed idromagnesite a cui si associano, in misura minore, brucite e periclasia. D’ altra parte faccio però rilevare che il nome di « idrodolomite » può es¬ sere giustificato dal fatto, come risulta dal calcolo dei rapporti mo¬ lecolari ottenuti per le analisi del 2° gruppo, che i rapporti delle quantità di CaO e di MgO sono press’a poco vicini a quelli che si rinvengono nella dolomite. 4° - Che le così dette « idrodolomiti » rappresentano, con tutta sicurezza, il termine intermedio nel processo di decomposizione della dolomia, avviandosi progressivamente, con l’ aumentare del — 60 — tenore di HsO a spese della diminuzione della CO„, alia forma¬ zione della tipica idromagnesite. A conferma di questa mia conclusione chiamo in aiuto uno studio dell’ONORATO (26) che segnalò nel 1930 la presenza dell’idro- magnesite in alcuni inclusi del peperino di Ariccia (Parco Chigi, Lazio). Tale minerale fu rinvenuto su di un calcare, che all’analisi chimica effettuata dallo stesso Onorato, si rivelò di natura dolomi¬ tica. La presenza quindi dell’idromagnesite con la dolomia segna¬ lata ad Ariccia, rappresenta, a mio avviso, la sostanziale conferma delle mie conclusioni sull’origine dell’idromagnesite al Vesuvio. Istituto di Mineralogia della Università di Napoli. Maggio 1954. BIBLIOGRAFIA (1) Trolle-Wachtmeister — Hydromagnesìte. Akad. handL, tomo 18. Stoc¬ colma, 1827. (2) Brugnatelli L., — Sopra un nuovo minerale dei giacimenti di amianto in Val Lanterna. Rend. R. Istit. Lombardo di Scienze e Lettere, voi. XXXV, s. II, pag. 879. Milano, 1902. (3) Artini E., — Brugnatellite, nuova specie minerale trovata in Val Malenco. Rend. R. Accad. Naz. dei Lincei, Cl. Se. Fis. e Mat., voi. XVIII, pag. 6. Roma, 1909. (4) Grill E., — Sui giacimenti di amianto delle Alpi Piemontesi. Atti Soc. It. di Scienze Naturali, voi. LX, pag. 296. Milano, 1921. (5) Fenoglio M., — Sopra alcuni minerali di Viù in Val di Lanzo. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XLVI, pag. 21. Roma, 1927. (6) Fenoglio M., — Ricerca sull’ artinite delle miniere di Cogne in Val d’ Aosta. Periodico di Mineralogia, voi. VII, pag. 47. Roma, 1936. (7) Lincio G., — Sull’ artinite di M. Ramazzo (Liguria). Rend. R. Accad. dei Lincei, Cl. Se. Fis. e Mat., s. VI. voi. XI, pag. 420. Roma, 1936. (8) Ferrari A. e Ghiron D., — Sopra un artinite di Hoboken (New Jersey). Period. di Mineralogia, voi. Ili, pag. 286. Roma. 1931. (9) Scacchi E., — Contribuzioni mineralogiche. Rend. R. Accad. di Se. Fis. e Mat. di Napoli, anno XXIV, pag. 310. Napoli, 1885. (10) Rammelsberg F. — Handwoy. der chem. Theil. der Miner., suppl. 5, pag. 137. 1853. (11) Lacroix A. M., — Sur un nouveau minerali la giorgiosite. Bull. Soc. Frane. Min., voi. XVIII, pag. 120. Paris, 1905. (12) Levi G. R., — Struttura dei carbonati basici di Mg. Ann. Chim. Appi., fase. IV, pag. 265. Milano, 1925. (13) Levi G. R., — Sui carbonati basici di Mg. Giorn. di Chim. Appi, e ind., n. 12, pag. 697/Roma, 1925. (14) Levi G. R., — Sui Carbonati Basici di Mg. Giorn. di Chim. appi, e ind., n. 5, pag. 224/Roma, 1930. R. Sinno — Sui carbonati basici di Mg presenti al Vesuvio. Fig. 1. — Idromagnesite a struttura fibroso-raggiata, con cristalli di cal¬ cite e granuli di dolomite residua. (Nicols X ; Ingrandimento : x 50). . Fig. 3, — Idromagnesite con magnetite. ! (Nicols X; Ingrandimento : x 50). I Fig. 2. — Calcite : L grandi cristalli di neoformazione, con piccole masse di idromagnesite. (Nicols X; Ingrandimen¬ to : x 50). Fig. 4. — Granuli di dolomite resi¬ dua, tra cristalli di calcite di neofor= inazione. (Nicols X ; Ingrandimento : X 50). — 61 — (15) Menzel H. e Bruckner A., — Studien an kohlensauren magnesiumsalzen i. basische magnesiumcarbonate. Zeitt. fur Elettr ochemie , voi. XXXVI, pag. 63. Berlino, 1930. (16) Walter Levy L., — Carbonates basiques de Mg. Comptes Rendus de l’Acad. de Sciences, voi. 200, pag. 1940. Paris, 1935. (17) Fenoglio M., — Ricerche sull’ idrom agnesite. Period. di Miner., voi. VII. pag. 257. Roma, 1936. (18) Fenoglio M., — Ricerche sull’ artinite delle miniere di Cogne e Val d’Aosta. Period. di Miner., voi XII, pag. 47. Roma, 1936. (19) Brugnatelli M., — Ueber artinit ein neues minerai der Asbestgruben von Val Lanterna ( Vetlin). Centralblat fur Min, geol. u. s. w., pag. 148. Stut¬ tgart, 1903. (20) Zambonint F., — Mineralogia Vesuviana , pag. 124. Napoli, 1935. (21) Cesaro G., — Contribution à l’étude de minéraux dii Vesuve et du Monte Somma. Mem. de PAcad. Roy. Se. de Belgique, s. II, voi. Ili, pag. 9. Bruxelles, 1911-13. (22) Dana D. J., — The sistem of mineralogy, pag. 306. New York, 1892. (23) Mielose vich F., — Sulla cosidetta idrodolomite di Marino. Rend. R. Accad. Lincei, GL. Se. Fis. e Mat., s. V, voi. XXII, pag. 642. Roma, 1913. (24) Caillère S. — Contributions à T elude de T ydr omagnesite ot de quelques autres kydrocarbonates magnesiens : l’hydrogiobertite , l’hydrodolomite et la giorgiosite. Bull. Soc, Frane. Min,, voi, LXVI, pag. 53. Paris, 1943. (25) SiNNO R. — La periclasia del Monte Somma. Boll. Soc. Nat. di Napoli, voi. LXII, Napoli, 1953. (26) Onorato E., — Igr omagnesite di Ariccia (Parco Chigi, Lazio). Period. di Min., voi. I, pag. 223. Roma, 1930. Boll. Soc. Naturalisti 5 Scoperta di resti scheletrici dell’ uomo preistorico in una grotta presso Marina di Camerota. Nota del socio Pietro Parenzan (Tornata del 25 giugno 1954) Dopo esplorata, il giorno 13 corr. mese, la Grotta della Cala, che si apre imponente sulla spiaggia a sud di Marina di Camerota, in un cunicolo della quale rinvenni tracce dell’industria musteriana già nota per la regione per i magistrali studi del Blanc, tracce rap¬ presentate da selci in quarzite e diaspro, ossa intenzionalmente scheggiate, nonché numerosi frammenti di ossa di animali, poche conchiglie e qualche frammento dentario umano, passai, con i miei collaboratori della Sez. Speleologica dell’LB.A. , ed accompagnato dal medico condotto del luogo Dott. V. Romano, a visitare una grotticella pochi metri discosta, venuta alla luce solo sette mesi or’ sono nel corso di piccoli lavori stradali. Riservandomi di riferire ampiamente sulla stessa grotta dopo completate, in collaborazione, adeguate ulteriori ricerche, e dopo che tutti i materiali raccolti saranno studiati per parte degli specialisti, con la presente nota mi limito ad annunciare la scoperta di abbon¬ dante materiale scheletrico umano, commisto a qualche manufatto del Paleolitico superiore. Questo sarebbe il reperto più meridionale per la penisola, dopo quello del Circeo. Il materiale comprende ossa craniali, mandibole (fra le quali una di neonato), vertebre, os¬ sa lunghe, coste ed ossa di mani e piedi. Coll’ intercessione di S.E. il Prefetto di Salerno Dott. Aria, ho disposto acchè la grotta venisse subito chiusa e tutelata. Ringrazio il Comando Militare Territoriale di Napoli, per il largo aiuto datomi anche in questa esplorazione. Sez. Speleologica dell’ IBA. - Napoli, 25 giugno 1954. Sulla presenza del gen. Globotruncana Cush. in una serie calcareo-marnosa a liste di selce presso Rodi Garganico (Foggia). Nota del socio M. Moncharmont Zei (Con 1 tav. f. testo) (Tornata del 25 giugno 1954) Durante l’estate 1953, nel corso di alcune escursioni nel Gar¬ gano, ho avuto occasione di visitare la zona di Rodi Garganico. Lungo la strada nazionale n. 89, all’altezza del chilometro 66, a poca distanza dalla detta cittadina, a sud-ovest, affiora una serie dal¬ l’aspetto litologico inconsueto (1), per la quale il F° 156 (S. Marco m Lamis) della Carta geologica d’Italia, rilevato da Checchia-Rispoli e stampato nel 1928 riporta : Infracretaceo ( Hauteriviano ): calcari bianchi compatti; calcari marnosi, marne giallicce con interstrati di selce, con Peregrinella niul- ticamerata. Ho ritenuto potesse essere di un certo interesse ricercare le microfaune negli straterelli marnosi che si intercalano ai livelli calcarei di non grande spessore. Ciò anche perchè la presenza delle liste di selce mi sembrava stesse ad indicare un ambiente di sedi¬ mentazione piuttosto profondo, in cui sarebbero potuti risultare abbondanti i foraminiferi pelagici. Questi, coni’ è noto, sono infatti di notevole interesse per le determinazioni stratigrafiche (2) perchè non sono vincolati alle condizioni di facies che sempre determinano una certa differenziazione delle microfaune bentoniche in rapporto alle condizioni ambientali del fondo. Le marne, sottoposte a vari trattamenti per ottenerne la disgrega¬ zione senza danneggiare seriamente i foraminiferi, si sono rivelate (1) È noto, infatti, che in tutta l’Italia meridionale le serie del Cretaceo si presentano normalmente costituite da calcari stratificati, in banchi di un certo spessore, per i quali si riconosce generalmente uua facies di scogliera. (2) Di Napoli- Alliata E., Foraminiferi pelagici e facies iti Italia (dal Cre= taceo ad oggi). Atti VII Gongr. Naz. Metano e Petrolio (Taormina 1952), voi. 1, pag. 221. Palermo, 1953. — 64 — abbastanza ricche in microfossili, con prevalenza di Anomalina lor- neiana (d’Orbigny) (che, com’è noto, assume un notevole significato stratigrafico) alla quale si associano poche altre specie bentoniche, nonché il genere Glohotruncana , pelagico, con almeno tre specie. La presenza di quest’ ultimo genere mi sembra essere di note¬ vole importanza per la migliore conoscenza della geologia del Gargano. Sarà quindi opportuno procedere a ricerche dettagliate intese a meglio stabilire la distribuzione areale della serie marnoso- calcarea con liste di selce, che, a seguito di tale ritrovamento, non può più rimanere inclusa nell’Infracretaceo, dovendo essere ascritta al Cretaceo superiore. E noto, infatti, che il genere Glohotruncana caratterizza il So¬ pracretaceo, anche se la sua associazione con Anomalina lorneiana (d’Orb.), molto frequente, possa far pensare, d’accordo con Gan- dolfi (1) e Renz (2) alla parte più alta dell’Infracretaceo. I caratteri offerti dalle Globotruncane della mia microfauna, che sono tutte ad una sola carena, consentono di meglio definire la posizione stratigrafica della formazione in esame, che pertanto può essere ascritta alla porzione inferiore del Sopracretaceo (Ceno- maniano). La presente nota riveste solo carattere di segnalazione prelimi¬ nare, in attesa di condurre a termine, dopo aver raccolto altro materiale, lo studio della microfauna. Napoli , Istituto di Geologia , Paleontologia e Geografia fisica delV Università, giugno 1954. (1) Gandolfi R., Ricerche micropaleontologiche e stratigrafiche sulla scaglia e sul flysch cretacici dei dintorni di Baiermo. Riv. It. di Paleontologia, anno, XLVIII, memoria IV. Milano, 1942. (2) Renz O.. Ricerche stratigr. e micropaleontologiche sulla scaglia ( Cretaceo su p .-Terziario ) dell 9 Appennino centrale. Mem. descrittive della Carta geologica d’Italia, voi. XXIX, Roma, 1951. Sulla presenza dell’oligocene in località Porto Badi- disco, sul canale d’ Otranto, in provincia di Lecce. Nota preventiva dei soci A. Lazzari e M. Moncharmont Zei (Tornata del 25 giugno 1954) In occasione del rilevamento dei fogli 214 (Otranto), 215 (Gal¬ lipoli) e 223 (Tricase) della Carta Geologica d’Italia, effettuato negli anni 1891-92 da M. Cassetti, e riveduto poi nel 1902 da Baldacci, Di Stefano e Cassetti, venne sporadicamente segnalata la presenza di Nummulites molli Lmk., N. complanata Lmk., N. tchihatchefjì d’Arch., N. guettardi d’Arch. e N. curvispira Mgh. Ciò indusse i ri¬ levatori ad ascrivere all’Eocene superiore alcuni lembi di calcari subcristallini, prevalentemente organogeni, e particolarmente ricchi di corallari costruttori, che corrono lungo la costa sud-orientale della Provincia di Lecce, fra Capo Palascia, presso Otranto, a Nord, e la Punta Méliso a sud, presso il Capo S. Maria di Leuca. La leggenda indica, con qualche variante di scarsa importanza per i vari fogli : Eocene Superiore: Calcare bianco o colorato, compatto, con Orbitoidi e Nummuliti (?), Cipree e Coralli. Tale segnalazione sembrò presto in contrasto con le osserva¬ zioni di Dainelli [2], il quale, dopo la pubblicazione dei fogli sud¬ detti, avvenuta nel 1904, aveva preso in esame la parte meridio¬ nale del Capo di Leuca, e dette luogo ad una polemica piuttosto vivace, alla quale parteciparono Di Stefano [5] [6] e Baldacci [1], con la singolare asserzione, da parte del Di Stefano, di una pre¬ sunta associazione di Nummulites e Lepidocyclina in quei calcari che finiva con il riportare [5] al Luteziano. Comunque, anche Douvillè [7], ebbe a riconoscere la presenza dell’Eocene nella provincia di Lecce, pur mettendo in evidenza il fatto che non poteva accettarsi, per i terreni di tale età, l’associa¬ zione voluta da Di Stefano. — 66 — Vero è che i generi suddetti sono entrambi rappresentati nei sedimenti calcarei della costa orientale delia Penisola Salentina, senza che peraltro essi risultino effettivamente associati in una stessa formazione. In tal senso parlano, difatti, le sistematiche ricerche condotte sul terreno da uno di noi (Lazzari) sin dal 1938 per la sua tesi di laurea, nonché lo studio, in corso, del materiale fossilifero, da parte dell’altro autore della presente nota preventiva (Moncharmont Zei) il quale pure ebbe ad occuparsene per la sua tesi di laurea. In realtà, mentre le Nummuliti appaiono presenti in rare lo¬ calità, le Lepidocicline sono invece assai frequenti in tutti i lembi indicati come Eocene nei relativi fogli della carta geologica ufficiale. Yien quindi fatto di pensare che la pretesa associazione sia da attri¬ buirsi all’avere accomunati campioni di roccia calcarea prelevati in luoghi vicini, ma appartenenti a formazioni diverse e non distingui¬ bili sul terreno per la spiccata e ben nota analogia litologica. Le Lepidocicline, come già accennato, sono frequenti per ogni dove. In particolare, riteniamo utile segnalare qui, in attesa che ne venga portato a termine lo studio di dettaglio, l’interesse dei tutto particolare che ci sembra offrire il lembo oligocenico affiorante presso Porto Badisco, a sud di Otranto, ove i sedimenti di tale età sono rappresentati, a differenza di quanto si verifica per gli altri lembi, da una sorta di tufo calcareo grossolano, di colore bianco e di aspetto macroscopico perfettamente identico a quello dei tufi calcarei , pliocenici e quaternari, così largamente rappresentati nelle varie provincie pugliesi ed in quella di Matera. Il tufo calcareo di Porto Badisco è straordinariamente ricco di Lepidocicline, presenti con varie specie, alle quali si associano, oltre a microforaminiferi, rari lamellibranchi ( Ostrea , Pecten ) di piccole dimensioni, e frequenti echinidi dei generi Scutella , Echinocyamus ed Echinolampas , dei quali sono abbondanti i radioli. I risultati dello studio paleontologico (Moncharmont Zei) vedranno la luce unitamente al rilievo geologico delia zona (Lazzari). Per quanto De Benedetti [4] e Principi [8] abbiano segnalato la presenza dell’Oligocene nella porzione meridionale della provincia di Lecce, pure non ci risulta che il singolare giacimento di Porto Badisco, messo in bella evidenza da alcune trincee fra le quali corre la strada litoranea aperta nel 1918, sia stato ancora reso noto agli studiosi. Esso è, quindi, nuovo per la scienza, pur avendo Di Stefano [5] segnalato genericamente la presenza di due lepido- Moncharmont Zei M. — Sulla presenza del gen. Globotruncana Cush. ecc. Associazione di Anomalina, Globotruncana , Lenticulina ecc . nelle marne del Sopracretaceo di Rodi Garganico, — 67 — cicline, ritenute specie nuove, ma non mai pubblicate, unitamente alle nummuliti che gli fecero ascrivere i depositi della Masseria La Pezza (non lontana da Badisco) all’Eocene. La potenza dei depositi oligocenici nella zona di cui trattasi non supera le poche decine di metri, ed è ben visibile, special- mente nella parte più profonda di quel porticciolo naturale, il netto passaggio litologico fra quei sedimenti tufacei ed i sottostanti cal¬ cari compatti subcristallini mesozoici. In corrispondenza del contatto trasgressivo, le acque sotterranee fluenti al mare hanno praticato alcune cavità ed andamento orizzontale, ora al disopra del livello marino, fra le quali va specialmente ricordata la Grotta dei Diavoli. Questo lungo e basso cunicolo, accessibile per circa 80 m., assai ricco di evorsioni, presenta la volta letteralmente tappezzata di le- pidocicline. La cavità, ancora oggi sede di un bacino idrico nella sua porzione più interna, con interessantissime forme cavernicole di crostacei ( Typhlocaris salentina Car. Spaelomysis bottazzii Car. e Stigyomisis hydruntina Car.) è nota alla scienza anche perchè fu eletta a grotta funeraria nell’Eneolitico, quando l’uomo prese dimora in alcuni ripari sotto roccia esistenti nella zona. Napoli , Istituto di Geologia , Paleontologia e Geografia Fisica dell’ Università , giugno 1954. BIBLIOGRAFIA [1] BaldacCI L„ — Osservazioni sulla memoria u Sulla parte meridionale del Capo di Leuca „ del dott. Dainelli G. Boll. Soc. Geol. Ital., XXI Roma, 1902. [2] Dainelli G., — Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca. Boll. Soc. Geol. Ital., XX. Roma, 1901. [3] — — Vaccinintes (Pironea) polystilus Pirona nel Cretaceo del Capo di Leuca. Boll. Soc. Geol. Ital., XXIV. Roma, 1905. [4] De Benedetti A„ — Osservazioni geologiche sull’ estremità meridionale della Penisola Salentina. Boll. Uff. Geol. Italia, LV. Roma, 1930. [5] Di Stefano G., — Sull’ esistenza dell’Eocene nella Penisola Salentina. Rend. Acc. Nnovi Lincei, XV. Roma. [6] — — Poche altre parole sull’Eocene della Terra d’ Otranto. Riv. Ital. di Paleontologia, ^XIV (1908). Catania, 1909. [7] Dou ville R.,_ — zSur les argiles écailleuses des environs de Palermo , sur le Tertiaire de la còte d’Otrante , et sur celui de Malte. Bull. Soc. Geol. de France, VI. Paris, 1908. [8] Principi P., — Sulla estensione dell’ Oligocene nell’ Appennino meridionale. Boll. Soc. Geol. Ital., LIX. Roma, 1940. Contributo alla conoscenza delle elevazioni sottomarine del Golfo di Napoli. Costituzione bio-topografica e biocenologia. Nota del socio Pietro Parenzan (Tornata del 26 gennaio 1954) Lo studio delle elevazioni sottomarine riveste un interesse par¬ ticolare sotto vari aspetti raggruppabili in due categorie : una di ordine scientifico, ed una di ordine pratico. Alla prima categoria si possono ascrivere gli aspetti geologici (origine, struttura, morfologia esterna, evoluzione e regressione, ecc.), i fattori idrodinamici e gii aspetti biologici che riguardano l’ecolo¬ gia e annessi problemi d’ordine zoogeografico e fitogeografico. Alla seconda si possono ascrivere tutte le questioni che interessano la navigabilità e la pratica valorizzazione del mare, cioè la pesca. Le elevazioni sottomarine, sotto forma di secche, banchi, ecc., variano di struttura a seconda della loro origine, e per conseguenza ne varia l’interesse biologico, sia d’ordine scientifico che pratico. Ma nel complesso, tutte le elevazioni, dei vari mari, derivano da fenomeni comuni e sono soggette a comuni processi evolutivi e regressivi; abbiamo quindi, per es., elevazioni d’ origine vulcanica sia nel Mediterraneo che nell’ Oceano Pacifico e in altri mari, e quindi, appare evidente che lo studio delle elevazioni sottomarine di un dato mare presenta un interesse generale nel campo della oceanografia. Nel Golfo di Napoli, ogni elevazione del fondo, anche lievis¬ sima, e spesso anche taluna immaginaria, viene chiamata, dai pe¬ scatori, col nome improprio di « secca ». E gli scienziati che si av¬ vicendarono nello studio della biologia del mare di Napoli dopo la creazione della « Stazione Zoologica », riportarono in buona fede, nelle loro pubblicazioni, la nomenclatura errata, parlando di Secca di Chiaja, Secca di Capo Miseno, Secca di Bocca Piccola, ecc. Ciò 69 — perchè gli studiosi si limitavano ad esaminare gli organismi che su queste « secche » venivano raccolti dai pescatori, senza studiare la struttura, le condizioni fisiche àoìV habitat. Qualcuno indicò l’errore di nomenclatura, continuando però ad usare quella corrente della gente di mare locale. Il Colombo, Ufficiale della Marina Italiana, che fu incaricato di eseguire sistematici rilievi sulle elevazioni sottomarine del Golfo, rilevò già tale errore (1888). Ritengo perciò necessario indicare le zone in parola con la terminologia oceanograficamente giusta, aggiungendo le denomina¬ zioni locali, che sempre giovano per facilitare le ricerche sul posto, e per una più chiara comprensione fra gli studiosi di biologia ma¬ rina ed i pescatori, umili ma utilissimi collaboratori. Tutte le cosidette « secche » del mare di Napoli si distingue¬ ranno quindi in: 1) Secche, 2) Scogli profondi, 3) Banchi. Per « secca » si intende, convenzionalmente, unà elevazione del fondo marino tale che possa essere pericolosa per la navigazione (es. : Secca della Gajola, Secca di Vico Equense). Per « scogli profondi » si intendono le elevazioni rocciose iso¬ late le cui cime non destano preoccupazioni per la navigazione (es. : Scogli a Sud di Nisida, rocce isolate d’origine vulcanica o di franamento). Per (( banco » si intende una zona di una certa estensione, più o meno elevata dal fondo circostante, a versanti talvolta a pendenza insensibile, il cui substrato, di origine centripeta e centrifuga (v. più avanti) differisce nettamente da quello della zona circostante; il ban¬ co, nel mare di Napoli, è sempre originato dalla primitiva presenza di uno o più scogli profondi, costituiti per lo più di materiali vul¬ canici (es. : Banco di Benda Palummo, Banco di Capo Miseno). Nel golfo partenopeo, tutte queste formazioni sottomarine, ad esclusione di certune in prossimità della costa (es. : Banco di Bocca Piccola, Secca di Vico Equense), sono di natura vulcanica: o si tratta, come in alcuni casi presso la costa, di pezzi di costa vulca¬ nica dislocati o di semplici propaggini sommerse della struttura costiera, o di residui di antichi crateri, cioè di veri vulcani demo¬ liti dall’azione del mare, come dimostrò già il Walther (1886). L’origine di questi vulcani è pure spiegata dal Walther nel suo citato studio fatto con la cooperazione di Colombo. Il bacino del golfo si sarebbe formato in seguito a due dislocazioni: la prima, — 70 — al finire dell’epoca Cretacea, che il Walther chiamò « dislocazione appenninica»; la seconda, cominciata forse nell’Oligocene o poco dopo, chiamata « dislocazione tirrenica ». Queste due dislocazioni determinarono delle rotture, o fessurazioni profonde, che si tagliano quasi a 90°; il fondo del bacino rimase quindi rotto in aree quadran¬ golari, ai vertici delle quali, cioè nei punti di massima rottura, si manifestarono fenomeni eruttivi con formazioni di coni vulcanici o crateri più o meno grandi. Ad eccezione delle emergenze rocciose nude o coperte di alghe, degli scogli centrali o perifèrici dei banchi e degli scogli profondi isolati, le aree occupate dai banchi costituiscono delle elevazioni a pendenza leggerissima. Questo fatto rientra nel quadro generale del¬ l’oceanografia come normalità. Difatti, il Murray affermò che di regola questi declivi non superano le percentuali massime della pendenza delle strade principali e delle linee ferroviarie costruite dall’uomo. Dopo questo breve accenno sulla origine e la natura delle ele¬ vazioni sottomarine del Golfo, le esamineremo dal punto di vista biologico, cioè nella loro qualità di habitat favorevoli alla vita di particolari associazioni faunistiche, o di aree di occupazione biolo¬ gica intensiva. Poiché tali in realtà sono. Anzi, dal punto di vista biologico (sia faunistico che floristico), le elevazioni submarine si possono considerare dei veri centri collettori, o punti (o aree) di concentrazione biologica. Vediamo un po’ come inizia 1’ occupazione di un’ elevazione (banco o secca) per parte degli organismi, e quali sono i caratteri topografici di questa occupazione. È noto che, nel mentre gli animali terrestri hanno larve e stadi giovanili fissi o a spostamenti aitivi, gii animali acquatici invece, in linea generale, hanno larve e stadi giovanili vaganti passivamente, e soggetti quindi a una forte percentualità di perdita o distruzione, compensata peraltro dal notevole potere quantitativo di riproduzione della maggior parte delle specie. Orbene, la massa enorme di uova, larve e stadi giovanili che vaga passivamente in balìa del mare, si distribuisce e si fissa per compiere l’ulteriore sviluppo là dove trova un substrato confacente alle necessità specifiche mentre una stragrande parte muore e si disperde durante il trasporto o se viene a trovarsi, a un dato mo¬ mento dello sviluppo, in ambiente non adatto od avverso. Appari¬ sce logico che, l’ingente quantità di organismi che sono costretti ad — 71 — incontrarsi col fango che ricopre la parte maggiore del fondo ma¬ rino, è destinata ad andare dispersa, ad eccezione degli organismi propri dei fondi fangosi (specie pelobiotiche e pelofìle; v. Parenzan, Boll. C. e Pesca delFA. O. I., 1940, Nr. 1). Si capisce bene come gli scogli che si elevano dal fondo fan¬ goso, e le elevazioni a superficie di una certa consistenza, costitui¬ scano dei centri di raccolta degli organismi di diuturno apporto -passivo, che in essi trovano sostegno o riparo, e comunque un habi¬ tat dove possono comodamente svilupparsi, accrescersi, nutrirsi, pro¬ fittando delie ottime condizioni vivificatrici del continuo ricambio acqueo e del riparo offerto dalle pareti rocciose, o dalle anfrattuo- sità, e delle particolari condizioni strutturali del substrato periferico. Supponiamo di prendere in esame uno scoglio, o cono vulca¬ nico, o frammento di cratere, primitivo, senza cioè sedimenti basali o periferici, elevantesi ritto dal fondo fangoso circostante, alla pro¬ fondità di un centinaio di metri. Se per intervento di fattori fisici (es. gioco di correnti od altri movimenti acquei) avviene un apporto centripeto, cioè un accumulo intorno allo scoglio primitivo, di fango proveniente dalla zona circostante, questo, unito al lento apporto centrifugo, di materiali cioè provenienti dalla graduale disgregazione dello scoglio, faciliterà la formazione dei versanti a dolce pendenza, e quindi la formazione di una zona periferica delio scoglio, che, allargandosi man mano costituirà il « banco ». Se viceversa mancas¬ sero i fattori di un apporto centripeto, come è da supporre per certi scogli profondi coralliferi, si stenterebbe a formare un ban¬ co o non si formerebbe addirittura, per la tendenza degli stessi materiali di disgregazione dello scoglio ad allontanarsi andando a far parte integrante del fango circostante. Nè d’altronde l’invasione progressiva e continua, fino alla base dello scoglio, di organismi coralligeni, di incrostazione, sessili, riuscirebbe a dominare l’azione dell’acqua marina ed a sopraffarla dando origine ad un banco ma¬ gari di piccola estensione. Così si potrebbe spiegare la natura degli scogli coralliferi situati a sud della ' città di Napoli, all’altezza circa di Torre del Greco. Quivi dominano le specie coralligene, e poche altre che si mantengono alla base degli scogli e sul detrito circo¬ stante, che, se continuamente si deposita per la disgregazione degli scogli e per la morte degli organismi, continuamente viene dispersa, senza possibilità di un notevole accumulo ad estensione progressiva. Esaminiamo ora il caso in cui i fattori ambientali favoriscano l’accumulo centripeto dei materiali sia d’origine periferica che d’o¬ rigine centrale (dallo scoglio). 72 — Inizialmente si avrà una scarpata fangosa, che man mano verrà resa più consistente e compatta dalPaccumulo, mescolamento e suc¬ cessivo sovrapporsi del detrito d’origine centrale. Nel mentre lo scoglio d’ origine, o scoglio primitivo, continuerà ad elevarsi nudo o ricoperto di alghe e carico più o meno di specie coralligene, que¬ ste, sia vegetali ( Lithophyllum , Lithothamnium , Peyssonnelia , ecc.) che animali (Vermi tubiceli, Gorgonie, Cladocore, Madreporari vari ecc.) troveranno possibilità di svilupparsi via via verso la base dello scoglio invadendo la zona periferica alquanto consolidata, e contri¬ buendo a consolidarla a sua volta notevolmente. Si formerà pertanto una zona a substrato consistente, favorevole alla vita di numerosi organismi, che coi loro residui e con le loro spoglie contribuiranno continuativamente a consolidare ed estendere il banco e ad aumen¬ tarne le risorse alimentari, attirando quindi anche numerose specie ittiche, per cui i banchi in generale interessano pure l’ industria — 73 — della pesca. Questa zona, che succede immediatamente allo scoglio d’origine, propongo di chiamarla « pendice zootrofa ». La zona che succede alla pendice zootrofa, meno consolidata, seppur contiene mescolato un po’ di fango in certi casi, è costituita in generale da sabbia minerale o sabbia calcarea organica, o sabbia mista, derivante dagli organismi morti e dai prodotti della disgre¬ gazione dello scoglio; materiali che da una parte tendono a scendere dalle pendici del banco, e che d’altra parte, fattori centripeti prov¬ vedono a mantenerli ed accumularli intorno alla pendice zootrofa. Questa zona, che si può chiamare «pendice detriticà», ha ge¬ neralmente un’estensione maggiore della pendice zootrofa, contiene una fauna di fondo detritico, e passa ad una terza zona sia grada¬ tamente che bruscamente, a seconda dell’andamento delle linee ba- timetriche della base del banco. Questa terza zona, o « area peri¬ ferica fangosa », è costituita di fango, talvolta molle e soffice come quello del dominio circostante, talvolta più denso o misto a poca sabbia, generalmente detritico, con residui di conchiglie o di altri organismi e popolato da specie pelobiotiche e pelofile, e di poche peloxene provenienti dalle zone predette. Riepilogando, un banco « tipo », secondo le mie ricerche, è costituito dalle seguenti zone concentricamente disposte: 1) Scoglio d’origine o primitivo (fauna di tipo coralligeno e di scoglio. 2) Pendice zootrofa (bentos ricco e svariato), 3) Pendice detriticà (bentos di fondo detritico). 4) Area periferica fangosa (bentos misto: di fondo detritico e di fondo fangoso, con elementi pelobiotici, pelofili e peloxeni). Partendo da questa concezione schematica si può comprendere chiaramente i caratteri faunistici dei diversi banchi, e, a seconda della disposizione degli scogli d’origine, si può ricostruire, teorica¬ mente, gli aspetti biocenotici di una data elevazione submarina, come si vede nello schema (fig. 2).Un esempio dimostrato grafica- mente a seguito di precisi rilievi è quello del Banco di Benda Pa- lummo (fig. 3). Ben si comprende come dalla grandezza, dalla forma e dalla situazione batimetrica dello scoglio primitivo o dalla dispo¬ sizione di più scogli giacenti in serie regolare od irregolarmente sparsi, derivi la configurazione orizzontale e verticale del banco ed i caratteri della zonatura bionomica. Sebbene un po’ confusamente, ci era già nota la fauna di alcune delle elevazioni submarine in questione; di certune poco o nulla si /-tazza srfo/rtaT/ea de/ d /J-sc/jt CL • 5c quindi di 58 metri. Il banco che circonda gli scogli, noti sotto il nome di « La Catena », si prolunga con pro¬ paggini verso il Castello d’Ischia; la parte che appartiene strettamente alla zona periferica degli scogli, ha una superficie approssimativa di 62,500 metri quadrati. Le pendice zootrofa del banco è del tipo di fondo a Lithotha- mnium (L. fruticolosum f. solata ). Dal punto di vista floristico, sul banco domina il detto Litho- thamnium fruticulosam f. solata , e sono frequenti: Codium bursa, Yidalia, Palmophyllum crassum, Peyssonnella rubra; meno frequenti: Posidonia, Acetabularia, Halimeda, Valonia, ecc. Il materiale faunistico raccolto con due dragaggi (n. 820 e 821) era composto delle seguenti specie: Amaroucium conicum, Anomia ephippium. Antedon rosacea. Antennularia antennina, Aporrhais pes pelecani, Archiascidia neapo- litana, Ascidia mentula var. rubra, Avicola tarentina, Coenocyathus Dohrni, Cerithium vulgatum, Didemnum canum, Ebalia sp., Flustra carbasea, Genocidaris maculatus, Holoturia mammata, Lambrus Mas- sena, Muricea chamaeleon, Myriozoum truncatum, Ophioglypha lacer¬ tosa, Ophiopsila aranea, Paguristes maculatus, Pandocia pomaria var. tuberosa, Pecten opercularis, Rhopalaea neapolitana, Schizoporella auriculata, Schizoporella sp., Spirographis Spallanzani, Spongelia pal- lescens, Suberites domuncula, Turritella mediterranea, Zizyphinus sp. BANCO DI BENDA PALUMMO Il Mazzarelli (1918) speculò sull’ origine del nome di questo banco e, dopo una giusta protesta contro il Walther (1910) che lo battezzò « Taubenbank » , terminò col chiamarlo «Secca di Biondo Palomba ». La spiegazione che ne dà il Mazzarelli è giusta, e pertanto — 81 — conviene chiamare il banco in parola coi suo nome corretto, cioè (( Banco di Biondo Palomba ». Ho creduto opportuno intestarlo, per queta volta, a scopo di facile riconoscimento, col vecchio nome dialettale. Il Banco di Biondo Palomba è situato a sud dell’ isolotto di Nisida (che dal Banco si rileva per N a 26° E) e a sud-est di Capo Miseno. Secondo il Colombo (1888) disterebbe da Nisida metri 2226, e da Capo Miseno 4554 (al centro?). Funk (1927) indica la distanza da Capo Miseno in metri 2500 circa. Presenta, questo banco, due punti più elevati, uno alla profon¬ dità di m. 42, l’altro di metri 50, i quali distano fra di loro, in di¬ rezione NNW-SSE, circa 1500 metri. Fra questi due punti più elevati, di natura scogliosa (scogli coralligeni) si estende, ad arco con l’apertura verso SW, un fondo sabbioso detritogeno alla profondità uniforme di 65 metri. Scende verso SW molto gradatamente, verso NE a pendio più ripido. Presenta una larghezza massima di metri 1860, una lunghezza massima di metri 3000, e copre una superficie approssimativa di oltre 5.000.000 di metri quadrati. Il Colombo (1888) dice che questo banco « si eleva sopra un fondo di metri 80 (dislivello quindi di 38 m. - Nota d. A.), alla quale profondità la sua natura comincia a cambiarsi, sostituendosi al fango tenuissimo, che tutta la circonda, prima il fango un po’ più duro mescolato a sabbia, poi la sabbia, gli scogli, le alghe, le ma¬ drepore ». Le pendici più elevate e gli scogli del banco possiedono una ricca flora, fra la quale predominano: Aglaozonia, Carpomitra Cabre- rae, Cryptonemia tunaeformis, Derbesia furcellata e Sasya corallicola (epifite su Halimeda), Gracilaria corallicola, Halimeda, Halopteris, Lithophyllum expansum, Lithothamnium calcareum, Lithothamnium fasciculatum, Lithothamnium fruticulosum, Lithothamnium Pbilippi, Palmophyllum, Peyssonnelia polymorpba, Phyllophora nervosa, Sar- gassum Hornscbucbi, Sphacellaria plumula (epifita su Halimeda), Udotea, Yalonia macropbysa, Yidalia. La fauna naturalmente supera in ricchezza la flora, con note¬ vole varietà di forme, tanto che il banco in parola si potrebbe de¬ finire una Mecca dei naturalisti raccoglitori, che da Biondo Palomba hanno avuto sempre materiali abbondanti ed interessanti per le loro ricerche, tanto che il Funk la chiamò «beruhmte», cioè celebre (1927, pag. 173). — 82 - L* elenco generale delle specie, finora determinate (non tutte sono state determinate ad ogni dragaggio!), raccolte sul banco, se¬ condo le indicazioni (pubblicate e inedite) di Colombo, Lo Bianco, Gast, Cerruti, e mie personali, comprende 390 nomi. La parte maggiore però è dovuta ai dragaggi miei. Trattasi di 29 Poriferi, 21 Antozoi, 7 Idromeduse, 2 Crinoidi, 18 Asteroidi, 10 Echinoidi, 7 Oloturoidi, 2 Policladi, 9 Nemertini, 2 Gafirei, 18 Anellidi, 18 Brio- zoi, 5 Cirripedi, 3 Copepodi, 2 Stomatopedi, 28 Macruri e Paguri, 23 Brachiuri, 11 Antìpodi, 8 Isopodi, 4 Pantopodi, 44 Lamellibran- chi, 65 Gasteropodi, 8 Cefalopodi 5 Brachiopodi, 6 Ascidie com¬ poste, 10 Ascidie semplici, 44 Pesci. La Pseudosquilla Ferussaci Roux è stata pescata nel Golfo una unica volta, precisamente sul Banco di Biondo Palomba. Di questa specie, detta dai pescatori « Spernocchia e funnale » è stato raccolto uno stadio molto avanzato, quasi bentonico, lungo 40 millimetri, pelagico in superficie dopo un forte scirocco nel dicembre del 1908 (Lo Bianco, 1909). Fra le numerose specie di Poriferi ricorderò: Axinella poly- poides O. S., Clatbria coralloides O. S., Esperia Lorenzii, Halisarca Dujardinii Johnst., Lieberkunia calyx Ndo., Sicandra elegans Bwk., Tethya lyncurium. Fra gli Antozoi, pure numerosi: Alcyonium co¬ ralloides Pall., Antipathes aenea Rock, Corallium rubrum Lam., Pennatula phosphorea l.., Pteroides spinulosus Herl. Fra gli Aste¬ roidi (ben 18 specie): Astereopsis capreensis Gasco, Chaetaster longipes Mùll. Tr., Luidia ciliaris Gray, Ophioglypha albisa Ly- man, Ophiomyxa pentagona Muli. Tr., Ophiothrix echinata Muli. Tr., Fra gli Echinoidi: Centrostephanus longispinus Peters, Echinocya- mus pusiilus Gray, Echinus acutus Lam., Genocidaris maculatus, Spatangus laevis, Stylocidaris affinis (Phil.). Fra i Nemertini: Cere- bratulus aurantiacus Hubr., Drepanophorus rubrostriatus Hbcht. Fra gli Anellidi (18 specie): Dasybranchus gajolae Eisig, Ophiodromus flexuosus Clap., Staurocephalus rubro vittatus Grube, Thelepus cin- cinnatus Fabr. Fra i Briozoi: Eschara foliacea Ellis, Myriozoum truncatum Ehrbg. Retepora cellulosa L., Scrupocellarìa scruposa Ben. Fra i Cirripedi: Alepas minuta Phil., Dichelaspis Darwinii Fil., Par- thenopea subterranea Lossm., Peltogaster socialis F. Muli., Scalpel- lum vulgare Leach. Fra i crostacei Stomatopodi: Squilla Cerisii Roux e Pseudosquilla Ferrusaci Roux. Fra i Macruri e Paguri: Chloroto- cus gracilipes M. Edw., Eupagurus Lucasi Hell., Galathea nexa Ernbl,, Galathea squammifera Leach, Pandalu§ heterocarpus Costa, Pandalus — 83 — narval M. Edw., Scyllarus latus Latr., Stenopus spinosus Risso. Fra i bachiuri : Cymopolia Caronii Roux, Homola spinifrons Leach, Latreillia elegans Roux, Lissa chiragra Leach, Stenorhynchus pha- langium M. Edw. Fra i Pantopodi Ammothea franciscana Dohrn, Ammothea Langii Dohrn, Clotenia conirostris Dohrn, Phoxichilus charybdaeus Dohrn. Fra i Lamellibranchi (44 specie): Arca diluvii Lam., Circe minima Mont., Modiolaria : mormorata Forb., Nucula nucleus L., Ostrea cochlear Poli, Psammobia faròensis Chemn., Yenerupis irus L., Yenus effossa Biv. Fra i Gasteropodi (65 specie): Capulus hungaricus L., Cromodoris elegans Cantr., Cr. villafranca Risso, Corolliophila Meyendorffi Cale., Crepidula unguiformis L., Cypraea pyrum Gml., Marionia quadrilatera Schultz, Natica intri¬ cata Don., Scaphander lignarius L., Tritonium parthenopeum Gub., Turbo sanguineus L., Umbrella mediterranea Lam. Fra i Cefalo- podi: Illex Coindetii Ver., Sepia biserialis Ver. Fra i Brachiopodi: Argiope cuneata Risso, Arg. neapolitana Scacchi, Crania anomala O. F. M., Megerlea troncata L., Terebratulina caput serpentis L. Fra le Ascidie: Corella parallelogramma (O. F. M.), Rhodosoma cal- lense L. Duth., Rhopalea neapolitana Phil. Fra i pesci (48 specie): Caprus aper Lac., Gobius Lesueurii Risso, Lophius budegassa Spin., Muraena helena L., Phycis blennioides Bl. Schn., Phycis medi- terranea Delar., Uraleptus Maraldii Risso. BANCO DI CAPO MISENO Fra l’isola di Procida e il Banco di Biondo Palomba è situato il « Banco di Capo Miseno ». Se uniamo con due linee il Castello di Procida ai due punti più elevati di « Biondo Palomba », entro le due linee (a sud di Capo Miseno) resta inclusa la parte più ele¬ vata del Banco di Capo Miseno, che si trova a 26 metri dal livello del mare. Se si parte dal Castello di Procida (parte centrale) esattamente verso oriente, quando si arriva sul meridiano di Capo Miseno ci si trova presso il margine settentrionale del Banco, e per raggiungere la parte più elevata bisogna dirigersi verso sud. La distanza fra il banco e Capo Miseno è di 2500 metri. La sua superficie approssimativa è di metri quadrati 837,500 (Colom¬ bo, 1888). A dolce pendenza nel versante settentrionale, scende molto ra¬ pidamente ai 100 metri di profondità nel versante meridionale; così — 84 — che l’area periferica fangosa viene ad elevarsi su un piano inclinato con pendenza verso mezzogiorno. Il dislivello del banco, dal fango circostante al punto più elevato, è di 24 metri. Faunisticamente, il B. di Capo Miseno è abbastanza ricco. La vegetazione della parte più elevata è composta di Vidalia volubilis, Peyssonnelia rubra, Dasycladus, Sargassum, Caulerpa, Yalonia, Li- thophyllum expansum, Lithothamnium, Peyssonnelia polymorpba, ecc., ma sopratutto il Yidalia. L’ elenco degli animali raccolti su questo banco comprende 167 specie. Ricorderò l’Achaeus Cranchii, l’ Antennularia antennina, FArgiope neapolitana, la Balanophyllia italica, la Bonelia viridis, il Cerebratulus geniculatus, la Cama antiquata, la Ciona canina, la Cor- nularia cornucopiae, il Corticium candelabrum, la Cimopolia Caroni, FEbalià Pennanti, l’Echinocardium Mortenseni, F Eurynome aspera, l’Holoturia catanensis, l’Ilyanthus parthenopeus, F Inachus thoraci- cus, il Loligo marmorae, il Myriozoum truncatum, F Ophioderma longicauda, la Phallusia mamillata, la Pinna nobilis, la Rkopalaea neapolitana, lo Spatangus purpureus, la Suberites appendicula, la Tubocellaria opuntioides, il Vermetus gigas. Il Colombo (1888), nei risultati dei suoi dragaggi, indica alcune volte: « Inachus (di 3 specie)». Nell’elenco esteso dei reperti per¬ sonali (in archivio) non ho potuto precisare quali siano le tre specie, perchè dubito che sul Banco di Capo Miseno si trovi Ylnachus scor- pio ; una delle tre è certamente Ylnachus dorjnchus Leach, che si distingue dall’/, tlioracicus per l’aculeo dorsale unico (l’anteriore). In dicembre (1932; S. 751) trovai fra la Vidalia in notevole quantità giovani Cucumarie ( Cucumaria Planci ). Un esemplare di Antedon raccolto su questo banco alla pro¬ fondità di 35 metri presentava un aspetto particolare: era gracile, di colore gialliccio a fascette rosse. BANCO DI POZZUOLI Non si tratta della cosidetta « Secca di Pozzuoli » che, come dimostrerò in uno studio sui « fondi a Lithothamnium », non esiste; trattasi bensì di un piccolo banco coperto da Lithothamnium fruti- culosum f. saluta. Circondato da fango, è situato al largo della propaggine meri¬ dionale del « Fondo ad Ascidie » in mezzo al Golfo di Pozzuoli. Il suo centro dista circa 1700 metri da Pozzuoli, 4500 da Baja, 2940 — 85 — da Punta Pennata, 3900 da Capo Miseno, 3250 dall’isolotto di Nisida. Copre una superficie approssimativa di 58.000 metri quadrati e si eleva dal fondo fangoso inclinatissimo che scende dall’isobata di 60 metri a quella di 70; quindi, da una profondità media di metri 65 si eleva fino a 55 metri dalla superficie, con un dislivello medio di soltanto 10 metri. Il versante settentrionale passa al fondo peri¬ ferico con pendenza quasi insensibile. Oltre al Lithothamnium fruticulosum f soluta , che vi abbonda, trovai una flora composta di Peyssonnelia rubra , Phyllophora nervosa , Valonia e poche altre specie. Con i due dragaggi n. 132 e 139, su questo banco ho raccolto le seguenti 29 specie animali : Ascidia mentula var. rubra. Ascidia muricata, Botryllus Schlos- seri, Calyptraea cbinensis, Cardium sp., Carinella sp., Caryophyllia clavus, Caesira impura, Diazona violacea, Diplosoma gelatinosum, Echinaster sepositus. Etbusa mascarone, Eupagurus Prideauxi, Eu- rynome aspera, Flustra carbasea, Hermione hystrix, Inachus thora- cicus, Lambrus Massena, Lepralia folicea, Ophiomyxa pentagona, Pan- docia pomaria var. tuberosa, Pecten sp., Retepora cellulosa, Rho- palaea neapolitana, Schizoporella unicornis, Siphonochalina sp., Ste- norhyncbus phalangium, Tethyum partitura, Trivia europaea. SECCA DELLA GAJOLA La « Secca della Gajola » non è quella erroneamente indicata dal Lo Bianco (1909, pag. 522). Il predetto A., che si valse forse troppo delle indicazioni dei pescatori, indicò col nome di « secca » la parte principale della zona a Litofilli che va, parallelamente alla costa, dal largo di Nisida fino al largo di Capo Posillipo. Non mi dilungo però qui sull’identificazione della secca immaginaria. Il Lo Bianco del resto non precisa l’estensione delia zona in questione affermando che « non se ne sa nulla perchè non fu come le altre rilevata dal Colombo ». Il Funk (1927) invece la apprese in buona fede e la ridescrisse col nome di «Secca della Gajola », generando così confusione, perchè in realtà a oriente della « secca » descritta da Lo Bianco e da Funk esiste una vera « Secca della Gajola », indicata sul posto ai naviganti con una boa luminosa fissatavi al largo e consacrata con la sua giusta denominazione sulle carte idro¬ grafiche. Quindi, la vera « Secca della Gajola» è costituita dalle pro¬ paggini sommerse degli isolotti « La Gajola ». — Só¬ li centro della secca è a circa 450 metri a S. SE dal lembo meridionale degli isolotti La Gajola, e si può considerare come una elevazione dalla profondità circostante di 20 metri, salvo un corri¬ doio a settentrione, non profondo più di 11 metri che la stacca dagli scogli sommersi che si distendono per circa 300 metri al largo dei detti isolotti. La parte più elevata è a 6 metri dal pelo d’acqua Fig. 6 con un dislivello quindi di 14 metri (e di 5 in corrispondenza del detto corridoio). E una secca di natura vulcanica, come con'ermò il Walther (1886), e copre una superfice approssimativa di 81,000 metri quadrati. Sulla Secca della Gajola e sue pendici ho eseguiti con alquanta difficoltà i sei dragaggi segnati coi numeri: 192, 218, 226, 227, 228, 229, a profondità fra 4 (scogli più verso terra) e 25 metri. Gli scogli sono piuttosto accidendati, e ricoperti per lo più di alghe. — 87 — Quelli più a terra, che costituiscono il collegamento con gli iso¬ lotti della Gajola e con la costa, e che si elevano fino a 1-2 metri dalla superficie, sono spesso nudi, battuti dai marosi; e fra gli scogli vi sono dei piccoli spazi sabbiosi. Nella zona della secca, quindi, fra scogli nudi, scogli algosi e sabbia, raccolsi 43 specie animali, fra i quali un piccolo blennioideo raro: Blennius Zvonimiri Kolomb. Il piccolo Blennius Zvonimiri Kolomb. è stato da me rinvenuto per la prima volta nel mare di Napoli, e questo sarebbe il primo rinvenimento fuori dell’Adriatico. L’esemplare da me pescato fra gii scogli della Gajola si deve ascrivere senza dubbio a questa specie, poiché la diagnosi corrisponde perfettamente alla descrizione del Kolombatovich, riportata ne\V «Adendo » dell’opera di J. V. Carus (1889-1893, Voi. 11°, pag. 270), le cui caratteristiche fondamentali sono: D. 12/17-19, A. 1-2/18-20, P. 15-16, V. 2. « Caput grande longius quam altius, longitudo ejus maximae corporis altitudini aequa, altitudo corporis 5 in longitudine (cum €.). oculi marginem superiorem capitis tangentes, diametro quam distantia interocularis majore, 1/4 capitis aequa; tentacula sopraorbitalia dia¬ metro oculi longiore; omnes 4 narices appendicibus praeditae, sin- gulae appendices ad latera post narices superiores et ad occiput post oculos ; » . « Obscurus, maculis obscurioribus zonas duplices ver- ticales formantibus ». Queste caratteristiche sono bene visibili nelle due fotografie che presento (v. fig. 5 e 6). SCOGLI PROFONDI DI CHIAJA (detta: «Secca di Chiaja»). Gli scogli profondi di Chiaja, che costituiscono un piccolo gruppo noto comunemente sotto il nome di « Secca di Chiaja », apparten¬ gono, dal punto di vista faunistico, agli scogli coralligeni. Difatti, si tratta di scogli che si elevano rapidamente da un fondo fangoso profondo 70 metri fino a 48 dalla superfice. Secondo il Funk (1927) gli scogli si eleverebbero fino a 40 m. dalla 'superficie), quindi con un dislivello di 22 metri. Ma l’indicazione topografica e la struttura sono tali che, almeno fino ad oggi, non hanno consentito la formazione di aree periferiche tali da acquistare la denominazione di « banco ». La cosidetta « Secca di Chiaja » presenta invece maggiori analogie morfologiche con gli scogli coralligeni della parte nord-orientale dei golfo. Ed anzi, se osserviamo una cartina sulla distribuzione degli scogli corallini, ci accorgiamo che gli scogli di Chiaja si possono considerare come — 88 — appartenenti allo stesso gruppo. Copre nel complesso una superficie approssimativa di 12,000 metri quadrati. Dal punto di vista faunistico gli scogli in parola presentano un interesse particolare, Molto difficoltoso riesce però il dragaggio, e si rischia sempre di perdere la draga. Una buona raccolta d’a¬ nimali si può fare calando sugli scogli una « rete di posta », che si può deporre alla sera e ritirare la mattina successiva. Pur tuttavia sono riuscito a strappare agli scogli parecchi animali con i due dra¬ gaggi n. 280 e 281. Fra la flora che ricopre qua e là gli scogli si trova: Lithophyl- lum expansum f. genuina, Rodriguezella Strafforellii (con epifita Ceramothamnium adriaticum), Lithothamnium fruticulosum, Udotea, Cryptonemia tunaeformis, Zanardinia collaris, ecc. Ecco l’elenco generale degli elementi faunistici che comune¬ mente si trovano su questi scogli : Aglaophenia myriophyllumm, Alcyonium acaule, Alcyonium sp., Antedon rosacea. Ascidia mentula, Ascidietta sp. , Axinella crista- galli, Axinella verrucosa, Bougainvillia ramosa, Caryophyllia clavus, Crisia sp. , Diachoris magellanica, Distomus variolosus, Dromia vulgaris, Ebalia Pennanti, Eudendrium racemosum, Eupagurus Pri- deauxi, Frondipora verrucosa , Galathea intermedia, Galathea strigosa , Holoturia tubulosa ; Hornera lichenoides , Holoturia Stellati, Inachus thoracicus, Lambrus Massena, Lepralia foliacea, Leptoclinum maculosum, Marionia quadrilatera, Mullus barbatus, Munida rugosa, Murex brandaris, Myriozoum truncatum, Ophiacan- tba setosa, Ophidiaster attenuatus, Ophiopsila aranea, Ostraea coch- lear, Palinurus vulgaris, Pagurus striatus, Paralcyonium elegans, Por- tunus depurator, Retepora cellulosa, Retepora Couchii, Rbopalaea neapolitana,Salmacina aedificatrix, Scorpaena scrofa, Scyllium canicula, Scyllium stellare, Serranus cabrilia, Siphonochalina sp. , Smittia cer- vicornis, Solea ocellata, Stenorhynchus phalangium, Sympodium coral- loides, Spugne (diverse specie) Tritonium cutaceum, Tubocellaria opuntioides, Tubolipora sp. , Turbo rugosum, Xantho tuberculatus. Particolarmente comuni sono: spugne di più specie, Frondipora verrucosa, Hornera lichenoides, Galathea strigosa, Ostrea cochlear, ecc. BANCO DI BOCCA PICCOLA In mezzo alla Bocca Piccola, un pò verso l’ interno del Golfo, si trova il piccolo banco detto appunto di Bocca Piccola, che, eie- — 89 — vandosi di appena una ventina di metri dal fondo circostante (pro¬ fondo 70 m) che costituisce una soglia fra le profondità maggiori che si trovano a settentrione e a mezzogiorno della Bocca, copre una superficie approssimativa di appena 62.500 metri quadrati. Il punto più elevato, roccioso, si trova quindi a 50 metri sotto il livello del mare. Il centro del banco dista circa 2950 m. da Punta di Capo (estre¬ mo NE dell’Isola di Capri, altrettanto circa da Punta di Cala di Baccoli (Penisola Sorrentina), e circa 3300 da punta Campanella. E situato sulla linea S. Maria del Soccorso (Is. di Capri) - Capo di Massa (Pen. Sorr.), e dista dello Scoglio Vervece circa 5350 metri. Questo banco, data la sua situazione geologica, è, naturalmente, di natura calcarea; non è altro che una leggera elevazione del ri¬ lievo calcareo sommerso che collega l’isola di Capri alla Penisola Sorrentina. Date le condizioni fisiche particolari dell 'habitat della Bocca Piccola in generale, e dato il leggero dislivello fra il banco ed il fondo circostante, si può ritenere che faunisticamente abbia gli stes¬ si caratteri della regione circostante, e che quindi la facies cor¬ risponde a quella del fondo a Cidaridi, con poche specie in più, o forse con una maggiore ricchezza semplicemente quantitativa di alcune specie più legate ai fondi scogliosi ed algosi. Difatti, sul Banco la vegetazione è più ricca che sul fondo circostante, e fra le altre numerose specie dominano le seguenti: Peyssonnelia rubra, Peyssonnelia polymorpha, Lithothamnion calcareum, Lithothamnion fruticnlosum, Lithophyllum expansum f. stictaeformis, Amphiroa cryptarthrodia, Phyllophora nervosa, Phyllophora Heredia, Gracilaria corallicola, Carpomitra, Cystosira Montagnei, Cystosira crinita, Vidalia, Halimeda, Sargassum Hornschuchii, ecc. Pur dovendo ritenersi la fauna varia, come già dissi, come quella del fondo circostante a Cidaridi, presento qui l’ elenco delle specie raccolte fra 50-70 m. di profondità, con 3 dragaggi miei (354, 355, 783) e due eseguiti dal Gast (n. 6 nel 1910, n. 104 nel 1914): Aglaophenia sp., Anomia ephippium, Antedon rosacea. Antedon sp. , Antennularia sp. . Arca lactea, Arca tetragona, Astarte fusca, Axinella crista-galli, Calyptraea chinensis, Calyptraea chinensis var. Poli, Capulus hungaricus, Cardium norvegicum, Caryophyllia clavus, Cellepora coronopns, Chiton sp. , Dentalium entalis, Dorocidaris papillata, Eudendrium sp., Eupagurus Lucasi, Eupagurus Prideauxi, Eurynome aspera, Euspongia sp. , Flustra carbasea, Galathea nexa. — 90 — Genocidaris maculatus, Holoturia Forskali, Hyalinoecia tubicola, Molgula impura, Myriozoum truncatum, Natica millepunctata, Ophio- glypha lacertosa, Paguristes muculatus, Pecten pusio, Pennatula rubra, Perophoropsis, Protula intestinum, Pteroides spinulosus, Reniera sp. , Rhopalaea neapolitana, Salmacina, Schizaster canaliferus, Schizopo- rella auriculata, Sepia orb. (uova), Sperpulidi, Smittia cervicornis, Spatangus inermis, Spatangus purpureus, Spbaerechinus granularis, Stylocidaris affinis, Suberites domuncula, Turbo sp. Di alcune specie l’elenco non precisa che il genere, perchè purtroppo il Gast molto spesso si limitava a questa indicazione. SECCA DI VICO EQUENSE In questo caso si tratta di una vera secca, poiché è uno scoglio, che si eleva fino a 11 metri dalla superfice, e con tempo buono visibile da bordo. Il fondo circostante è profondo 47 metri e al largo scende rapidamente a profondità maggiore. Lo scoglio presenta quindi un dislivello minimo di 36 m. La Secca di Vico Equense ha una forma generale un pò allun¬ gata in direzione SW-NE, con una lunghezza massima alla base di circa 300 metri e una largezza massima di soli m. 150 circa. La zona zootrofa presenta però una propaggine verso SW, estesa forse circa un chilometro o poco più. Con questa propaggine, la secca coprirebbe una superficie approssimativa di 3,900,00 metri quadrati, mentre la sola secca p. d., con la ristretta zona periferica basale, copre una superfice approssimativa di soli 36,000 metri quadrati. Lo scoglio più elevato si trova a circa 1600 metri in direzione N.NE (più precisamente N.NNE) dallo Scoglio di Santa Margherita prospiciente il promontorio di Vico Equense. Dalla costa più vicina dista circa 600 metri. Qualche punto dello scoglio è nudo, qualche altro trovai coper¬ to da rigogliosa Halimeda, fatto notato pure dal Funk (1927) che vi trovò pure: Lithophyllum expansum f. genuina, Lithophyllum Philippi, Peyssonnelia polymorpha, Peysssonnelia rubra, Udotea, Dasyopsis spinella, Gracilaria corallieola, Gelidium hystrix, ecc. I tre tragaggi (n. 539, 540 e 563) fatti sullo scoglio a profon¬ dità fra 15 e 25 metri, fruttarono le seguenti specie: Anomia ephippium, Astralium rugosum, Avicola tarentina, Bu- gula sp. , Caryphyllia clavus. Cellaria fistulosa, Cynthia papillosa, Diporula verrucosa, Gorgonia Cavolinii, Holoturia mammata, Lima — 91 — squammosa, Microcosmus sulcatus, Muricea chamaeleon, Myriozoum tr urica tura, Ocinebra Bellinii, Ophidiaster attenuatus, Palythoa are¬ nacea, Reticulipora dorsalis, Retepora cellulosa, Salmacina aedifi- catrix, Schizoporella auriculata, Scyllium (uova), Smittia cervicornis, Spirographis Spallanzani, Zizyphinus dubius. L’elenco seguente comprende le specie raccolte finora nelle propaggini periferiche della secca, coi miei tre dragaggi 533, 534, 538 fra metri 30-70 di prof.) e coi tre di Gast n. 41, 75, 76 (fra metri 75-100 di prof., anno 1912): Alcyonium acaule, Anomia ephippium, Antennularia antennina, Aporrhais pes pelecani. Ascidia mentula, Bugula turbinata, Bugula sp. , Caryophyllia clavus, Cellaria fistulosa, Cellepora coronopus, Grangon spinosus, Uentalium sp., Diazona, Didemnum canum, Dipo- rula verrucosa, Dorippe lanata, Ebalia sp. , Esperella sp. , Esperia Lorenzi, Ethusa mascarone, Galathea intermedia, Galathea nexa, Gastropteron, Halozoa magnilarva, Hippolite, Hornera lichenoides, Inachus thoracicus, Inachus sp., Luidia ciliaris, Maera inaequipes, Micropora impressa, Octopus vulgaris, Ophioglypha lacertosa, Ophio- thrix alopecurus, Palmipes membranaceus, Pecten jacobaeus, Pecten pusio, Pecten sp. , Polynoe arenacea, Psammechinus microtubercu- latus, Pyura sqnamulosa, Rhopalaea neapolitana, Salmacina aedifica- trix, Scorpaena, Sepiola, Serranus, Smittia cervicornis, Sphaerechi- nus grannlaris, Spongelia pallescens, Stichopus regalis, Sycon rapha- nus, Tellina serrata, Typton spongicola. Interessante il fatto che sulle propaggini a mezzogiorno e ad occidente della Secca di Vico Equenze, a profondità fra 70-100 metri, si trova una zona dove vive 1’ O phiothrix alopecurus in quan¬ tità straordinaria, da coprire tutto il fondo. Il Vatova (1928, pag. 56), parlando dei fondi detritici dell’Adriatico, dice che «nella Staz. Nr. 65 furono raccolti con una dragata migliaia di Ophiothrix alopecurus » ; I’Allen (nell’ opera in collaborazione : « Plymouth Ma¬ rine Fauna», 1931) indica pure una zona a detrito e sabbia gros¬ solana ricoperta quasi esclusivamente da Ophiothrix fragilis (T O. alopecurus è considerato oggi una varietà di O. fragilis); il Gast, nel protocollo Nr. 41 indica: « Massen von Ophiothrix alopecu¬ rus y >, quindi quantità notevole; col dragaggio n. 534 io pure rac¬ colsi questa specie in quantità eccezionale. Tali rinvenimenti con¬ fermano un carattere costante della biologia dell’ O. alopecurus , cioè lo sviluppo rigoglioso in zone ristrette; si potrebbe dire una « concentrazione monobiocenotica ». — 92 — SCOGLIO YERYECE E uno spuntone calcareo, un frammento della struttura della Penisola Sorrentina, che si eleva da un fondo alla profondità media di metri 47 fino sopra la superficie del mare, dove appare come una pigna, un grosso fungo o un muraglione in rovina, a seconda del punto da cui si guarda. Il dislivello medio, quindi, calcolando fino al pelo d’acqua, è di metri 47 circa. Yerso terra lo scoglio si eleva dalla profondità di circa 45 metri; al versante esterno si eleva dall’isobata di 50 metri. La zona periferica zootrofa e detritica è piuttosto ristretta, larga forse 300-400 metri alla base (superf. ap- pross. 120,000 mq.), e passa gradatamente al fondo detritico al ver¬ sante orientale e meridionale ; a qnello settentrionale si collega al fondo a Cidaridi, ad occidente e un pò anche a mezzogiorno con¬ tinua nel fondo a Peyssonnelia , alla quale, presso la base dello scoglio, si unisce il Lithophyllum. Lo scoglio emerge a circa 1600 metri in direzione S. SW da Capo di Massa, e a 1200 da Capo Corbo in direzione circa N. NW. Faunisticamente la zona periferica dello scoglio (nel complesso chiamata « Secca dello Scoglio Yervece ») è abbastanza ricca. Flo¬ risticamente, secondo il Funk sarebbe uno dei punti più interes- asnti del Golfo. Vi si trovano in predominio: Halimeda, Vidalia, Lithothainnion Philipii, Lithophyllum expan- sum f. genuina, Amphirosa cryptartbrodia, Litbotbamnion fruticu- losum, Rhytipbloea tinctoria, Laurencia obtusa. Codium bursa, Poly- siphonia expansum, Udotea, Valonia, Acetabulària, Derbesia, Palmo- phyllum, Cystosira discors; Cystosira Montagnei, Cystosira crinita, Sargassum Hornschuchii, Stilophora, Peyssonnelia rubra, Chrysymenia uvaria, Gelidium bystrix, Cryptonemia tunaeformis, Peyssonnelia polymorpha, Dictyota linearis, ecc. , con numerose epifite: Chondria Rertholdi, Dohrniella, Seirospora granifera, Asperocòccus, Eudesme, Discosporangium mesarthrocarpum, Arachnophyllum, Heterosiphonia, Ectocarpus siliculosus, Champia parvula, Chantransia Lyngbya, ecc. ; tutta una vegetazione che favorisce la vita di una moltitudine di specie animali minute e microscopiche che non costituiscono argo¬ mento per il presente lavoro. Gli animali più comuni raccolti ap¬ partengono a 49 specie, fra le quali l’Argiope cuneata, l’Argiope neapolitana, l’Avicula tarentina, la Bonellia fulginosa, la Cynthia papillosa, l’ Echinocardium Mortenseni, la Gorgonia profunda, il Myriozoum truncatum, l’Ophidiaster attenuatus, il Paralcyonium — 93 — elegans, lo Spatangus purpureus, lo Stylocidaris affinis, il Sympodium. coralloides. SCOGLIERA SOMMERSA DI SAN GIOVANNI A TEDUCCIO Detta impropriamente « Secca di S. Giovanni a Teduccio », è costituita di una serie di scogli, disposti parallelamente alla costa, che formano come un gradino fra la zona sabbiosa costiera e le profondità maggiori. Dato il carattere coralligeno del substrato e la struttura di que¬ sti scogli, è giusto annoverarli fra gli scogli coralligeni, che verranno da me trattati in uno studio a parte. Secondo Ranzi (1930) le cime più elevate degli scogli si ele¬ vano fino a 15 m. dal pelo d’acqua. Su questi scogli sono magnifiche le concrezioni di Litofilli (Li- thophyllum expansum f. genuina), che sono contornate da una mol¬ titudine di altre alghe, fra cui Lithothamion Philippii, Peyssonnelia squamaria, Laurencia obtusa, Nitophyllum uncianatum, Zanardinia, Dictyota, Cystosira opuntioides, Cystosira Montagnei, Amphiroa, Choristocarpus, Peyssonnelia rubra, Crysymenia, ecc. . Numerosi sono gli animali che si raccolgono sugli scogli di S. Giovanni, fra cui Cladocora astrearia, Balanophyllia italica, Clado- psammia, Echinaster sepositus, Apogon rex mullorum, Octopus vul- garis e tant’ altri propri degli scogli coralligeni. SECCA DI VIVARA, SECCA DEL TORRIONE, SECCA DI TORRE ANNUNZIATA, SECCA DI NISIDA, FORMICHE DI VIVARA, BANCO DI BOCCA GRANDE, BANCO «FO FREVE» I pescatori del Golfo di Napoli battezzano, per consuetudine, col nome di «secca» non solo ogni elevazione od ogni scoglio sommerso, ma bensì anche semplici zone di fondo un pò duro, popolate da animali in quantità rimarcabile e rilevabile coi loro attrezzi di pesca. La secca di Vivara, sarebbe costituita da scogli sparsi a sud dell’isolotto di Vivara, e forse attribuibile alla piccola zona di fon¬ do ad Ascidie da me indicata sulla carta biocenotica. La secca del Torrione si eleverebbe fino a quattro metri dalla superficie del mare ed è situata nel canale di Procida. Ma in questo canale, volendo considerare geograficamente come unità morfologica distinta ogni scoglio od ogni elevazione anche di mezzo metro, bi¬ sognerebbe battezzare una lunga serie di «secche». Boll. Soc. Naturalisti 7 — 94 La « Secca di Torre Annunziata » non esiste; si tratta di un fondo ad Ascidie, che descriverò in uno studio a parte. La (( Secca di Nisida » sarebbe l’insieme degli scogli algosi che costituiscono le propaggini sommerse dello sconvolgimento geologico rappresentato dal cratere di Nisida. Ad occidente delPisolotto di Vivara esiste una piccola eleva¬ zione a più scogli, nota sotto il nome di « Formiche di Vivara », che si eleva da un fondo circostante profondo 15-16 metri fino a 4,5 dal pelo d’acqua. Al largo del Golfo di Napoli, all’esterno della linea che con¬ giunge Punta Carena dell’Isola di Capri con punta Imperatore del¬ l’Isola d’Ischia, cioè nel mezzo di Bocca Grande, esiste un note¬ vole banco che dal fondo di 300 metri si eleva fino a 134 dalla superficie del mare. Questo banco, fuori del Golfo, non è stato compreso nel mio programma di ricerche, cerne l’altro poco aSV'. detto «P’ o freve» (« freve d’ Ischia» = Canale d’ Ischia) per¬ chè i pescatori lo rilevano guardando il Canale d’ Ischia) Il banco c(P’ o freve» ha la parte più elevata a metri 261 dalla superfice, e meriterebbe molto di essere esplorato dal punto di vista biologico. Come abbiamo visto, lo studio delle elevazioni sottomarine sia dal punto di vista fisico che da quello biologico, costituisce un compo di ricerca ricco di risorse per la migliore conoscenza delle comunità biologiche in relazione alle contigenze ambientali del- V habitat bentonico, il cui interesse può rientrare anche nel quadro pratico della valorizzazione dei prodotti del mare. Questo studio darà risultati cospicui sia nel campo scentifico che pratico, se ver¬ rà esteso, metodicamente, alle elevazioni sottomarine dei vari mari. Dai punto di vista economico, è da ricordare che l’esercizio della pesca industriale di maggiore rendimento viene praticato in parte maggiore sulle elevazioni sottomarine, cioè sui ((banchi», alcu¬ ni dei quali, come ad esempio quelli di Terranova (di speciale ori¬ gine termo-idrodinamica) godono ormai di una particolare fama. — 95 — BIBLIOGRAFIA Allen E. J. e Coll. — Plymouth Marine Fauna. Carus J. W. — Prodromus Faunae Mediterranee. Stuttgart, Voi. I 1885, Voi. II 1889-93. Colombo A. — La fauna sottomarina del Golfo di Napoli. « Riv. Marittima », fase, ott.-dic. 1887 ; stampato in voi. 1888, Roma, Tip. del Senato. Funk G. — Die Algenvegetation des Golfs von Neapel. « Pubbl. St. Zool. Nap. »4 Voi. VII, Supplemento. 1927. Kolombatovich J. — Blennius zvonimiri n. sp., nova vrsta babice dalmatinskoga mora. « Glasnik Narav. Drutztva », 107-112, Zagreb. 1892. Lo Bianco S. — Notizie biologiche riguardanti specialmente il periodo di matu¬ rità sessuale degli animali del Golfo di Napoli. « Mith. Zool. Stat. Neapel. >. Voi. 19. 1909. Mazzarelli G* — Intorno alla carta oceanografica del Golfo di Napoli di J. Walther. « Pubbl. St. Zool. Napoli », Voi. II 1918. Parenzan P. — Biocenologia bentonica dei fondi marini a fango. « Boll. Idro¬ biologia. Caccia e Pesca dell’ A. O. I. », 1940. Ranzi S. — La distribuzione della vita nel Golfo di Napoli, « Atti XI Congr. Geogr. Italiano », Voi. II 1930. Vàtova A. — Compendio della e Flora e Fauna del Mare Adriatico presso Ro- vigno « Mem. CXLIII del R. Comitato Talassografico Italiano », 1928. Walther J. — Die gesteinbildenden Kalkalgen des Golfs von Neapel und die Entstehung strukturloser Kalke. « Zeitscbr. Deutsch. Geol. Ges. », 1885. — — Die Sedimente des Taubenbank im Golfe von Neapel. « Abhand. Kòn. Preuss. Akad. Wiss. », 1910, Ricerche Biologiche nell’Italia Meridionale della Sez. Speleologica dell’ I. R. B. Nota del socio Pietro Parenzan (Tornata del 26 giugno 1954) Nella presente nota desidero riferire sull’ attività della Sez. spel. dell’Ist. Ricerche Biologiche che rappresenta l’organizzazione Speleo- logica, più attiva e meglio attrezzata del Mezzogiorno. Difatti, i colla¬ boratori che prendono parte alle esplorazioni speleologiche del mio Istituto, che con oggi ha ampliato un pò la sede, sono una cinquantina fra laureati, diplomati e studenti universitari. L’attrezzatura disponibile è rappresentata dal contenuto dei magazzini del Genio Militare, e per i rilievi topografici il mio Istituto vanta la collaborazione del cor¬ rispondente ufficio del Com. Mil. Terr. di Napoli, che assegna alle singole esplorazioni un Ufficiale di Collegamento ed Osservatore. Questa preziosa collaborazione, collegata peraltro all’ Istituto Geo¬ grafico Militare di Firenze, che mette la mia organizzazione in grado di compiere qualsiasi per quanto ardua esplorazione, è stata da me ottenuta in seguito ad una pratica svolta col Ministero delia Difesa, in data 22 nov. 1951, per cui il detto Ministero stabilì: 1) di inserirsi nello svolgimento dell’attività esplorativa e scientifica, ecc. ecc.... 2) di fornire le attrezzature e mezzi indispensabili all’ attività esplorativa, ecc. ecc. 3) di concorrere, di volta in volta, con personale volontario specializzato per 1’ impiego dei materiali concessi nei casi di esplo¬ razioni particolarmente difficili, onde assicurare la buona riuscita dell’ esplorazione. Questa collaborazione esclude, ovviamente, ogni impronta turistica, ciò che d’ altronde è dimostrato dai risultati conseguiti. Per le esplorazioni l’organizzazione è aiutata anche, nell’attrez¬ zatura, dal Comando Vigili del Fuoco di Napoli. Dati i limiti imposti per le pubblicazioni nel Bollettino, riferirò .schematicamente non su tutta l’attività svolta e su tutti i materiali raccolti e studiati o in corso di studio, ma solamente sui nuovi contributi apportati al progresso delle conoscenze biologiche del¬ l’Italia Meridionale. -9 7 — GROTTE VISITATE e più o meno esplorate. Campania : Grotta del Mavone (Ischia) , Grotta di Miseno, Gr. della Dra- gonara, Gr. dello Zolfo, Gr. della Sibilla, Gr. del Bosco Reale di Capodimonte; Grotticella d. Masseria Principe (Poggioreale), Gr. len- ticolare (pineta Torre d. G.), Gr. circolare (pineta Torre d. G.), Gr. del Serino (pin. T. d. G.), Gr. Porta di Monte Piano (Prov. Saler¬ no), Gr. di S. Antonio di Polla (Pr. Sai.), Gr. alle Fontanelle (Com. Seiano, Pr. Sai.), Gr. della Vasca (G. Sei., Pr. Salerno), Gr. del dop¬ pio fondo (C. Sei., Prov. Sai.), Grava di Vesolo (Com. Laurino, Pr. Salerno), Gr. del fiume Bussento (Com. Caselle in Pittari, Pr. Sai.), Gr. di Pertosa, Gr. di Castelcivita, Gr. Lenticelle 1% IIa e IIIa) (Marina di Camerota), Gr. di Mezzanotte (M. di Cam.), Gr. dello Zingaro (M. d. Cam.), Gr. funeraria di M. di Camerota, Gr. della Cala (M. d. C.), Gr. della Cartolona (Sapri), Grava del Corcione (M.te Cavallo, Pr. Salerno), Gr. di S. Michele (Olevano sul Tuscia- no), sottosuolo di Napoli. Lucania : Grotta del Dragone (Acqufredda), Gr. dell’Eremita (Acqufredda), Gr. di Cersuta (Com. Maratea), Gr. dell’uomo preistorico (Com. La- tronico). Sfiatatoio di Latrònico, Inghiottitoio della Patricella (Com. Rivello), Sfiatatoio della Patricella. Calabria : Grotta S. Angiolesi (Cosenza), Grotta « Ngramata » (Cosenza). Di queste quaranta grotte, quelle di maggiore interesse sono state rilevate topograficamente e sono state compilate le cartine pia¬ nimetriche e delle sezioni. I materiali raccolti, in gran parte in corso di studio, sono stati rimessi a 37 specialisti: Badonnel (Psocidi), Brian A. (Isopodi), Cerruti M. (Stafilinidi), Chappuis P. A. (Copepodi Arpatticoidi), Deiamare - Debouteville (Collemboli), De Lerma B. (Opilionidi), Del Papa R. (Turbeilari), D’Erasmo G. (Fossili), Dresco E. (Aracnidi), Finelli G. (batter.), Fiori A. (Lepidotteri), Henrot H. (coleotteri), Jeannel R. (Col.), Kiefer (Cope¬ podi), La Greca M. (Ortott.), Lanza B. (Anfibi), Lazzari Antonio (Geol.), Lombardini G. (Acari), Manfredi P. (Miriapodi), Mannbeims B. (Ti- pulidi), Marchesoni V. (Alghe), Masi L. (Ostracodi), Merola A. (Fa¬ nerògame), Minieri V. (geochimica), Moretti G. (Tricòtteri), Moschetti 98 — P. (batter).. Patrizi S. (Formiche), Piersanti C. (Moli.), Ruffo S. (An¬ tìpodi), Sacca G. (Ditteri), Schmitz P. H. (Ditt. Forìdi), Sciacchitano I. (Nematelminti), Servazzi O. (Funghi), Tamanini L. (Rincoti), Toschi A. (Mammiferi), Tosco U. (Briofite, Protozoi), Yachon M. (Pseudoscor¬ pioni). Considerando quindi le pubblicazioni già fatte e quelle in pre¬ parazione di gran parte di questi specialisti, si deduce che il con¬ tributo alla scienza del mio Istituto privato non è inferiore a quello di parecchie altre istituzioni scientifiche. Riassumo comunque qui in un semplice elenco le novità zoologiche per l’Italia, per l’Italia meridionale e per la scienza : Protozoi -ciliaH i Perispira sp. (f. nuova. Grotta di Castelcivita). Eygienaies S Peranema trichophorum (Ehrh.) Stein., n. f., Gr. Fon¬ tanelle. (Seiano). Elminti 2 Pachydrilus pagenstecheri (Ratz.), n. per Campania, Gr. B. R. Capod., Lumbricus rubellus (Hofmstr.) n. per Campania, Gr. B. R. Gapod., Allolobophora georgii Mich., Gr. B. R. Capod.; primo rep. in grotta. Octoclasium mima (Rosa) var. marenzelleri, Gr. B. R. Capod, sp. n. per la Campania, e come varietà, nuova per le grotte. Sec. Sciacchitano, costituisce per la Campania un re¬ perto interessante. Turbeiiarl I Dugesia subtentaculata, Gr. Fontanelle (Seiano), n. p. gr. Camp. Molluschi S all’ infuori della vecchia notizia di Phytia myosotis Drap, nella Grotta Azzurra di Capri e di ale. grotte in tufo della regio¬ ne flegrea (Bellini), non si sapeva nulla o quasi sui molluschi troglòfili e troglobi meridionali. Le mie esplorazioni fecero conoscere ben 17 specie, appartenenti a 13 generi: Agardhia Agriolimax Ancylastrum Chilostoma Caecilianella Clausilia Cochlostoma Goniodiscus Helix Limax Oxychilus Valvata Vitrea Di particolare interesse: Valvata pusilla Piers., sp. n. per la scienza, Gr. Fontanelle (Seiano). Ancylastrum capuloides , primo reperto in grotta; Grava di Vesolo. Agardhia biplicata Mich. Grotta della Vasca (Seiano). Caecilianella acicula Bourg. , sottosuolo di Napoli. — 99 — Crostacei S Gammarus ( Neogammarus ) rhiphidiophorus , reperto partic. interessante, riscoperta nella Gr. di Cersuta (Maratea). Niphargus sp. , Gr. di Cestelcivita; sp. bianca e cieca, in studio. Cyclocypris serena Koch, Gr. della Sibilla, primo rep. in grotte, merid. Ilyodromus olivaceus Br. et Norm. , Gr. Font., primo rep. in grotte merid. Bryocamptus pygmaeus ( Sara), Grava di Yesolo e Gr. Fontanelle (Seiano), primo reperto in gr. d. Campania. Bryocamptus echinatus (Mrazek), Grava di Vesolo, sp. nuova per il sottosuolo d’Italia. Araneidh Tegenaria ligurica Sim., reperto interessante, prima se¬ gnalata solo per le Alpi Marittime e per l’Isola di Pianosa. Ostearius melanopygius (0. P. Cambr.), di partic. interesse. Nuo¬ va per l’Italia, descr. nel 1879 per la Nuova Zelanda. Physocyclus Simoni Berland, sp. nuova p. fauna italiana. Sot¬ tosuolo di Napoli. Paraleptoneta sp. Gr. Porta di M.te Piano, (in studio). OpiEioraidi : Gyas titanus Sim., sp. n. per l’Italia, Grava di Yesolo. Eudasylobus fuscus Roewer, sp. n. per l’Italia Meridionale, Grava di Yesolo. Ischyropsalis parenzani De Lerma, sp. nuova per la scienza Gr. Yesolo. Acari : Hypoaspis (Androlaelaps) sardous Berlese, Gr. d. Vasca (Sei.) prima noto solo p. Sardegna. Ixodes canisuga Jobnston, Gr. doppio fondo (Sei.), nuova p. Italia. Polyaspis sorrentinus Lomb., sp. nuova, Gr. Fontanelle (Seiano). Rhagida sp . , primo reperto come parassita su Limax, e prob. sp. n. ; Gr. del bosco Reale di Capodimonte. Soldanellonyx parenzani Lomb., sp. nuova, Gr. Fontanelle (Seia¬ no), f. giovanile nella Grava di Vesolo. Pseud®§COrpÌonldÌ % Roncus sp . , nuova p. Italia e prob. p. scienza; Gr. alle Fontanelle (Seiano). Chthonius ischnocheles (Herm.), n. p. gr. merid., sottosuolo di Napoli. Miriapodi S Lithobius tylopus Latz. subsp. sorrentinus Manfr. , Gr. S. Michele (Olevano sul Tusciano), subsp. nuova. Brachydesmus proximus Verh. subsp. Sancti Michaelis Manfr. Gr. S. Michele (O. s. T.) subsp. nuova. — 100 Polybothrus electrinus paulianus Manfr. , subsp. nuova, Grotta al¬ le fontanelle (Seiano). Insetti : Coleotteri: Atheta languida Er. , stalli, nuovo p. grotte italiane. Grava di Vesolo. Quedius fumatus Stheph., Stalli, nuovo p. grotte cen¬ tro-meridionali. Ocalea concolor Kiesw. , primo reperto p. caverne it, Tricotteri: Microptera nycterobia Me. L., staz. ipogea più meridionale per la penisola. Sfiaf Patricella (Lucania). Rhyacophila gr . rougemonti Me. L. , reperto importante dal punto di vista geonemico e sistematico. Ditteri-Forìdi: Diplonevra ( Dohrniphora ) cornuta Bigot. Prima volta in caverna, Inghiott. d. Patricella (Rivello). Rincoti-Gerridi: Velia ( Gregarivelia ) major Puton. Grava di Vesolo. Sec. Tamanini, il ritrovamento nella profon¬ da Grava di Vesolo in masse di migliaia di individui costituisce un fatto nuovo e interessante. Velia ( Gregarivelia ) major Puton /. macr opterà e /. brachyptera ; quest’ ultima, molto rara, nuova per la regione. Inghiott. del Patricello (Rivello). Collemboli: Sminthurus sp. (in studiò) Gr. del fiume Bus- sento. Mammiferi: Evatomys ( Clethrionomys ) glareolus hallucalis Thomas. Pozzo d’entrata della Grava di Vesolo/ Prima noto solo come raro p. Calabria. Apodemus sylvaticus dicrurvs Raf. Nidifica nel fondo delle Grotte alle Fontanelle (Seiano). Nel campo della speleobotanica, oltre allo studio sistematico delle microfite antricole e cavernicole per parte del prof. Tosco sui materiali raccolti, merita particolare menzione il rinvenimento di interessanti concrezioni fitogenetiche nella Grotta della Cala presso Marina di Camerota, e la scoperta del primo fungo acquatico caver¬ nicolo, per il quale il prof. O. Servazzi istituì il nuovo genere Pa- renzania , ascrivendolo, col nome di Parenzania sibyllae , al gruppo degli Ifali-Demaziacei. Fra le Briofite il Tosco riconobbe tre varietà nuove per l’Italia meridionale : Brachythecium rutabulum (L.) var. eurhynchioides Limpr., var. nuova per la Campania (Gr. di Castelcivita), Platyhypnidium rusciforme (Neker) Fleisch. var. vulgare (Gr. Castelcivita), e Rhyn - — 101 — chostegiella algiriana var. septentrionale (Brizi), dell’ entrata della Gr. di Castelcivita. Con la collaborazione di due medici la sez. speleologica della mia organizzazione ha anche iniziato una serie di ricerche di spe- leobatteriologia. Infine, nell’ultima esplorazione delle grotte di Marina di Carne- rota, a sud di Capo Palinuro, zona nota per i numerosi reperti dell’industria paleolitica mustieriana, studiati dal Blanc, ho avuto la fortuna di scoprire una piccola grotta evidentemente adibita a luogo di sepoltura, ricca di avanzi scheletrici umani misti a selci paleolitiche, ciò che costituisce il reperto più meridionale di ossa umane preistoriche, dopo quello del Circeo. In conclusione, l’esplorazione di quaranta grotte fruttò, oltre alla conoscenza topografica delle grotte e ad un sostanzioso apporto all’elenco della fauna meridionale ed interessanti reperti speleobo¬ tanici e di resti dell’uomo trogloditico, la scoperta di 14 fra specie o varietà nuove per la scienza, fra quelle in corso di studio e quelle già pubblicate : Peranema trichophorum (Ehrh.) Stein. (Euglenales, f. n. Gr. Castel¬ civita. Perispiva sp. (Protozoi), Gr. Castelcivita. Valvata pusilla Piers, (moli.) sp. nuova, Gr. Fontanelle (Sciano). Niphargus sp. (crost. anfipodo, Gr. Castelcivita. Ischyropaisalt parenzani De Lerma, Grava di Yesolo. Paraleptoneta sp. (aracn.), Gr. Porta di Monte Piano. Polyaspis sorrentinus Lomb., Gr. alle Fontanelle (Sei.). Soldanellonyx parenzani Lomb. (Acari), Gr. alle Fontanelle (Sei.). Roncus sp. (Pseudoscorp.); Gr. della Vasca (Sei). Lithobius tylopus Latz. subsp. sorrentinus Manfr. (Miriapodi) Gr. S. Michele. Brachydesmus proximus Verh. subsp. Sancti Michaelis Manfr. Polybothrus electrinus paulianus Manfr. Gr. alle Fontanelle (Seiano). Fissidens pusillus (Wies.) Milde var. pseudo-bryoides Tosco (Briofite) Gr. di Castelcivita. Parenzania sybillae Servazzi (Funghi, Ifali-Demaziacei), Grotta della Sibilla e Gr. alle Fontanelle (Seiano). Ho il piacere di informare la nostra gloriosa Soc. dei Natura¬ listi che non minori saranno i risultati della campagna esplorativa di quest’anno, tanto felicemente iniziata presso Marina Camerota. Sez. Speleologica delVI.R.B. Napolif giugno 1954. Boll, Soc. Naturalisti 8 La stratigrafia della zona Vomere- Arenella (Napoli). Nota del socio Antonio Scherillo (Coa 3 fig. intere, e 2 tav. f. testo) (Tornata del 25 giugno 1954) In occasione della revisione del foglio « Napoli » della Carta Geologica d’ Italia alla quale ho collaborato per conto della Com¬ missione Geologica, ho avuto l’opportunità di coordinare alcuni miei rilievi precedenti, di compierne di nuovi e di confrontare le mie osservazioni con quelle degli altri studiosi. Per quanto riguarda la geologia della zona Yomero-Arenella, questa è ben nota da tempo e sull’argomento non ho niente da ag¬ giungere; nella presente nota cerco invece di fissare nei particolari la stratigrafia locale, ciò che non era ancora stato tentato. Nella zona in questione la stratigrafia interessa sopratutto le formazioni del «terzo periodo flegreo» di De Lorenzo. Ora chi os¬ servi una sezione in tali formazioni (e in questi ultimi anni molte ne sono state e ne sono tuttora messe temporaneamente in vista dagli scavi per costruzioni edilizie, specialmente al Yomero Vecchio e all’Arenella) rimane, in un certo senso, sconcertato perchè le sezioni sembrano, da un punto di vista, tutte uguali e dall’altro tutte diverse. Appaiono infatti costituite dagli stessi materiali: pozzolane, sabbie, lapilli, pomici, ma apparentemente disposti senza alcun ordine e senza qualche « livello guida » di riferimento. E appunto la man¬ canza di tali riferimenti che rende poco comprensibili e poco uti¬ lizzabili le descrizioni degli autori precedenti anche se esatte e mi¬ nuziose : queste pure sono troppo simili genericamente e troppo diverse nei particolari. L’osservazione sistematica mi ha invece dimostrato che la stra¬ tigrafia della zona è assolutamente regolare e come tale si presenta una volta che si sia distinto ciò che è variabile da ciò che è in¬ vece costante, cioè quando si siano fissati i « livelli guida ». Come carattere generale si può dire che le variazioni sono minime in senso orizzontale, notevoli invece in senso verticale. Se¬ zioni al medesimo livello stratigrafico sono molto simili, anche se — 103 notevolmente distanti, sono invece dissimili se a livello stratigra¬ fico diverso. Nella prima parte di questa nota, nello stabilire la successione stratigrafica, non mi riferisco a nessuna sezione in particolare ap¬ punto perchè, come ho detto, la stratigrafia è la stessa in tutti i punti della zona, salvo piccole variazioni locali che indicherò via via. Successione stratigrafica nella zona Vomero-Arenella. Nella seguente descrizione si procede dal basso (cioè dalla for¬ mazione più antica), verso l’alto (cioè verso la più recente). A) Tufo giallo caotico. E questo il tipico tufo giallo napoletano prodotto dal « secondo periodo flegreo » e costituisce l’imbasamento di tutta la zona. Affiora a Castel Sant’Elmo, lungo la discesa Cac- ciottoli, mentre si trova immediatamente sotto il livello stradale nel tratto superiore di via Salvator Rosa, ed è ampiamente in vista sul ciglione meridionale della collina dei Yomero (via Luisa San- felice, via Palizzi, Petraio). Il tufo non è stratificato, tuttavia la disposizione abbastanza regolare delle piccole pomici e lapilli in¬ clusi permette di riconoscere una inclinazione verso sud o sud ovest (Petraio) oppure verso sud est (Cacciottoii). Tra via Palizzi e il Petraio compaiono anche le formazioni sot¬ tostanti al tufo giallo. Fra queste richiama particolarmente l’atten¬ zione un banco di piperno che a sua volta ricopre, ma non imme¬ diatamente, il tufo giallo stratificato di Chiaia (1). Su tali formazioni però non posso trattenermi perchè, mentre meritano uno studio particolare, non riguardano direttamente la zona del Yomero. In molti punti la superficie del tufo giallo è erosa e poi rico¬ perta dalle formazioni successive. Non ho mai osservato il tipico « mappamonte » ; un accenno se ne aveva all’incrocio tra via Man¬ cini e i gradini del Petraio. Come è noto, il colore del tufo è il giallo paglierino, ma tal¬ volta sono state trovate (p. e. a S. Stefano ai Yomero, in via San- (*) Freda G. Sulla composizione del piperno trovato nella collina del V omero e sulU origine piroclastica di questa roccia. Rerid. Acc. Se. Fis. e Mat. serie 2, voi. 2. Napoli, 1888. Nicotera P. Osservazioni geologiche sulla collina di Posillipo e sulla zona urbana occidentale di Napoli. Boll. Soc. Geol. It., voi 69. Roma, 1950. — 104 — felice e recentemente in via Palizzi) delle plaghe grigio azzurro¬ gnole. La tinta però ingiallisce, all’aria, con estrema rapidità. (2). B) Pozzolana , sabbie , lapilli. La formazione attualmente (giugno 1954) è solo visibile all’incrocio tra via Mancini e i gradini del Pe- traio dove è rappresentata da circa cm. 50 di pozzolane grigio gial¬ lastre. Era visibile, fino a non molto tempo fa, tra viale Michelan¬ gelo e via Conte della Cerra. Qui raggiunge una potenza di circa m. 10 ed è costituita da staterelli di pozzolane con qualche lente di pomici e lapilli e con frequente stratificazione incrociata. Altrove, cioè lungo via Conte della Cerra e a valle del ponte di via G. San¬ tacroce (verso la scuola V. Cuoco), agli straterelli di pozzolana sono intercalate lenti di sabbia violacea. In genere si tratta di una for¬ mazione rimaneggiata. C) La formazione C, colla quale entriamo decisamente nel « terzo periodo flegreo », corrisponde a quelli che A. Rittmann nella sua descrizione geologica dei Camaldoli considera come i prodotti di Agnano (8). Concordo in tale attribuzione tanto più che ho potuto seguire la formazione fino ad Agnano, ma per rendere in questo e nei casi seguenti la descrizione indipendente dall’ interpretazione, preferisco indicarla con una lettera dell’alfabeto. La formazione C ha una potenza di 5-6 metri ed e così costituita : a) Pozzolane giallo- grigiastre (m. 0,50) spesso comprese tra due straterelli di pozzolane grigiastre. b) Pomici con pozzolane interstratificate (u pomici principali »). Queste pomici per la loro potenza e costanza rappresentano il più bello e caratteristico fra tutti i prodotti del terzo periodo. Si esten- (2) Guadagno M. Il tufo trachitico ossidianico di S. Stefano al Vomero (Na¬ poli). Boll. Soc. Nat. in Napoli. Voi. 37, 1926. Salvatore E, Friedleander I. Contributo allo studio del tufo napoletano. Su una varietà verde. Zeit. fiir Vulk. Voi. 10. Berlino, 1926-27. D’Erasmo G. Studio geologico dei pozzi profondi della Campania. Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi 43, 1931. Nicotera P. Contributo alla conoscenza del tufo trachitico della collina del Vomero. (Napoli). Boll. Soc. Nat. in Napoli. Voi. 58, 1949. Scherillo A. Petrografia chimica dei tufi flegrei. 1) Il tufo giallo. Rend. Acc* Se. Fis. e Mat., serie 4, voi. 17. Napoli. 1950. (3) Rittmann A. Rilevamento geologico della collina dei Camaldoli nei Campi Flegrei. Boll. Soc. Géol. It., voi. 69. Roma, 1950. — 105 — dono su un’area assai vasta da Posillipo Alto a Casalnuovo, da Ca¬ podimonte a Marano e certo ancora più oltre. Considerando quanto ampiamente sono diffuse è tanto più degna di nota la loro limitata variabilità. Nella zona Vomero-Arenella, escludendo via Aniello Falcone di cui tratterò a parte, le « pomici principali » sono state messe in evidenza solo lungo il tratto inferiore di viale Michelangelo, a piazza L. Caldieri (via Suarez), ai piedi di villa De Maio (via G. Santa¬ croce), in via R. Lordi e in via Mancini. Le « pomici principali » di viale Michelangelo sono così costi¬ tuite dal basso verso l’alto : pomici (oc), cm. 50 l pozzolane, cm. 10 i pomici ([3’), cm. 20 \ pozzolane, cm. 10 J pomici ([3”), cm. 20 r pozzolane. cm. 2 \ pomici ((3’”) cm. 10 ! pozzolane, cm. 15/ pomici (y), cm. 50 pozzolane, cm. 2 f pomici (5), cm. 40; pozzolane. cm. 25 pomici (s), cm. 25 ! porzione inferiore porzione media porzione superiore Fig. 1. - Le pomici principali a viale Michelangelo. La potenza qui è di circa m. 2, 80. Altrove può essere un pò minore e può anche variare in modo diverso la potenza dei singoli strati. Ad ogni modo le variazioni sono assai limitate e, nel complesso, la stratigrafia rimane immutata. A via A. Mancini, all’ incrocio coi gradini del Petraio, le « pomi¬ ci principali», sono ridotte, in seguito all’erosione, allo strato oc e sono state ricoperte, in discordanza, dalla formazione E. Le « pomici principali » di Villa De Maio mancano dello strato £ e sono ricoperte, con discordanza, dai posteriori prodotti di Agnano. — 106 — Il colore delle pomici, quando sono fresche, è in massa leggermente roseo Gli strati di pozzolana interposti hanno la solita tinta grigio giallastra. Essendo più compatti degli strati di pomici, nelle sezioni appaiono, dopo un certo tempo, in rilievo sui primi. c) Pozzolane. Non si tratta di un complesso unico; infatti nella zona via Orazio - Mergellina dove tale complesso raggiunge una potenza di vari metri e può esser bene studiato, mostra di esser costituito da diverse « unità» separate da erosioni e discordanze (4). Nella zona Vomero - Arenella tali pozzolane possono esser raramente osservate e in questi casi, per lo più, in qualche pozzo d’ assaggio; per conseguenza non si prestano ad uno studio particolareggiato. La loro potenza è 2 - 3 metri, il loro colore è il solito grigio giallastro. A piazza L. Caldieri all’ Arenella, dove attualmente (giugno 1954) si possono osservare bene sono così costituite, dal basso verso 1’ alto: pozzolane grigio giallastre stratificate (m. 1.50) sabbie violacee (cm. 2) pozzolane grigio giallastre statificate grossolanamente, con qualche pomice (cm. 50) pozzolane grigio giallastro scuro, compatte (cm. 50) pozzolane grigio giallastro chiaro, compatte, divise da uno straterello di lapillo (cm. 40) d) Pomici (« seconde pomici »). Tali pomici che nella zona via Orazio -Mergellina costituiscono un livello importante e caratteristico hanno importanza statigrafica anche nella zona Yomero - Arenella. Come le «pomici principali» hanno una struttura complessa: nella porzione inferiore ( cm. 20 ) due straterelli di pomici si alternano a due di pozzolana, nella media (cm. 30 - 70) si ha un banco di pomici, nella superiore (cm. 70 circa) due straterelli di pomici (cm. 10 - 15) si alternano a tre di pozzolana di eguale spessore e infine superiormente si hanno tre straterelli di pomici (cm. 10 coni" plessivamente). A differenza delle « pomici principali » però è difficilissimo trovarle complete. Nella zona in questione, salvo, come vedremo, in via Aniello Falcone, la porzione superiore a quanto mi costa non è stata mai ritrovata e spesso mancano pure i O Scherillo A. Sulla revisione del foglio a Napoli „ della Carta Geologica d'Italia. Boll. Servizio Geol. d’Italia, voi, 75, Roma, 1953. — 107 due straterelli di pomici inferiori, in modo che sono ridotte alla sola fascia centrale. Talora tra le « seconde pomici » e gli strati sovrastanti si inter¬ pongono 10 - 20 cm. di pozzolana. Lungo la discesa di via Aniello Falcone, tra il Parco della Floridiana e il convento di S. Francesco, le seconde pomici sono parzialmente erose e ricoperte direttamente dalla formazione E. e) Lapilli neri e ceneri interstratificati ( «lapillo nero»). Gli stra¬ terelli inferiori hanno in complesso un colore nerastro e sono molto caratteristici, non tanto in questa zona, dove di rado sono messi in evidenza, quanto lnngo il fianco orientale e sud orientale dei Carnai- doli e a via Orazio - Mergellina. Agli strati a lapillo nero ne seguono altri con pomici, scorie, lapilli neri ( in genere due ) ma questi sono stati spesso erosi e asportati. La potenza complessiva è di m. 0,50 - 1. Il « lapillo nero » è talora chiaramente discordante colle «secon¬ de pomici ». D) Questa formazione è, per lo più, mancante; le pozzolane dovrebbero essere attribuite alla Solfatara. a) Sabbia grigio violacea. Potenza molto varia, al massimo m. 0,50 (piazza Leonardo). b) Pozzolana marrone : cm. 50 (al piede di Villa De Maio). E) La formazione spicca su tutte le altre per il suo colore che va dal giallo avana al violaceo e per F assenza di una stratificazione distinta. E discordante su D e, in mancanza di D, su C. Potenza complessiva m. 2 - 2,50. Nella zona Vomere - Arenella i lavori di fondazione non vanno in genere oltre E. E solo nelle parti periferiche, dove la collina degrada verso la città bassa, che possono esser messe in evidenza le formazioni inferiori. Così è a viale Michelangelo, piazza Leonardo, via G. Santacroce, via L. Sanfelice, via Palizzi. a) Sabbia violacea: cm. 20 - 50; talora mancante. b) Lapilli e pomici: cm. 10-15; talora mancanti. c) Strato caotico giallo avana con ceneri, lapilli, pomici, e humus, m. 0,70 - 1. Strato caratteristioo e sempre presente. d) Lapillo giallo: cm. 5. e) Strato caotico giallo avana , come c; m. 0,70-1,50. Strato caratteristico e sempre presente. 108 Nonostante la sua esiguità, lo straterello d ha la sua impor¬ tanza perchè i due strati con humus , c ed e, nella zona Villanova- viale Manzoni tendono a separarsi e tra loro si interpone uno strato di pozzolana corrispondente a d. Ciò è pure evidente nella stessa cinta craterica di Agnano in una sezione all’incrocio della via Cam¬ pana colia vecchia via Fuorigrotta-Agnano Terme, e in vari punti sul fianco esterno dei Camaldoli. Lo strato di pozzolana interposto tra cede stato attribuito (Rittmann-Ventriglia) a Cigliano (5). F) Gli scavi nella zona del Yomero Vecchio (specialmente a via Gemito), all’Arenella (piazza Medaglie d’Oro) e ad Antignano (piazza degli Artisti, via G. B. Ruoppolo) attraversano tale formazione che corrisponde a quella che A. Rittmann nella descrizione geo¬ logica dei Camaldoli attribuisce ad Astroni. Potenza m. 2,50-3. a) Pozzolana grigiastra : cm. 10 (eventuale). b) Sabbia e lapillo violaceo: cm. 5-10, sempre presente, come tutti gli strati seguenti. c) Pozzolane gialle e grige stratificate ( « pozzolane variegate » ) ; cm. 50-70. Gli straterelli inferiori di tali pozzolane sono per lo più giallognoli e sono tre, separati da tre esilissime fasce di lapillo. Se¬ guono diversi straterelli di pozzolane grige o marrone. Lo straterello superiore (cm. 10) è di pozzolana giallognola. d) Pozzolana grigia : cm. 20-40 E per lo più compresa tra due fasce violacee. Al Vomero Vecchio tra c e d si ha una leggera di¬ scordanza. Le due fasce violacee sembrano riferibili a humus. e) Pozzolane e pomici stratificate: cm. 30-50. Ad Antignano sono lievemente discordanti su d. f) Pomici (a pomici A»), cm. 30-50. g) Pozzolane grigio giallastre: cm. 30-50, al vico Acitillo (Vo¬ mero Vecchio) giungono a m. 1. h) Pomici (« pomici B »); cm. 15-30. In genere lo spessore è mi¬ nore di quello delle pomici A. (5) Ventriglia U. Rilevamento geologico doi Campi Flegrei (zona centrale fra la direttissima Napoli-Roma e la collina dei Camaldoli). Boll. Soc. Geol. It.9 voi. 69 Roma, 1950. Rittmann A. Op . cit. — 109 — i) Pozzolane grigio giallastre stratificate . La potenza è varia perchè spesso sono state parzialmente erose e asportate, al massimo (via Gemito) è ni. 1, ma in genere è assai meno ; in qnalche caso mancano del tutto e attualmente la serie si inizia colle pomici. 1) Humus violaceo: cm. 20-30. Fig. 2. - Stratigrafia dalle “ pomici Fig. 3. = Stratigrafia da E a G. principali „ ad E . G) Pozzolane grigio giallastre stratificate. Sono discordanti sulle precedenti. La potenza massima è di m. 1,70 (via Gemito) ; verso l’alto presentano una fascia di pomici Queste pozzolane sono con¬ servate nella zona del Vomero Vecchio mentre all’Arenella per lo più mancano. Al Vomero sono saltuariament presenti : si osservavano nell’area tra via M. Stanzione e via G. Merliani. Sopra questa poz¬ zolane non esiste più che il terreno vegetale attuale o terreno di riporto. Boll. Soc. Naturalisti 9 Trattandosi dei prodotti vulcanici più recenti, è logico attribuirle al Vesuvio e, in piecola parte, alle ultimissime eruzioni dei vul¬ cani flegrei. Stratigrafia lungo via Aniello Falcone. Via Aniello Falcone segue T orlo meridionale (verso Chiaia) della collina del Vomero, perciò taglia nel suo percorso la forma¬ zione C, (Agnano) che qui si è deposta su un declivio e mostra nel modo più evidente le erosioni e le discordanze a cui ho accennato sopra e che sono tanto evidenti nella zona via Orazio-Mergellina. La stratigrafia in questo caso sarà meglio illustrata descrivendo una sezione tipica : quella che attualmente (giugno 1954) è aperta lungo via Aniello Falcone tra la calata S. Francesco e l’ inizio di via Tasso, appena sorpassato (scendendo) il Parco Lamaro. In questa sezione siamo, quasi esclusivamente, neìTambito della formazione C. Dal basso in alto si hanno; Pozzolane e sabbie , che nella fotografia affiorano appena dalla massa del materiale scavato, ma che in realtà, partendo dal piano di cava, hanno una potenza di circa m. 2. Forse rappresentano il passaggio tra B e C. Pozzolane ; coi solito colore grigio giallastro (m. 1,70) Appar¬ tengono alla formazione C e corrispondono ad a. « Pomici principali » che nella fotografia si distinguono chiara¬ mente cogli strati di pozzolana (più scuri) che si intercalano a quelli di pomici (più chiari). Hanno nno spessore di circa m. 2 e risultano così costituite : pomici (a). cm. 40 pozzolane, cui. 5 pomici (jT), cm. 15 p ozzolane. cm.. 5 pomici (3”), cm. 20 pozzolane. cm. 2 pomici ((T”), cm. 5 pozzolane. cm. 5 porzione inferiore porzione media — Ili — pomici (y), cm. 20 pozzolane, cm. 5 pomici (6), cm. 40 pozzolane, cm. 20 pomici (s), cm. 30 Nella fotografia [3’ e [3” appaiono come un unico strato. Sopra e compare un ultimo esiguo straterello di pomici ($■) che si nota pure nelle pomici principali dei Camaidoli. In viale Michelangelo y aveva uno spessore notevolmente maggiore. Pozzolane e sabbie. Tutto il complesso delle pomici principali in corrispondenza della piega, così evidente nella fotografìa, è stato totalmente eroso e asportato. La piega anzi si è appunto determinata in seguito alla deposizione sulle pomici erose delle formazioni suc¬ cessive. Queste formazioni sòno rappresentate per uno spessore di circa m. 4 da pozzolane grigio giallastre a cui si intercalano lenti di sabbie grigio violacee, e qualche straterello di pomici o lapilli Sul posto si possono distinguere almeno quattro banchi di pozzo¬ lana con uno spessore variabile tra m. 0,50 e 1,50. Il primo con¬ corda colle « pomici principali » e sull’ultimo sono concordanti le « secondi pomici ». Tra loro invece i banchi di pozzolana sono di¬ scordanti e separati da lenti o straterelli di sabbie o pomici e lapilli. « Seconde pomici ». Qui appaiono complete cogli straterelli in¬ feriori, la grande fascia centrale e gli straterelli superiori di pomici. Lo spessore complessivo è di m. 1,20 circa. Non presentano tracce d’erosione, ma risentono dell’irregolarità della superficie sulla quale si sono deposte. Sulle (( secondo pomici », ancora in concordanza con queste, si sono deposte delle pozzolane (m. 1,20). Pozzolane superiori. Separo queste pozzolane dalle precedenti (di cui hanno lo stesso colore grigio giallastro e quasi la stessa potenza), perchè sono discordanti con queste. Potrebbero essere attribuite alla formazione D, salvo che non si tratti di materiale rimaneggiato. Sabbie grigiastre; si tratta di materiale evidentemente rimaneg¬ giato, con stratificazione lenticolare, Nella sezione manca il « lapillo nero »; un sottile strato di humus avana (E), non visibile nella fotografia, copre invece, con porzione superiore — 112 — forte discordanza, le formazioni sottostanti. Manca la formazione F (Astroni). Interessanti osservazioni stratigrafiche si possono compiere lungo la strada attualmente in costruzione che da questa sezione sale al Yomero Vecchio. Si nota che la formazione F esiste, ma si arresta poco più in basso di via Vomero Vecchio. Segue la formazione E ( humus avana) che qui è ridotta (ni. 0,50 circa), quindi si inizia C col « lapillo nero », le « seconde pomici » ecc. Sono frequenti le erosioni così nel primo come nelle seconde. P. es. a metà circa della strada, lungo la stessa verticale, si nota che le « seconde po¬ mici » sono state attraversate da un solco d’erosione e parzialmente asportate. Successivamente il solco è stato riempito da pozzolane rimaneggiate e su queste si è deposto il « lapillo nero », il quale a sua volta è stato eroso in più punti e sostituito da pozzolana. Per tali caratteristiche la stratigrafia lungo via Aniello Falcone si ricollega, come ho detto, a quella della zon,a via Orazio-Mer- gellina, che conto di illustrare in un prossimo lavoro. Scherillo A. - La stratigrafia della zona V omero- Aren ella. Tav. I. Fig. 2. — Schema della sezione della fig, 1. Fig. 1. — Sezione lungo via Aniello Falcone (Parco Lamaro). Scherillo A. - La stratigrafia della zona V omero- Arenella. ' Tav. II. ■ ■ Jlflll . 1 | . . a ^SfaL v ' " . . il. ■ : - y | |*l||si V yfilplis;: 1 1 jg .,.s ; •SPSiliK. ■SII ®SiS5l3S:%% ■1111 ■■■■ gH MIHHB ^ ^ ~«Ì WHKmSSSM . * i . l g 8 ■ -■ ' *flill!i||lllipy HI ■ I y . vi I ?igÉj| .: IH ■I iyv yiSSfP- ’ : y^yil'ì.. ^ . y'it y'y .JyyWyy* ~ - i;„ v>C~ . .... : : t% ' ” y . v ■ ' ^vsr.r;>|gs±; ’l .»i""':.. ■ . ,:“" , i'i\ ■ - ^xr^%a % . . . . . . ««r .= .sm . ' * ^ . . . . . . . . «|;»"V:.;: !:ii:ayi .,' i«ii jàa. ' v .,: . -- : . . . - . * a . ■ e . ^ :I . mi c'..^,% . * ' ...J jp® Fig. 1. — Particolare della sezione^precedente. ■Spi m m J!^o i«n taar ,-n^o 'rnattrrale, J/ Stutvo Fig. 2. — Schema della sezione della fig. 1. Un cristallo di idocrasio del Vesuvio con un insolito habitus cristallino. Nota del socio Renato Sinno (Tornata del 28 maggio 1954) V : , . ' ■; L; ’ \ ' ■' ... Riordinando, nell’ Istituto di Mineralogia, una collezione di cristalli isolati del Somma -Vesuvio, in parte distrutta dagli eventi bellici del 1943-44, tra i vari campioni di idocrasio che passarono tra le mie mani, uno in particolar modo attirò la mia attenzione per il suo aspetto assolutamente insolito. Es&o, infatti, già a prima vista, si presentava diverso dagli altri cristalli della stessa specie. Pensai che uno studio cristallografico non sarebbe stato privo di interesse, per cui mi accinsi alla ricerca con due scopi ben pre¬ cisi: primo, vedere se fosse stato possibile accostare l’aspetto di questo cristallo ad una delle forme note; secondo, ove mai non avessi raggiunto il primo scopo, dare comunicazione, presentandone la figura, di questo nuovo habitus dell’ idocrasio, descrivendone le varie facce rinvenute. Secondo il Boecker, infatti, nell’Idocrasio del Monte Somma si possono distinguere tre tipi principali : il primo, rappresentato da cristalli tabulari secondo la base, non molto frequenti; il secondo, a cristalli bipiramidali, molto rari, nei quali predomina la jlllj; ed infine, il terzo da cristalli prismatici, terminati dal pinacoide di base, che, sono tra tutti, i più facili a rinvenirsi. Naturalmente queste forme non sono separate da un limite netto, ma si risolvono l’una nell’altra attraverso una serie di habitus intermedi, che costi- stituiscono termini di passaggio. Il cristallo in esame ha una lunghezza di mm. 15 ed una lar¬ ghezza, nella direzione di maggiore sviluppo, di mm. 8. È di colore rosso-bruno e rappresenta, evidentemente, la restante parte di un’as¬ sociazione di vari cristalli che, successivamente, sono stati staccati. Proprio lungo questa zona di contatto, il cristallo si presenta a spi¬ goli rientranti, determinati da una serie di piccole facce della zona prismatica, ben riflettenti, che rappresentano i piani di contatto di altri individui cristallini. Tali facce sono ben visibili nella fig. 1 e — 114 — sono allungate e striate, parallelamente all’asse delle Z. Nell’ottante opposto il cristallo è enormemente corroso, per cui ogni determi¬ nazione risulta vana e per nulla sicura o indicativa. Posto innanzi tutto il cristallo con l’asse Z verticale al piano del goniometro, ho iniziato la ricerca dei valori angolari delle facce presenti della zona prismatica. Avendo assegnato, sulla scorta dei valori angolari ottenuti, i relativi simboli alle facce, ho potuto con¬ statare che lo sviluppo di queste era del tutto diverso dal comune sviluppo presentato dalle forme cristalline appartenenti al terzo tipo di Boecker. Delle forme rinvenute come appartenenti a questa zona la }100}, {110}, {210}, {310}, soltanto le prime due hanno uno sviluppo ana¬ logo a quello delle rispettive forme del cristallo tipo; le restanti, e, precisamente la { 210 j e la 1 310 j, che in genere sono sempre ridotte ad esili listerelle allungate, in questo cristallo presentano uno svi¬ luppo tanto grande da avvicinarsi a quello della { 110 } e della { 100 j. D’altra parte poi la {310}, quando esiste, se pure ridotta, secondo lo Zambonini (1), è da considerarsi una forma poco frequente. Tale prima divergenza riscontrata ha ancora di più avvalorato quello che inizialmente pensato ed intuito, per cui ho continuato nella ricerca dei valori angolari delle facce della zona piramidale, la cui ricerca presentava qualche difficoltà, non fosse altro per le notevoli dimen¬ sioni del Cristallo, che richiedevano continui spostamenti. La prima zona della bipiramide, la più completa, comprende la {311}, {201}, { 312 } { 11 1 }, { 132 }; mentre la maggior parte di queste forme rientra nel numero di quelle che abitualmente si rinvengono nei cristalli bipiramidali di idocrasio, non altrettanto può dirsi per la {201 {, che rappresenta invece, per i cristalli del Vesuvio, una novità, in quanto, fino ad oggi, non era mai stata segnalata la presenza. Que¬ sta nuova faccia, nel cristallo di idocrasio in esame, si presenta di forma rettangolare, poco sviluppata, uguale in forma ed in sviluppo alla { 1 32 }, nè la benché minima corrosione altera la sua immagine, perfettamente riflettente. Essa forma con { 311 } un angolo di 19° 5’ e, con la [312] un angolo di 16°50’. Le altre forme, sempre ap¬ partenenti alla zona della bipiramide sono: la {311}, inclusa nelle forme sempre sviluppate e frequentissime; la {421}, {331}, apparte¬ nente anch’esse alle forme molto sviluppate ed abbastanza comuni; (*) (*) Zambonini F. Mineralogia Vesuviana. II Ed., pag. 241, Napoli, 1935. — 115 — la { 221 j, { 131 j, j 511 j, queste ultime tre con uno sviluppo dav¬ vero considerevole, appartenenti alle forme rinvenute poco fre¬ quentemente. Stabilita la croce assiale, per rendere nel miglior modo possi¬ bile la figura del cristallo, fissato l’asse delle Z, ho ruotato gli assi X ed Y verso l’osservatore, discostandomi alquanto dalla classica orien¬ tazione che si suole dare ai cristalli. Per avere l’esatta visione di questo cristallo oggetto delle mie ricerche, nella figura ho mantenuto per le singole facce, lo sviluppo Un cristallo di Idocrasio del Vesuvio con un insolito habitus cristallino. da esse presentato nella realtà, in modo da fare risaltare l’aspetto del cristallo stesso, in cui nessuno, a prima vista, avrebbe ricono¬ sciuto una forma tetragonale di idocrasio. Essendo partito, per l’assegnazione dei simboli delle faccie, dai valore angolare classico: 001 011 = 37°.14’, e dalle costanti cristal¬ lografiche ritrovate dallo Zepharo.vi _h : a : c = 1 : 0.537541 ho calcolato i valori teorici che riporto nella tabella seguente; — 116 — TABELLA Angoli VALORI SPERIMENTALI Minimo Massimo Media Valori Teorici 100 A 310 18° 18° 40’ 18° 20’ 18° 26’ 100 A 210 26° 10’ 27° 2’ 26° 36’ 26° 34’ 100 A 110 45° 45° 45° 45° 210 A 310 8° 10’ 8° 12’ 8° 11’ 8° 8’ 210 A 110 18° 18° 40’ 18° 20’ 18° 26’ 100 A 511 22° 30’ 22° 40’ 22° 36’ 22° 54’ 100 A 201 42° 50’ 43° 42° 55’ 42° 56’ 100 A 421 34° 10’ 34° 16’ 34° 13’ 34° 20’ 421 A 221 19° 5’ 19° 22’ 19° 11’ 19° 10’ 5Ì1 A 421 15° 8’ 15° 20’ 15° 14’ 15° .20’ 421 11 331 16° 30’ 17° 30’ 17° 17° 421 A 311 11° 10v 11° 20’ 11° 15’ 11° 20’ 421 A 010 65° 2’ 65° 24’ 65° 13’ 65° 37’ ilo A' 331 24° 24° 4’ 24° 2’ 23° 41’ 331 A 221 9° 30’ 9° 40’ 9° 35’ 9° 39’ 221 A ili 19° 30’ 19° 30’ 19° 30’ 19’ 30’ 111 A 001 37° 37° 20’ 37° 10’ 37° 14’ 3l0 A 3ll 31° 12’ 31° 14’ 31° 13’ 30° 30’ 3ll A 312 19° 13’ 19° 19° 7’ 19° 8’ 312 A 001 39° 35’ 40° 40’ 40° 9’ 40° 22’ 311 A 201 19° 18° 56’ 18° 58’ 19° 5’ 201 A 312 16° 55’ 16° 55’ 16° 55’ 16° 50’ 3l2 A ili 16° 55’ 16° 55’ 16° 55’ 16° 50’ rii A Ì32 15° 15° 10’ 15° 5’ 14° 45’ 511 A 5ll 21° 4’ 21° 10’ 21° 7’ 21° 14’ 311 A. 311 31° 40’ 31° 50’ 31° 45’ 31° 38’ 117 — i „ Ed ecco l’elenco completo di tutte le forme rinvenute nel cri¬ stallo di idocrasio esaminato: {100} { 210 j { 310 } jOlOj {OOlj J 110 | {310j f 201 j } 111 { { 131} { 132 j { 231 j { 3ll } {311! {3l2i {331j { 421 j { 511 j { 5 lì ! Istituto di Mineralogia della Università di Napoli , Maggio 1954. Sopra una nuova specie di Parastrophia del Quaternario della Punta delle Pietre Nere (Foggia). Nota del socio Maria Moncharmont Zei (Tornata del 26 novembre 1954) (Con 1 tav. fuori testo) In una precedente nota (*) mi sono interessata dello studio della microfauna proveniente dal materiale argillo - sabbioso, che ce¬ menta le colonie di corollari e le conchiglie di molluschi in una particolare formazione, da me indicata coi nome di «scogliera a Cladocora caespitosa » , che si eleva di poco sul mare alla Punta delle Pietre Nere, presso il lago di Lesina (Gargano). Nel predetto deposito, che per i caratteri complessivi della microfauna ho at¬ tribuito ad una facies calda del Quaternario, già segnalai la presenza di numerose, piccole conchiglie di un gasteropodo appartenente alla famiglia Caecidae e precisamente al genere Parastrophia De Folin, ed accennai che sembrava trattarsi di una nuova specie. Il genere predetto fu istituito, com’è noto, nel 1869 dal De Folin con il nome di Moreletia , ma fu successivamente cambiato, dallo stesso autore, in Parastrophia , perchè già impiegato, con altro significato, nel regno animale. In letteratura, dal 1869 ad oggi, mi risultano istituite le se¬ guenti specie viventi e fossili: 1) Parastrophia (n. n. prò Moreletia) cornu - copiae De Folin 1869: in Berchon, De Folin e Perier, Les fonds de la mer , voi. I, pag. 174. Paris, 1870. Da Hong-kong. 2) Parastrophia asturiana De Folin 1870 : in Berchon, De Folin e Perier, Les fonds de la mer , voi. I, pag. 218, tav. XXIX, fig. 7. Paris, 1870. (9 MONCHARMONT Zf.i M. , I f or amini feri della scogliera a Cladocora caespitosa della Punta delle Pietre Nere presso il Lago di Lesina, in prov. di Foggia . Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 4, voi. XXI. Napoli, 1954. — 119 — Dalle coste delle Asturie e dal Golfo di Discaglia, a 27-36 m di profondità. 3) Parastrophia challengeri De Folin 1879 : in De Folin, On thè Mollusco, of H. M. S. « Challenger » expe- dition. The Caecidae. Proc. Zool. Soc. , pag. 806. London, 1879. Un solo esemplare, incompleto, dal Capo York, a 15 m. 4) Parastrophia f olirti Bucquoy, Dautzenberg e Dollfus 1884 : in Bucquoy E., Dautzenberg Ph. e Dollfus G., Les mollusques mar. du Roussillon , voi. I, Gastropodes, pag. 233, fig. 5. Paris, 1882-1886. Un solo esemplare nella sabbia della spiaggia di Paulilles. Altri esemplari della stessa specie dragati nella rada di Sfax (Tunisia), ed ancora presso Civitavecchia, Livorno, Spezia, Ma¬ gnisi, Palermo e Mondello. 5) Parastrophia filum Melvill 1906: in Melvill I. Cosmo, Descriptions of thirty-one Gastropoda and one Scaphopoda from thè Persian Gulf and Gulf of Oman ecc.. Proc. Mal. Soc. , voi. 7, pag. 69 - 80, tav. VII - Vili. London 1906. 6) Parastrophia corniculum Morellet 1943 : in Morellet L. e J. , Les Caecidae éocènes du bassin de Paris , du Cotentin et de la Bretagne. Bull. Soc. géol. Fr., s. 5a, voi. XIII, p. 388. Paris, 1943. Fossile nelle sabbie bartoniane di Cresnes. È da ricordare altresì che alcuni avanzi attribuiti allo stesso ge¬ nere sono stati segnalati, senza una determinazione specifica, nei sedimenti della pianura costiera della bassa Versilia, ad una profon¬ dità compresa fra i 22 ed i 65 m.1) Gli esemplari da me studiati presentano una conchiglia cilin¬ dro - conica allungata, la cui lunghezza varia da 1 mm a 3,5 mm ; la larghezza all’apertura da 0,25 mm a 0,45 mm, mentre all’at¬ tacco del nucleo si mantiene quasi costante intorno a 0,1 mm. La conchiglia, molto sottile e translucida, si presenta trasversalmente (*) (*) Blanc A. C., Settepassi F. e Tongiorgi E., Excursion au Lac de Mas- saciuccoli ( Piaine còtière de la basse Versilia ). IV Congr. Int. pour 1’ étude du Quaternaire. Roma, 1953. — 120 solcata da numerose e minute striature, molto ravvicinate, che si iniziano in tutti gli esemplari, sia giovani che adulti, quasi ad una stessa distanza dal nucleo, sì da mostrare più spiccata la prima por¬ zione della conchiglia, liscia e verosimilmente ad accrescimento più rapido. Il nucleo, completamente liscio, è formato al massimo da un giro e mezzo, ed il suo piano sagittale coincide con il piano sagittale della porzione liscia, ma non con quello della porzione striata della conchiglia. Questa, infatti, presenta, specialmente negli esemplari adulti, una ben evidente torsione, che le conferisce una forma elicoidale molto allungata. In conseguenza di tale torsione l’apertura della conchiglia, disposta sempre obliquamente rispetto al suo asse, appare variamente orientata sul piano del nucleo nei vari stadi di sviluppo dell’animale. Infatti, negli esemplari più gio¬ vani essa forma un angolo di circa 90° col piano del nucleo, mentre con le ulteriori fasi di accrescimento dell’animale, tale angolo cresce gradualmente fino a raggiungere e superare l’angolo piatto, come si osserva nel maggiore dei miei esemplari (lìg. 1 della tavola). Tutti i caratteri sopra esposti (forma e curvatura della conchi¬ glia, apice ravvolto formante una spira e mezza, apertura obliqua) dimostrano chiaramente come gli esemplari da me rinvenuti, che sono perfettamente conservati, si possano attribuire tutti indubbia¬ mente al genere Parastrophia. Delle specie precedentemente elencate quella alla quale mag¬ giormente si ravvicinano è la Parastrophia f olirti Bucquoy, Daut- zenberg e Dollfus. Anche da questa, tuttavia mi sembra di doverli tenere distinti. Gli esemplari da me studiati differiscono infatti sia per la forma generale della conchiglia, più svasata presso l’apertura e più evidentemente rigonfia nella porzione liscia prossima al nu¬ cleo, sia per le ornamentazioni circolari molto più fini e ravvici¬ nate ed iniziantisi ad una certa distanza dal nucleo. Quest’ultimo carattere, d’ altra parte, non mi sembra sia stato rilevato in nessuna delle specie già note. Ritengo, quindi, che gli esemplari da me segnalati rappresentino una nuova specie del genere Parastrophia , per la quale propongo il nome di Parastrophia garganica n. sp. Napoli, Istituto di Geologia , Paleontologia e Geografia fìsica delV Università , 26 ottobre 1954 Moncharmont Zei M. — Sopra una nuova sp. di Parastrophia ecc. Boll. Soc. Natur. Napoli - Voi. LXIII. Osservazioni strati grafiche sul sottosuolo di via Roma (Napoli). Nota del socio Antonio Sclierillo (Tornata del 22 dicembre 1954) Gli scavi tuttora in corso lungo via Roma mi hanno permesso qualche osservazione stratigrafica, utile alla migliore conoscenza geo¬ logica della zona urbana di Napoli. Nella presente nota riferisco sulle osservazioni che ho potuto compiere nel tratto S. Ferdinando- Largo Carità. In questo tratto la stratigrafia, nelle sue grandi iinee, è sem¬ plicissima : in basso si hanno pozzolane humificate a fascie avana o violacee, con piccole concrezioni bianche e, sopra, un’alternanza di straterelli di pozzolane e pomici spesso rimaneggiale, sia per azione delle acque correnti, sia a causa degli antichi lavori stradali. Le « pozzolane humificate '» corrispondono alla formazione E della mia nota precedente (*) e questo è confermato dal fatto che nello scavo attualmente in corso a Largo Carità, all’ angolo con via Monte Oliveto, sotto le pozzolane humificate, che hanno una potenza di circa 2 metri, compare il ((lapillo nero stratificato)) (formazione C; ej che ha una potenza di circa cui. 50 e termina, verso l’alto, con uno straterello di materiale più grossolano, cioè pomici e piccole scorie nere. Sotto il lapillo nero affiorano le « seconde pomici » (forma¬ zione C ; d). Si ha dunque la solita successione della zona Vome- ro-Arenella. Identificate per tal modo le pozzolane humificate colla forma¬ zione E , le sovrastanti pozzolane e pomici vanno attribuite alla for¬ mazione F. Come si è detto, si tratta di materiali in gran parte rimaneg¬ giati, tuttavia in alcuni pochi punti lungo Via Roma, p. e. all’ in¬ crocio con via S. Brigida, e nelle immediate adiacenze (intorno al palazzo SME) questi appaiono in posto. Dove la serie è completa, la successione dal basso in alto è la seguente : 1) humus avana (potenza visibile cm. 50) 2) humus violaceo (cm. 40) 3) pozzolana marrone, parzialmente humificata (cm. 40) 4) pozzolana grigia attraversata da una o due (a S. Brigida) fasce violacee (cm. 20) 5) humus avana, con pomici e lapilli (cm. 30) 6) pozzolane, sotto giallastre, sopra grigiastre (m. 1-0,70) O Scherillo A. La stratigrafia della zona Vomero-Arenella (Napoli). Boll. Soc. Natur. in Napoli, voi. 63, 1954, pp. 102-112. — 122 — 7) pomici, forse discordanti su 6) : una fascia maggiore seguita da due più piccole (cm. 20) 8) pozzolana marrone (cm. 15) 9) humus violaceo 10) pozzolana marrone (cm. 15) 11) humus violaceo 12) pozzolana marrone (cm. 20) terreno di riporto. jrxi li _ : _ a _ ■ * » - _ v • * • • * ‘.,***. i Non vi è dubbio che 1) e 2) siano da attribuirsi ad E, mentre l’ esatta attribuzione di 3) è incerta, I termini da 4) a 8) incluso possono esser senz’ altro attribuiti a F. Le pomici 7) corrispondono probabilmente alle « pomici A e B », le pozzolane 6) alle « pozzo¬ lane variegate », le pozzolane 4) ai termini più bassi di F. Per quella che è, nelle sue grandi linee, la stratigrafia della zona dove ora è il palazzo SME rimando al grafico riportato su questo bollettino dal consocio Meo (~). (2) Meo F. Relazione sull’esame dell’acqua di un pozzo trivellato durante gli scavi di fondazione dei nuovi, fabbricati nelle adiacenze della chiesa dei Fio¬ rentini in Napoli. Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi. 61, 1952, pp. 3-11. Andromonoicismo in Prunus caroliniana Ait. Nota del socio Aldo Merda (Tornata del 22 dicembre 1954) Nell’Orto botanico di Napoli si coltivano due annosi individui di Prunus caroliniana i quali fioriscono abbondantemente ogni anno e fruttificano quasi tutti gli anni, ma non altrettanto abbondante¬ mente. Nello scorso aprile, esaminando alcuni fiori di tali piante, mi avvidi che tra di essi ve ne erano alcuni privi di pistillo. Rac¬ colto allora abbondante materiale, potei sincerarmi che realmente le piante in questione portavano fiori di due tipi e cioè fiori er¬ mafroditi e fiori maschili. Tale materiale mi permise anche di con¬ statare che i primi erano molto più abbondanti dei secondi. Ciò si può meglio dedurre dai seguenti dati tratti dall’esame di 1931 fiori: fiori 5? 1516 78,51 0 0 fiori oV 415 21,49 % L’esame accurato dei fiori maschili rivela che il loro gineceo non è del tutto assente ma che esso esiste allo stato rudimentale sotto forma di minuscoli pistillodi. Questi ultimi raramente oltre¬ passano il millimetro. Notevole riduzione, quindi, se si considera che le dimensioni dei normali pistilli dei fiori ermafroditi si aggi¬ rano intorno ai sei millimetri. Va ancora ricordato che i fiori ma¬ schili, nei confronti dei fiori pistilliferi, presentano un peduncolo fiorale più breve. Per dire della distribuzione delle due categorie di fiori sulle singole infiorescenze occorre prima ricordare che in Prunus caro¬ liniana tali infiorescenze sono a grappolo e si sviluppano da gemme situate all’ascella di foglie formatesi l’anno precedente o, raramente, due anni prima. Orbene, su di esse possono riscontrarsi o soli fiori maschili o soli fiori ermafroditi o, infine, entrambi. Più di fre¬ quente, però, le infiorescenze hanno o soltanto fiori ermafroditi o fiori ermafroditi e maschili ad un tempo. Esse allora sono alquanto allungate e presentano un discreto numero di fiori (ne ho contati 124 sino a ventiquattro). L’opposto si dica delle infiorescenze portanti soltanto fiori maschili. Esse infatti sono molto più brevi e presen¬ tano un numero più basso di fiori (sino a dodici). Altra osservazione da farsi è che nelle infiorescenze miste, pro¬ cedendo dal basso verso l’alto, si incontrano prima i fiori ermafro¬ diti e poi quelli maschili. Solo raramente ho osservato uno o due fiori maschili alla base. In tal caso sempre, dopo un certo numero di nodi portanti fiori ermafroditi, si riscontrano poi nella parte distale dell’infiorescenza alcuni fiori maschili. Come si vede, dunque, gli esemplari di Prunus caroliniana vi¬ venti nell’Orto botanico di Napoli sono andromonoici. L’andromonoicismo è un fenomeno segnalato più volte nelle piante superiori e che si osserva discontinuamente in varie famiglie. Meglio noto è l’andromonoicismo delle ombrellifere, come risulta dai lavori di diversi A. A. Tra di essi mi limito a ricordare il Liehr (*) a titolo di esempio. Ma per il genere Prunus non mi risultano descritti casi di andromonoicismo così ben definiti. Più volte sono stati illustrati fenomeni di sterilizzazione parziale di uno dei due sessi in specie diverse appartenenti a questo genere con conseguente formazione di fiori unisessuali ; ma bisogna pur ricordare che tali fenomeni sono stati riscontrati in quelle spe¬ cie di Prunus che sono largamente coltivate o per i fiori o per i frutti. In quelle specie, cioè, nelle quali la coltura, con la conti¬ nua moltiplicazione vegetativa e le ripetute ibridazioni, è causa della parziale o, addirittura, totale sterilità dei fiori. Nel nostro caso, invece, si tratta di una specie poco diffusa in coltura e per la quale, quindi, presumibilmente i sopracitati fattori sono da escludersi quali causa del ricordato andromonoicismo. Rimarrebbe inoltre da chiarire se tale andromonoicismo sia proprio un attributo della specie in questione, quindi se esso si riscontri anche negli individui viventi allo stato spontaneo come io ho supposto che si verifichi per Peumus boldus (2). Tale fenomeno, infatti, potrebbe anche essere determinato da fattori vari, per esempio ambientali, analogamente a quanto il Cap¬ pelletti (;J) ha riscontrato per l’andromonoicismo di Citrus trifoliata. (*) Liehr E. Entwicklungsgeshichtliche und experimentelle Untersuchungen iiber die rudimentàren Fruchtknoten einiger Umbelliferen. Mitt. Inst. f. allg. Bot. Hamburg, 6, 1927, 361-418. (2) Merola, A. Ermafroditismo in Peumus Boldus Molina e poligamia della specie. Delpinoa (n. s. Bull. Ist. Orto Bot. Univ. Napoli), 4, 1951, 137-153. (3) Cappelletti, C. Sulla presenza e sulle cause determinanti Vandromonoi- cismo in Citrus trifoliata L. N. Giorn. Bot. Ital., n, 8., 42, 1935, 497-507. — 125 — Ma su tale punto mi propongo di ritornare in seguito quando avrò studiato più a fondo l’andromonoicismo in questione. Per ora lo scopo di questa nota è limitato alla sola segna¬ lazione del fenomeno andromonoico, indipendentemente dalle mo¬ dalità della sua attuazione. E credo che tale segnalazione già di per se stessa desti interesse, non solo perchè questo fenomeno è Fiori ermafroditi (sinistra) e maschili (destra) di Prunus caroliniana Ait. interi (alto) e aperti (basso). P := pistillodio. nuovo per Prunus caroliniana , ma sopratutto perchè, nell’ambito del ricco genere Prunus , se si escludono le specie coltivate largamente a scopo orticolo, generalmente i fiori sono sempre ermafroditi e solo raramente e vagamente si è parlato di tendenza alla separa¬ zione dei sessi. Tendenza, quest’ ultima, che forse non è priva di significato filogenetico specialmente se si considera che vi sono altri generi di prunee nei quali essa si palesa con maggiore fre¬ quenza e costanza giungendo, talora, sino al più conclamato dioicismo. RIASSUNTO In questa nota l’autore segnala la presenza di andromonoicismo in individui di Prunus caroliniana coltivati nelPOrto botanico di Napoli. b) J3oll, Soc, Naturalisti Studi di stratigrafia siciliana : IV. Breve cenno sulla stratigrafia di Cerda e di Termini Imerese. Nota del Socio Teodosio De Stefani (Tornata del 22 dicembre 1954) I. - Parte introduttiva. La stratigrafia di Cerda e di Termini Imerese presenta molti aspetti interessanti e degni di particolare attenzione, sia per quanto riguarda la giacitura dei blocchi paleozoici inclusi nel Flysch carnico per il primo luogo, che per le ripetute trasgressioni e lacune per quel che riguarda il secondo. Per tali motivi e perchè molto recentemente è comparsa una pubblicazione del Prof. T. Lipparini (l), nella quale figurano al¬ cune serie stratigrafiche che ritengo inaccettabili, reputo opportuno dare adesso queste notizie preliminari, riservandomi di pubblicare, entro breve tempo, una nota molto più ampia e dimostrativa sul medesimo soggetto. II. - Serie del Cozzo Rasolocollo (Cerda). La serie stratigrafica del territorio di Cerda, per la zona del Cozzo Rasolocollo, procedendo dall’alto al basso, è la seguente : 1) Oligocene. Flysch, prevalentemente argilloscistoso, riferito all’Oligocene per analogia con quello di altri luoghi e perchè rap¬ presenta la continuazione di quello di Termini Imerese, di età si¬ curamente oligocenica, come documenterò più avanti. Esso è trasgres¬ sivo, poiché se ne osserva la discordanza su termini precedenti, presentando talvolta il conglomerato di base o perchè poggia su superfici di abrasione dovute ai mare oligocenico stesso. 2) Eocene , prevalentemente medio. E rappresentato da marne o da calcari marnosi, sul tipo di quelli di Termini Imerese (C. da Patàra, Rocca, Impalastro, eec.). (*) (*) Lipparini T., Cenni sull’’ attività di campagna (Studio geologico della zona di Termini Imerese (Foglio 2 59) J. Boll. Serv, Geol, d’Italia, voi. LXXV, anno 1953, fase. 2°. Roma, 1954. — 127 — Esso viene definito come tale per la fauna che contiene, in parte rappresentata da Nummuliti, ed è pure trasgressivo. Infatti, lo si ritrova adagiato in lembi sul sottostante Gamico. 3) Cantico. È rappresentato da Flysch, in buona parte m amo- scistoso, spesso con intercalazioni di calcari nerastri, contenenti la Posidonomya gibbosa Gemm., mentre le marne mostrano non fre¬ quenti esemplari di Estheria. La sua base non è nota, poiché non se ne osserva l’appoggio. 4) Paleozoico. Questo è rappresentato esclusivamente da ciot¬ toli calcarei, sempre più o meno levigati, inclusi nella massa del Flysch triassico. Essi vennero scoperti dal compianto Prof. R. Fabiani e dal Signor G. Bonafede, diversi anni or sono. Inoltre esiste, secondo me, una grande analogia di giacitura con i blocchi, grandi e piccoli, del Permiano di Palazzo Adriano (inclusi pure nei Flysch triassico), analogia, che, in parte, sussiste anche per il Flysch - forse permiano o triassico (l’età precisa non è ancora dimostrata) - di Lercara-Roccapalumba, includente i soliti ciottoli o blocchi del Permiano e del Carbonifero. Tale giacitura avvalora l’ipotesi, per altro già formulata dal Fabiani (2), che la loro genesi sia collegata allo smantellamento, ad opera del mare triassico, di coste calcaree paleozoiche, con com¬ plicazione, forse, di movimenti tettonici. I ci > ttoli o blocchi paleo¬ zoici di Cerda, mostrano, in alcuni casi, la presenza di Cardiolae (Silurico-Devonico), mentre in altri pare che esistano Fusilinae (Antracolitico). La presenza di ciottoli di età differente risulta fa¬ cilmente comprensibile, dopo quanto si è supposto circa la genesi di quei depositi. III. - Serie di Termini Imerese. La serie di Termini Imerese, (quale osservata nei seguenti luoghi: Punta Alca Secca, Vallone Tre Pietre, Poggio Balate, Rocca, Impa- lastro, Madonna della Catena, Rocca del Castello, Km. 3 dello stra¬ dale per Caccamo, M.te Fànio, M.te Rosamarina, Valle del Fiume S. Leonardo), ecc., procedendo dall’ alto al basso, è la seguente : 1) Oligocene. E rappresentato da Flysch prevalentemente arenaceo alla base, contenente faune oligoceniche, in parte mescolate con fossili eocenici rimaneggiati. Tale mescolanza fu causa in passato (2) Fabiani R., Trattato di Geologia, pag. 300. Ist. Grafico Tiberino. Roma, 1952, — 128 — delle note controversie svoltesi fra Di Stefano G. e Checchia- Rispoli G. da un lato, e Silvestri A., Ciòfalo S. e Ciòfalo M. dall’altro, poiché i primi ammettevano la coesistenza nell’ Eocene delle specie di Nummuliti oligoceniche, con quelle sicuramente eoceniche. Gli altri AA., invece , sostenevano doversi trattare di veri e propri casi di rimaneggiamento di specie eoceniche in de¬ positi oligocenici. Il problema connesso a tale controversia è stato da me recen¬ temente risolto (;5) mediante la dimostrazione che il Flysch, la cui età era discussa, è in realtà trasgressivo e che pertanto esso poggia su termini molto vari, quali : marne, calcari e dolomie del Trias superiore; radiolariti del Lias superiore ; calcari del Cretaceo ; cal¬ cari e marne dell’Eocene medio-superiore. Pertanto la sua età ri¬ sulta posteriore a quella di tutti questi termini e non può appar¬ tenere, verosimilmente, se non all’ Oligocene ; per conseguenza, i fossili eocenici che detto Flysch contiene, in mescolanza con quelli oligocenici, risultano rimaneggiati. Ora, poiché i fossili sono estremamente abbondanti in tutto il territorio di Termini Imerese, e poiché dimostrano di appartenere sempre all’ Oligocene, in quanto quasi dovunque sono presenti : Nummulites vasca Joly et Leym., N. boucheri de la Harpe, N. in¬ termedia d’Arch., N. fiditeli Micht., non vedo come il Prof. T. Lip- parini possa sostenere che una parte di esso appartenga all’ Aqui- taniano, oltre che al Langhiano. Mentre il primo termine difetta in Sicilia, il secondo, invece, si presenta qui con facies molto differente (ad esempio, le classiche calcareniti glauconitiche di Corleone). 2) Eocene. E rappresentato da calcari grigi, o da calcari marnosi o da marne biancastre — presenti in C. da Patàra, Rocca, Impala- stro, presso l’abitato di Termini Imerese, ecc. — il cui complesso è ricco di Nummelito e di altri fossili. In conseguenza della fauna, tale insieme risulta riferibile per la maggior parte all’ Eocene medio, ed in parte minore, all’ Eocene superiore. Anche 1’ Eocene medio è trasgressivo presso Termini Imerese, conformemente a quanto si conosce nel resto della Sicilia. (3) De Stefani T., Studi, di stratigrafia siciliana : III. Sul presunto Eocene inferiore del Vallone Tre Pietre ( Termini Imerese). Atti della Soc. Tose, di Se, Nat.; Memorie, voi. LXI, serie A. Pisa, 1954, — 129 — 3) Cretaceo. È rappresentato in buona parte eia calcari grigi o chiarine subordinatamente da marne, in istrati generalmente sottili di color rosso, giallastro o verdiccio, i primi con fossili caratteri¬ stici, quali Orbitoline, Orbitoidi, Rudiste, ecc., che permettono la datazione del Senoniano (in parte), del Turoniano, del Cenomaniano e dell’ Albo-Aptiano. 4) Titonico. Sebbene il Cretaceo sembri trasgressivo, poiché giace spesso sulle radiolariti del Lias superiore, tuttavia non risul¬ tano sufficientemente chiari i suoi rapporti con il Titonico, quando se dimostri la presenza di questo mediante fossili caratteristici, quali la Terebratula moravica Glock. Ciò si osserva, ad esempio, nella parte media della Rocca del Castello di Termini Imerese (4), ove il Titonico risulta chiaramente trasgressivo, pure sul Lias superiore. Spero che gli studi stratigrafici che vado svolgendo adesso in Sicilia, anche su questo tema, riescano a chiarire definitivamente tali rapporti, i quali si presentano, per il momento, poco evidenti. Però aggiungo, fin da ora, T esistenza di fondati sospetti che diversi dei presunti calcari titonici della Sicilia — definiti spesso solo mediante la citazione generica di Ellipsactiniae — siano, in¬ vece, di età cretacea per la presenza di Orbitolinae , come ho po¬ tuto constatare in alcuni casi. Ma su di ciò riferirò in separata sede. 5) Lias superiore. E rappresentato da radiolariti, con interca¬ lazioni di marne, il cui complesso passa verso la base a pochi strati di calcari con Crinoidi, e, ancora più sotto, ad arenaria di scarso sviluppo e conglomerato di base, il che ne dimostra la giacitura trasgressiva. E possibile che in tale insieme sia anche rappresen¬ tata almeno una parte del Lias medio. L’età viene stabilita sulla base dei lavori di Baldacci L. (5), GemmeLlaro G. G. (6) e Di Stefano G. (7), cosicché non pare sia possibile darvi attribuzione differente. Gli scisti silicei rappresentano, dunque, un elemento litologico di grande importanza stratigrafica. (4) Di Stefano G., Studi stratigrafici e paleontologici sul sistema cretaceo della Sicilia: I. I calcari con Caprotina di Termini Imerese. Atti della R. Acc. di Se., Lett. ed Arti, voi. 10. Palermo, 1888. (5) Baldacci L., Descrizione geologica delT Isola di Sicilia. Roma, 1886. (6) Gemmellaro G. G., Sugli strati con Leptaena nel Lias superiore della Si¬ cilia. Boll. R. Com. Geol. d’Italia, voi. 17. Roma, 1886. (7) Di Stefano G., Sull’età degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX, fase. I. Roma, 1900. — Ì30 — Essi risultano spesso concordanti con i soprastanti calcari cre¬ tacei o titonici : ma, concordanza non significa assenza di lacuna e di successiva trasgressione, che si dimostrano, invece, esistere real¬ mente tutt’ e due, sia per 1’ hiatus stratigrafico, che per il conglo¬ merato di base del Cretaceo o del Titonico. 6) Trias superiore. Questo è rappresentato da marne scistose, da calcari stratificati e da dolomie. Le marne stanno generalmente verso la base (ad esempio, M.te Rosamarina; marne con Estheria del Vallone Figurella, ecc.) e sono seguite verticalmente dai calcari con Posidonomya fasciata Gemm., P. gibbosa Gemm., P. cfr. affinis Gemm., ecc.. Questi ultimi, late¬ ralmente e superiormente, passano a dolomie, come ad esempio, al M.te Rosamarina, cosicché 1’ età degli uni e degli altri generalmente risulta unica. E pertanto il Trias superiore di Termini Imerese, va definito in parte come Carnico. Nella valle del F.me S. Leonardo, non è, quindi, rappresentato il Paleozoico, come vuole il Prof. T. Lipparini nella sua ultima nota, ma al suo posto vi compare appunto detto Carnico con le Po- sidonomyae , dei quale, in tutto il territorio di Termini Imerese, non si conosce 1’ appoggio. IV. - Conclusione. In questa rapidissima scorsa, ho tracciato uno schizzo somma¬ rio della stratigrafia di Cerda e di Termini Imerese, che mi riservo di illustrare con maggiori dati fra poco tempo. In riassunto, per il Cozzo Rasolocollo di Cerda, abbiamo : Oligocene trasgressivo, Eocene trasgressivo, Carnico e ciottoli di Silurico-Devonico e di Antracolitico inclusi nel Flysch carnico. Per Termini Imerese abbiamo : Oligocene trasgressivo, Eocene medio trasgressivo, Cretaceo tra¬ sgressivo, Titonico trasgressivo, Lias superiore trasgressivo e Carnico. Contrariamente a quanto dice il Prof. T. Lipparini, mancano : Langhiano, Aquitaniano, Eocene inferiore, Permiano, Carboni¬ fero. Si noti come non esista la serie continua dai Cretaceo supe¬ riore al Langhiano, ammessa dal Prof. T. Lipparini, ma come al contrario, si verifichino frequenti lacune stratigrafiche, con conse¬ guenti trasgressioni, dimostrabili mediante vari criteri. Aspetti geologici dei fenomeni verificatisi nel Salernitano in conseguenza del nubifragio del 25-26 ottobre 1954. Nota del socio Antonio Lazzari (Con 2 tavole f. t.) (Tornata del 26 novembre 1954) Premessa. — Nella notte dal 25 ai 26 ottobre 1954 si riversò, su di una ristrettissima zona del Salernitano, un nubifragio che ebbe come conseguenza danni materiali valutati a parecchi miliardi ed alcune centinaia di vittime umane. La pioggia, iniziatasi senza par¬ ticolare intensità nel pomeriggio del giorno 25, assunse carattere di evento naturale di eccezionale violenza al calare della notte, con¬ servandosi tale fino alle prime ore del giorno successivo. Questo fenomeno, già di per sè stesso esulante dalla norma delle violentissime precipitazioni per la enorme massa d’acqua ca¬ duta *), ebbe un carattere del tutto particolare sia per la durata, di alcune ore, sia per la sua ristrettissima localizzazione. Difatti, in luoghi assai vicini alle zone colpite, la quantità d’acqua caduta fu di gran lunga minore. Prendendo in esame i fenomeni verificatisi, rappresentati dai molti crolli di abitazioni (con le conseguenti numerosissime vit¬ time), oltre che dalle distruzioni apportate al patrimonio agricolo e forestale delle zone colpite, appare evidente che le ragioni princi¬ pali del disastro, risiedono essenzialmente in talune caratteristiche geologiche delle aree colpite ed in alcuni aspetti dell’insediamento umano che non sempre ha tenuto conto del pericolo che rappre¬ senta l’acqua, forse la più violenta fra le forze della natura, spe¬ cialmente in quei casi in cui essa venga ostacolata nel suo libero corso. *) Per quanto non mi risulti che siano state pubblicate cifre ufficiali relative ai dati pluviometrici, pure ritengo che si possa accettare quella di 500 m/m di pioggia caduta nel giro di alcune ore. — 132 — Ritengo quindi non privo di interesse per gli studiosi rendere note alcune osservazioni raccolte nella zona, dalle quali non solo scaturisce la fondatezza di quanto ho già accennato circa le cause determinanti il disastro, ma consegue anche la opportunità che gli organi preposti alla ricostruzione provvedano a che questa venga attuata tenendo presenti gli insegnamenti che la natura ha inteso dare in questa luttuosa occasione. I fenomeni verificatisi nelle zone colpite dal nubifragio, e che rivestono, direttamente od indirettamente, carattere geologico o geografico fisico, possono essere riuniti a seconda delle cause che li hanno determinati. Così, se da un canto è alle caratteristiche geo¬ logiche e pedologiche che si deve imputare il distacco di vastis¬ sime zolle di terreno vegetale; d’altra parte è il corso delle acque negli alvei a valle (spesso decisamente ostacolato dalle opere umane) che ha determinato le più gravi conseguenze per le vite umane, in relazione al crollo di numerose abitazioni ; ed infine, è alla enorme quantità del materiale convogliato dalle acque che si deve la for¬ mazione di veri e propri delta alia foce dei torrenti Bonèa e Re¬ gina Major. Cenni geologici. — Come è noto, il retroterra della zona co¬ stiera compresa fra Salerno ed Amalfi (che ai fini della presente nota deve intendersi delimitato dallo spartiacque) è costituito, es¬ senzialmente, dai terreni del Trias superiore, cui segue, in tra¬ sgressione, il Cretacico. Mancano difatti, come quasi sempre nell’I- talia meridionale, i sedimenti del Giurassico. Le formazioni dominanti sono, però, quelle dolomitiche del Trias superiore, seguite — per ampiezza di affioramenti — dai cal¬ cari dolomitici dell’infracretacico ; di assai minore estensione risul¬ tano i calcari del supracretacico, i quali, sono invece più largamente rappresentati nella porzione occidentale della Penisola Sorrentina. Una tale situazione stratigrafica, per la natura litologica di quelle formazioni e per la evoluzione morfologica superficiale da esse subita, viene ad assumere una importanza fondamentale per la genesi dei gravi eventi che hanno funestato il Salernitano. Difatti, quei complessi dolomitici, pur essendo assai intensa¬ mente, e talvolta anche minutamente, fratturati, non presentano — come ci sarebbe da attendersi — un elevato valore della permea¬ bilità in grande. Tale fatto, che ad un primo esame potrebbe sem- — 133 — brare in contrasto con Io stato di fratturazione delle formazioni dolomitiche, risulta invece chiaro e logico quando si pensi che le sollecitazioni cui è stato sottoposto il Trias superiore debbono es¬ sersi prevalentemente tradotte in una generale compressione che ha determinato, fors’anche per una deficienza del carico sovraincom- bente, non solo la già citata minuta fratturazione, ma quasi un principio di milonitizzazione nelle superfici di contatto dei vari fram¬ menti nei quali si sono venute a trovare suddivise le dolomie. Co¬ munque, certo è che quelle formazioni sono da ritenersi pratica- mente impermeabili, in quanto le fessurazioni della roccia rimangono capillari, tanto a breve distanza dalla superficie esterna, quanto in profondità; il che deve senza dubbio essere messo in relazione anche con la scarsa attaccabilità di tali rocce da parte delle acque superficiali. Queste, difatti, non possono esplicare che in misura as¬ sai ridotta la loro azione solvente ; il che porta alla quasi assoluta mancanza di forme carsiche sia in superficie che in profondità, che interessino i complessi dolomitici. Una tale osservazione ho potuto fare in tutta la zona dei Monti Picentini nel corso di una campagna geologica da me effettuata nell’estate scorsa; e spesso, anzi, è possibile constatare che le do¬ lomie supra-triassiche rappresentano quasi una barriera nei movi¬ mento centripeto delle acque percolanti attraverso i soprastanti se¬ dimenti del Cretacico. Difatti, questi presentano sempre una vi¬ stosa permeabilità in grande, non solo per effetto della fratturazione, ma anche per il notevole sviluppo dei fenomeni carsici d). Con la sopraindicata situazione stratigrafica sono in stretta re¬ lazione alcuni aspetti morfologici della zona; ed appare evidente che i fenomeni carsici sono intimamente legati alla natura litolo¬ gica delle rocce affioranti, sì da potere attendibilmente arguire, in base aH’esame delle forme superficiali, sul vario grado di dolomitiz¬ zazione delle serie mesozoiche. Difatti, nei calcari del cretacico su¬ periore, pressocchè puri, o comunque con tenore di Mg C03 estre- 1) La carsificazione risulta più intensa nelle formazioni del Cretacico su¬ periore, facilmente attaccabili dalle acque percolanti dalla superficie. Nei calcari dolomitici delPinfracretacico, meno solubili e quindi meno carsificati, il passaggio delle acque avviene, invece, attraverso le fratture determinate dai movimenti tet¬ tonici che hanno avuto un effetto di trazione, mentre le sottostanti dolomie trias¬ siche, come già accennato, venivano fortemente compresse. — 134 — inamente ridotto, la morfologia carsica si presenta con tutti i mol¬ teplici aspetti che ne caratterizzano le varie fasi, da quelle incipienti, alle altre che denotano un carsismo evoluto e spinto in profondità. Nelle rocce più o meno dolomitiche, invece, la parte esposta al¬ l’azione delle acque mostra gli effetti di un disfacimento superfi¬ ciale che determina forme generalmente rotondeggianti. Le condizioni pedologiche. — Il cenno geo-morfologico che precede era necessario per meglio intendere almeno alcuni degli aspetti dei fenomeni verificatisi nel Salernitano, ai quali ha certa¬ mente contribuito, in misura che direi quasi determinante, la scarsa permeabilità in grande offerta dalle formazioni rocciose maggior¬ mente diffuse. Difatti, quando in una data zona siano presenti rocce calcaree profondamente carsificate, e di conseguenza intensamente idrovore, queste esplicano la importante funzione di assorbire gran parte delle acque che vi cadono, e che vengono poi di solito re¬ stituite all’esterno attraverso le sorgenti. A questo proposito basterà ricordare che nel calcolo della quantità di acqua corrente in su¬ perfìcie in un dato bacino imbrifero, si assume un valore assai basso per il coefficiente di deflusso nel caso che si tratti di calcari, appunto in considerazione dell’alta permeabilità « in grande » di tali rocce, generalmente fratturate ed affette da carsismo. Quando invece sì tratti di rocce aventi caratteristiche di per¬ meabilità molto ridotta, come ritengo si debba assumere per le zone del Salernitano colpite dall’alluvione, la quasi totalità delie acque dovrà scorrere in superficie, anche se il terreno vegetale può trat¬ tenere, per imbibizione, una notevole quantità di acqua in rela¬ zione alla sua elevata porosità. A tal riguardo, e prima di fornire una descrizione sommaria dei fenomeni verificatisi, converrà accennare alle condizioni nelle quali si trovano queste zone dal punto di vista della coltre di ter¬ reno vegetale. Anzitutto è da rilevare che questo è essenzialmente costituito dai prodotti piroclastici del vulcanismo fiegro e vesuviano, perve¬ nuti, per effetto della violenza delle manifestazioni eruttive a ca¬ rattere esplosivo, a grande distanza dai centri vulcanici. Notevole è il contributo che, fra i vari prodotti piroclastici, le pomici appor¬ tano nella costituzione del terreno vegetale, accrescendone assai la porosità, con le conseguenze che vedremo appresso. Nelle parti basse dei rilievi, e nelle vallate, lo spessore di tali materiali raggiunge ora i 2-3 m. ed oltre, evidentemente a ragione del progressivo accumulo a seguito del dilavamento dei versanti; ma nelle zone piuttosto elevate tale coltre piroclastica è esigua e rappresenta una sorta di sottile cuticola, di qualche decimetro di spessore. Tale situazione può non rivestire alcuna importanza quando il substrato sia costituito da calcari bene carsificati, nelle cui fes¬ surazioni e cavità varie i materiali piroclastici siano progressiva¬ mente penetrati, direttamente all’epoca della loro caduta, o per es¬ servi stati convogliati dalie acque. In questi casi, difatti, il man¬ tello vegetale viene a stabilire intimi rapporti con il substrato calcareo, nelle cui fessure e cavità, le piante d’alto fusto affonde¬ ranno le loro radici, anche per qualche metro. L’attento esame delle condizioni nelle quali si trovano le zone colpite dal nubifragio mostra, invece, la mancanza di qualsiasi ef¬ ficace legame fra il substrato roccioso ed il terreno vegetale, nel quale la massa delle radici risulta distribuita solo arealmente senza che esse si spingano in profondità ,* non vi è, quindi, nessun vin¬ colo fra terreno e substrato. Nelle figure 1-2 della Tav. I, che il¬ lustrano uno degli aspetti di quanto è avvenuto nel Salernitano, si può bene osservare la esiguità dello spessore del mantello di ter¬ reno vegetale che ricopre le pendici dei rilievi. Vi è, inoltre, da considerare un altro elemento che sta ad in¬ dicare le precarie condizioni di stabilità nelle quali si trova, per¬ manentemente, quella coltre di terreno, il cui spessore vediamo variare a seconda della pendenza, e che sta a dimostrare che la stabilità delle masse terrose risulta in stretta relazione con l’angolo di riposo di quel materiale, con l’aiuto, s’intende, dell’azione eser¬ citata dalla vegetazione; alla quale, peraltro, spetta quasi esclusi¬ vamente il compito di evitare il ruscellamento. E ovvio pertanto che in condizioni siffatte, una eccezionale precipitazione come quella verificatasi nel Salernitano abbia deter¬ minato ampi scoscendimenti di terreno che è precipitato raggiun¬ gendo quasi sempre le valli sottostanti, sotto forma di colata ter¬ rosa assai ricca di acqua. Ciò deve essere messo in relazione con la grande porosità del terreno vegetale, nel quale, come già accen¬ nato, risulta abbondantissimo 1’ elemento grossolano, soprattutto pomiceo. Questo ultimo, oltre ad essere largamente diffuso nella massa del terreno, vi compare in strati ben distinti e dello spe s- — Ì36 — sose fino a 10-15 cin ed oltre (1). Tale fatto, offre favorevoli con¬ dizioni per Tassorbiinento e l’immagazzinamento deH’acqua, quando si tratti di normali precipitazioni; ma in condizioni particolari (quali devono ritenersi quelle delia notte dal 25 al 26 ottobre 1954) viene a rappresentare la causa che determinò un appesantimento del terreno così notevole da non essere più compatibile con la pendenza dei versanti. Percorrendo le varie zone interessate da quei violenti fenomeni meteorologici, è possibile osservare sempre una scarsissima, od ad¬ dirittura nulla, azione di ruscellamento, apparentemente in contrasto con la eccezionale violenza e quantità della pioggia caduta in quel¬ la occasione. Tale condizione, mi pare, invece facilmente spie¬ gabile quando si pensi appunto alla porosità del terreno; la quale, mentre ha consentito l’assorbimento di enormi quantità di acqua, evitando l’azione di ruscellamento superficiale, ha avuto, d’altro canto, come conseguenza naturale, per le ragioni anzidette, il pre¬ cipitare a valle della coltre di terreno vegetale, quasi a guisa di valanga, in quanto le acque che avevano saturato le masse terrose non potevano trovare una qualsiasi via di smaltimento attraverso la roccia sottostante, a comportamento praticamente impermeabile. Si potrebbe quasi dire che l’acqua assorbita, giunta a contatto delle sottostanti formazioni dolomitiche, abbia rappresentato una sorta di lubrificante che ha favorito il distacco ed il precipitare a valle delle masse terrose. Tale fenomeno si è verificato un pò dappertutto, in varia misura; ma ha assunto un aspetto addirittura imponente, tanto nella Valle del Torrente Bonèa (zona di Cava dei Tirreni), quanto nella valle del Regina Major (zona di Tramonti-Majori). Quivi, difatti, vastissime aree risultano ora completamente spoglie della copertura di terreno vegetale, quasi siate sottoposte ad un raschiamento che ha messo a nudo la sottostante dolomia, rivelandone i minuti caratteri morfologici, l’assenza di ogni indizio di carsificazione, e la mancanza di ogni rapporto fra terreno vegetale e substrato. *) Non bisogna dimenticare che nell’ultimo parossismo vesuviano, cioè nella settimana compresa fra il 19 e il 25 marzo 1944, a causa dei venti che spiravano prevalentemente da N W verso SE, sulla massima parte del territorio della pro¬ vincia di Salerno cadde un abbondante strato di lapillo, che superò in media i 20 cm di spessore, ostacolando i traffici e danneggiando le culture agrarie. -- 137 — Al limite fra le zone denudate e quelle nellè quali il mantello vegetale risulta perfettamente conservato, il passaggio è nettissimo, quasi si trattasse di voluta asportazione ad opera dell’uomo,' e le aree che ancora conservan ) il loro rivestimento vegetale non mostrano alcun segno di ruscellamento, o qualcosa che stia ad indicare che la scomparsa del terreno sia da attribuire ad un dila¬ vamento progressivo. Si può anzi affermare che visitando le zone nelle quali non è avvenuto alcun distacco, non si osserva pratica- mente alcun segno che stia a testimoniare la eccezionalità della precipitazione acquea avutasi nell’occasione suddetta. Il distacco del terreno è avvenuto quasi sempre in corrispon¬ denza di solchi, o di avvallamenti, sia pur leggeri, della sottostante formazione dolomitica; là dove la superficie di questa costituiva quasi delle docce, nelle quali, evidentemente, maggiore era il richia¬ mo delle acque. Se il meccanismo della scomparsa della coltre terrosa, su vaste aree, è quello da me precedentemente descritto, è ovvio che il suo precipitare a valle abbia avuto notevole conseguenza sul regime delle acque che scorrevano negli alvei, ove si saranno, presumibil¬ mente, costituiti degli sbarramenti, certo di breve durata, che han¬ no determinato l’aumento del livello a monte. In tal senso mi pare difatti debba essere interpretato quanto si è verificato presso Molina, circa 150 m. a valle della distrutta chiesetta, ove le acque, in corrispondenza di una vasta sezione del torrente, hanno raggiunto l’altezza di 5 m. sul livello normale; mentre al termine del percorso, alla Marina di Yietri, pur su una sezione assai più ristretta, ed ove ben maggiore doveva pure essere la copia della acque, il livello massimo si è mantenuto notevolmente più basso, nonostante che la pendenza fosse lieve, e che il deflusso dovesse risultare ostaco¬ lato dalla grande quantità di materiale trasportato. Anche nella Valle di Tramonti si è verificato un tale fonome- no, con le stesse modalità e con gli stessi effetti. Indubbiamente, le precipitazioni hanno assunto una eccezionale intensità se nel giro di poche ore si sono riversati 500 mm. di pioggia, vale a dire quasi la metà di quanta ne cade annualmente, in media, su quelle zone. Ma è da osservare che la più gran parte dei danni subiti dalle cose e dalle persone, trova forse la sua naturale e più logica spie¬ gazione, non solo nella straordinariamente grande quantità di acqua riversatasi (la quale è senza dubbio la causa prima dei disastri — 138 — lamentati), ma più ancora nella incauta tendenza degli uomini a non tenere alcun conto delle esigenze della natura, spingendosi con le loro opere anche là dove lo spazio dovrebbe essere lasciato a disposizione per il libero corso delle acque che, fra gli elementi naturali, maggiormente fanno sentire la potenza della loro azione distruttiva. Esula dal carattere della presente nota fare un elenco delle distruzioni lamentate; ma varrà la pena di segnalare almeno alcuni dei casi nei quali più chiaramente è dato riconoscere che se le opere umane non avessero ostacolato il corso delle acque, il numero delle vittime ed i danni materiali sarebbero stati di gran lunga minori. Se, ad esempio osserviamo le condizioni nelle quali si trovava la crollata chiesetta del villaggio Molina, presso Cava dei Tirreni, constatiamo che essa, poggiata su fondamenta poco solide, aveva il pavimento a meno di un metro sul livello normale del piccolo corso torrentizio che scende dal Monte S. Liberatore e dal villag¬ gio Marini ; ed il suo angolo sinistro posteriore, dal lato dello Evangelio, si protendeva contro il suddetto torrentello, costringen¬ dolo a deviare verso sinistra con una curva di pochi metri di rag¬ gio. E ovvio pertanto che le abbondanti acque che affluivano nel corso principale, già rese turbinose anche per avere superato una altra stretta curva, abbiano investito violontemente l’angolo di tale edificio, costruito con ciottolame mal connesso, scalzandone le fondamenta e determinando il crollo di un lato. Anche il campanile si trovava nella condizione da essere diret¬ tamente investiso alla base, posta quasi sul greto, dalle acque convogliate dal Vallone Bonèa che scende dai monti circostanti il Corpo di Cava, e che ne hanno scalzato sensibilmente un angolo. E evidente, quindi, che la ubicazione di questi edifici era tale da ostacolare il libero corso delle acque; e probabilmente molte altre volte essi saranno stati investiti dalla corrente, senza effetti distruttivi per la minore violenza di questa. Procedendo verso la Marina di Vietri, con l’aumento della por¬ tata, ed in dipendenza della crescente quantità di materiale solido convogliato, l’efficacia distruttiva della massa in movimento, consi¬ derata nel suo insieme, si é andata accrescendo, esercitando la sua azione più violenta - e conseguentemente più disastrosa - là dove ne derivava un aumento della velocità per il restringersi della se¬ zione, o per una variazione nella direzione della corrente. 139 — Così, difatti, il disastroso crollo di alcune abitazioni alla Ma¬ rina di Vietri, proprio a lato del fiumiciattolo, ed in curva, è da attribuirsi esclusivamente all’azione di scalzamento esercitata lungo la riva destra, concava, in corrispondenza della quale, per la varia¬ zione della direzione, le acque, oltre a sollevarsi per forza centri¬ fuga, hanno potuto esercitare più efficacemente la loro azione anche a ragione della accresciuta velocità. À riprova di un tale fenomeno vale la constatazione che dalla parte opposta, dal lato convesso della curva, i danni sono stati di gran lunga minori e si è dovuto lamentare solo il crollo di una piccola costruzione. Fra i fenomeni verificatisi alla Marina di Vietri sul Mare, vi è poi da mettere in particolare evidenza la formazione di una sorta di delta, la cui estensione può in certo qual modo rendere conto della enorme quantità di materiale terrigeno convogliato dalle acque del Torrente Bonèa. Prima del 25 ottobre la spiaggia risultava costituita da due tratti rettilinei, ad andamento est - ovest, e leggermente spostati fra di loro, fra i quali si apriva la foce dei piccolo corso d’acqua scen¬ dente dai monti di Cava dei Tirreni. Il materiale terrigeno depositatosi alla foce, quando la velocità e la quantità dell’acqua ha cominciato a decrescere, costituisce ora un vasto triangolo che si protende nel mare fino a circa 130 m. dalla vecchia linea di riva, in corrispondenza della quale si notano, due depressioni non grandi, nelle quali compare l’ acqua del mare. Tale deposito é alto ora poco più di un metro sul livello ma¬ rino; purtuttavia la notevole quantità di materiale abbandonato dalle acque lungo il corso del torrentello e specialmente alla sua foce, ha sensibilmente mutato le condizioni del profilo longitudinale, lungo il quale già si nota la reincisione dei sedimenti. Ciò è ben visibile un pò dappertutto, e specialmente in corrispondenza del deposito deltizio. Anche nella valle del Bonèa, al di sotto della Badia di Cava dei Tirreni, è già in atto un tale fenomeno di erosione. Ma di gran lunga più vistosi sotto tutti gli aspetti, appaiono i fenomeni avvenuti nell’ ambito del corso medio ed inferiore del Re¬ gina Major che si versa nel Golfo di Salerno in corrispondenza di Maiori, che è attraversato da quel torrente. E da rilevare anzi che questo, nel suo ultimo tratto di alcune centinaia di metri, scorreva in un canale coperto, al di sopra del quale si trovava la piazza ed una lunga via principale del paese. — 140 Per bene comprendere l’entità dei fenomeni è anzitutto da te¬ nere presente la vastità del bacino imbrifero del Regina Major in confronto con quello tributario del T. Bonèa (Cava dei Tirreni - Vie- tri). Lo spartiacque del Regina Major è notevolmente spostato verso nord, fino a raggiungere, presso il Passo di Chiunzi, il limite set¬ tentrionale di quei rilievi calcarei. Nell’ esaminare cause ed effetti per la valle di Maiori, converrà anzitutto tenere presente che la porzione alta del bacino imbrifero è caratterizzata da forme assai aspre e dalla conseguente quasi completa assenza di vegetazione. Le condizioni naturali (pendenza del sub¬ strato roccioso) e l’opera dell’ uomo (disboscamento quasi completo) fanno sì che da tali zone, e specialmente dalla giogaia del Monte Pertuso, le acque precipitino a valle senza essere quasi per nulla assorbite nè dalle rocce sottostanti (per le ragioni già esposte) nè dal terreno vegetale che vi è praticamente assente. Nei due terzi inferiori del corso del Regina Major, invece la situazione si presenta sostanzialmente diversa, in quanto le pendici di quei rilievi risultano ricoperte dal solito mantello di terreno ve¬ getale (essenzialmente costituito, come già accennato, da materiale piroclastico) poggiante in massima parte sulle dolomie del trias su¬ periore e, come per la zona di Cava - Vietò, senza alcun efficace vincolo con queste. La identità della situazione ha avuto come conseguenza, il ve¬ rificarsi degli stessi fenomeni di distacco di vastissime zolle di ter¬ reno vegetale, ma con una frequenza ed una vistosità assai maggiori. Ciò è comprovato, in modo assai significativo, dalla eccezionale quantità di materiale detritico grossolano, di natura dolomitica che le acque hanno convogliato a valle, (specialmente fra Polvica ed il mare) ove ha costituito vasti e potenti depositi che in alcuni punti hanno rialzato il letto per oltre 4-5 m. determinando così un sensibile mutamento nel profilo longitudinale. Per rendersi conto della gran massa di materiale convogliato dalle acque, e deposito poi lungo il cammino, specialmente nella fase di decrescita della portata, occorre tener presente che spesso i distacci di zolle di terreno vegetale, sono avvenuti in corrispon¬ denza di solchi di erosione delle sottostanti formazioni dolomitiche nei quali, prima ancora della deposizione del materiale piroclastico, si era andato accumulando il detrite di falda, che è stato basimenti convogliato a valle. Anche i vasti depositi fluviali antichi, profondamente incisi ed — 141 — in genere scarsamente cementati, esistenti sopratatto nella porzione mediana della valle, hanno largamente contribuito con le loro nu¬ merose frane, a che più cospicua fosse la quantità del materiale detritico convogliato fino al mare od abbondantemente deposto nella porzione inferiore, a piccola pendenza, del Regina Major. In tale tratto dei piccolo eorso d’acqua la sedimentazione è stata par¬ ticolarmente ricca, con le già note conseguenze su gran numero di abitazioni di Maiori, le quali, ai lati del corso torrentizio, sono risultate assai spesso ricolme di materiale per quasi tutta l’altezza del piano terreno. Tale apporto solido ha avuto poi, come logica conseguenza, la quasi totale occlusione dell’ultimo tratto di quei corso d’acqua che attraversava Maiori come in galleria, essendo ricoperto da una volta continua. Per la pressione dell’acqua tale volta è stata demolita in molti tratti, determinando, con la sua rovina, anche il crollo di numerose abitazioni. Anche in questo caso i danni subiti dalle opere umane sono da ritenersi strettamente dipendenti dall’ostacolo che queste rappre¬ sentavano al libero corso delle acque. Vale la pena di ricordare, infine, che anche alla foce del Re¬ gina Major si è deposta una enorme quantità di materiale, quasi a costituire una sorte di delta ; questo è però, di più ridotte dimen¬ sioni rispetto a quello formatosi alla Marina di Vietri, forse in re¬ lazione alla maggiore copia e violenza delle acque, od anche ad un più acclive andamento del preesistente fondo marino. ' i Conclusioni. — Volendo ora riassumere brevemente le cause che hanno determinato le gravi conseguenze lamentate nel Salerni¬ tano in occasione del nubifragio del 25-26 ottobre 1954, si può dire che esse risiedono essenzialmente nella costituzione geologica della zona, ove la maggior parte delle acque cadute non hanno avuto la possibilità di penetrare nel sottosuolo, privo di fessurazioni idro¬ vore, e non carsificato, e sono scorse in superficie, ed hanno, pre¬ valentemente, inbevuto il terreno vegetale, straordinariamente po¬ roso per la presenza delle pomici, appesantendolo enormemente e determinandone il distacco delle pendici montuose. La deleteria opera di disboscamento condotta nelle porzioni più elevate di quelle zone, ha senza dubbio contribuito notevol¬ mente affinchè le acque precipitassero impetuosamente verso le valli; ma non mi pare che questa possa essere ritenuta la ragione essen¬ ziale dei danni subiti dalle persone e dalle cose, — 142 — La furia degli elementi avrebbe avuto un assai meno impor¬ tante riflesso antropico, se l’uomo avesse tenuto conto che non si possono impunemente modificare le condizioni naturali dei luoghi, e che bisogna sempre tenere presenti quelle situazioni nelle quali più violente si manifestano le forze della natura. Difatti, quasi do¬ vunque è possibile notare che i danni più cospicui alle abitazioni — e le vittime che più numerose ne sono conseguite — risultano localizzati in quelle zone nelle quali le costruzioni erano in tali posizioni da sbarrare quasi gli alvei dei torrenti, e con il piano di posa al livello stesso delle acque. In altri casi, specialmente nella valle Regina Major, molte delle abitazione distrutte, o gravemente danneggiate, si trovavano addos¬ sate ai depositi grossolani quaternari, debolmente cementati, che le sovrastavano. Se si volesse ora trarre un insegnamento da quanto è avvenuto, risulta evidente quale sia la via da seguire nell’opera di ricostru¬ zione ; quale il dovere che si impone alle autorità che debbono severamente vigilare perchè non si ripetano gli errori del passato permettendo la costruzione di edifici, grandi e piccoli, proprio nel mezzo di quei corsi d’acqua che per il loro carattere spiccatamente terrentizio possono talvolta convogliare, nel giro di poche ore, masse d’acqua imponenti. Nota I. — Successivamente alla presentazione di questa nota mi è stato pos¬ sibile avere i seguenti dati relativi alla pioggia caduta nel Salernitano per il pe¬ riodo 25-26 ottobre : Cava dei Tirreni (pluviometro installato al Palazzo Coppola, Corso Italia). quantità d’acqua caduta mm. 540 Scafati (pluviometro della Staz. Sperimentale per i tabacchi) : quantità d’acqua caduta mm. 81,3 (25 ottobre) » » » mm. 82,1 (26 ottobre) Salerno (pluviometro dell’ Istituto di Metereologia, Idrografia e Geo¬ logia Agraria) ; quantità d’acqua caduta mm. 500 (tra le ore 15,30 del 25 ottobre e le 5 del 26 ottobre). Nota II. — Dopo la presentazione di questo lavoro, che nel corso della seduta del 26 novembre della Soc. dei Naturalisti in Napoli, venne illustrato con la proie¬ zione di oltre 100 d’apositive, lia visto la luce una nota di F. Penta, R. Lupino, F. Capozza ed F. Esu ( Effetti dell’ alluvione del 26 ottobre 1954 nel Salernitano ) nella quale però vengono soprattutto descritte le zone colpite, senza entrare effet¬ tivamente in merito alle cause determinanti il disastro, (v. Geotecnica , I, n. 6, novembre-dicembre 1954). Napoli, Istituto di Geologia ? Geografia fisica e Paleontologia dell’ Università. Boll. Soc. Natili Napoli - Voi. LXIII (1954) Tav. I Lazzari A. — Aspetti geologici dei fenomeni ecc. Fig. 1 - Versante orientale della collina di Dragonèa. Si noti il limite netto della zona in cui è avvenuto il distacco della coltre di terreno vegetale. Fig. 3 - Il deposito alla foce del T. Bonèa, presso la Marina di Vietri. Boll. Soc. Natiir. Napoli - Voi. LXIIT. Tav. IL Lazzari A. — Aspetti geologici dei fenomeni ecc. Fig. 4 - Le pendici occidentali del M. Per- tuso, con i segni del distacco della coltre di terreno vegetale. Fig. 5 - Particolare della fig. 4, fotografato con teleobiettivo. Fig. 6-1 depositi di un affluente di sini¬ stra del Regina Major. Si noti la strada rico¬ perta dal materiale de¬ posto, sotto il quale è scomparso anche il ponte (presso Pucara). STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE SUPPLEMENTO AL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ NATURALISTI IN NAPOLI N. 20 Giugno 1954 OTTONE SERVAZZI Su di un interessante micromicete cavernicolo (Parenzania Sybillae n. gen, n. sp.) (Con 1 tav. f. testo) Nonostante i passi che la speleobiologia ha fatto negli ultimi decenni, tanti da poter essere considerata ormai come un ramo autonomo delle scienze biologiche, ben poco si sa sulle forme ve¬ getali inferiori e particolarmente sui funghi viventi nelle caverne ; anzi da quel poco si potrebbe essere indotti a pensare che le ca¬ vità sotterranee diano asilo ad una micoflora costituita da un nu¬ mero modesto di specie in prevalenza troglofile e da pochissime forme veramente troglobie. Ciò può sembrare strano a prima vista, giacché le cavità sotterranee, e per la temperatura relativamente non troppo bassa e costante, e per l’elevata umidità, e per la man¬ canza di luce rappresentano indubbiamente ambienti favorevoli alla vita dei funghi. Ma se le condizioni ecologiche sono favorevoli, non altrettanto può dirsi delie condizioni trofiche: in quanto la limitata vita animale e vegetale che vi si svolge non consente cer¬ tamente il formarsi di grandi quantità di residui organici ai quali i funghi, organismi eterotrofi per eccellenza, sono tributari della loro esistenza. Si aggiunga poi che questi ultimi, e specialmente i mi- cromiceti sfuggono all’attenzione degli esploratori più facilmente che non gli animali i quali (o almeno la maggior parte di essi) già per il fatto di muoversi costituiscono un richiamo, e che possono es¬ sere catturati mediante esche, trappole ed altre astuzie; mentre la raccolta di un fungo microscopico è, di solito, questione di mera fortuna. Bisogna quindi salutare come un evento insolito la scoperta di un micromicete cavernicolo, ed è perciò che ci siamo rallegrati col — 2 — nostro amico prof. Parenzan, quando, sulla fine del 1951 e poi più tardi, ci mandò campioni d’acqua e di limo, raccolti in due grotte della Campania (e precisamente la «Grotta della Sibilla» e la «Grotta alle Fontanelle») nei quali egli stesso aveva trovato un micromicete che giustamente considerava interessante; e fummo lieti di poter aderire al suo invito di occuparcene. Il limo era costituito di sabbia commista a frammenti di eso- scheletri di Artropodi ed a pochi residui vegetali. Questi ultimi, in stadio molto avanzato di disorganizzazione, erano inmaggioranza ridotti alle sole impalcature cellulosiche e legnose dei tessuti. Il campione proveniente dalla Grotta della Sibilla fu raccolto l’8 luglio 1951 in un bacino d’acqua che, secondo il prof. Parenzan (in litt. 16-1-1952) «presenta probabilmente una lievissima sali¬ nità, forse corrispondente a quella dell’acqua del vicino Lago d’A- verno; il bacino «giace in terreno tufaceo, nella sala più interna della grotta, al buio perpetuo. La temp. dell’ acqua era probabil¬ mente sui 15°C.» Quelli della Grotta alle Fontanelle furono rac¬ colti il 2 e il 9 settembre, il 15 ottobre, il 25 novembre, il 12 e il 23 dicembre del 1951. Il prof. Parenzan precisava (in litt., 12 marzo 1954) che la grotta « è costituita di un piccolo sistema di gallerie strette, scavate in conglomerato calcareo, il cui sviluppo complessivo non supera i 92 m, e il cui ramo principale è in gran parte invaso da acque perenni. E situata a poche centinaia di metri dalla stazione di Seiano (comune di Seiano, penisola Sorrentina, pro¬ vincia di Napoli) e si apre mediante una finestra naturale sopra- elevata sulla sponda destra del «Rivo», minuscolo affluente del tor¬ rente Seiano. L’acqua vi sgocciola dall’alto e filtra qua e là dalle pareti, si raccoglie in bacini dove ancora arriva la luce sebbene de¬ bolmente. Ma la raccolta del materiale è stata fatta nella parte più interna. La temp. dell’acqua è di 15° C, dell’aria di 18°C. » Al campione proveniente dalla Grotta della Sibilla ed ad alcuni di quelli raccolti nella Grotta alle Fontanelle era stata aggiunta della formalina per la conservazione. In mezzo alle particelle minerali ed organiche del limo si tro¬ vavano, più rare in quello della Grotta della Sibilla , più numerosi, ma non mai abbondanti in quello della Grotta alle Fontanelle , cu¬ riose formazioni riconoscibili a prima vista come appartenenti a fun¬ ghi. Si trattava di corpi allungati, generalmente fusiformi, pluricel¬ lulari e di colore bruno, a volte riuniti, a mezzo di ife intercalari, in brevi catene formate da 2-4 elementi. — 3 — La lunghezza dei predetti corpi variava da circa 300pi (min. ri¬ scontrato 295, 5 pi) a circa 600 pi (max. riscontrato 630 pi), nella mag¬ gioranza è di 400-500 pi; la larghezza varia da 30,5 a 44 pi con una media abbastanza costante sui 35-40 pi. In genere la larghezza è pro¬ porzionale alla lunghezza nel senso che i «corpi» più lunghi sono anche più larghi; però non sono rare le eccezioni (abbiamo misu¬ rato di quelli lunghi solo 297 pi e larghi 38,5 px altri lunghi 207,5 pi e larghi solo 35 pi). La lunghezza dipende più o meno dal numero delle cellule che li compongono : così p. es. se ne contarono solo 7 nel più piccolo «corpo» riscontrato (lungh. 295,5 pi) e 23 (massimo numero di cellule) in uno lungo 560 pi; d’altrocanto però il «corpo» più lungo (630 pi) era formato di solo 18 cellule, mentre uno che raggiungeva solo 420 pi ne aveva 16. Ciò perchè le singole cellule variano abbastanza di lunghezza (da 17,5 a 44 pi) non solo da un «corpo » all’altro, ma anche in un medesimo «corpo». Così p. es. in uno piccolo (295,5 pi) si avevano 7 cellule di lunghezza circa uguale sui 42 pi, un altro lungo 335,5 era formato da 12 cellule tutte lunghe all’ incirca 27,5 pi, un terzo lungo 542,5 pi da 21 cellule tutte sui 25,8 pi; mentre un quarto lungo 437,5 pi era costituito da 14 cellule lunghe ciascuna, nell’ ordine, come segue: 25-37,5-35-17,5-28,5-31,5- 25-35-35-35-35-35-37,5-25 pi ; talvolta singole cellule possono arri¬ vare fino a 44 pi di lunghezza. Dato poi che i «corpi» hanno la forma di un fuso è logico che le cellule mediane siano in genere più larghe e che verso le estremità della formazione le cellule si vadano gra¬ datamente restringendo; tuttavia non sempre la forma è così rego¬ lare: talora una o anche più cellule sono più strette di quelle con¬ tigue ed allora Finterà formazione assume un aspetto irregolare qua¬ siché fosse formata dal concrescimenio di uno o più « corpi » in uno solo (Tav. I, 6). Le singole cellule hanno pareti esterne sot¬ tili e fragilissime e leggermente incurvate talché in corrispendenza delle pareti divisorie (setti) i «corpi» presentano delle costrizioni più o meno accentuate. In qualche caso i restringimenti si veri¬ ficano solo all’inizio e alla fine di gruppi di due o più cellule contigue (Tav. I, 6 e 7). Le formazioni sono di colore bruno, molto variabile d’intensità, non solo da una formazione all’altra, ma anche da una cellula all’altra di uno stesso «corpo». Si riscontrano per¬ tanto, accanto a formazioni di colore uniformemente bruno-noc¬ ciola chiarissimo e perciò perfettamente translucide, altre di colore bruno scuro a volte talmente intenso che le singole cellule, rico¬ noscibili ai restringimenti, diventano visibili solo a luce molto in- 4 — tensa (Tav. I, 4); inoltre sono frequenti i «corpi» che in mezzo a cellule più o meno chiare hanno altre cellule o gruppi di cellule di tinta molto più scura (Tav. I, 8), tanto che in alcuni casi in una medesima formazione si posson osservare cellule o settori pre¬ sentanti tutt’una gamma di tinte brunastre d’intensità diversa. Le pareti esterne delle cellule sono apparentemente lisce, ma ad un esame attento si osservano delle sottili striature longitudinali pa¬ rallele che sono costituite da minutissime sporgenze laminari di¬ sposte in file formanti delle esili crestine che conferiscono alle cellule stesse un aspetto finemente rugoso. Come si è detto queste formazioni sono spesso collegate fra di loro da ife intecalari sottili, cilindriche e regolarmente settate, di lunghezza variabile (da 135 a 400 [x e più), ma piuttosto costanti nella larghezza che è in media di 8,75 |x. Le ife intecalari sono sempre di colore nettamente più chiaro dei « corpi » (Tav. I, 3 e 8). L’interpretazione di quest’ultimi non è semplice, Dato il loro aspetto caratteristico, la facilità con cui si staccano dalle ife inter¬ calari molto fragili, tanto che il più delle volte si ritrovano iso¬ lati nel limo, ci fa ritenere che si tratti di propagoli forse analoghi ai conidi (ed in questo caso si tratterebbe, data la loro origine di un caso particolare di artroconidi) o ai clamidoconidi (da cui però si differenziano per le pareti molto sottili) degli Ifali. Noi comunque li chiameremo, per ora e con le riserve del caso, col nome di « conidi ». Con un ragionamento teleologico si potrebbe pensare che in un fungo acquatico come il nostro, la condizione migliore per lo sviluppo e la funzionalità dei propagoli sia quello che essi formino come artroconidi. Infatti i conidi p. d. degli Ifali terrestri hanno origine da conidiofori sviluppantisi all’esterno del substrato, con¬ dizione questa essenziale per la loro diffusione che, com’è noto, è principalmente anemofìla o idrofila (nelle specie la cui diffusione è affidata alla pioggia). Ma già in molti Ifali viventi nel terreno o alberganti quali saprofìti nell’interno di tessuti vegetali, spesso l’u¬ nica forma di propagazione è data dagli artroconidi che, poi, ven¬ gono diffusi dall’acqua. In un fungo strettamente acquatico dei propagoli del tipo descritto possono rappresentare il mezzo più idoneo di diffusione. Noi pensiamo cioè che il fungo, vegetando nell’interno dei residui vegetali allo stato di micelio, formi i co¬ nidi solo quando, in seguito al graduale esaurimento del substrato nutritivo, le condizioni trofiche da favorevoli siano diventate sfa- — S — Vorevoli. I conidi rimangono in situ , con funzioni quasi di clami- doconidi, anche per lungo tempo fino a che, col totale disfacimento del substrato si disarticolano dalle ife generatrici e vengono messi in libertà. Trasportati quindi (o quasi rotolati) dalle microcorrenti che certamente si formano anche nelle quiete acque dei bacini sotterranei, o strappati dal fondo di quest’ultimi e trascinati dall’acqua resa impetuosa da eventuali modificazioni dei corsi sotterranei (in seguito a piogge, straripamenti e simili), essi vengono diffusi e por¬ tati su altri residui vegetali ove germinano formando un nuovo tallo. Ciò naturalmente a prescindere da eventuali altri modi di propagazione — come potrebbe essere p. es. quella a mezzo di or¬ gani di riproduzione sessuale — che però nel nostro caso non ab¬ biamo trovato. Per quanto riguarda il tallo del fungo in questione, abbiamo da fare con un micelio tipico di un Ifale-Demaziaceo, che abbiamo riscontrato, non molto abbondante in verità, nell’interno dei fram¬ menti vegetali in via di disfacimento. Il micelio è costituito da ife cilindriche, settate, ora a cellule molto allungate (con setti distan¬ ziati) aventi un diam. medio intorno agli 8-9 p, discretamente ra¬ mificato e di colore uniformemente bruno pallido (molto simile quindi alle ife intercalari ai conidi), ora a cellule brevi e tozze (diam. medio 13-17 jx, fino a 26,5-35 pi) e di colore bruno più scuro fino a quasi nerastro. Mentre le ife sottili sono flessuose ed hanno un andamento irregolare, le ife grosse formano di solito fi¬ lamenti diritti, rigidi e decorrono spesso parallele per lunghi tratti senza ramificarsi (abbiamo notato frammenti lunghi sino a 1,2 mm). Le ife grosse si distinguono da quelle sottili anche per il fatto che esse presentano spesso assai evidenti restringimenti in corrispon¬ denza dei setti: perciò, quando sono molto lunghe assumono un aspetto toruloide (fig. la) e se si tratta di frammenti staccati pos¬ sono essere confusi con frammenti di conidi, dai quali tuttavia si differenziano per essere uniformemente cilindriche. Un fatto che abbiamo accertato con notevole frequenza e che riteniamo costante, è che se una ifa viene a trovarsi addossata alle pareti cellulari (p. es. di un vaso) non si notano restringimenti ai setti; questi si formano solo dal lato libero dell’ifa (fig. Ib). Altro fatto, più notevole è che i conidi non si formano mai dalla ife grosse, mar solo ed esclusivamente lungo il decorso (o molto ra¬ ramente all’apice) delle ife sottili. Queste a loro volta hanno ori- gine dalle prime senza transazione, nel senso che esse non si for¬ mano in seguito all’assottigliamento graduale delle ife grosse, ma si dipartono da queste ultime come rami laterali sin dall’inizio più sottili (fìg. le). Questi rami potrebbero essere considerati come aventi una funzione analoga a quella di conidiofori p. d. Fig. 1. - (Spiegazione nel testo). Abbiamo tentato di isolare il fungo in coltura pura su piastra e su diversi substrati (liquido di Czapek, di Richard, agar-carota, agar-fagioli, agar-malt, agar-estratto di lievito). In primo luogo si era proceduto ad isolare ed a trasferire sulle piastre singoli conidi, operazione semplice data la grandezza dei medesimi che li rende visibili ad occhio nudo ; lo stesso è stato fatto con frammenti ve¬ getali contenenti micelio. Il fatto più strano è che, per quanto i campioni fossero stati prelevati e messi nei tubetti (non steriliz¬ zati) senza preoccuparsi delle più elementari norme di assepsi, si verificarono nelle piastre ben pochi inquinamenti (del resto dovuti in gran parte a volgari muffe probabilmente insediatesi durante le operazioni di isolamento). Ciò nonostante non riuscimmo ad otte¬ nere nè la germinazione dei conidi, nè lo sviluppo di micelio dai frammenti vegetali che contenevano. E probabile che il fallimento dei nostri tentativi sia dipeso dalla mancanza di qualche sostanza stimolante di cui il fungo ha bisogno per germinare e per svi¬ lupparsi. Per quanto riguarda la posizione sistematica del fungo stesso è ovvio che debba essere classificato tra gli Ifali-Demaziacei , ma quanto alla sua posizione in questo raggruppamento è un’altra que¬ stione, che non potrà essere definitivamente risolta se non quando, disponendo di altro materiale allo scopo di ottenere delle colture — 7 pure, sarà possibile conoscerne la biologia completa. Tuttavia rite¬ niamo che già in base a quanto finora sappiamo sulla sua morfo¬ logia si possa considerarlo come specie appartenente ad un genere nuovo degli Ifali-Demaziacei ; in quanto, almeno per quanto ci consta, esso non presenta affinità stretta con nessuno dei generi attualmente conosciuti di questo raggruppamento dei Deuteromiceti. Per il suo particolare habitat è da considerarsi come specie pro¬ babilmente troglobia. Proponiamo di assegnare al nuovo genere il nome di Paren- zania in onore del Prof. Pietro Parenzan, valoroso speleologo e biologo, scopritore della specie ora descritta e nostro amico d’an¬ tica data. Formuliamo quindi le seguenti frasi diagnostiche, con ri¬ serva di ulteriori emendamenti: PARENZANIA novum genus ( Hyphales — Dematiaceae) (Eximio biologo, strenuo speleorum exploratori, Petro Parenzan dicatum). Fungi acquatici. Hyphae septatae, ramosae, brunneae, conidia fusoidea, pluricellularia, brunnea, intercalaria gerentes. Conidiophora genuina desunt. Spec. typ.: Par. sibyllae n. sp. Parenzania sibyllae n. sp. mihi. Hyphis tenuibus medio 8-9 pi crassis, e flavis pallide brunneis, septatis, ramosis, aliis autem crassioribus (usque 13-26,5 pi et ultra), crebre septatis, ad septa constrictis, atro-brunneis. In hyphis te¬ nuibus, coniidiis intecalaribus, elongato-fusoideis, 300 -400-500- 630 pi x 30, 5-35-40-44 pi; 7-23-septatis (cellulis 17, 5-42 pi longis) ad septa minime vel vix constrictis, brunneis, saepe varia eiusdem coloris ratione, atque, ob minutissimas lamellas seriatim dispositas, rugulosis. Hab. saprophytice in plantarum fragmentis limo lacorum com- mixtis, in speluncis «Grotta della Sibilla» et «Grotta alle Fonta¬ nelle » prope Neapolim, It. merid. Istituto di Patologia vegetale dell’ Università degli Studi di Sq,ssari. Boll. Soc. Natur. Napoli - Voi. LXIII (1954) Seevaz/.i 0. - Su di un interessante micromicete, ecc. *1- « Processi verbali delle tornate ordinarie Tornata ordinaria del 29 gennaio 1954 Presidente : G. d’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci: Covello, Orrù, Salti, Schedilo, Parascandola, Lazzari, Moncharmont-Zei Maria, Fiorio, Moncharmont U., Yittozzi, Capone, Sarà, Parenzan, Pescione, Mazzarei li. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale dell’adunanza precedente, che è approvato. Indi comunica : 1) la lettera del Prof. Fiorio che ringrazia l’assemblea per la nomina a socio ordinario residente ; 2) il telegramma circolare del Ministro della pubblica istruzione, on. Segni, che rivolge un saluto di commiato nel momento in cui lascia quel dicastero ; 3) La relazione della Commissione Pierantoni, Salti, Galgano, relativa all’asse- gnazione del premio Antonio e Paolo della Valle, che conclude con la proposta unanime di attribuirlo all’unico concorrente prof. Armando Fiorio, i cui lavori scientifici presentati al concorso costituiscono un notevole contributo nel campo della Biologia. L’Assemblea approva al¬ l’unanimità tali conclusioni. Il Presidente rivolge al prof. Fiorio il benvenuto nella Società e si congratula, anche a nome dei colleglli, per il risultato favorevole da lui conseguito nel concorso al premio della Valle. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio dott. Capone illustra una sua nota dal titolo: Sali dell’acido 4 amino-5 iodosalicilico (Ipas). Il socio dott. Moncharmont-Zei presenta un nota dal titolo: I Fora - miniferi delle argille pleistoceniche di Ciitrofiano (Lecce). Il socio prof. Parenzan presenta ed illustra una sua nota dal titolo: Esplorazione biologica del fondo del golfo di Napoli. Caratteristiche topogra¬ fiche delle nariebiocenosi. Il socio prof. A. Parascandola riferisce verbalmente sui recenti feno¬ meni osservati al Monte Somma presso Ottaviano e sulle ricerche da lui condotte alla Solfatara di Pozzuoli ed al Vesuvio. Fa rilevare difatti, a proposito dei recenti fenomeni osservati sulle pendici del Somma, nel settore di Ottaviano, che trattasi di una comune ventarola tiepida, che già da alcuni giorni era nota agli abitanti del luogo. Aggiunge quindi che i giornali che hanno riportato tali notizie hanno destato inutile clamore. Sullo stato della Solfatara di Pozzuoli fa notare che il persistere dell’attività di vapore ha condotto ad uno sprofondamento progressivo della fangaia ed allargamento di essa, Avendo poi compiuto alcune os- Il — servazioni sul fenomeno della ionizzazione dell’aria con ì soliti metodi empirici, si dichiara contrario a quanto alcuni autori affermano e cioè che il fenomeno sia prodotto dalla condensazione del vapore acqueo sulle particelle carboniose quali residui di corpi accesi. Fa infine presente ai soci come egli continua costantemente a seguire il Vesuvio in questa fase di riposo, per cui riferisce che una bacchetta di alluminio, a circa 50 cm. di profondità, subisce la fusione e che delle fenditure precedentemente prodotte vanno allargandosi proprio in quella zona, compresa tra la 1* macchia gialla intracraterica e la 2* extracraterica, che è più altamente termica. Inoltre la 1- macchia gialla extracraterica presenta sempre mag¬ giori fenomeni di collasso. La seduta è tolta alle ore 18.30. Tornata ordinaria del 26 febbraio 1954 Presidente : G. d’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci Napoletano, Parenzan, Desiderio, Mazzarelli, Ser- sale, Imbò, Vittozzi, Sinno, Lazzari, Moncharmont-Zei, Parascandola, Ca¬ staldi. Scusano l’assenza i soci Pierantoni e Fiorio. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. Il Presidente si dice sicuro interprete dei sentimenti dell’Assemblea, esprimendo al Vice presidente Mario Salfi, colpito da recente lutto, le condoglianze sue e dei consoci tutti. Comunica quindi la lettera e la relazione pervenuta alla Presidenza da parte dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, relative ai risultati della campagna condotta per la rideterminazione altimetrica di precisione del Serapeo di Pozzuoli. A tale proposito egli ricorda brevemente quanto in precedenza era stato già comunicato, e cioè il voto espresso dalla So¬ cietà dei Naturalisti, in seguito ad una nota pubblicata nel Bollettino della Società Geografica dal prof. Luigi Ranieri, circa un preteso movi¬ mento d’inversione del bradisisma di quella zona. L’interessante dibattito scientifico, al quale successivamente partecipò il socio prof. Antonio Pa¬ rascandola, resta ora definito dalle conclusioni della relazione dell’Isti¬ tuto Geografico Militare, che confermano un abbassamento di quella plaga di circa 12,6 mm. all’anno. Il Presidente aggiunge infine che tali conclusioni sono state oggetto di una sua brevissima comunicazione inviata per l’inserzione nel Bollet¬ tino della Società Geografica Italiana, che già pubblicò le sue precedenti osservazioni sul voto della Società dei Naturalisti di Napoli relativi a tale argomento. Il socio prof. Imbò chiede la parola per esprimere il parere che i dati conclusivi della recente rideterminazione altimetrica vengano dal presidente fatti conoscere nel Bollettino della Società dei Naturalisti, e nel contempo propone che l’Assemblea ripeta il voto affinchè il Genio Ili Civile compia senza indugio i lavori necessari per una buona manuten¬ zione del canale di comunicazione col mare, al fine di consentire il libero deflusso delle acque, giacché soltanto in tal modo si potrà avere un buon funzionamento del mareograto e dei clinografì installati nell’edificio del Serapeo. Analoga proposta sulla pubblicazione dei dati conclusivi della cam¬ pagna altimetrica fa il socio prof. Castaldi, allo scopo di chiudere defi¬ nitivamente la polemica e di controbattere, con sicuri dati di fatto, l’af¬ fermazione di taluni studiosi i quali ritengono che la zona napoletana (Torretta di Chiaia) non abbia subito alcun abbassamento dai tempi sto¬ rici ad oggi. Si passa quindi alla presentazione dei lavori. Il socio A. Lazzari presenta ed illustra una sua nota dal titolo : Os¬ servazioni geo-morfologiche sui dintorni di Castro, provincia di Lecce. Il socio prof. Parenzan presenta ed illustra una sua nota dal titolo Contributo alla conoscenza delle elevazioni sottomarine del Golfo di Napoli. Costituzione biotopo grafica e biocenologica. Il Socio prof. Mazzarelli, anche a nome del socio dott. Pierantoni, legge infine la relazione dei revisori dei conti sul bilancio consuntivo 1953, che conclude con la proposta di approvazione. L’Assemblea approva all’unanimità. La seduta è tolta alle ore 18,30. Tornata ordinaria del 26 marzo 1954 Presidente : G. d’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci: Parenzan, Pierantoni Umberto, Lazzari, Mon- charmont-Zei M., Sarà, Mazzarelli, Vittozzi, Pannain Lea. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale della seduta precedente, che è approvato. In relazione al desiderio espresso dal socio prof. Imbò e da altri consoci circa l’opportunità di pubblicare i dati relativi alla determina¬ zione altimetrica del Serapeo, il Presidente si dichiara ben lieto di dare la sua adesione, inserendo nel Bollettino sociale, sotto forma di nota scritta, la comunicazione verbale svolta nella precedente tornata del 26 febbraio, perchè resti meglio documentata l’efficace opera svolta dalla Società per la giusta risoluzione di un importante problema scientifico. Circa poi il voto espresso dallo stesso consocio per le opere di pulizia e di manutenzione del canale di comunicazione del Serapeo col mare, il Presidente informa l’Assemblea che il prof. Imbò lo ha incaricato di ri¬ ferire che si sperano fondatamente buoni risultati, dopo il suo diretto intervento personale presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche. Comunica quindi: 1) - l’invito al XXII Congresso Zoologico Italiano e prega il prof. Pierantoni, presente, di voler rappresentare la Società in quella occasione ; 2) - la lettera e l’invito programma alla celebrazione IV del Centenario delia nascita di Battista Grassi, che si celebrerà a Como alla fine di marzo, informando i soci che è stato tempestivamente spe¬ dito un telegramma di adesione. Ricorda infine ai soci che l’attuale Consiglio di Presidenza e quello Direttivo cesseranno dalle loro cariche con lo scadere del triennio, cioè nel prossimo maggio. In tale mese pertanto sarà convocata, a norma dello Statuto, l’Assemblea straordinaria, per procedere alle elezioni delle nuove cariche sociali. Si passa poi alla presentazione dei lavori. Il socio prof. Parenzan chiede di presentare una sua nota dal titolo Biocenologia del fondo a Zosteracee del Golfo di Napoli, subordinandone la stampa all’accoglimento della domanda da lui indirizzata in data odierna al Consiglio Direttivo della Società, al fine di poter ottenere gratuita¬ mente un maggior numero di pagine. La seduta è tolta alle ore 18. Tornata ordinaria del 29 aprile 1955 Presidente : G. d’ Erasmo Segretario : V. Minieri Sono presenti i soci : d’Erasmo, Salfi, Minieri, Covello, Orrù, Scherillo. Dato lo scarso numero degli intervenuti, l’adunanza è rinviata al prossimo 28 maggio. Assemblea generale del 28 maggio 1954 Presidente: G. d’ Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci: Parenzan, Torelli, Mazzarelìi, Pierantoni U., Moncharmont-Zei, Lazzari, Vittozzi, Pescione, Orrù, Covello, Salfi, Capone, Pierantoni A., Nicotera, Scherillo, Sinno, Majo I., Àndreotti-Majo E., Fiorio, Sarà, Maini, Moncharmont U., La Greca, Sersale, Parascandola, Signore, Galgano, Antonucci, Merola. La seduta è aperta alle ore 17. Il segretario legge il verbale delle sedute 26 marzo e 29 aprile, che sono approvati. Il Presidente informa l’Assemblea che il voi. LXII del Bollettino è stato recentemente stampato ed é in corso di distribuzione ai soci. Parla poi della pratica relativa alla istituzione del conto corrente postale in¬ testato alla Società, già avviata da tempo con l’Ufficio postale di Napoli. Fa dono infine della sua recente nota: La rideterminazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli eseguita dall’Istituto Geografico Militare durante Lamio 1953, Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche, Il socio prof. Parenzan chiede di presentare, a nome del prof. Ot¬ tone Servazzi, una nota dal titolo : Un interessante micromicete cavernicolo (. Parenzania Sibyllae n. gen. n. sp,) da inserire nel supplemento al Bollet¬ tino della .Società destinato agli studi speleologici e faunistici sull’ Italia Meridionale. All’ampia discussione seguita a tale richiesta di pubblicazione par¬ tecipano i consoci proff. Salti, Pierantoni e Lazzari i quali fanno rilevare come quel supplemento sia stato creato (vedi Boll. voi. LV, 1946, pag. 165-166) per illustrare esclusivamente i risultati delle ricerche promosse dalla Società dei Naturalisti nel campo speleologico. Il Presidente, ri¬ chiamandosi alle norme dello Statuto e del regolamento, precisa che « gli autori non soci debbano in ogni caso essere scelti dal Consiglio Diret¬ tivo ed invitati a collaborare dal Presidente». Pertanto esprime Popinione che sulla questione debba essere pre¬ ventivamente sentito il Consiglio Direttivo, al quale spetta di decidere sulla eventuale accettazione della nota predetta. Così resta stabilito. Il socio dott. Sinno presenta ed illustra due note rispettivamente dal titolo: Un cristallo di idocrasio del Vesuvio con un insolilo habitus cristallino e Sui carbonati basici di magnesio presenti al Vesuvio. Si procede quindi, secondo Lordine del giorno, alle elezioni delle cariche sociali e si nominano i componenti del Seggio nelle persone dei soci prof. Gustavo Mazzarelli (presidente), dott. Antonio Capone e Adelia Pescione (scrutatori). Alle ore 17,45 il presidente del seggio dà inizio alla votazione. L’urna resta aperta fino alle ore 19. Chiusa la votazione, si iniziano le operazioni di scrutinio per le quali viene redatto, dai componenti il seggio, apposito verbale, che si trascrive in calce e dal quale si rileva che sono risultati eletti, per il triennio 1954-57, i seguenti soci. Presidente: prof. Geremia d’ Erasmo Vice Presidente: » Segretario : » Consiglieri : » » » » » » » Antonio Scherillo Ugo Moncharmont Mario .Salii Antonietta Orrù Mario Covello Francesco Signore VERBALE DEL SEGGIO Il 28 maggio 1954, alle ore 17,45 nella Sala delle Adunanze della So¬ cietà dei Naturalisti, il Presidente ha costituito il seggio per le votazioni delle cariche sociali come segue: Presidente del seggio : prof. Gustavo Mazzarelli Scrutatori : dott. Adelia Pescione ? » Antonio Capone VI Le operazioni procedettero senza inconvenienti ed in perfetta nor¬ malità sino alle ore 19. Chiusa la votazione si è proceduto allo spoglio delle schede con i seguenti risultati! Presidente : Vice presidente : Segretario : Consiglieri : D’Erasmo Geremia Voti 30 Pierantoni Umberto » 1 Scherillo Antonio Voti 29 Salti Mario » ■ 1 Covello Mario » 1 Moncharmont Ugo Voti 29 Minieri Vincenzo » 2 OMISSIS Signore Francesco Voti 3 Orrù Antonietta » 3< Covello Mario » 2! Salti Mario » 21 Pierantoni Umberto » : La 'Greca Marcello » Lazzari ? Antonio > Scherillo Antonio » , Vittozzi Pio » Proceduto al controllo delle schede esse risultano in numero di 31, corrispondentemente alle firme dei votanti, compresa la delega del socio Achille Antonucci al socio Renato Sinno. Si è proceduto altresì al con¬ trollo dei voti, che sono stati trovati rispondenti al numero dei votanti. Il Seggio proclama il seguente risultato : Presidente : Vice Presidente: Segretario : Consiglieri: d’ Erasmo Geremia Scherillo Antonio Moncharmont Ugo Salti Mario Orrù Antonietta Covello Mario Signore Francesco OMISSIS Il Presidente f.to. Gustavo Mazzarelli. La seduta è tolta alle ore 19,30. Gli Scrutatori: Adelia Pescione Antonio Capone Tornata ordinaria del di 25 giugno 1954 Presidente : G. d’ Erasmo ff. Segretario V. Minieri Sono presenti i soci D’ Erasmo, Fiorio, Lazzari, Mazzarerelli, Mon- charmont-Zei, Orrù, Parascandola, Parenzan, Pierantoni U., Signore, Sinno Vittozzi, Desiderio, In assenza del Segretario Moncharmont, che ha scusato l’assenza do¬ vuta a ragioni d’ufficio, funge da Segretario il socio Minieri. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il verbale dell’Assemblea generale dei soci del 28 maggio 1954, che viene approvato. Il Presidente ringrazia innanzi tutto i soci intervenuti per la prova di fiducia espressa con il voto, che ha confermato la sua persona e la maggior parte dei componenti il Consiglio direttivo. Il socio Parenzan chiede di essere informato sulla decisione del Con¬ siglio Direttivo, circa la pubblicazione della nota del prof. Ottone Servazzi da lui presentata nella tornata del 28 maggio. Il presidente informa che non si è definitivamente deciso in merito, essendo mancato il numero legale per l’odierna adunanza del Consiglio direttivo. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Antonio Scherillo presenta ed illustra un suo lavoro dal titolo : La stratigrafia della zona Vomero-Arenella. Il socio Pietro Parenzan presenta ed illustra due note dai rispettivi titoli : La scoperta di resti scheletrici dell’ uomo preistorico in una grotta presso Marina di Camerota (Salerno), e: Ricerche nell’Italia meridionale della Sezione Speleologica delVI. B. A. La socia Maria Moncharmont-Zei presenta e illustra una nota dal titolo: Sulla presenza del genere Globotruncana in una serie calcar eo-mar no sa a liste selce presso Rodi Gorgoni co (Foggia). Il socio Antonio Lazzari presenta ed illustra una nota dal titolo : Con¬ tributo alla conoscenza della microfauna delle argille oleistoceniche di Nardo (Lecce), ed una in collaborazione con la socia Maria Moncharmont-Zei dal titolo : Sulla presenza dell’oligocene in localilà Porto Badisco, sul canale d’ Otranto, in provincia di Lecce. Lo stesso socio Lazzari si appella all’Assemblea dei soci perché sia fatto un voto alla Presidenza della Cassa del Mezzogiorno, perchè non venga aperto un ingresso da terra alla grotta « Zinzulusa » in territorio di Castro (Lecce), che risulterebbe nocivo alla conservazione dell’ambiente faunistico cavernicolo naturale studiato, già in parte da diversi studiosi e di sommo interesse scientifico. L’Assemblea approva e dà incarico allo stesso socio Lazzari di voler formulare tale voto. Il socio Antonio Parascandola presenta ed illustra due note dai titoli : Le frane dell’Isola di Procida e le diverse fasi di una polemica sul bradi¬ sismo del Serapeo di Pozzuoli. Dà inoltre notizie delle sue recenti osservazioni effettuate al Vesuvio. La seduta è tolta alle ore 19.30. Tornata ordinaria del 26 novembre 1954 Presidente: G. d’ Erasmo Segretario: Moncharmont Sono presenti i soci: Arena, Capone, Covello, d’Erasmo, Desiderio, Fiorio, Imbò, La Greca, Lazzari, Maino, Mazzarelli, Merola, Minieri, Mon- charmont-Zei M., Moncharmont U., Orrù, Parascandola, Parenzan, Pie- rantoni A., Sarà, Scherillo, Signore, Sinno, Torelli, Yittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,10. Il Segretario legge il verbale della seduta del 25 giugno 1954, che viene approvato. Il Presidente 1) comunica ai soci di aver inviata l’adesione della So¬ cietà al XXVI Convegno dell’Unione Zoologica Italiana in Padova. 2) comunica al socio Parenzan, che il Consiglio Direttivo, nella sua odierna seduta, ha approvato la pubblicazione della nota del prof. O. Servazzi, da lui presentata alla Società, dal titolo: «Un interessante mi- cromicete cavernicolo (. Parenzania sibyllcie n. gen. n. sp.) », e fa distribuire agli intervenuti gli inviti fatti dal socio Parenzan per assistere agli espe¬ rimenti dimostrativi di navigazione profonda e abissale del modello di batiscafo « Antoni-Parenzan 1954», che si terranno il 2 nov. 54 alla Mostra d’Oltremare. 3) - propone il calendario per le tornate dell’anno 1955 e per l 'ultima dell’anno 1954, che vengono fissate, d’accordo con l’Assemblea dei soci, nelle seguenti date : 22 die. 1954, 28 gennaio, 25 febbraio, 25 marzo, 29 aprile, 27 maggio, 24 giugno, 25 novembre, 30 dicembre 1955, sempre alle ore 17. * 4) - comunica che il Consiglio direttivo odierno ha deciso di bandire il concorso della fondazione «Cavolini - de Mellis» per 2 premi di L. 3000 (tremila) ciascuna, da attribuire ai migliori studenti del 2° biennio della facoltà di Scienze naturali, stabilendo la scadenza della presentazione delle domande al 31 maggio 1955, con le consuete norme. 5) - comunica che é stato aperto il conto corrente postale n° 6/17139 per facilitare le rimesse delle quote sociali, e che é stata inviata una cir¬ colare a stampa a tutti i soci morosi, per invitarli a versare le quote dovute : a questa molti hanno già risposto, regolando la loro posizione. 6) - riferisce sui lavori di pulizia straordinaria e di miglioramento della sede sociale fatti recentemente. 7) - prega i soci di voler comunicare alla Segreteria le eventuali ret¬ tifiche e le variazioni da apportare ai propri indirizzi. 8) - comunica che sono pervenute in dono le seguenti pubblicazioni: G. d’Erasmo, Ramiro Fabiani, Commemorazione ; G. d’ Erasmo, A. Lazzari, V. Minieri, M. Moncharmont-Zei, Sul rilevamento geologico del F. Cerignola (17 5) quadrante III. 9) - comunica che il socio Lazzari, giusta l’ incarico affidatogli dal¬ l’Assemblea dei soci nelle tornate del 25 giugno 1954, ha formulato il voto della Società dei Naturalisti alla Presidenza della Gassa del Mezzo- giorno, perchè non si dia corso a progetti volti a valorizzare turistica¬ mente la grotta «Zinzulusa» in territorio, di Castro (Lecce), e ciò nell’in- tento di non determinare la distruzione di specie rare ed uniche di grande interesse paleogeografico e zoologico, e prega il segretario di darne lettura. L'Assemblea approva unanime. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Lazzari presenta una nota dal titolo: Aspetti geologici dei fe¬ nomeni verificatisi nel Salernitano in conseguenza del nubifragio del 25-26 ottobre 54 (con 2 tavole fuori testo e 1 clichè nel testo), che discute am¬ piamente, accompagnando l’esposizione con la proiezione di numerose ed interessanti dispositive. L’Assemblea ne approva l’inserzione nel Bollettino. La socia M. Moncharmont-Zei presenta una nota dal titolo: Sopra una nuova specie di Parastrophia(Caecidae-Gasteropoda) del Tirreniano della Punta delle Pietre nere ( Foggia ) (con 1 tavola fuori testo). L’Assemblea ne ap¬ prova l’inserzione nel Bollettino. II socio Parascandola presenta una nota dal titolo : Osservazioni geologiche sul bacino del fiume Selano ( Salerno ) in relazione al nubifragio del 25-26-ottobre Ì95ì e l’Assemblea ne approva l’in¬ serzione nel Bollettino. Il socio Parascandola, riferendosi ai recenti disastri causati dal nu¬ bifragio nel Salernitano, propone che la Società dei Naturalisti formuli un voto agli organi competenti, affinché siano dichiarate non tangibili le zone boschive prossime ai monumenti nazionali, e ciò allo scopo di im¬ pedire il disboscamento e prevenirli da future distruzioni, e affinchè si provveda, laddove necessario, alla sistemazione forestale delle regioni a monte dei monumenti stessi. II Presidente invita l’Assemblea a decidere sull’opportunità di un tale voto. Dopo ampia discussione alla quale partecipano, oltre allo stesso Presidente, i soci Imbò, Lazzari, Merola e Parascandola, si stabilisce di nominare una commissione costituita dai soci Imbò, Parascandola, Me¬ rola per la formulazione del voto, da presentarsi in una prossima tornata per l’approvazione definitiva. Il consigliere Covello, interpretando il sentimento dei soci, tributa un voto di plauso al Presidente per l’opera svolta per rendere più de¬ gna e più bella la sede sociale. Il Presidente risponde ringraziando. La seduta è tolta alle ore 18.50. Tornata ordinaria del 22 dicembre 1954. Presidente : G. d’ Erasmo Segretario : U. Moncharmont Sono presenti i soci: Capone, d’ Erasmo, Fiorio, La Greca, Lazzari, Mazzarelli, Merola, Minieri, Moncharmont U., Moncharmont-Zei M., Orrù, Parascandola, Salti, Scherillo, Signore, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore '17,15. Il Segretario legge il verbale della tornata 26 nov. 54, che viene approvato. Il Presidente comunica : X 1) - la concessione di un assegno straordinario di L. 100.000 per il corrente anno da parte del Ministero della P. I. (prot. 9325 - div. II - 9-XII-54) per l’anno finanziario 1954-55 a favore della .Società. 2) - la decisione del Consiglio direttivo circa la organizzazione di conferenze da svolgersi durante l’anno sociale. 3) - la decisione di aumentare gli scambi del Bollettino con Società scientifiche italiane e straniere. 4) - che ha recentemente vista la luce, nel n. 4 (anno XIII) del Bol¬ lettino di Geodesia e Scienze affini, la memoria del prof. Domenico Digiesi, capo della divisione geodetica dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, sui risultati della livellazione geometrica di precisione eseguita da quel- l’Ufficio nel 1953 lungo il percorso Napoli-Serapeo di Pozzuoli. Ricorda che le misure altimetriche furono richieste dalla Società dei Naturalisti in un’adunanza del giugno 1952, e che egli stesso diede notizia ai con¬ soci, nella tornata dello scorso febbraio, dei principali dati recentemente ricavati, i quali consentono una determinazione precisa del bradisisma puteolano. Mentre si compiace del contributo scientifico, è lieto di par¬ tecipare che anche l’altro voto, espresso nello scorso mese di novembre per la conservazione della fauna cavernicola della grotta «Zinzulusa» sulla costa adriatica della Terra d’Otranto, ha trovato pronto ed efficace interessamento nel Presidente della Cassa del Mezzogiorno, prof. Pesca¬ tore. Dà lettura della lettera di quest’ultimo, e comunica di averlo già ringraziato a nome della Società. Il Presidente 1) - invita l’assemblea dei soci a designare i revisori dei conti del bilancio 1954, e si decide di incaricare i soci Merola, Sinno e supplente P. Maini. 2) - Presenta le pubblicazioni pervenute in dono: V. Minieri - Ricer¬ che geochimiche sa alcuni bauxiti di Terra d’Otranto e V. Minieri - Osser¬ vazioni geochimiche sulle arenarie glauconitiche di Punta Lago nella Penisola di Sorrento. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il Vice presidente Scherillo legge una nota dal titolo : Osservazioni stratigrafìche sul sottosuolo di Via Roma (Napoli) con 1 fig. nel testo e se ne approva l’inserzione nel Bollettino. Il socio Merola legge una comunicazione dal titolo: Andromonoici- smo in Pruniis caroliniana Ait , e se ne approva l’inserzione nei Bollettino. Il socio Lazzari presenta una nota del Dott. Teodosio De Stefani dal titolo: Studi di stratigrafia siciliana : Breve cenno sulla stratigrafia di Cervia e Termini Imerese, e se ne approva la inserzione sul Bollettino. 11 Presidente presenta le domande, istruite dal Consiglio direttivo, avanzate per la nomina a socio ordinario dell’ing. Bruno di Nisco, lau¬ reato in ingegneria e scienze geologiche, del dott. Oreste Pellegrini, as¬ sistente ordinario nell’Istituto di Botanica nell’Università di Napoli, e a socio ordinario non residente del dott. Enrico Perconig, paleontologo dell’AGIP Mineraria di Milano. A norma dell’art. 5 dello Statuto e del- l’art. 9 del Regolamento, indice lo scrutinio segreto per l’elezione dei nuovi soci. Risultano così eletti il dott. Oreste Pellegrini all’unanimità, l’ing. Bruno De Nisco all’unanimità e il dott. Enrico Perconig all’unanimità. Il Presidente presenta all’Assemblea gli auguri per il nuovo anno. La seduta è tolta alle ore 18. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1954 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Alfano Giovanbattista - Prof, di Scienze naturali e Diret¬ tore dell’Osservatorio sismico del Seminario Arcivescovile. Napoli, - Via Cangi a Materdei. 7 (telef. 45.992). 2. Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, - Piazza Nicola Amore, 2 (telef. 21.702). 3. Antonucci Achille - Ord. Scienze nel Liceo «J. Sannazzaro». Napoli, - Via Benedetto De Falco, 14 (telef. 42.818). 4. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli, - Via Cimarosa, 69 (telef. 77.855). 5. Bacci Guido - Libero docente di Zoologia. Assistente nella Stazione Zoologica di Napoli, - Villa Comunale. 6. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale Università. Napoli, - Via Roma, 368 (telef. 20.391). 7. Capaldo Pasquale - Studente di Scienze Naturali, Napoli, - Traversa Giacinto Gigante, 36 (telef. 70.184). 8. Caroli Ernesto - Libero docente di Zoologia. Napoli, - Via Cimarosa, 66. 9. Carrelli Antonio - Dirett. Ist. di Fisica. Università di Na¬ poli. - Piazza d’Ovidio, 6 (telef. 43.313). 10. Casertano Lorenzo - Assistente nell’Osservatorio Vesuviano. Resina. - (Napoli). 11. Castaldi Francesco - Libero docente di Geografia. Na¬ poli, - Via Aniello Falone, 260 (telef. 73.890). 12. Catalano Giuseppe - Dirett. Ist. di Botanica. Università Na¬ poli, - Via Foria, 223 (telef. 41.842). 13. Covello Mario - Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Univer¬ sità Napoli, - Via Leopoldo Rodino, 82 (22.038). 14. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli. - Via Salvatore Di Giacomo a Marechiaro, 24 (telef. 84.470) 15. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nelPIst. Magistr» « P. Villari ». Napoli, - Via S. Pasquale a Ghiaia, 29. — XII — 16. De Lorenzo Giuseppe - Prof, emerito di Geologia Univer¬ sità Napoli, - Via Luca da Penne, 3 (telef. 82.397). 17. De Nisco Bruno - Ingegnere, Dott. Scienze geologiche - Via Cimarosa, 37 (tei. 74.406). 18. D’ Erasmo Geremia - Dirett. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (telef. 21.075). 19. De Rosa Antonio - Dott. in medicina. Napoli, - Via Nardones, 14. 20. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli - Viale G. Cesare 6. d. (418) Napoli. 21. Dohrn Rinaldo - Direttore emerito della Stazione Zoologica. Napoli, - Villa Comunale (telef. 61.705). 22. Faggella Renato - Assistente di Geografia, economica - Fac. Ec. e Comm. Napoli, - S. Rocco di Capodimonte, Villa Faggella. 23. Florio Armando - Prof. ord. Liceo Scient. Statale 2° di Napoli. - Via S. Margherita a Fonseca, 23 (tei. 42.870). 24. Galgano Mario - Dirett. Ist. d’istologia e di Embriologia, Università. Napoli, - Via Latilla, 18 (telef. 43.798). 25. Giordani Francesco - Dirett. Ist. di Chimica generale Uni¬ versità. Napoli, - Corso Umberto I, 34 (telef. 28.747). 26. Imbò Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica terrestre Università e Direttore dell’Osservatorio Vesuviano. Napoli. - Largo S. Marcellino, 10 (tei. 24.935). 27. Ippolito Felice - Dirett. Ist. di Geologia applicata Università. Napoli, - Via Fr. Crispi, 32 (telef. 80.420). 28. La Greca Marcello - Lib. doc. di Zoologia. Aiuto Ist. Zoologia Università. Napoli. - Via Capodimonte, 27 (telef. 45.654). 29. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografia fisica Università. Napoli, - Via S. Liborio 1 (telef. 26.658). 30. Maio Andreotti Ester - Lib. doc. di Geografia fisica Uni¬ versità. Napoli, - Piazza Nicola Amore, 2 (telef. 11.702). 31. Maio Ida - Ord. di Scienze Naturali nei Licei. Napoli, - S. Anna dei Lombardi, 10. 32. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale. Napoli. - Largo S. Marcellino, 10 (telef. 22.904). 33. Maranelli Adolfo - Ord. di Scienze Ist. tecnico «A. Diaz» Napoli, - Corso Vittorio Emanuele, 281 (telef. 65.695). XIII m ’y\ fi § $ . i , j ? : ' t, m ,4 34. Mazzarelli Gustavo - Ine. Topografia e Cartografia Univer¬ sità. Napoli, - Via Luca Giordano, 51. 35. Merola Aldo - Libero docente di Botanica, Assist. Istituto Botanico Università. Napoli, Via Foria, 148 (tei. 41.842). 36. Migliorini Elio - Dirett. Ist. di Geografia Università. Napoli - Largo S. Marcellino, 10 (telef. 24.301). 37. Minieri Vincenzo - Assistente nell’Istituto di Geologia Uni¬ versità. Napoli, - Via Kerbaker, 10 (telef. 77.262). 38. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’Uni¬ versità di Bari. Napoli, - Via E. De Marinis 1 (telef. 28.846). 39. Moncharmont Ugo - Ord. Scienze nel Liceo «Vitt. Em. Il» Napoli, - Via Aniello Falcone, 88 (telef. 75.003). 40. Moncharmont Zei Maria - Assistente nell’Istituto di Geologia Università Napoli, - Via Aniello Falcone 88 (telef. 75.003). 41. Montalenti Giuseppe - Dirett. Ist. di Genetica Università Napoli. - Via Mezzocannone, 8 (telef. 24.261). 42. Napoletano Aldo - Meterologo dell’Aeronautica. Napoli - Vico Storto Purgatorio ad Arco, 2 (telef. 28.652). 43. Nicotera Pasquale - Assistente nell’ Istituto di Geologia applicata Università. Napoli, - Via Mezzocannone, 16 (telef. 23.818). 44. Orrù Antonietta - Dirett. Ist. di Fisiologia generale Uni¬ versità Napoli - Rione Beisito a Posillipo, Palazzina D’O- nofrio (telef. 89.818). 45. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Uni¬ versità Napoli, Ispett. Min. P. I., - Via Carducci, 6. 46. Pannain Lea - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli, - Via Giosuè Carducci 29, (telef. 61.725). 47. Parascandola Antonio - Prof. ine. Petrografia Università. Napoli. - Via Mezzocannone, 99 (telef. 23.488). 48. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrobiologia Università. Napoli, - Via Cesare Rosaroll, 95 (telef. 56.364). 49. Parisi Rosa - Prof. ine. di Fisiologia vegetale Università, Napoli, - Via Giuseppe Zurlo, 13 (telef. 58.631). 50. Pellegrini Oreste - Assistente ord. Istituto Botanica Uni¬ versità Napoli - Via Gradini S. Matteo, 26 (telef. 41.842). 51. Pescione Adelia - Assistente nell’Istituto di Geologia ap¬ plicata Università Napoli, - Via Nuova Capodimonte, 210 (telef. 42.152). 52. Pierantoni Angiolo - Chimico Laboratorio Igiene e profi¬ lassi della Provincia Napoli, Galleria Umberto 1°, 27 (telef. 21.076). 53. Pierantoni Umberto - Prof, emerito di Zoologia Università Napoli, - Galleria Umberto 1°, 27 (telef. 21.076). 54. Punzo Giorgio - Prof. Scienze Naturali. Napoli - Via Mer- gellina, 226 (telef. 86.796). 55. Quagliariello Gaetano - Prof. ord. di Chimica Biologica Università. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (telef. 42.844). 56. Rippa Anna - Ord. di Scienze nel Liceo ((Umberto I» Napoli, Piazzetta Marconiglio, 4 (telef. 52.516). 57. Salfi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Via Mezzocannone, 53 (telef. 29.092). 58. Salvi Pasquale - Dott. in Medicina e .Chirurgia. Napoli, Via Carlo Poerio, 91. (telef. 62.498). 59. Sarà Michele - Libero doc. Zoologia, Assistente nell’Isti¬ tuto di Zoologia Università. Napoli, Riviera Ghiaia 92. (telef. 88.175). 60. Scherillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (telef. 23.388). 61. Sersale Riccardo - Assistente nell’Istituto di Chimica In¬ dustriale Università Napoli, Via Mezzocannone, 16. 62. Signore Francesco - Prof. ine. di Vulcanologia Università. Napoli, Via Tasso, 199 (telef. 86.723). 63. Sinno Renato - Assistente nell’Istituto di Mineralogia Uni¬ versità. Via Solimena, 6 (telef. 71.715). 64. Tarsia in Curia Isabella - Ord. Scienze nel Liceo «J. San- nazzaro » Napoli, Corso Umberto 1°, 106 (telef. 24.568). 65. Torelli Beatrice - Lib. Doc. di Zoologia. Ord. Liceo «V. E. Il» - Napoli. Via Luca da Penne, 3 (telef. 85.036). 66. V iggiani Gioacchino - Lib. docente di Ecologia agraria Uni¬ versità. Napoli, Via Posillipo, 281 (telef. 84.325). 67. V ittozzi Pio - Assistente nell’ Ist. di Fisica Terrestre. Uni¬ versità, Napoli. - Via Arenella, 79 (telef. 72.206). XV SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Arena Vittorio - Dott. in Scienze Naturali. Napoli, Via Gesù e Maria, 3. (telef. 40.446). 2. Bonanno Giuseppe - Prof, di Scienze Naturali. Brindisi, Piazza S. Dionisio, 2. 3. Bruno Alessandro - Lib. doc. Napoli, Via Fenice a Otto- calli, 34. 4. Candura Giuseppe - Facoltà di Agraria. Università Bari. 5. Capone Antonio - Assistente nell’ Istituto di Chimica farmac. Università. Napoli, Vico Bagnara, 11 (telef. 43202). 6. Carnera Luigi - già Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Firenze, Viale Ugo Bassi, 38. 7. Cerruti Attilio - Direttore dell’Istituto Talassografico, Ta¬ ranto, Via Roma, 3. 8. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria, Diret¬ tore dell’ Osservatorio di Fitopatologia per la Calabria. Ca¬ tanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 9. Cotecchia Vincenzo - Prof, incaric. di Geologia applicata nell’ Università di Bari. 10. Cucuzza Silvestri Salvatore - Assistente nell’Istituto di Vul¬ canologia Università di Catania. 11. D’Ancona Umberto - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 12. De Lerma Baldassarre - Dirett. Ist. di Zoologia Università Bari, Napoli, Via Latilla, 18. (telef. 43.798). 13. De Stefani Teodosio - Dott. in Scienze Naturali. Palermo, Via Alloro, 49. 14. Giordani Mario - Prof. ord. di Chimica Università. Roma, Piazza Mazzini, 27. 15. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Naturali. Ischia. - Via Acquedotto. 16. Jucci Carlo - Prof. ord. di Zoologia Università. Pavia. 17. Lacquaniti Luigi - Via S. Rocco, Trav. 5 n. 5, Palmi (Reggio Calabria). 18. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Univer¬ sità. Perugia. 19. Maino Armando - Docente in Fisica. Ufficio Geologico Ro¬ ma, Piazza S, Susanna, 13, XVI 20. Maini Padre Dante - Convento S. Chiara, Napoli. 21. Mendia Luigi - Assistente nell’istituto Idraulico Fac. Inge¬ gneria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16. 22. Meo Fernando - Assistente nell’Istituto di Chimica Indu¬ striale. Università. Napoli. Via Mezzocannone. 16. 23. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali. Napoli. 24. Monroy Alberto - Dirett. Ist. di Anatomia Comparata, Uni¬ versità. Palermo. 25. Omodeo Pietro - Prof. ine. di Istologia Università. Siena. 26. Pasquini Pasquale - Dirett. Ist. di Anatomia Comparata Uni¬ versità. Bologna, Via Belmeloro, 14. 27. Patroni Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Torre del Greco, Via Nazionale, 198a (Villa Palombo). 28. Penta Francesco - Prof. ord. di Geologia applicata Fac. Ing. Università. Roma, Via Ferratelle, 33. 29. Perconig Enrico - Micropaleontologo. AGIP Mineraria. 30. Ranzi Silvio - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Milano, Via Celoria, 10. 31. Rodio Gaetano - Prof. ord. di Botanica Università. Catania, Via Tommaselli, 19. 32. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool., Assistente nel Museo Ci¬ vico Storia Naturale, Verona, Lungadige Porta Vittoria, 9. 33. Scorza Vincenzo - Assistente nell’Istituto di Chimica Indu¬ striale Università. Napoli. Via Mezzocannone, 16. 34. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI feb¬ braio, 21. 35. Sorrentino Stefano - Prof, di Scienze Natur., Garbagnate (Milano). 36. Stegagno Giuseppe - Prof, di Scienze Natur., Verona, Via Gazzera, 23. 37. Trotta Michele - Dott. Veterin., Salerno, Via Papio 27. 38. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour, 15. 39. Vichi Luciano - Libero doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini Settore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 40. Zavattari Edoardo - Prof. ord. di Zoologia Università. Roma, Viale Regina Margherita, 326. Elenco dei periodici che si ricevono attualmente in cambio. PERIODICI ITALIANI Annali della Facoltà di Scienze Agrarie della Università degli Studi di Napoli . Portici. Annali dell’ Istituto Superiore di Scienze e Lettere « S. Chiara». Napoli. Annali del Reale Osservatorio Vesuviano. Napoli. Annuario delle Biblioteche Italiane. Min. P. Istruz. Roma. Annuario dell’ Istituto e Museo di Zoologia dell” Università di Napoli. Napoli. Archivio di Oceanografìa e Limnologia. Venezia. Archivio per l’ Antropologia e la Etnologia. Firenze. Archivio Zoologico Italiano. Torino. Archivio Zoologico Italiano - Attualità Zoologiche. Torino. Ateneo Veneto. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Venezia. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania. Catania. Atti dell’ Accademia delle Scienze di Ferrara. Ferrara. Atti dell’ Accademia delle Scienze di Torino. I. Classe di Scienze fisiche ma¬ tematiche e naturali. Torino. Atti detl’ Accademia Ligure di Scienze e Lettere. Genova. Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Napoli. Atti della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena. Modena. Atti della Società italiana di Scienze naturali e del Museo Civico di Storia na¬ turale di Milano. Milano. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali residente in Pisa. Memorie. Pisa. Atti dell’ Istituto Botanico della Università. Laboratorio Crittogamico. Pavia. Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona. Verona. Bollettino dei Musei e degli Istituti Biologici della Università di Genova. Se¬ zione Biologia Animale. Genova. Bollettino del Laboratorio di Entomologia Agraria « Filippo Silvestri» Portici. Napoli. Bollettino della Società Adriatica di Scienze naturali in Trieste. Rocca San Lasciano. Bollettino della Società Entomologica Italiana. Genova. Bollettino^della Società Geografica Italiana. Roma. Bollettino della Società Veneziana di Storia Naturale e del Museo Civico di Storia Naturale. Venezia. Bollettino dell’ Istituto Entomologico dell’ Università degli Studi di Bologna. Bologna. Bollettino dell’ Istituto e Museo di Zoologia della Università di l'orino. Torino. Bollettino dell’ Istituto Storico Artistico Orvietano. Orvieto. XVIII Bollettino di Zoologia Agraria e Bachicoltura. Roma. Bollettino di Zoologia dell’Unione Zoologica Italiana. Torino. Commentari dell’ Ateneo di Brescia. Brescia. Commentationes - Pontificia Accademia Scientiarnm. Roma. Delpinoa. Nuova serie del Bollettino dell’ Orto Botanico della Università di Napoli. Napoli. Doriana. Supplemento agli Annali del Museo Civico di Storia Naturale «Giacomo Doria» Genova. Genova. Fragmenta Entomologica. Roma Memorie delia Società Entomologica Italiana. Genova. Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona. Verona. Memorie del Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina. Trento. Memorie e Note dell’ Istituto di Geologia applicata dell’ Università di Napoli m Napoli. Memorie e Rendiconti dell’ Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti di Aci¬ reale. Acireale. Nuovo Giornale Botanico Italiano (Nuova Serie). Firenze. Pubblicazioni della Stazione Zoologica di Napoli. Napoli. Redia. Giornale di Entomologia. Firenze. Rendiconti dell’ Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Parte Generale e Atti Ufficiali - Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche - Classe di Scienze Matematiche e Naturali - Milano. Rendiconto dell’ Accademia delle Scienze fisiche e Matematiche. Napoli. Rendiconto delle sessioni dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Classe di Se. Fisiche - Bologna. Rivista di Biologia Coloniale. Roma Studi Trentini di Scienze Naturali. Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina. Trento. PERIODICI STRANIERI Acta Agrobotanica. Polskie Towarzystwo Botaniczne - Varszawa. Acta Borealia. A. Scientia, Tromsò. Acta Botanica Fenilica. Società prò Fauna et Flora Fennica. Helsingfors. Acta Entomologica Fennica. Societas Fmtomologica Fennica. Helsinki. Acta Musei Macedonici Scientiarum Naturalium. Skopje. Acta Parasitologica Polonica. Polska Akademia Nauk. Warszawa. Acta Societatis Botanicorum Poloniae. Warszawa. Acta Societatis Entomologicae Cechoslovenicae. Praha. Acta Societatis Zoologicae Cechoslovenicae. Praha. Acta Zoologica Fennica. Societas prò Fauna et Flora Fennica. Helsingfors. Anales de la Escitela Nacional de Ciencias Biologicas. Mexico. Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Buenos Aires. Anales del Instiliito Botanico A. J. Cavanilles. (Anales del Jardin Botanico de Madrid). Madrid. Anales del Instituto de Biologia. Mexico. Anales del Instituto de Geologia. Univer^itad Nacional Autonoma de Mexico. Mexico. Anales del Museo Argentino de Ciencias Natnrales «Bernardino Rivadavìa». Buenos iVires. , Ammalia Fenilica. Helsinki. Annales Botanici Societatis Zoologicae Botamene Fennicae « Vannino». Hel¬ sinki. Annales de la Société Rogale Zoologiqne de Belgique. Louvain. Annales Entomologici Fenilici. Helsinki. Annales Musei Serbine Meridionalis. Skoplje. Annales Universitatis Marine Curie Sklodomska - Sectio C. Biologia. Lublin. Annales Zoologici Societatis Botanicae Fennicae « Valiamo ». Helsinki. Annals of thè Missouri Botanical Garden. S. Louis (U.S.A.) Annario da Sociedade Broteriana. Coimbra. Aquila. Annales Instituti Ornithologici Hungaria - Budapest. Archivimi i Societatis Zoologicae Botanicae Fennicae « Vannino ». Helsinki. Arkiv fór Botanik. Stockholm. Archili fòr Zoologi. Stockholm. Arxins de la Seccio’ de Ciències Institut d’ Estudis Catalans. Barcelona. Bericht der Oberheissischen Gesellschaft fiìr Natnr - and Heilkiuide zn Gies- sen. Giessen. Biological Bnlletin. Lancaster (U. S. A.). Biological Reviews of Cambridge Philosopliical Society, - Cambridge. University Press. Boletim da Sociedade Broteriana. Coimbra. Boletin de la Reai Sociedad Espanola de Historia Naturai. Actas. Boletin del Instituto di Geologia - Universidad Nacional Autonoma de Mexico. Mexico. Ballettili de la Société Zoologiqne de France. Paris. Ballettili de V Institut Royal des Sciences Natnrelles de Belgique. Bruxelles. Ballettili da Mnsénm National d’ Hi stoir e Natnrelle de Paris. Paris. Ballettili International de V Académie Tchèqne des Sciences. Prague. Bulletin of thè Agricnltnral Experiment Station University of Minnesota. Bnlletin of thè California Insect Sarvey. Los Angeles. Bnlletin of tlie Geological Institntion of thè University of Upsala. Upsala. Bnlletin of tlie Illinois Naturai History Sarvey. Urbana (111 - U.S.A) Bnlletin Volcanologiqne. Association de Volcanolog'ie de l’ Union géodesique „ et g'éophysique internationale. Napoli. Conspectns Florae Angolensis. Elaborado pelo Instituto Botanico de Coim¬ bra. Lisboa. Decheniana - Bonn. Endeavonr. Rivista trimestrale per segnalare il progresso delle scienze al servizio dell’ umanità. London. Entomologische Arbeiten aas dem Mnsenm G. Frey, Miinchen. Munchen. Entomotogisk Tidskrift , Stockhlolm. Fragmenta Floristica et Geobotanica. Kraków. Geological Sarvey Bulletin. Washington. Geological Sarvey Professional Papers. Washington. Geological Sarvey Water Sapply Papers. Washington. Illinois Biological Monographs. The University of Illinois Press, Urbana- XX Institiito Nacioncil de Investigación de las Ciencicis Natnrciles ij Museo Argen¬ tino de Ciencias Naturales « Bernardino Rivadcwia», Buenos Aires, Comunicaciones. Ciencias Botànicas, Ciencias Geologicas, Ciencias Zoológicas. Miscelanea. Publi cagione s de Extension Cultural g Didactica, Revista. Ciencias Botànicas. Ciencias Geologicas. Ciencias Zoológicas. Journal of thè Institute of Polytechnics - Osaka City University, Series B, Physics, Osaka. Journal of thè Institute of Polytechnics-Osaka City University. Series C. Che- mistry - Osaka. Journal of thè Marine Biological Association of tlie United Kingdom. Cam¬ bridge. Lloydia. Cincinnati (Ohio). Memoranda Societalis prò Fauna et Flora Fenilica. Helsingfors. Mémoires de la Société Zoologique T clic co stovaglie de Prague. Praha. Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fiir Steiermark. Graz. Monographiae Botanicae. Varszawa. Nova Acta Leopoldina. Halle/Saale - Leipzig. Proceedings of thè Boston Society of Naturai History. Boston. Proceedings of thè Nova Scotian Institute of Science-Halifax. Halifax. Proceedings of thè Rogai Pliysiographic Society at Lund. Lund. Proceedings of thè Sedioli of Sciences. Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Biological and Medicai Sciences, Amsterdam. Publicacoes do Instituto de Zoologia «Dr. Augusto Nobre» Faculdade de Cièncias do Porto - Porto. Publications de la Facullè des Sciences de V Universitè Masaryk. Praha - Roda Rozpravy. Ceskoslovenské Akademie Vèd - Praha. Senckenbergiana. Frankfurt a. M. Transadions of thè Academy of Science of Saint Louis. S. Louis. Transadions of thè Wisconsin Academy of Sciences , Arts and Letters. Madi¬ son, Wis. Travaux Biologiques de V Institut J.B. Carnoy. Louvain. Tropical Woods. Yale University, School of Forestry. New Ilaven (Conn). University of California Publications in Eiitomology. Berkeley and Los An¬ geles. University of California Publications in Zoòlogy. Berkeley and Los Angeles. INDICE ATTI (MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI) Mono marmo nt Zei M. — La microfauna delle argille pleistoceni- che di Gutrofiano (Lecce). (Con 1 tav. f. testo) . . pag. 3 Sinno R. — Sui carbonati basici di magnesio presenti al Vesuvio. (Con 1 tav. f. testo) . » 45 Parenzan P. — Scoperta di resti scheletrici dell’uomo preisto¬ rico in una grotta presso Marina di Camerota. . » 62 Moncharmont Zei M. — Sulla presenza del gen. Globotriuicana Cush. in una serie calcareo-marnosa a liste di selce pres¬ so Rodi Garganico (Foggia). (Con 1 tav. f. testo) . » 63 Lazzari A. e Moncharmont Zei M. — Sulla presenza dell’ oligoce¬ ne in località Porto Badisco, sul canale d’ Otranto, in provincia di Lecce. . . » 65 Parenzan P. — Contributo alla conoscenza delle elevazipni sot¬ tomarine del Golfo di Napoli. Costituzione bio-topo¬ grafica e biocenologia. . . . . . . » 68 Parenzan P. — Ricerche biologiche nell’ Italia Meridionale della Sez. Speleologica dell’I. R. B . . . » 96 Scherillo A. — La stratigrafia della zona Yomero-Arenella (Na¬ poli). (Con 3 fig. intere, e 2 tav. f. testo) . . . » 102 Sinno R. — Un cristallo di idocrasio del Vesuvio con un in¬ solito habitus cristallino . » 113 Moncharmont Zei M. — Sopra una nuova specie di Parastrophia del Quaternario della Punta delle Pietre Nere (Foggia). (Con 1 tav. f. testo) . » 118 Scherillo A. - Osservazioni stratigrafìche sul sottosuolo di via Roma (Napoli) . » 121 Merola A. — Andromonoicismo in Prunus caroliniana Ait. . » 123 De Stefani T. — Studi di stratigrafia siciliana: IV. Breve cenno sulla stratigrafia di Cervia e di Termini Imerese . » 126 Lazzari A. — Aspetti geologici dei fenomeni verificatisi nel Sa¬ lernitano in conseguenza del nubifragio del 25-26 ‘ot¬ tobre 1954. (Con 2 tavole f. testo) . » 131 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE Servazzi O. — Su di un interessante micromicete cavernicolo (. Parenzania Sybillae n. gen. n. sp.) (Con 1 tav. f. testo) pag. 1 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE, ELENCO DEI SOCI, ED ELENCO DEI PERIODICI IN CAMBIO • Pag. I . » VII » XVII Processi verbali delle tornate ordinarie . Elenco dei Soci . Elenco dei periodici . Direttore responsabile : Prof. Umberto Pierantoni Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli — I. IV, 1940 BOLLETTINO TìHiTiTiA SOCIETÀ II NATURALISTI IIV NAPOLI VOLUME LXIV. ■ 1955 (Pubblicato il 10 Marzo 1956) Tip. G- L)l HLASIO — Napoli — Via Ooatautinopoli. 104 Tpjef. 47044 "-v;v : ; INDICE ATTI (MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI) Merola A. — Sui rapporti tra eterocarpia, isocarpia, trimonoicismo e monoicismo nel genere Dimorphotheca. (Con 1 tav. f. testo) . pag. 1 Sarà M. — Note su Pericolila iindulata Tonn. e Pericolila Iiispa- nica Sarà (Dipt. Psychodidae) . » 20 La Greca M. — Su una malformazione delle forcipule di un Ghi- lopodo del gen. Scolopendra . » 23 I)e Stefani T. — Notizie preliminari sul rilevamento geologico del F,° 250, Bagheria . » 29 Lambertini D. e Scolza V. — Le acque delle falde sotterranee nella zona industriale sud-orientale della città di Napoli. » 41 Lazzari A. — Segnalazione di un livello di pomici in Grotta Ro¬ manelli, presso Castro (prov. di Lecce). (Con 1 tavola f. testo) . . » 83 Scherillo A. — Nuove osservazioni sulla stratigrafia della città di Napoli (via Roma, via Pessina, via S. Teresa degli Scalzi) . » 93 Sinno R. — Su alcuni pozzi profondi perforati alla base del Gauro (Campi Flegrei) . » 102 de Nisco B. — L’arenaria di Rocchetta S. Antonio (Avellino) (con 1 tav. f. testo) . » 104 de Nisco B. — Stratigrafia del Monte di Coroglio (Napoli) . . » 110 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE, ELENCO DEI SOCI, ED ELENCO DEI PERIODICI IN CAMBIO Processi verbali delle tornate ordinarie . . pag. I Elenco dei Soci . . » VI Elenco dei periodici . ...» IX ÌAY7 1956 BOLLETTINO VOLUME LXIV. - 1955 ( Pubblicato il 10 Marzo 1956) Tip. »S. DI B LAS IO — - Napoli — Via Costsatinopoii, 104 Telaf. 47044 INDICE ATTI (MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI) Mjsrola A. -- Sui rapporti tra eterocarpia, isocarpia, trimonoici srao e raonoicismo nel genere Dimorphotheca. (Con 1 tàv. f. testo) ..... . . . ... . pag. 1 Sa!r1 M. — Note su Pericolila imdulata Tonn. e Pericolila hispa- nica Sarà (Dipt. Psychodidae). . . . . . » 20 La Greca M. ~ Su una malformazione delle forcipule di un Clii- lopodo del gen. Scolopendra . . . . ... >23 De Stefani T. ; Notizie preliminari sul rilevamento geologico del F.° 250, Bagli eria. . . . . . . . » 29 Lambertini D. e Scolza V. — Le acque delle falde sotterranee nella zona industriale sud-orientale della città di Napoli. » 41 Lazzari A. — Segnalazione di un livello di pomici in Grotta Ro¬ manelli, presso Castro (prov. di Lecce). (Con 1 tavola f. testo) . . . . . . . ... . » 83 Scherillo A. — Nuove osservazioni sulla stratigrafia della città di Napoli (via Roma, via Pessina, via S. Teresa degli Scalzi) . . 93 Sinno R. — Su alcuni pozzi profondi perforati alla base del Gauro (Campi Flegrei). . . ... . . . . » 102 de Nisco B. — L? arenaria di Rocchetta S. Antonio (Avellino) (con 1 tav. f. testo) . ... . . . . » 104 de Nisco B. — Stratigrafia del Monte di Coroglio (Napoli) . . » 110 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINÀRIE, ELENCO DEI SOCI, ED ELENCO DEÌ PERIODICI IN CAMBIO Processi verbali delle tornate ordinarie . . . . pag. I Elenc® dei Soci ... . . . . . . . . > VI Elenco dei periodici . . , . ... . . > ■ IX Sui rapporti tra eterocarpia, isocarpia, trimonoicismo e monoicismo nel genere Dimorphotheca . Nota del Socio ALDO MEROLA (Tornata del 24 Giugno 1955) (Con tre figure nel testo ed una tavola f. testo) L’ eterocarpia è un fenomeno largamente rappresentato nelle angiosperme e del quale esistono numerosi esempi nella vecchia letteratura botanica. Particolarmente nota è l’eterocarpia delle composite (*) molto studiata in passato, e che ricevette allora sopratutto una interpre¬ tazione finalistica data la grande diffusione, in quell’ epoca, delia teleologia biologica. Prescindendo da tale punto di vista e partendo dal ben noto presupposto che nelle composite molto spesso i fiori di uno stesso capolino presentano una diversa condizione sessuale, ho voluto studiare i rapporti esistenti tra tale condizione e P ete¬ rocarpia nel genere Dimorphotheca. Il genere Dimorphotheca , com¬ preso nelle Calenduleae, è diffuso nel Sud Africa e conta oggi poco meno di una trentina di specie in buona parte descritte da De Can- dolle (2) e da Harvey(3). Solo poche specie sono state descritte in epoca più o meno recente da vari AA. Molte specie di questo genere presentano una netta eterocarpia poiché gli acheni prodotti dai fiori femminili del raggio si presentano di forma obconica mentre i frutti prodotti dai fiori ermafroditi del disco sono alati (v. fig. 1). Tale differenza è resa ancora più rimarchevole del fatto che tra i due tipi di acheni, molto differenti fra di loro, non si osservano forme intermedie come invece si verifica per il vicino genere Calendula la cui eterocarpia è stata a fondo studiata. Il nome generico di Dimorphotheca allude per 1’ appunto alla citata eterocarpia che nelPambito delle composite, forse raggiunge (x) Nicotra L. — Eterocarpia e eterospermia. Bull. Soc. Bot. Ital., 1898, p. 213. (2) De Candolle A. P. — Prodromus systematis naturalis Regai vegetabilis, VI, 1837, p. 70. (3) Hakvey W. H. e Sonde it O. W. — Fiora capensis, III, 1864-65, p. 417. 2 — proprio in questo genere una delle sue più alte espressioni. Tut¬ tavia pochi botanici vi si sono soffermati. A parte gli AA. che hanno descritto le specie, l’eterocarpia di Dimorphotlieca fu presa particolarmente in considerazione da Lundstròm (*) ed il suo lavoro, per quanto è a mia conoscenza, rimane ancora oggi il più esauriente sull’ argomento. Tuttavia questo A. non si soffermò a lungo sull’a¬ spetto che a me qui interessa prendendo egli in considerazione $ $ Fig. I. - Tipi di acheni prodotti dai fiori di Dimorphotlieca ; a: achenio obconico sviluppatosi da fiore femminile; b; achenio alato sviluppatosi da fiore ermafrodita maggiormente il significato biologico dei due tipi di acheni. Sul¬ l’argomento ritornò anche il Correns che studiò la Dimorphotheca pluvialis. Anche egli però, pur sottolineando la corrispondenza che sussisteva tra condizione sessuale del fiore e forma del frutto da esso prodotto, aveva uno scopo diverso dal mio e cioè lo studio delle caratteristiche presenti nelle piante sviluppatesi dai due tipi di acheni (2) ed il rapporto che sussiste tra forma del frutto e mo- (*) Lundstròm A. W. — Pflanzenbiologische Studien (Ueber verkleidete Frii- chte), II, 1877, p. 73. (2) Correns C. — Ein Vererbungversuch mit Dimorphotheca pluvialis. Ber. d. Deut. Bot. Ges, XXIV, 1906, p. 162, 3 dalità di germinazione (*). Gli altri AA. che citano il genere Di- morphotheca sono ancora più superficiali al riguardo di quanto a me interessa anche se quasi tutti ricordano, perchè non possono passarlo sotto silenzio, l’interessante fenomeno della eterocarpia. Negli scorsi anni sono riuscito a procurarmi da diversi Orti Botanici i frutti di sei specie di Dimorphotheca e cioè Dimorphotheca aurantiaca DC. » » calendulacea Harv. » » dentata DC. » n Ecklonis DC. » » pluvialis Moench. » sinuata DC. Passo quindi a descrivere quanto ho potuto osservare nei ca¬ polini di esse circa i rapporti che sussistono tra forma del frutto e condizione sessuale del fiore. E poiché sotto questo riguardo alcune delle specie citate si comportano allo stesso modo, onde evitare ripetizioni, le ho riunite in tre gruppi. Dimorphotheca aurantiaca , D. dentata , D. pluvialis , D. sinuata . I fiori periferici ligulati del raggio sono sempre femminili. In essi di solito 1’ androceo è completamente assente. Solo in D. sinuata ho rinvenuto talora dei ridottissimi filamenti privi però di ogni traccia di antera. I fiori tubulosi del disco presentano androceo e gineceo normalmente sviluppati. All’atto dell’antesi il tubo costi¬ tuito dalie antere saldate sporge notevolmente dalla corolla. Aprendo tale tubo si vede che lo stimma bifido, ma con i lobi stimmatici accollati, si trova a diversi livelli di esso a seconda del tempo tra¬ scorso dall’inizio dell’antesi. Terminata la espulsione del polline, i filamenti staminali si accorciano. Tale accorciamento interessa il fila¬ mento in tutta la sua lunghezza ad eccezione della parte più basale e della parte terminale più prossima all’antera. Di conseguenza il tubo anterico viene trasportato in basso fino a rientrare notevolmente nel tubo della corolla dalla quale esso quindi sporge di poco. Lo stimma e la parte più alta dello stilo vengono messi in tal modo allo sco¬ perto. Contemporaneamente si è avuto anche divaricamento dei lobi (*) Correns C. — D is Keirnen beiderlei Friìchte der Dimorphotheca pluvia¬ lis. Ber, d. Deut, Bot, Ges., XXIV, 1906, p, 173, — 4 stimmatici che sono ora atti a ricevere il polline. Insomma in questi fiori ermafroditi si è passati dalla fase maschile a quella femminile; essi sono, in altri termini, proterandri come del resto lo sono i loro omologhi di altre composite. FASE FASE ? DISTACCO COROLLA DODO vu qj * g 6 | 5 S I'5- •S o vs © ^ 5 < xnb )> caulescens Gar. » » Dregei DC. )> » fruticosa DC. )> » leptocarpa DC. )) » multihda DC. )> )> pianata Harv. » » Tragus DC. — 9 — Questa distribuzione in gruppi delle specie or ora ricordate necessita di un commento. Infatti 1’ esame di esso lascerebbe sup¬ porre la costanza di questi caratteri che potrebbero assumere, di conseguenza, anche valore sistematico. Ma non sempre è così poi¬ ché, anche se gli AA. non lo dichiarano esplicitamente, dalle loro descrizioni ed eventuali discordanze si rileva che deve sussistere una certa variabilità dei caratteri che ci interessano. Per la distri¬ buzione delle specie citate nei tre gruppi sopra istituiti io mi sono avvalso principalmente delle descrizioni di Harvey e Sonder essen¬ do questi gli AA. che mi davano maggiore affidamento dato che le loro osservazioni sono fatte molto spesso su materiale vivo ed ab¬ bondante. Per questo motivo io, seguendo dunque Harvey e Sonder, ho incluso la Dimorphotheca Tragus nel terzo gruppo mentre, stando a quanto si deduce da De Candolle, essa avrebbe dovuto far parte del primo gruppo. Però lo stesso De Candolle dice che la D. sca¬ bra. , caduta poi in sinonimia con D. Tragus , ha fiori del raggio fem¬ minili e fiori del disco maschili. Evidentemente deve esserci una variabilità della D. Tragus per cui questa, pur essendo più spesso isocarpa del tipo a fiorij^ e può talora essere eterocarpa per la presenza anche di fiori ermafroditi. Esattamente lo stesso si verifica per la Dimorphotheca chrysan- themifolia che, sia in base alla descrizione di Harvey e Sonder sia in base a quella di De Candolle, si deduce essere specie trimo¬ noica eterocarpa. Però De Candolle nel dare i caratteri della se¬ zione Arnoldia dice che i fiori del disco possono tutti indistinta¬ mente non portare acheni. E poiché nella sezione Arnoldia lo stesso De Candolle non include che la sola D. Chrysanthemifolia , e quindi i caratteri della sezione sopranominata si identificano con quelli della specie, deve dedursene che la detta D . Chrysanthemifolia può essere anche monoica isocarpa con fiori del raggio femminili e fiori del disco maschili. Anche in questo caso dunque pu ò esservi va¬ riabilità. Ma più interessante ancora appare quanto si riferisce alle due specie da me comprese nel secondo gruppo. Infatti questi casi non lasciano isolato F altro caso, da me precedentemente descritto per un ceppo di Dimorphotheca calendulacea , di isocarpia con frutti alati per funzionalità del sesso femminile nei soli fiori ermafroditi. La Dimorphotheca cuneata si deve comportare senz’ altro come specie andromonoica isocarpa a fiori sterili, ermafroditi e maschili. Nella descrizione di essa, infatti, Harvey pone un punto interrogativo — 10 — accanto ai caratteri degli acheni del raggio e nelle relative osser¬ vazioni dichiara « I have not seen any ripe achenes of thè ray » (1. cit. p. 422). A prima vista parrebbe doversi dedurre il contrario da De Candolle. Egli infatti incluse la D. cuneata nella sezione Ca- stalis insieme con D. sinuata e D. aurantiaca (due specie indubbia¬ mente eterocarpe per esperienza degli altri AA. nonché mia) e nel- 1’ elencare i caratteri di tale sezione dette anche le caratteristiche dell’ achenio del raggio. Però quando poi passa alla descrizione delia specie dichiara di aver visto un solo achenio alato ( « unieus in capitulo adest fructus orbiculatus, emarginatus . late alatus, 1. cit. p. 72). Dunque tanto Harvey che De Candolle han visto solo frutti alati - che noi oramai sappiamo esser, prodotti dai fiori ermafroditi. Ora dato che Harvey deve aver osservato diversi esem¬ plari di D. cuneata che dice molto frequente, è evidente che la mancanza di acheni del raggio debba essere attribuita a infunzio¬ nalità dei fiori del raggio e non a scarsezza di osservazioni. A proposito poi di Dimorphotheca nudicaulis, Harvey dice, sia nella chiave per la determinazione delle specie sia nella descrizione particolareggiata, che gli acheni sono frequentemente abortivi nei fiori del raggio. Ma avrebbe potuto ben dire « sempre » e non « fre¬ quentemente » dato che poi nella ossservazione aggiunge « in all my specimens thè ray achenes are abortive ». Tanto più che egli deve aver visto molto materiale essendo la specie, per sua stessa affer¬ mazione, abbastanza diffusa. De Candolle non è esplicito al riguardo ma nella descrizione parla solo di acheni prodotti dai fiori del disco e tace di quelli del raggio. Anche per D. nudicaulis dunque può dirsi che i soli fiori ermafroditi hanno il sesso femminile funzionale. Come dicevo, dunque, il caso da me descritto di un ceppo di D. calendulacea con soli frutti alati, non è unico. Tuttavia esso il¬ lustra un tipo di isocarpia che, in un certo senso, può dirsi nuovo per il genere Dimorphotheca in quanto gli AA. che ne han parlato per le due specie sopra menzionate. ( D . cuneata e D. nudicaulis), sebbene non lo dichiarino esplicitamente, sembrano attribuire la co¬ noscenza dei soli frutti alati a deficienza di materiale e di osser¬ vazioni; mentre in realtà noi abbiam visto precedentemente non essere questa la causa. Evidentemente ciò accadeva perchè gli AA. sopracitati, ed in particolare Harvey, erano abituati a riscontrare l’altro tipo di isocarpia (con soli frutti del raggio) molto più fre¬ quente. Da queste osservazioni e considerazioni e da quelle ancora precedenti possiamo concludere che anche in molte altre specie di Dimorphotheca , all’infuori di quelle studiate, si ha un tipo di ete- rocarpia, con produzione di frutti dai fiori femminili ed erma¬ froditi, e due tipi di isocarpia con produzione di frutti o dai soli fiori femminili o dai soli fiori ermafroditi. E se si pensa che le specie da me non prese in considerazione, e che del resto si ridu¬ cono a ben poche nei confronti delie molte esaminate, sono state escluse sol perchè non ho trovato indicazioni sufficienti nelle loro descrizioni, sembra lecito ammettere che i più volte ricordati rapporti esistenti tra eterocarpia, isocarpia, trimonoicismo e monoicismo, così come sono stati esposti, si possano riscontrare addirittura nell’ am¬ bito di tutto il genere Dimorphotheca. Di conseguenza noi possiamo estendere a tutto il genere Dimor¬ photheca le conclusioni tratte dall’esame delle sei specie avute in coltura e dire quindi che il quadro di cui alla fig. 3 rispecchia quanto si verifica nel genere Dimorphotheca. Aggiungeremo ancora che il tipo principale sembra essere quello trimonoico dal quale derivano sia l’uno che l’altro tipo monoico isocarpo. Di questi due tipi, poi, l’uno è più frequente e si è ben fissato in certe entità sistematiche mentre 1’ altro si è fissato solo in pochissime di esse e non manca di fare apparizioni saltuarie. Tuttavia il fenomeno in questione può presentare un certo grado di variabilità nell’ ambito di una stessa specie; ma è chiaro che esso ha una base genetica come è dimostrato dal fatto che tutto un gruppo di individui di Dimorphotheca calendulacea , specie normalmente trimonoica etero- carpa, era invece monoico isocarpo. Stabilito dunque che i frutti di tipo obconico si sviluppano dai fiori femminili ligulati mentre quelli di tipo alato si formano dalla evoluzione degli ovari dei fiori ermafroditi tubolosi potrebbe de¬ dursi, a prima vista, che la forma dei frutti dipenda dalia condi¬ zione sessuale e (o) dalla simmetria dei diversi fiori. Tanto più che Corti (1), ad esempio ha osservato che in Idesia polycarpa vi è differenza nella forma dei frutti a seconda che questi sono prodotti da fiori femminili originariamente o da fiori divenuti femminili in seguito a cambiamento di sesso di fiori originariamente maschili. (x) Corti R. — - Sul dioicismo di Idesia polycarpa. N. Giorn. Bot. It., n. s. LV, 1948, p. 436. — 12 — La stessa differenza osservai io stesso in Peumus Boldus (d) tra i frutti prodotti da fiori femminili e quelli prodotti da fiori erma¬ froditi. Tuttavia ad un esame più accurato mi è parso che la costante associazione di un determinato tipo di fiore (sia per quanto riguarda la simmetria sia per quanto concerne la condizione sessuale) con un determinato tipo di frutto più che essere T espressione di un mutuo rapporto di dipendenza (nell’uno o nell’altro senso), stia ad indicare in realtà che l’una e l’altra condizione siano determinate dallo stesso fattore. Noi abbiamo visto precedentemente che nelle specie trimonoi¬ che di Dimorphotheca si passa, procedendo da Ila periferia versoil centro del capolino, dai fiori femminili a quelli ermafroditi e quindi a quelli funzionalmente maschili situati al centro del disco. C’è in altri termini un gradiente sessuale che subisce un brusco e netto viraggio nel passaggio dai fiori femminili a quelli ermafroditi. Pa¬ rallelamente a questo repentino viraggio del gradiente sessuale si hanno bruschi viraggi concernenti la simmetria dei fiori che, tipi¬ camente ligulati in corrispondenza del raggio, sono altrettanto tipi¬ camente actinomorfi sin nella parte più esterna del disco. Lo stesso si dica dei frutti che nettamente obconici in corrispondenza del raggio si mostrano nettamente alati nella parte più esterna del disco. Come si vede dunque il gradiente che concerne il sesso, quello che riguarda la simmetria del fiore e quello relativo alla forma del frutto procedono di pari passo. E se dal nostro caso passiamo a conside¬ rare altre composite, parimenti riconosceremo V esistenza di gra¬ dienti. In Erigeron alpinus per esempio, Uexùll-Gyllenband (2) ha dimostrato che i fiori periferici dei raggio manifestamente ligulati e femminili trapassano per gradi ai fiori actinomorfi ed ermafroditi del disco. Infatti nei fiori più esterni del disco si osserva che man mano che ci si sposta verso la periferia i fiori actinomorfi accen¬ nano sempre più palesemente a sviluppare una ligula che si con¬ creterà in pieno solo nei fiori del raggio. Lo stesso si dica del- l’androceo che nei fiori periferici del disco tende sempre più a ri¬ dursi sino a scomparire del tutto o quasi nei fiori del raggio. Dun¬ que in questo caso in cui il gradiente di simmetria del fiore su- (*) (*) Merola A. — Ermafroditismo di un individuo di Peumus Boldus Molina e poligamia della specie. Delpinoa (n. s. del Bull. Ist. ed Orto Bot. univer. Na¬ poli), IV, 1951. p. 137. (2) Uexkull-Gyllenband M. — Phylogenie der Blutenformen und der Ges- chlechterverteilung bei den Compositoi. Bibl. Botanica, LII, 1901, pp. 80. 13 — bisce dei graduali e lenti viraggi, anche i viraggi dei gradiente ses¬ suale sono lenti; e reciprocamente. Lo stesso si verifica per altre composite, come si rileva da un vecchio ma minuzioso lavoro di Hildebrand (4). Ma tale sincronia di gradienti non si riscontra sempre. Nel genere Calendula , anch’esso noto per la eterocarpia, come è detto da più AA. ed in particolare da Lundstròm (2), Bèguinot (y) e Lanza (4), si osserva che il capolino porta fiori femminili ligulati alla periferia, ma disposti in più serie, e fiori actinomorfi e fun¬ zionalmente maschili (morfologicamente ermafroditi) al centro. Or¬ bene in questo caso si verifica che gli acheni, pur essendo prodotti sempre e solo da fiori femminili ligulati, sono di forma differente a seconda delia loro maggiore o minore perifericità. Costituisce questo fatto una bella conferma della indipendenza esistente tra condizione sessuale e simmetria del fiore, da una parte, e forma del frutto dall’altra. In altre composite ancora si verifica che, sussistendo o non un rapporto costante tra forma del frutto e simmetria del fiore, non vi è un rapporto costante tra questi due caratteri e la condizione ses¬ suale del fiore. Anche in questi casi però si constata che, se c’ è differenza per uno o più dei tre citati caratteri tra i fiori della pe¬ riferia e quelli del centro del capolino, le modificazioni si realiz¬ zano, procedendo nella direzione del raggio, o per bruschi viraggi o lentamente ma sempre per gradi vale a dire secondo un gradiente. In conclusione possiamo affermare che sempre la simmetria del fiore, la condizione sessuale dello stesso e la forma del frutto, se subiscono delle variazioni nell’ambito di uno stesso capolino, pro¬ cedono secondo altrettanti gradienti. Solo che mentre in alcuni casi questi tre gradienti procedono di conserva, in altri casi possono rendersi indipendenti: per esempio mentre nelle Dimorphotheca tri¬ monoiche al cambiamento di simmetria del fiore corrisponde un cambiamento della condizione sessuale dello stesso ed una modifi- (*) (*) Htldebrand F. — Uber Geschlechtsverhaltnisse bei den Kompositen. Nov Acta Acad. Caes. Leop. Carol., XXXV, 1870. (2) Op. cit. (3) Bèguinot A. — Eterocarpia e polimorfismo nella Calendula arvensis. Atti R. Ist. Veneto, IV, 1894, p. 1839. (4) Lanza D. — Monografia del genere Calendula. Atti R. Acc. Se., Lett. e belle Arti di Palermo, XI, 1919 (estratto di pp. 166). — 14 — cazione di forma del frutto, in Calendula si .hanno modificazioni di forma del frutto pur nell’ ambito di fiori aventi ancora la stessa simmetria e lo stesso sesso (ma variamente situati nel capolino). In realtà a me pare che i tre gradienti più volte menzionati siano l’e¬ spressione di un unico gradiente che va dàlia periferia al centro del capolino, e che perciò chiameremo gradiente radiale (ovviamente modificazione di un gradiente longitudinale, tenuto conto della con¬ trazione subita da quella particolare infiorescenza che è il capolino). Per i casi in cui i tre gradienti procedono di conserva, e sono i più, l’accettazione di siffatta tesi è pacifica. Ma non altrettanto può dirsi, almeno a prima vista, in quei casi in cui tale corrispondenza non si verifica. Tuttavia non mi sembra troppo arzigogolato il pensare che quando sussistono degli scarti tra l’uno e l’altro gradiente, cioè quando per esempio si verifica un cambiamento di forma del frutto, pur non essendoci ancora cambiamento di simmetria del fiore, l’in¬ terpretazione data conservi la sua verosimiglianza sol che si chia¬ mino in causa peculiarità specifiche. Intendo dire, in altri termini, che, pur essendo unico il gradiente radiale, la reattività degli abbozzi fiorali varia, per i diversi caratteri in questione ed a parità di livello di gradiente, a seconda della specie. Così ad un certo livello del gradiente radiale di un giovane capolino gli abbozzi fiorali di alcune specie reagiscono modificando la simmetria, la condizione sessuale e la forma dell’ovario infero (dal quale si svilupperà il frutto ete- rocarpo) mentre in altre specie, a mo’ d’esempio, allo stesso livello l’abbozzo fiorale modificherà solo la simmetria e soltanto a livelli successivi anche il sesso e la forma dell’ ovario infero. Non altri¬ menti a caratteristiche specifiche è dovuto il fatto che, lungo il gra¬ diente, i viraggi si realizzano ora lentamente e con continuità ora discontinuamente ed a scatti, ma sempre progressivamente, quasi vi fossero delle soglie. Dunque, ritornando alla eterocarpia di Dimorphotheca , la dif¬ ferente forma degli acheni sviluppatisi dai fiori del raggio oppure dai fiori del disco potrebbe mettersi in rapporto con la posizione occupata dai fiori stessi sul capolino e non con il diverso sesso di detti fiori avendo in comune questi due caratteri niente altro che la causa : il gradiente radiale. Ora esistono dei casi, anche al di fuori delle composite, che possono appoggiare questa mia tesi. Infatti casi di eterocarpia in una stessa infiorescenza sono ricordati qua e là nelle diverse famiglie; sempre si constata che in tali circostanze i frutti di due o più forme differenti non sono sparsi a caso neH’in- — 15 fiorescenza bensì secondo un gradiente, secondo una successione ben definita, procedendo dalla base verso la sommità o dalla periferia al centro a seconda che si tratti di infiorescenze allungate o più o meno contratte. Insomma anche in questi casi nei quali quasi sem¬ pre si ha soltanto un gradiente eterocarpico ed assenza di un mani¬ festo gradiente sessuale, si verifica che la diversa forma dei frutti è da mettersi in relazione con la posizione che i singoli fiori oc¬ cupano suH’infiorescenza. Così accade in certe crueifere che presen¬ tano contrazione della parte distale della infiorescenza con conse¬ guente tendenza al passaggio del loro gradiente da longitudinale a radiale. Per esempio dalle osservazioni di De Coincy (*) si deduce che alcune specie di Aethionema presentano una eterocarpia alla quale si aggiunge una spiccata eterospermia morfologica nettamente ordinata secondo un gradiente. Ancora più manifestamente ordinata secondo un gradiente radiale è la eterocarpia che talora si osserva in alcune ombrellifere la cui contrazione dell’ infiorescenza è ben nota. Per esempio in Torilis nodosa , come è accennato da taluni AA. e come è ampiamente detto da Delpino (2), insieme con una ulteriore contrazione deH’ombrella composta nei confronti delle altre ombrel¬ lifere, si ha anche una eterocarpia in conseguenza della quale i dia¬ cheni prodotti dai fiori situati alla periferia dell’infiorescenza com¬ posta sono diversi dai diacheni formatisi al centro di tale infiore¬ scenza. Volutamente ho scelto come esempi di infiorescenze eterocarpe due casi tra le crueifere e le ombrellifere. Tnfatti in queste due famiglie spesso si verifica che rispettivamente i corimbi contratti e le ombrelle presentano fiori periferici zigomorfi per maggiore svi¬ luppo dei petali esterni. In altri termini si osserva in esse qualcosa di analogo a quanto accade, molto più accentuatamente, nelle com¬ posite e in particolare nelle composite radiate. Ora se per le om¬ brellifere esiste spesso anche un gradiente sessuale radiale più o meno manifesto, non altrettanto può dirsi delle crueifere nelle quali, all’opposto, quando c’è eterocarpia c’è solo un gradiente eterocarpo. E che sia la posizione la causa prima della eterocarpia ci è ancora meglio confermato dalla eteromericarpia che nella sopra ricordata (*) De Coincy M. A. — Hétérospermie de certains Aethionema hétérocarpes Journ. de Botanique, IX, 1895, p. 415. (2) Delpino F. — Eterocarpia ed eteromericarpia nelle angiosperme. Meni. R. Acc. Se. Istituto di Bologna, ser. Y, IV, 1894 (estratto di pp. 44), 16 — Torilis nodosa si accompagna alla eterocarpia. In questa specie per l’appunto si constata che ciascun diachenio prodotto dai fiori peri¬ ferici si presenta eteromericarpo poiché il mericarpo rivolto verso l’esterno è diverso dal mericarpo rivolto . verso l’interno (i diacheni sono orientati in modo che il loro diametro longitudinale coincide con i raggi dell’infiorescenza). Dunque è in conseguenza della po¬ sizione che i due mericarpi di uno stesso diachenio assumono forme differenti. E come la eteromericarpia in piccolo spazio, così anche la eterocarpia in più grande spazio è una conseguenza della posi¬ zione. La disquisizione fatta conferma dunque che nelle Dimorphotheca i frutti sono di forma differente non perchè prodotti da fiori con diversa condizione sessuale, gli uni femminili e gli altri ermafroditi, (come potrebbe far pensare il costante rapporto esistente tra condi¬ zione sessuale del fiore e forma del frutto da esso prodotto) ma perchè sviluppatisi in punti diversi del capolino. E, come la forma del frutto, così anche la condizione sessuale nonché la simmetria del fiore ripetono una origine comune perchè soggiacciono allo stesso gradiente radiale. Circa la natura di questo gradiente poi non è agevole fare delle precisazioni e neanche delle congetture poiché il problema a questo punto si identifica, o per lo meno si allaccia, con un problema di portata molto più generale e che riguarda tutti i casi in cui si ma¬ nifesta quello che Negodi (l) chiamò « effetto di posizione ». Co¬ munque è chiaro che il fenomeno in questione è, nella sua causa più immediata, eminentemente fisiologico e molto probabilmente è in relazione con la distribuzione di qualcuna di quelle tanto studiate sostanze di tipo ormonico che, esercitando la loro azione su di un apice vegetativo, rivestono grande importanza nella ontogenesi ve¬ getale. CONCLUSIONI E RIASSUNTO Le osservazioni e le relative interpretazioni precedentemente riportate permettono di trarre alcune conclusioni interessanti. Nel genere Dimorphotheca i fiori sono O e cj* • I fiori maschili morfologicamente, sono ermafroditi ma funzionalmente sono C) Negodi G. — L’ « effetto di posizione » nell’ architettura jioralef nell’ ani- sofillia e sue cause. Rivista di biologia, XXXV. 1943, p. 1. — 17 — unisessuali perchè in essi non si realizza l’ultimo gradino necessa¬ rio al funzionamento del sesso femminile. In essi infatti, dopo l’an- tesi, alla fase maschile non segue la fase femminile con palesamento e divaricamento dello stimma, come accade invece per i fiori funzio¬ nalmente ermafroditi i quali sono proterandri. I fiori con diversa condizione sessuale si possono trovare va¬ riamente associati nei capolini delle diverse specie e solo quando c’è trimonoicismo sussiste eterocarpia, laddove il monoicismo si accompagna sempre ad isocarpia. Infatti l’esame delle sei specie di Dimorphotheca studiate ha permesso di dividerle in tre gruppi : un primo gruppo ( D . aurantiaca , D. dentata , D. pluvialis e D. sinuata) trimonoico (con fiori periferici ligulati femminili e fiori tubulosi del disco esternamente ermafroditi ed al centro maschili) ed ete- rocarpo con acheni di tipo alato ed obconico; un secondo gruppo ( D . calendulacea) che normalmente è trimonoico come il primo gruppo ma dal quale in coltura si è isolato un ceppo andromonoico (con fiori periferici ligulati sterili e fiori tubulosi del disco ester¬ namente ermafroditi e nel centro maschili) ed isocarpo con acheni di solo tipo alato; infine un terzo gruppo ( D . Ecklonis) strettamente monoico (con fiori periferici ligulati femminili e fiori tubulosi del disco tutti maschili) ed isocarpo con acheni di solo tipo obconico. L’esperienza acquistata direttamente su tali sei specie consente di dedurre, su base bibliografica, che addirittura quasi tutte le spe¬ cie del genere in questione sono inseribili, in uno dei tre gruppi precedentemente ricordati. Trimonoicismo ed eterocarpia, monoicismo ed isocarpia in ge¬ nere sono attribuiti specifici costanti ma in qualche caso, nell’am¬ bito di una stessa specie, può aversi il passaggio dall’una all’altra condizione donde la relatività dell’uso di questi caratteri per fini sistematici. Tale variabilità riposa su basi genetiche come è dimo¬ strato dal fatto che da una specie trimonoica eterocarpa si è isolato un ceppo monoico isocarpo. Filogeneticamente il trimonoicismo eterocarpo sembra rappre¬ sentare la condizione primitiva dalla quale sono derivati e derivano i due tipi di monoicismo isocarpo. Si potrebbe pensare che la forma del frutto dipenda dalla con¬ dizione sessuale realizzata nei diversi fiori dei singoli capolini stando alla constatazione che i fiori femminili producono acheni di tipo obconico mentre i fiori ermafroditi danno acheni di tipo alato; il che si rileva ancora meglio dal fatto che se i fiori erma- — 18 — froditi e i fiori femminili non si trovano associati ma ripartiti in specie differenti, queste ultime sono isocarpe e portano rispettiva¬ mente o acheni alati o acheni obconici. Ma tale costante associa¬ zione tra forma del frutto e condizione sessuale del fiore non sta ad indicare reciproci rapporti di dipendenza e di derivazione dell’un carattere dall’altro. Piuttosto, essendo questi caratteri — unitamente alla simmetria del fiore — distribuiti sul capolino secondo un ordine ben definito procedendo dalla periferia al centro, sembra più vero¬ simile pensare ad una causa comune: la posizione che il fiore oc¬ cupa sul capolino. In altri termini alla base del fenomeno vi sarebbe un gradiente radiale, espressione della distribuzione di una qual¬ che sostanza di tipo ormonico; ed allora il brusco viraggio di un carattere dall’una all’altra condizione — p. esempio dai fiori netta¬ mente femminili del raggio a quelli nettamente ermafroditi della periferia del disco e, quindi, a quelli maschili del centro del disco — troverebbe la sua spiegazione nella esistenza di soglie. Una tale tesi è convalidata da quanto si verifica sia in altre composite a viraggi molto più lenti e graduali sia da quanto si constata nelle infiore¬ scenze di alcune crucifere ed ombrellifere eterocarpe ed eterome- ricarpe. Boll. Soc. Natur. Napoli - Voi. LXIV (1955) Tav. I. Merola A. — Sui rapporti tra eterocarpia, isocarpia, ecc. * « \T ~ " I a k ^ (WS . C\m ? ^Kf&> vi*» •%#/ Acheni di Dimorphotheca pluvialis (spe¬ cie eterocarpa con fiori femminili, erma¬ froditi e maschili). Acheni di Dimorphotheca sinuata (specie eterocarpa con fiori femminili, ermafroditi e maschili). m ,‘T f> ifSit A » X f V 4 1 • 115:# Acheni di Dimorphotheca dentata (spe¬ cie eterocarpa con fiori femminili, ermafro¬ diti e maschili). Acheni di Dimorphotheca aurantiaca (specie eterocarpa con fiori femminili erma¬ froditi e maschili). ì % : Acheni di Dimorphoteca calendulacea (ceppo isocarpo con fiori sterili, ermafro¬ diti e maschili). i rJ i Acheni di Dimorphoteca Ecklonis (specie isocarpa con fiori femminili e maschili). — 19 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Figg. 1-2-3- 4. — Acheni di D. pluvialis , D. sinuata, D. dentata e di D. auran- tiaca. Notare che in queste quattro specie, che sono trimonoiche perchè i fiori maschili si trovano associati ai fiori femminili ed ermafroditi, gli acheni sono di tipo alato e di tipo obconico (eterocarpia; v. fig. 3 del testo, schema A). Fig. 5. — Acheni del ceppo monoico di D. calendulacea caratterizzato dalla ste¬ rilità dei fiori del raggio e dalla presenza, nel disco, di fiori ermafroditi e maschili. Sussiste isocarpia con produzione di acheni del solo tipo alato (v. fig. 3 del testo, schema B). Fig. 6 — Acheni di D. Ecklonis . Questa specie è monoica perchè presenta i fiori del disco tutti maschili accanto a quelli del raggio femminili; conseguen¬ temente c’ è isocarpia con produzione di acheni di solo tipo obconico (v. fig. 3 del testo, schema C). Tutte le fotografie sono in grandezza naturale. Note su Pericoma undulata Tonn. e Pericoma hispanica Sarà (Dipt. Psychodidae). Nota del socio MICHELE SARÀ (Tornata del 25 marzo 1955) Grazie aH’interessamento del Dott. A. Collart, che sentitamente ringrazio, mi è stato possibile venire in possesso di materiale tipico di Pericoma undulata Tonnoir, conservato nell’Istituto Reale di Scienze Naturali del Belgio. Ho potuto così eseguire il confronto con Pericoma hispanica Sarà, da me (*) considerata distinta soprat¬ tutto in considerazione della località di rinvenimento. La descrizione originale (1 2) di undulata è molto lacunosa salvo che per i caratteri di vestitura. Il confronto delle forcipule e dei palpi e un esame più dettagliato dell’ala permette di affermare con mag¬ giore sicurezza la diversità specifica fra 1’esemplare spagnolo e quelli belgi. Forcipule — Le forcipule di undulata (fìg. 1, D) presentano un coxite la cui lunghezza supera solo di poco la larghezza, laddove in hispanica (fig. 1,E) il coxite è quasi due volte più lungo che largo. Lo stile in undulata presenta rispetto ad hispanica un becco meno ricurvo e un’incisura del terzo basale esterno meno marcata. Palpi — La formula palpale è notevolmente diversa nelle due specie; in undulata : (fig. 1, F) 9, 17, 13, 12, in hispanica: (fig. 1, G) 10, 15, 13, 16. Si nota soprattutto il diverso sviluppo del quarto articolo. Cercopodi — I cercopodi presentano sette retinacoli (più lunghi i prossimali, più corti i distali) in entrambe le specie. Ciò vale a rettifica di quanto già detto a proposito di hispanica , dove a causa della caduta di alcune setole avevo osservato solo cinque retinacoli. (1) Sarà M. - 1954 - Specie nuove di Pericoma dall’Europa (Dipt. Psycho¬ didae). Ann. Ist. Museo Zool. Univ. Napoli, Voi. VI, N. 10, p. 1. (2) Tonnoir A. L. - 1919 - Contribution à l’étude des Psychodidae de Bel- gique (Note preliminare). Ann. Soc. Ent. Belg., Voi. 59, p. 8. — 21 — Ala — L’ala del 3* di undulata (fig. 1, A) presenta la forca m2 a/ m2h nella posizione caratteristica per Pericoma incurva Feuerborn e non sulla congiungente la forca 7*3/r„ con 1’ estremità di a come in hispanica (fig, 1, B). L’origine di r3-f-3 è, come in incurva , più ravvicinata all’apice della cellula basale anteriore che in hispanica , dove il limite di questa cellula non è ben definito. Unica differenza con incurva si ha nella molto minore sinuosità del margine poste¬ riore dell’ala. Fig. 1 — Pericóma undulata Tonn. - A : 3*, ala ; C : 2? ala ; D : 3*, forcipule; F: 3*, palpo. Pericoma hispanica Sarà - B: 3*, ala; E: 3*, forcipule ; G: <3* palpo. L’ala della £ di undulata (fig. 1, C), sprovvista della caratteri¬ stica insenatura della costale anteriore, ha la forca m2a/m2b spostata un poco più distalmente che nel <3* e pertanto quasi sulla congiun¬ gente la forca r2/r3 con l’estremità di a. Le altre caratteristiche sono come nel 3*, compresa la leggera sinuosità della costale posteriore. Le dimensioni degli esemplari di undulata della collez. Ton- NOIR esaminati, provenienti entrambi dal Belgio sono (ala): 3*, mm. 3,31 X 1,47; mm. 2,86 X 1,28. 22 ■— Le specie note di Pericoma caratterizzate nel dalla presenza di un’insenatura del bordo costale anteriore dell’ala non accompa¬ gnata da tasca alare (genere Colpopteryx di Enderlein) sono per¬ tanto: P. undulata Tonn. del Belgio, P. liispanica Sarà della Spagna e P. incurva Feuerborn della Germania. Di P. incurva Feuerborn (i) non ha dato alcuna diagnosi ma solo qualche cenno descrittivo e una figura dell’ ala. Sulla base di questa figura si osserva che l’unica differenza sensibile con undu¬ lata è nella sinuosità della costale posteriore, mentre differisce da hispanica anche per alcuni altri dettagli di nervulazione. Manca so¬ prattutto lo studio dei genitalia maschili per avere una maggiore sicurezza sul suo valore di entità specifica distinta da undulata , così come può ritenersi nei confronti di hispanica anche dal semplice esame dell’ala. Napoli, Istituto di Zoologia deirUniversità, Marzo 1955 (*) (*) Feuerborn, H. L. - 1922 - Der sexuelle Reizapparat (Sckmuch-, Duft- und Ber uhrungsor gatte) der Psychodiden. Arch. f. Naturgesch., 1922, A. 4, p. 1. Su una malformazione delle forcipule di un Chilopodo del gen. Scolopendra. Nota del socio MARCELLO LA GRECA (Tornata del 24 giugno 1955) In letteratura sono praticamente inesistenti notizie sulla tera¬ tologia dei Miriapodi e ritengo quindi di un certo interesse descri¬ vere una malformazione da me riscontrata in un esemplare di Sco¬ lopendra sp. esistente nelle collezioni dell’ Istituto di Zoologia del¬ l’Università di Napoli. L’esemplare presenta il lato di sinistra del primo segmento del tronco e la forcipula di sinistra del tutto nor¬ mali mentre il lato destro del segmento e sopratutto la forcipula di destra sono alquanto aberranti. Le forcipule, nei Chilopodi, sono costituite dai telopoditi delle appendici del primo somite del tronco, mentre i due basipoditi corrispondenti si fondono completamente con lo sternite di questo primo segmento per costituire il coxosterno. Questo, nell’ individuo teratologico, si presenta come un ampio sclerite piano, ventrale, posto fra il capo e lo sterno del secondo segmento ; visto ventral¬ mente, il coxosterno appare di forma grossolanamente pentagonale con un lato anteriore, situato posteriormente alla bocca, due lati antero-laterali sui quali si articolano i telopoditi e due lati postero¬ laterali confluenti sulla linea medio ventrale, contro lo sternite del secondo segmento. Anteriormente, quest’ ampia lamina ventrale siri- piega su sè stessa dorsalmente per un certo tratto fino a giungere all’articolazione con il capo. Naturalmente, questa porzione dorsale del coxosterno, da entrambi i iati, si insinua fra il capo e il telo- podite, che alla sua base viene quindi ad essere praticamente del tutto circondato dal coxosterno. Il tergile del primo segmento è fortemente ridotto ed inter¬ rotto medio-dorsalmente : esso è quindi rappresentato da due scle¬ riti laterali a ferro di cavallo, con una branca diretta dorsalmente ed un’ altra diretta ventralmente. In un esemplare normale, e quindi nel lato sinistro dell’individuo da me esaminato, la branca dorsale è discretamente sviluppata ed è situata fra gli angoli postero-laterali del 2° tergite ; la branca ventrale si insinua, assottigliandosi, fra la 24 — regione coxo-pleurale del 2° segmento ed il coxosterno del primo segmento. Il telopodite normale, vale a dire la forcipula di sinistra, pre¬ senta un grosso segmento basale, il trocanteroprefemore, il cui lato Fig. 1 — Estremità anteriore di un esemplare anomalo di Scolopendra sp., visto dorsalmente. PF , prefemore ; TR , trocanteie; TGV tergite del 1° somite del tronco. mediale è fornito di un robusto processo grossolanamente conico; i due successivi segmenti, femore e tibia, sono piccoli, incompleti, foggiati a semianello con la concavità rivolta lateralmente ; in tal modo l’ultimo segmento, il tarsungulum, che è grande, conico, di¬ sposto trasversalmente all’ asse dell’ appendice ed incurvato ad ar¬ tiglio, nella porzione laterale del suo margine basale non è sepa¬ rato dal trocanteroprefemore e si articola direttamente con esso. Il tarsungulum presenta, presso la sua base, e in corrispondenza del lato mediale, un evidente cercine che simula un abbozzo di segmento analogo alla precedente tibia; mentre la metà basale — 25 — del tarsungulum è di colore ocraceo come tutto il resto della for- cipula, la sua metà distale, fortemente sclerotizzata, è di color nero. Di particolare interesse è l’articolazione del telopodite sul co- xosterno che, come ho già descritto, costituisce ventralmente e dor- Fig. 2 — Estremità anteriore di un esemplare anomalo di Scolopendra sp/ visto ventralmente. CS, coxosterno ; FE, femore ; PF. prefemore ; ST, sternite del 2° somite del tronco ; Tv telopodite abortivo ; T2, telopodite supplementare ; TGV tergite dal 1° somite del tronco ; TI, tibia ; TP, trocanteroprefemore ; TU, tarsungulum ; Z, 1° paio di zampe. salmente la base d’impianto del telopodite stesso: il movimento del telopodite è realizzato grazie a due punti di articolazione fra trocan¬ teroprefemore e coxosterno, situati presso la superficie laterale di questi segmenti, uno dorsalmente e l’ altro ventralmente. Quanto ho finora descritto si riferisce al lato sinistro della Sco¬ lopendra, e cioè al lato non anomalo. Il coxosterno, dal lato de¬ stro, non presenta che qualche irregolarità di conformazione presso il punto in cui si dovrebbe trovare l’ articolazione ventrale con il Bollettino Società Naturalisti — 26 — ■ telopodite; viceversa lo sclerite tergale di destra di questo primo segmento del tronco, pur essendo normalmente costituito, presenta la branca dorsale notevolmente meno sviluppata che non la corri¬ spondente dell’altro lato (fig. 1). La cavità articolare del coxosterno ove dovrebbe essere impian¬ tato il telopodite, è regolarmente conformata e porta in posizione normale un tozzo moncone rappresentante un trocanteroprefemore abortivo e lateralmente ad esso, in posizione eterotopica, un’appen¬ dice completa ma più piccola e diversamente costituità da una nor¬ male forcipula: si tratta quindi di una schistomelìa binaria etoro- dinama combinata con atrofia del telopodite normale e ipermelia del telopodite supplementare (fig. 2). Il tozzo moncone mediale, che rappresenta il trocanteroprefe¬ more del telopodite dell’appendice normale, ha una base meno larga del corrispondente segmento dell’altro lato, per cui la cavità articolare del coxosterno è libera in gran parte nel suo tratto più mediale ; esso è arrotondato e scavato a doccia apicalmente e manca dei processo conico mediale; la sua cuticola appare integra, senza alcuna traccia di interruzione. L’appendice in posizione eterotopica consta di 5 segmenti di¬ stinti anziché di 4, come abbiamo visto essere la condizione nor¬ male del telopodite delle appendici di questo primo segmento del tronco: dei 5 segmenti, i 3 distali corrispondono al tarsungulum, tibia e femore dell’appendice normale, mentre i due basali corri¬ spondono nel loro insieme al trocanteroprefemore ; quindi si può concludere che in questa appendice anomala del primo segmento del tronco il trocantere ed il prefemore si conservano distinti come in una qualsiasi appendice dei successivi segmenti del tronco. Il trocantere è breve, in parte non ben sclerificato, di forma anulare e, mentre dorsalmente contrae rapporti con il breve tratto del co¬ xosterno che abbiamo visto essere ripiegato dorsalmente, dal lato ventrale è separato dal tozzo moncone mediale mediante una ri¬ stretta area semimembranosa. Particolarmente interessante è il de¬ stino delle due articolazioni del complesso trocantero-prefemore con il coxosterno : quella dorsale è presente soltanto sul moncone mediale, che manca di qualsiasi accenno di quella ventrale, e vi¬ ceversa l’ articolazione ventrale si riscontra soltanto sul trocantere dell’ appendice anomala laterale, che a sua volta è privo dell’arti¬ colazione dorsale. Il prefemore dell’appendice eterotopica è un seg¬ mento ben sviluppato ma, contrariamente a quanto si riscontra in — 27 — una forcipula normale, il suo margine mediale è soltanto un poco più breve di quello laterale e non presenta che un tenue abbozzo del processo conico apicale. Femore e tibia sono ben costituiti, ma anche in questa appendice anomala sono incompleti lateralmente in modo che tarsungulum e prefemore possono venire in contatto in questa regione, come è caratteristico della forcipula degli Scolopen- dromorfi. Il tarsungulum, che è spezzato all’apice, è alquanto di¬ verso dal normale; esso non è disposto trasversalmente a causa del notevole sviluppo che assume, dal lato mediale, il suo cercine ba¬ sale, il quale è grosso, fortemente gibboso e fornito di un processo spinoso centrale. Purtroppo la lunghissima permanenza dell’esemplare in alcool a bassa concentrazione aveva causato la macerazione dei muscoli e mi è stato quindi impossibile effettuare l’ esame della muscolatura dell’appendice anomala. Penso che tale anomalia sia da attribuire a rigenerazione ete- rotipica in conseguenza di una lesione che ha provocato 1’ aspor¬ tazione di quasi tutta la forcipula di destra : è probabile che il trauma sia occorso prima delFultima o della penultima muta. Notizie preliminari sul rilevamento geologico del F.° 250, Bagheria. Nota del socio TEODOSIO DE STEFANI (Tornata del 30 febbraio 1955) Da circa due anni ho ultimato il rilevamento geologico del f.° 250, Bagheria, della Carta Topografica d’Italia dell’I. G. M., ma per diversi motivi ne è stata ritardata la pubblicazione. Tale foglio presenta limitato sviluppo areale ed è rappresentato da 4 tavolette, e precisamente : 1) Capo Plaja. IL SE; 2) S . Nicolò V Arena, III. SE; 3) Bagheria. III. SO ; 4) Ficar azzi. III. NO , la più estesa delle quali è costituita da Bagheria. MORFOLOGIA Si tratta di un territorio solo parzialmente pianeggiante, in prevalenza collinare e montuoso. In esso, a forme aspre e dirupate (M.te dell’Aspra, M. te Consona, M.te Cicìo, M.te S. Michele, ecc.) si alternano colline in parte argillose — costituite da Flysch oli¬ gocenico — leggermente o fortemente ondulate, cui si aggiungono, verso mare, terrazzi quaternari sviluppantisi alla base di falesie più o meno evidenti o più o meno deformate, a seconda delle rocce nelle quali sono intagliate. Le forme aspre sono determinate da rocce mesozoiche, fra le quali risultano molto sviluppate le dolomie ed i calcari con liste e noduli di selce del Trias superiore, mentre le forme più dolci corrispondono alle radiolariti del Lias superiore e, particolarmente, al Flysch oligocenico, che è molto esteso in quel territorio. Fra i terrazzi quaternari, uno molto vasto, che da quota supe¬ riore a m 100 degrada lentamente verso il mare, è intagliato, in prossimità della linea di riva, da una falesia, la cui base è sempre inferiore a m 30. Il primo terrazzo è di età calabriana e sici¬ liana ed il secondo, con la relativa falesia, è di età tirreniana STRATIGRAFIA Procedendo dall’alto verso il basso, la serie stratigrafica dei dintorni di Bagheria, è la seguente : 1) Quaternario. Vi si notano depositi riferibili all’Olocene ed ed al Pleistocene (Tirreniano, Siciliano e Calabriano). A) Olocene — E rappresentato da sabbie e ciottoli che si e- stendono lungo il mare, da alluvioni fluviali, da detriti di falda posti alla base dei monti, e da formazioni marnoso-travertinoidi di facies limnica (1), che si estendono nelle zone di Bandita ed Acqua dei Corsari (tav. Palermo) e che pervengono fin presso Fica- razzelii (limite Ovest della tav. Ficarazzi). Essi rappresentano in parte il letto di un grande o di più bacini palustri, estesi un tempo nella Conca d’oro, il cui residuo è forse rappresentato dalla palude di Maredolce, ridotta oggi alla base del M.te Grifone. Tale formazione marnoso-travertinoide risulta adesso non sempre ben visibile a causa delle recenti costruzioni. B) Pleistocene — E rappresentato da depositi riferibili ai Tirreniano, al Siciliano ed ai Calabriano. a) Tirreniano — Di Tirreniano non esistono depositi molto evidenti, tranne forse conglomerati, ciottoli e « pietra mo- lara », come quelli che si trovano superiormente alla formazione fossilifera del Siciliano nelle cave di Acqua dei Corsari (tav. Pa¬ lermo) (3) e di Ficarazzi. Di età tirreniana è il grande terrazzo, di altitudine non su¬ periore a m 30 — e dei quale si è già parlato — che orla quasi tutta la fascia costiera. b) Siciliano — I calcari detritico-organogeni (cosiddetti «tufi calcarei ») di Bagheria e di S.ta Flavia, nei quali sono aperte (z) De Stefani T. - Nuove osservazioni riguardanti la stratigrafia della Conca d’Oro (Palermo). Boll, della Soc. di Se. Nat. ed Econ. di Palermo, voi. 22 (1939-40). Palermo, 1940. (2) Gtgnoux M. - Les formations marines pliocènes et quaternaires de V Italie du Sud et de la Sicile. Ann. de l’Univ. de Lyon, N. S., I., Science, Médecine. fase. 26. Lyon, 1913; Ottmann F. e Picard J. - Contribution à V étude du Qua¬ ternarie des régions de Paierme et de Milazzo (Sicile). Bull. Soc. Géol. de France, VI sèrie, tome 4me, fase. 4-6. Paris, 1954. — 31 — ampie cave per materiale da costruzione, debbono andare riferiti al Siciliano, perchè corrispondenti a quelli di Palermo (Città e cave della base del M.te Pellegrino). Presso la foce del F.me Mìlicia, essi si sovrappongono in discordanza al Pliocene di facies astiana. Altro deposito siciliano, però di facies argillosa ed analogo al classico giacimento di Acqua dei Corsari (cava Di Fazio, ex-Puleo), si trova presso il mare, in corrispondenza all’abitato di Ficarazzi. c) Calabriano — Sarebbe rappresentato da una parte dei citati «tufi calcarei » e da formazioni ciottoloso-conglomeratiche, che degradano leggermente verso il mare a partire da quote su¬ periori ai m 100. C) Pliocene — Si presenta molto' esteso nel territorio com¬ preso fra Altavilla Milicia e San Nicolò V Arena e mostra prevalente facies molassico-arenacea (facies astiana), con abbondanza di fossili, fra i quali ricordo : Nassa clathrata Borii., Flabellipecten alessii Phil. e FI. fabelliformis Br.. Al contrario, presso San Nicolò l’Arena ed al M.te Corvo (S di Bagheria) si ha la nota facies di « trubi » (marne biancastre a Foraminiferi) con presenza di Ostreae nel primo luogo. Essi giacciono in posizione trasgressiva, ora sui calcari camici ed ora sulle radiolariti del Lias superiore, per quanto riguarda i dintorni di S. Nicolò l’Arena ; nel caso del M.te Corvo* essi tra¬ sgrediscono sul Flysch oligocenico. Anche i depositi con facies astiana di Altavilla Milicia sono trasgressivi, poiché riposano, ora sul Flysch oligocenico ed ora sui calcari cretacei. In C. da Cannamasca (a S dell’abitato di Altavilla), invece, il Pliocene poggia sulle dolomie triassiche, oltre che sul Flysch oligocenico. Nella parte basale di tale Pliocene si nota an¬ che la presenza di Nummuliti rimaneggiate. Resta ora da stabilire quali siano i rapporti, qui intercorrenti, fra le varie facies del Pliocene. Poiché sappiamo che in Sicilia i « trubi » ne rappresentano normalmente la base, e poiché nel caso presente non si hanno motivi che contrastino con tale accettazione, possiamo concludere che i « trubi » dei luoghi citati, i quali stanno pure alla base di quel Pliocene, ne rappresentino ugualmente la parte inferiore. Che in seno al Pliocene, i « trubi » (Pliocene inferiore, Zan- cleanó di Seguenza), le argille (Piacenziano), le sabbie, le calcag¬ niti, le molasse (Astiano) rappresentino solo facies e non piani, è — 32 — Còsa ormai risaputa, come pure è già noto — in parte in conse¬ guenza dei miei studi (a) — come il Pliocene inferiore (« trubi » o altre facies vicarianti) sia trasgressivo in Sicilia. Su tale oggetto ho già scritto parecchio in precedenza, cosicché per ulteriori delucidazioni, rimando ai miei lavori citati in nota. D’altra parte, la base della facies astiana di Altavilla Milicia (per esempio, in C. da Sotto Serra a SO dell’ abitato), in pozzi per ricerca d’ acqua, ubicati all’ altitudine di m 20, viene a diretto contatto col Flysch oligocenico, a profondità non superiore a m 10, mentre dappertutto le pendenze del Pliocene sono o sem¬ brano uguali in direzione dei mare. La sua altitudine viene, quindi, a corrispondere perfettamente a quella dei « trubi » di S. Nicolò l’Arena. Poiché non vi sono altri motivi che si oppongano a questa correlazione, ne consegue che la base della facies astiana di Alta¬ villa Milicia corrisponde pure al Pliocene inferiore, mentre la parte alta della formazione rappresenterà, almeno, il Pliocene medio. Si tratta, dunque, soltanto di variazione laterale di facies. Ancora, al monte Corvo (S di Bagheria) i « trubi », all’ altitudine di in 360 trasgrediscono sul Flysch oligocenico e, sin dai primi strati, presentano alternanze con calcari detritici grossolani ad Am- phistegina , mentre più in alto ancora, passano a formazioni moias- sico-sabbiose, simile a quelle di Altavilla. Dunque, come si vede, questi tipi litologici corrispondono a facies e non a piani, mentre il Pliocene inferiore è spesso rappre¬ sentato da « trubi », oltrecchè da facies diverse, ciò che del resto, si osserva in tante altre parti della Sicilia. Oligocene — Si presenta con facies di Flysch, ed è estesis¬ simo in tutto il territorio. Si era ritenuto in precedenza che fosse (:ì) De Stefani T. - Studio geologico per la ricerca di sali potassico-mag ne - siaci in territorio di Villapriolo . Riv. Min. Sic., n. 19. Palermo: gennaio-febbraio 1953 ; Idem. Descrizione geologica sommaria del percorso Palermo - Termini Imerese - Campofelice di Roccella (per il IV Congr. Int. del Quat. (« INQUA» ). « Plinia », voi. IV (1952—53). Palermo, 1954 ; Idem. Descrizione geologica del per¬ corso Palermo - Termini Imerese (57* Riunione della Società Geologica Italiana in Sicilia). Palermo, 1953; Idem. Studi di stratigrafia siciliana : II - Saggio di clas¬ sificazione del Miocene. «Plinia >, voi. IV (1952-53). Palermo, 1954 ; Idem. Novità Stratigrafiche tettoniche e geo-minerarie della Sicilia. Riv. Min. Sic., anno V, n. 26. Palermo, 1954. 33 — riferibile all’ Eocene, in buona parte superiore ; ma, poiché lo scrivente ha ammesso recentemente (4), che esso, in territorio di Termini Imerese, è trasgressivo su formazioni varie (Trias, Lias superiore. Cretaceo, Eocene medio e superiore) e che, oltre a poggiare su evidenti superfici di abrasione, mostra anche un ben visibile conglomerato di base, ne risulta chiara una età posteriore all’ultimo termine citato. Inoltre, la presenza di Nummuliti, di Lepidocyclinae e di Molluschi oligocenici, mescolati con altre N um¬ ili uditi appartenenti a specie eoceniche, dimostra chiaramente che queste ultime sono rimaneggiate nei depositi oligocenici. Una volta impostato su tale base il problema della età di quel Flysch, risul¬ tava giustificato il dubbio che quello di Bagheria potesse presen¬ tarsi nelle medesime condizioni, la quale supposizione resta giusti¬ ficata dal fatto che esso rappresenta la continuazione ininterrotta di quello di Termini Imerese. Detto Flysch si estende, inoltre, fino a Càccamo, Ciminna, Baucina, Villafrati, Ventimiglia di Sicilia, ecc. (3). Anch’esso presenta, presso Bagheria, il suo conglomerato di base, ossevabile spesso nei vari grossi spuntoni mesozoici, che emergono dal proprio seno quale substrato. Pertanto anche qui, esso poggia su termini vari e, precisamente, sui calcari eocenici, su quelli cretacei, sulle radiolariti del Lias superiore, sulle dolomie del Trias superiore e sui calcari straterel- lati del Carnico. Dunque, risulta che anche qui l’Oligocene è tra¬ sgressivo. Eocene — E rappresentato da calcari fortemente fossiliferi (C. da Incorvino), contenenti Nummuliti, Alveoline, Crostacei, Mollu¬ schi, studiati da Checchia-Rispoli (6), da Di Salvo G. (7) e dallo scrivente (8). (4) De Stefani T. - Studi di stratigrafia Siciliana : III. Sul presunto Eocene inferiore del Vallone Tre Pietre (Termini Imerese). Atti Soc. Tose. Se. Nat., Mena., voi. LXI, serie A. Pisa, 1954. (5) ved. appendice al lavoro citato nella nota 4. (6) Checchia-Rispoli G. - La serie nummulitica dei dintorni diTBagheria in provincia di Palermo. Giorn. di Se. Nat. ed Econ. di Palermo, voi. 28. Palermo 1911-12; Idem. Sopra alcuni molluschi eocenici della Sicilia. Ibidem, voi. 29. Palermo, 1912. (') Di Salvo G. - I Crostacei del Terziario inferiore della provincia di Palermo . Giorn. di Se. Nat. ed Econ. di Palermo, voi. 37 (1933), Mem. 3. Palermo, 1933-34; Idem. I Crostacei terziari della provincia di Palermo. Boll, della Soc. di Se. Nat. ed Econ. di Palermo, voi. 15 (1933). Palermo, 1934. • (8) De Stefani T. - Aggiunte alla conoscenza dei Molluschi dell’Eocene medio di Bagheria. « Il Naturalista Siciliano », anno 28, n. s„ voi. 8. Palermo, 1932. Tali depositi si presentano, in genere, fortemente erosi e ri¬ dotti a spuntoni emergenti dal Flysch oligocenico. Essi iniziano con l’Eocene medio, che anche qui è trasgressivo, come nel resto della Sicilia. Oltre il giacimento di C. da Incorvino, è pure interessante quello del M.te dell’Aspra, dal quale sono state descritte, ad opera dello scrivente (l‘)), alcune specie nuove di Alveolina e di Flosculina. Cretaceo — E discretamente sviluppato in vari luoghi, sia presso Bagheria, che presso Castehlaccia, Altavilla Milicia, ecc., e presenta spesso facies calcarea di scogliera, con colore grigio-chiaro, e con Rudiste, Orbitoidi, ecc. I calcari dei pressi di Bagheria (C. da Serradifalco) sono stati scoperti e in parte studiati da Di Stefano G. (10), Checchia-Ri- spoli G. (u), Gemmellaro M. (u), quelli di Castedaccia da Silve¬ stri A. (15i) e quelli del M.te dell’Aspra dallo scrivente (lt5). Tito ni co — Non mi pronunzio sui problema, ancora molto oscuro, del Titonico sia per quanto riguarda la sua presenza o meno nei luoghi qui studiati e sia per quel che concerne i suoi rapporti con il Cretaceo. E un problema, questo, che investe buona parte del Meso¬ zoico siciliano e che va studiato attentamente in funzione di vari fattori. Può darsi che le citazioni di Titonico debbano andare ri¬ dotte di numero. Mi riferisco in tal caso alla sola facies corallina, mentre quella più profonda (« laitimusa ») si è già dimostrato essere in buona parte cretacea. (9) De Stefani T. - Alcune nuove Alveoline e Flosculine. « Plinia », voi. Ili (1950-51), nota V. Palermo, 1952. (10) Di Stefano G. - 1 calcari cretacei con Orbitoidi dei dintorni dei Ter¬ mi ni-Imerese e di Bagheria (Palermo). Giorn. di Se. Nat. ed Econ., voi. XXVII. Paler mo, 1907. (n) Checchia-Rispoli G. e Gemmellaro M. - Prima nota sulle Orbitoidi del Sistema Cretaceo della Sicilia. Giorn. di Se. Nat. ed Econ., voi. XXVII (1908). Palermo, 1907 ; Idem. Seconda nota sulle Orbitoidi , ecc.. Ibidem, voi. XXVII» (1908). Palermo, 1909. (12) Silvestri A. - Sul genere « Lepidorbitoides » A. Silvestri e di un suo nuovo giacimento. Mem. della Pont. Acc. delle Scienze dei Nuovi Lincei, voi. X. Roma 1927. (13) De Stefani T. - Rilevamento geologico del M.te delV Aspra presso Ba¬ gheria (Palermo). «Plinia», voi. Ili (1950-51), nota I. Palermo, 1952. Comunque, indipendentemente da ogni interpretazione partico¬ lare, il Titonico è segnalato da Baldacci L. (14) per il territorio in esame, ad esempio, alla base del M.te dell’Aspra. Lias — Esso è rappresentato in genere da calcari a Crinoidi, ritenuti comunemente appartenere al Lias medio, e da radiolariti (« scisti silicei ») riferiti al Lias superiore. Questi ultimi affiorano, ad esempio, nel fianco meridionale del M.te Giancaldo e nella valle Cannella, sita a S di Cozzo Vicario. Altri «scisti silicei)), con calcari a Crinoidi alla base e superior¬ mente, si trovano alia Rocca Ciàvole, sita a N di Misilmeri. In tal caso e in diversi altri analoghi, sembra che le radiolariti possano anche appartenere a livelli del Lias differenti dal superiore. Sulla base di tale concetto, dunque, calcari a Crinoidi, scisti silicei, ecc., potrebbero rappresentare solo delle facies. Trias — E molto , esteso in tutto questo territorio, poiché ne rappresenta l’ossatura fondamentale. Esso si mostra spesso con facies di dolomia, come al M.te dell’Aspra, al M.te Giancaldo, al M.te Cicìo, ecc., e nei diversi spuntoni emergenti verso N dalla pianura quaternaria (come quello della Chiesa di Ficarazzi, della Montagnola Stancampiano, ecc.). A parte la dolomia, che è di età carnica (15), oltre che probabil¬ mente norica, sono sviluppati i calcari stratereìlati con liste e no¬ duli di selce, che spesso presentano Halobiae e Posidoaomyae , come, ad esempio, al Capo Grosso, sito fra San Nicolò l’Arena ed Altavilla Mìlicia. t Formazioni eruttive — Queste sono di numero limitato e rappresentateda un’importante affioramento basaltico in C. da Cian- drotto, scoperto dal compianto Prof. R. Fabiani, e da tufi vulca¬ nici in C. da Incorvino, scoperti dal Sig. G. Bonafede ed ambedue segnalate da Prof. G. B. Floridia (16). (u) Baldacci L. - Descrizione geologica dell* Isola di Sicilia. Roma, 1886. (15) De Stefani T. - Studi di stratigrafia siciliana: IV. Breve cenno sulla stratigrafia di Cerda e di Termini Imerese. Boll, della Soc. dei Nat.- in Napoli, voi. LXIII. Napoli, 1954. (16) Floridia G. B.- A proposito di alcuni nuovi ritrovamenti di manifesta¬ zioni eruttive nella Sicilia occidentale. « Plinia », voi. V. Palermo, 1954. — 36 — Due nuove formazioni eruttive, scoperte dallo scrivente, si ri¬ scontrano una a SE del Cozzo Vicario, verso l’inizio della Valle Cannella, sita a Sud dell’abitato di Altavilla Milicia, e l’altra a SO del M.te Giancaldo fra le calcareniti quaternarie. TETTONICA La tettonica delle formazioni comprese nel f.° Bagheria è piut¬ tosto semplice e, sebbene l’apparenza possa anche ingannare, essa non è riportabile allo schema di colamento gravitativo ammesso da Beneo e sul quale ormai si è tanto discusso (17). Sebbene in vari casi le argille si presentino mosse, tale situa¬ zione è da attribuire a fenomeni soltanto locali e non risulta do¬ vuta a spostamenti in grande, effettuatisi per molti chilometri. Il grande problema tettonico delle argille, cioè se queste siano telealloctone, plesioalloctone (17), oppure più o meno in posto, difficilmente può venire risolto con osservazioni limitate ad un territorio ristretto, qual’è quello del foglio Bagheria, ma va invece impostato su aree molto più vaste. E pertanto viene a ri¬ sultare che in parecchi luoghi, quali ad esempio, nei Vallone Tre Pietre e nel lato Sud del Poggio Balate (tutt’e due presso Termini Imerese), a SSO del Pizzo di Cascio presso Ventimiglia di Sicilia, ecc., il Flysch oligocenico è trasgressivo per i motivi già esposti nel capitolo della stratigrafia, e cioè, perchè poggia su superfici calcaree mesozoiche abrase dalla trasgressione corrispondente a quei depositi, e per la presenza di un regolare conglomerato di base (1S). Inoltre, in tutto il territorio di Termini Imerese, l’Oligo¬ cene è costituito alla base, in prossimità dei contatti, da arenarie (16) Per non stare ancora a ripetere argomenti già esposti in precedenza più di una volta, rimando ai seguenti lavori, nei quali si troverà anche la bibliografia : De Stefani T. - Novità stratigrafiche , tettoniche e geominerarie della Sicilia. Riv. Min. Sic., anno V, n. 26. Palermo, 1954 ; Idem. Importanza della stratigrafia quale base per V impostazione dei principali problemi minerari siciliani. Riv. Min. Sic., anno V. n. 30. Palermo, 1954. Consultare, inoltre, i lavori di Fabiani R., Floridia G. B., Lazzari A.. (17) Termine creato da Floridia G. B. (ved. pag. 9 del lavoro citato al n. 15) per significare spostamenti « limitati nel tempo e nello spazio », per casi « para¬ gonabili a frane più o meno grandiose ». (18) De Stefani T. - Vedi nota 4. — 37 — e brecciole, » mentre placche di conglomerato, presumibilmente oli¬ gocenico, si trovano qua e là sul Mesozoico. Accertata tale condizione originaria di giacitura nei luoghi ci¬ tati, risulta chiara la posizione discordante dell’Oligocene rispetto a tutte le formazioni precedenti e ne risulta esclusa la possibilità della telealloctonia. Per la zona di Bagheria, si deve aggiungere che 1’ Oligocene si presenta press’a poco in analoga situazione. Infatti, in numerosi casi (C. de Serradifalco, Rocca, ecc.), i calcari del Cretaceo o quelli dolomitici e le dolomie del Trias, emergenti dal Flysch oligocenico, portano anch’essi attaccati alla loro massa, lembi del conglomerato basale dell’Oligocene. Inoltre, si ha che questo, al contatto con i depositi più antichi, mostra abbondanza di brecciole (Portella dell’Accia, ecc.) e di fos¬ sili di ambiente costiero (Litotamni, Coralli, Nummuliti, ecc.), il che rivela l’esistenza dell’originaria giacitura trasgressiva, analoga¬ mente a quanto si osserva nel territorio di Termini Imerese. In complesso, la tettonica dei territori compresi nel foglio Ba¬ gheria è in genere abbastanza normale, poiché i vari termini stra¬ tigrafici si succedono regolarmente, con i più antichi che soggiac¬ ciono sempre ai più recenti. Precisamente, la più antica formazione che affiora in superficie è rappresentata da dolomie e da calcari straterellati triassici (M.te dell’Aspra, M.te Giancaldo, Cozzo Vicario, M.te Cicìo, M.te Selva a Mare, fianco Est del M.te Masto Nardo, ecc.), cui seguono verso l’alto, abbastanza regolarmente, le radio- lariti (cosiddetti scisti silicei) del Lias superiore, spesso connesse con i calcari a Crinoidi (lato SE di M.te Masto Nardo, lato O di M.te Cicìo, ecc.). Seguono quindi i calcari grigio-chiari del Cretaceo, i quali giacciono in trasgressione, ora sul Lias superiore, ora sulla dolomia triassica. Al Cozzo Vicario, Trias, Lias e Cretaceo sono quasi verticali e rispetto ad essi si adagia in discordanza il Flysch oligocenico. Più ad Est, al disotto della coltre plastica del Flysch, si im¬ mergono altri strati cretacei, orientati più o meno come i prece¬ denti ed intervallati da Flysch, cosicché sembra lecito supporre trattarsi di una struttura a scaglie. Per concludere, ricordo che casi di sconnessione sembrano e- sistere verso la base della Valle S. Marco, precisamente nella parte NE di M.te Corvo, ove si notano marne od argille scistose. — 38 — fortemente bituminizzate, e che sopportano blocchi di calcari bian¬ castri del Cretaceo. Ma risulta evidente che ci si trova in un caso di materiale proveniente dal vasto affioramento cretaceo, sito sulla sinistra della stessa Valle S. Marco. Uguale situazione si osserva ad Ovest di Valle Cannella (presso il M.te Cicìo), luogo nel quale si osservano molti blocchi meso¬ zoici franati dalla vicina montagna. Ivi presso, infatti, alla base del Cozzo Cusimano, si notano argilloscisti o marnoscisti contenenti blocchi calcarei di età appa¬ rentemente cretacea. Seguono subito verso l’alto, per uno spessore di circa m 200, arenarie quarzitiche, senza blocchi calcarei. Ciò di¬ mostra che il Flysch oligocenico, all’inizio della trasgressione, quando il mare corrispondente a quei depositi, batteva contro quelle coste mesozoiche, ne ha ereditato i blocchi staccati, includendoli nel proprio seno. Altri blocchi, invece, risultano staccatisi recen¬ temente dalla montagna come detrito di falda e, in parte, scivolati a valle. In tal modo resta dimostrato che nel territorio qui studiato non esistono casi di telealloctonia. Ho già parlato in precedenza (19) di una struttura a scaglie nel M.te dell’Aspra a N di Bagheria, descrivendone l’esistenza di due, una delle quali di età cretaceo-eocenica, poggiante sulla do¬ lomia triassica ; l’altra, di presumibile età titonica, a contatto con la precedente. Ora, l’apertura di numerose nuove cave alla base di quel monte ha fatto osservare meglio i rapporti fra le due presunte scaglie, fa¬ cendo sorgere il dubbio che si tratti di un’unica formazione, con- glomeratica alla base, e che potrebbe essere tutta di età cretacea. La precedente determinazione di Titonico era stata da me fatta soltanto sulla base dell’opera di Baldacci L. (20), poiché non avevo rinvenuto dati paleontologici che fossero atti a convalidarla o ad infirmarla. La mia nuova concezione trova un riscontro stratigrafico di indole piuttosto generale, scaturito solo in questi ultimi tempi, quale conseguenza di miei studi particolari. Avendo osservato che il Cretaceo è in Sicilia spesso trasgressivo, sorge logicamente il (19) De Stefani T. - Ved. nota 13. (20) Baldacci L. - Ved. nota 14, — 39 — dubbio che tale situazione possa verificarsi anche nel luogo pre¬ sente. Poiché in precedenza si sconosceva completamente l’esistenza di tale trasgressione, non era lecito potervi fare ricorso, prima di averla riconosciuta (2i). Con ciò non significa che qui non possa esistere la già nominata scaglia ; avanzo solo l’ipotesi di una pos¬ sibile spiegazione mediante una trasgressione. In conseguenza di tali nuovi concetti, si dovrebbero rivedere le interpretazioni tet¬ toniche e strutturali che diversi AA. hanno emesso per altri luo- ghidella Sicilia, poiché si potrebbe trattare ugualmente di casi di Cretaceo trasgressivo. POSSIBILITÀ MINERARIE Le possibilità minerarie di questo territorio sono abbastanza modeste e rappresentate, quasi esclusivamente, da calcari per costru¬ zione, calce e pietrisco, da marne per cemento e da argille per late¬ rizi. Infatti, varie cave sono state aperte ed utilizzate in luoghi di¬ versi del f.° Bagheria (ad esempio, nei lato SO del M.te dell’Aspra, in C. da Incorvino a S di Bagheria, nei pressi di Casteldaccia, nelle spianate quaternarie verso mare, ecc.). Non frequenti sono buoni marmi, quali, ad esempio, quello di Casteldaccia, che oggi non viene più cavato, perchè sembra esaurito. Fra le diverse cave, le più importanti come fornitrici di ma¬ teriale da costruzione, sono quelle aperte nei cosiddetti « tufi cal¬ carei » quaternari, che si estendono particolarmente fra Bagheria, Aspra e S.ta Flavia. Cave di argilla> in buona parte scagliosa (Flysch oligocenico) vengono utilizzate a Sud di Bagheria ; esse sono di qualità inferiore a quelle del Siciliano di Acqua dei Corsari in prossimità di Fica- razzi (topograficamente facente parte del foglio 249, Palermo). (21) De Stefani T. - Ved. i due lavori citati alla nota 16. Le acque delle falde sotterranee nella zona industriale sud - orientale della città di Napoli. Nota delle Dott. Diana Lambertini e Vincenza Scorza (Tornata del 24 giugno 1955) Presso l’Istituto di Chimica Industriale delPUniversità di Napoli è stato esaminato, negli ultimi anni, un cospicuo numero di cam¬ pioni di acque provenienti da pozzi trivellati nelle più diverse loca¬ lità del sottosuolo napoletano. Per tanto si è pensato di dare inizio ad una raccolta omogenea e sistematica dei risultati di detti esami, allo scopo di apportare un contributo alla conoscenza della idrografia sotterranea della zona. Si ritiene che tale insieme di dati e di notizie possa essere di notevole utilità, oltre che per l’interesse scientifico connesso allo sviluppo delle indagini sulla idrografia del sottosuolo, anche, e so¬ pratutto, per il fine pratico di poter avanzare delle previsioni sulla natura delle acque ottenibili con nuove perforazioni. In questa nota daremo conto dei caratteri analitici e della di¬ stribuzione delle acque limitatamente alla parte sud-orientale della città, la così detta zona industriale, dove, appunto per le esigenze delle varie industrie che ivi hanno sede, il numero dei pozzi sca¬ vati è maggiore che altrove. Di tali pozzi abbiamo richiesto, alle varie Ditte, le sezioni stra¬ tigrafiche allo scopo di poter fornire anche delle indicazioni rela¬ tive all’andamento ed alla ubicazione delle differenti falde artesiane. I dati che ci sono pervenuti mancano talvolta di talune preci¬ sazioni; comunque, nel complesso, i risultati ottenuti dall’esame del materiale raccolto confermano e completano quanto ci è stato pos¬ sibile rilevare dalla scarsa e non recente bibliografia sull’argomento. Le prime notizie sulla ubicazione delle falde sotterrenee della città di Napoli risalgono alla metà del secolo scorso, quando fu iniziata la perforazione del pozzo di Palazzo Reale e, successiva- — 42 mente, di un altro a piazza Vittoria (1). In seguito, nel 1887, il Pal- meri pubblicò una relazione sul pozzo dell’ Officina del Gas a Via Stella Polare (2 *); nel 1907 l’ing. Cesari forni notizie su alcuni pozzi trivellati nei dintorni di San Giovanni a Teduccio (y); nel 1924 e nel 1926 M. Guadagno riferì sui risultati dello studio petrografico dei materiali provenienti dalle trivellazioni eseguite sia in Piazza S. Maria la Fede sia nei pressi della Centrale Elettrica del Volturno (4). Solo nel 1930, nella estesa pubblicazione del Ruggiero, si ebbe un primo tentativo di delineare P andamento delle diverse falde artesiane (5). Dobbiamo giungere all’immediato dopo guerra per avere qual¬ che notizia su altre perforazioni: una nella zona centrale della città (Fiorentini) durante i lavori per la trasformazione edilizia (6), due nella zona industriale per conto della Cisa - Viscosa (7), ed alcune eseguite a Lufrano per conto dell’Acquedotto napoletano (8). O Cangiano L. Breve ragguaglio del perforamento dei due pozzi artesani recentemente compiuto nella città di Napoli , 1859. Napoli, 1859. (2) Palmeri P. Il pozzo artesiano dell’ Arenaccia, del 1880, confrontato con quello del Palazzo Reale di Napoli , del 1847. Lo spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei, voi I. Napoli, 1887. (s) Cesari C. Saggio di idrografia sotterranea alle falde del Vesuvio. Gior¬ nale di Geologia Pratica, anno V , Perugia, 1907. (4) Guadagno M. Notizie sul pozzo artesiano recentemente trivellato nella Piazza S. M. La Fede in Napoli. Boli. Società Naturalisti, voi. XXXVI. Napoli, 1924. — Il pozzo artesiano della Centrale Elettrica del Volturno. Ìbidem , voi. XXXVIII, Napoli, 1925. (5) Ruggiero P. Falde artesiane di Napoli e dintorni. Atti XI Congresso geografico italiano, voi. II. Napoli, 1930. Fiorelli T. Cenni sull’ andamento della falda acquifera nel sottosuolo della zona tra Napoli e Pomigliano d’Arco in relazione con la costituzione geologica e la topografia e idrologia superficiale del territorio medesimo. Annali dei Lavori Pubblici già Giorn. del Genio Civile, fase. 7, Roma, 1926. Gortani M. Saggio bibliografico dell ’ idrologia sotterranea della Italia dal 1870 al 1923. Giorn. di Geologia Pratica, voi, XIX. Bologna, 1924. (6) Meo F. Relazione sull’ esame dell ’ acqua di un pozzo trivellato durante gli scavi di fondazione dei nuovi fabbricati nelle adiacenze della Chiesa dei Fiorentini in Napoli. Boll. Soc. Nat. voi. LXI, Napoli, 1952. (7) Ippolito F., Cotecchia V. Su taluni pozzi trivellati nella zona indu¬ striale di Napoli. Boll. Soc. Naturalisti, voi. LVIII, Napoli. 1949. (8) Zei M. Nuovi pozzi trivellati per V alimentazione di Napoli. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche della Soc, Reale di Na-r poli. Serie IV, voi. XIV, 1946, — 43 — Sulla composizione delle acque provenienti dal sottosuolo esi¬ stono poche pubblicazioni: i lavori del Casoria rimontano al lontano 1888 (9); nel 1907 C. Cesari si occupò delle acque della zona ve¬ suviana (10); più tardi il prof. Rebuffat (1926) (il) esaminò diverse acque provenienti da differenti zone della città, facendo notare ap¬ punto la differenza esistente fra quelle della zona orientale, molto dure e ricche di sali e quelle della zona centrale, meno minera¬ lizzate e più leggere (12). (9) Casoria E. Composizione chimica e mineralizzazione delle acque vesu¬ viane. Boll. Soc. Naturalisti, Napoli, 1888. Casoria E. Le acque della regione vesuviana. Ann. R. Scuola Sup. di Agri¬ coltura di Portici, VI, 1891. Casoria E. Sui processi di mineralizzazione delle acque in rapporto con la natura geologica dei terreni e delle rocce. Ann. R. Scuola Sup. Agricoltura di Portici IV, 1903. (10) Cesari C. 1. c. (n) Rebuffat O, Sulle acque del sottosuolo di Napoli. Atti del R. Istituto di Incoraggiamento. Napoli, 1926, voi. LXXVIII. (12) Cont arino F. Nota sulle acque sotterranee della città di Napoli. Boll. Coll. Ing. e Arch., 1885. D'Amelio A. L’acqua latente nel sottosuolo di Napoli. Ing. moderna, anno 11° n° 19-20. Napoli. 1901. D’Amelio A. Pianta dell’ idrografia sotterranea della città di Napoli. Boll. Coll. Ing. e Arch., numero unico. Napoli, 1901. — 44 — * * * Il materiale, oggetto delle indagini delle quali diamo conto nella nota presente ci è stato fornito dalle Ditte che qui di seguito elen¬ chiamo : I) - Cantieri Metallurgici Italiani. Via Traccia, 499. II) - Stabilimento ex S. A. Cellulosa Cloro-Soda. Via Argine. Ili) - Cirio. S. Giovanni a Teduccio. IV) - Cisa-Viscosa. Via Traccia a Poggioreale, 192. V) - Curdo E. Industria Conserve Alimentari. Via G. Ferraris. VI) - Distillerie Italiane. Fabbrica Lievito per Panificazione. Piazza E. Cenni, 1. VII) - F. I. C. E. Fabbrica Italiana Conduttori Elettrici. Via Arenaccia, 232. Vili ) - Compagnia Napoletana Gas. Via Stella Polare, 38. IX) - Liquigas. Via Argine. X) - Manifatture Tabacchi. Via G. Ferraris, 96. XI) - Manifatture Cotoniere Meridonali. Poggio reai e. XII) - Rneping. Società Ital. per F iniezione del legname. Via Taddeo da Sessa, 144. XIII) - S. A. C. A. M. Società Az. Centrali Agricole Meridionali. Via E. Gianturco. XIV) - S. A. E. Soc. Az. Elettrificazione. Via Traccia a Poggioreale, 495. XV) - S. A. I. C.I. Industria Conciaria Ital. Via G. Ferraris,' 45. XVI) - S. A. T.S. Soc. Az. Industriali Saluzzo. Via Traccia, 607. XVII) - S. M. E. Soc. Meridionale di Elettricità. Centrali: Capuano e Vigliena. XVIII)- Socony Vacuimi Italiana. Raffineria di Napoli. Via Nuove Brecce 233* XIX) - I. M A. M. Industria Meccaniche Aeronautiche Meridionali. Corso Malta, 30. XX) - Centrale Elettrica Volturno. Doganella ai Granili. Nella pianta in scala 1 : 10.000 (fìg. 1) riportiamo 1’ ubicazione degli stabilimenti nel cui perimetro si trovano i pozzi in questione. I vari campioni di acqua sono stati analizzati con i metodi usuali (*) ed i risultati ottenuti sono riportati nelle seguenti tabelle; ogni campione è indicato con lo stesso numero che contradistingue nell’elenco precedente la Ditta che ce lo ha fornito. Per ciascuno di essi è inoltre indicata la quota della falda o delle falde da cui l’acqua proviene. (*) Trattandosi di acque destinate ad uso industriale, il loro esame analitico è stato limitato ai costituenti fondamentali escludendo per tanto la ricerca di quelli accessori. Gli alcali sono stati valutati come NaaO. Boll. Soc. Naturalisti in Napoli % O’j Boll. Soc. Naturalisti in Napoli — Voi. LXIV (1955) Fig. 1. QUADRIVIO DI — 45 — Campione I CANTIERI METALLURGICI ITALIANI Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaC03) 3. — - Durezza totale (idrotimetrica) 0,8536 gr/litro 0,5900 » » 49° Francesi 4. — » permanente »... 3° » 5. — » temporanea »... HfS» Cn o » Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 0,1734 gr/litro 2. — » » magnesia (MgO) . 0,0763 » » 3. — » » alcali (Na20) .... 0,1520 » » 4. — » » cloro (Cl) . 0,0825 » » 5. — » » anidride solforica (SO.) 0,0246 » » 6. — » » anidride carbonica sem. (COQ) . 0,2598 » » grammi/litro Millimoli/lt. Milli valenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1240 3,09 6,19 Mg+ + 0,0460 1,89 3,78 Nar¬ 0,1130 4,92 4,92 •> 14,89 ci¬ 0,0825 2,32 2,32 so,- " 0,0286 0,30 0,61 HCO'- 0,7260 11,90 11,90 14,83 L’acqua esaminata proviene da due falde rispettivamente a quote: - 32 mt, e - 64 mt. — 46 — Campione Ill-a STABILIMENTO « CIRIO » Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 0,7972 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaC03) 0,3250 » 3. — Durezza totale (idrotimetriea) . 46° Francesi 4. — » permanente » ... 14° » 5. — « temporanea » ... 32° )> Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 0,0371 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,1879 » » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,0439 » » 4. — » » alcali (Na30) .... 0,1025 » » 5. — » » cloro (Cl) . 0,1000 » » 6. — » » anidride solf. (S03) . 0,1083 » » 7. — » » anidr. carb. sem. (C03) 0,1431 » » grammi/ litro Millimoli/lt. Mi Ili valenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1343 3,35 6,70 Mg+ + Na+ 0,0265 0,0761 1,09 3,31 2,18 3,31 12,19 cr 0,1000 2,83 2,83 S04- - 0,1300 1,35 2,70 HCO:{- 0,3970 6,50 6,50 12,03 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : —43 mt. Campione Ill-b STABILIMENTO « CIRIO » Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 0,7690 gr/litro 2. — » i— 1 co o o p 0,7590 » » 3. — Alcalinità totale (CaCO.,) 0,3765 » » 4. — Durezza totale (idrotimetrica) . 44° Francesi 5. — » permanente » 2,5° » 6. — » temporanea » 41,5° » Composizione . . { ' > di silice (Si02) .... 1. — Titolo 0,0343 gr/litro 2. — » » calce (CaO) . . , 0,1500 » » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,0560 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,1700 » ' » 5. — » » cloro (Cl) . 0,1240 )) » 6. — » » anidride solforica (SO.) 0,1000 » » 7. — » » anidride carbonica (C02) 0,1650 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/lt. cationi anioni Ca+ +" 0,1072 2,67 5,34 Mg++ 0,0337 1,38 2,76 Na+ 0,1262 5,49 5,49 Fe+ + 0,0003 0,005 0,01 13,60 ci- 0,1240 3,49 3,49 S04- - 0,1207 1,25 2,50 HC03- 0,4595 7,53 7,53 • 13,52 L’acqua esaminata proviene da tre falde rispettivamente a quote: — 43 mt. - 79 mt., - 100 mt. — 48 — Campione IV STABILIMENTO « CISA - VISCOSA » Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 0,7776 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaCO:3) . 0,4454 » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 45° Francesi 4. — » permanente » 10° » 5. — » temporanea »... 35° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 0,0388 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,1380 » » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,0828 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,1110 » » 5. — » )> cloro (Cl) . 0,0880 » » 6. — » » anidride solforica (S03) 0,0731 » » 7. — » » anidr. carb. semic. (C02) 0,1960 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca ++ 0,0986 2,46 4,92 Mg++ 0,0500 2,06 4,12 Na+ 0,0827 3,60 3,60 12,64 ci" 0,0880 2,48 2,48 S04" 0,0878 0,91 1,82 HCOs- 0,5000 8,20 8,20 12,50 L’acqua esaminata proviene da tre falde rispettivamente: a quote — 33 mt , — 78 mt„ — 90 mt. Campione V SOCIETÀ « CURCIO » - INDUSTRIE CONSERVE ALIMENTARI Valutazioni chimiche diverse 1 — Residuo secco a 110° C. 2. — - Alcalinità totale (CaC03) 3. » permanente (CaC08) 4. » temporanea (CaCO„) 5. — Durezza totale (idrotimetrica) . 6. » permanente » . . . 7. — » temporanea »... 0,6748 gr/litro 0,3155 » » 0,0660 » » 0,2490 » » 30° Francesi 4° » 26° » N. B. - Mancano ulteriori dati di analisi. L’acqua e — 60 mit. esaminata proviene da due falde rispettivamente : a quote —30 mt. 50 Campione VI a « DISTILLERIE ITALIANE » - Fabbrica Lievito per Panificazione Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. ... 0,6810 gr/litro 2. — Alcalinità totale (Ca3CO) 0,4598 » » 3. — Durezza totale idrotimetrica) 22° Francesi 4. » permanente » , 0° » 5. — » temporanea » ... 22° » 1. — Titolo di Composizione silice (SiCL) .... 0,0580 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,0814 » » 3. — » » magnesia (MgO) 0,0354 » » 4. — )> » alcali (Na20) .... 0,2020 » » 5. — » » sesquioss. di ferro (Fe203) 0,0029 » )> 6. — » » tetross. di mang. (Mn;j04) 0,0040 )> » 7. — » » cloro (Cl) . 0,0556 » » 8. — » » solforica (S03) . 0,0148 » » 9. — » » anidr. carb. semic. (C03) 0,2059 » » grammi/litro Millimoli/lt Millivalenze/lt. cationi anioni Ca+' + - : 0,0581 1,40 2,80 Mg+ + 0,0213 0,87 1,74 Fe+ + 0,0020 0,03 0,06 Mn+ + 0,0029 0,05 0,10 Na+ 0,1503 6,43 6,43 11,13 cr 0,0556 1,56 1,56 S04- - 0,0178 0,18 0,36 HC03- 0,5607 9,18 9,18 11,10 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota - 70 mt — 51 — Campione VI b « DISTILLERIE ITALIANE » - Fabbrica Lievito per Panificazione Valutazioni chimiche diverse Residuo secco a 110° C. Alcalinità totale (CaC03) . Durezza totale (idrotimetrica) . » permanente »... » temporanea »... Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 2. — » » calce (CaO) .... 3. — » » magnesia (MgO) . 4. — » » alcali (Na20) .... 5. — » » cloro (CI) ..... 6. — » » anidride solforica (SCL) 7. — » » anidr. carb. semic. (C02) 1,2275 gr/litro 1,0210 » » 58° Francesi 2° » 56° » 0,0612 gr/litro 0,1905 » » 0,0961 » » 0,3323 » » 0,0709 » » 0,0104 » » 0,4490 » » grammi/litro Millimoli/lt. Milli valenze/litro cationi anioni Ca+ + , 0,1360 3,39 6,78 Mg+ + 0,0580 2,38 4,76 Fe+ + 0,0019 0,03 0,06 Nar¬ 0,2465 10,72 10,72 22,32 ci¬ 0,0709 1,99 1,19 so,-" 1,0125 0,13 0,26 HCO,- 1,2450 20,41 20,41 22,66 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : - 105 mt. — 52 — Campione VII Stabilimento « F I C E » - Arenaccia Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo a secco a 110° C . 0,3732 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaCO.,) . 0,2450 » » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) . 8° Francesi 4. — » permanente » 1° » 5. — » temporanea » 7° » Composizione 1. — Titolo di silice (SiO„) .... 0,0350 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,0390 » » 3. — )> » magnesia (MgO) . 0,0036 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,1600 » » 8. — » » anidride solforica (SO;J) 0,0210 )> » 6. — » » cloro (Cl) . 0,0490 » » 7. — » » anidr. carb. semic (C02) 0,1078 » » grammi/litro Millimolijlt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0278 0,69 1,38 Mg++, 0,0022 0,09 0,18 Nar¬ 0,1190 5,20 5,20 6,76 ci¬ 0,0490 1,38 1,38 so," 0,0260 0,27 0,54 HCOs- 0,2990 4,90 4,90 6,82 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : - 130 mt. — 53 — Campione Vili a COMPAGNIA NAPOLETANA GAS Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaCQ3) 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 4. — » permanente » 5. — » temporanea » 0,4606 gr/litro 0,2340 » » 9° Francesi 1,5° » 7,5° » Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 2. — » » magnesia (MgO) 3. — » » alcali (NasO) .... 4. — » » cloro (Cl) . 5. — » » anidride solforica (S03) 6. — » » anidr. carb. semic. (CO„) 0,0352 gr/litro 0,0137 » » 0,1400 » » 0,0440 » » 0,0130 » » 0,1030 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0251 0,62 1,25 Mg++; 0,0082 0,34 0,68 Na+ 0,1040 4,53 4,53 6,45 . Cl" 0,0440 1,24 1,24 S04- - 0,0157 0,16 0,32 HC03- 0,2920 4,80 4,80 6,36 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : - 92 mt. — 54 Campione Vili b COMPAGNIA NAPOLETANA GAS Valutazioni chimiche diverse 1. — Besiduo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaC03) . 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 0,7010 gr/litro 0,5300 » » 32° Francesi 4. — » permanente » ... 1,5° » 5. — » temporanea » ... 30,5° » Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 0,1258 gr/litro 2. — » » magnesia (MgO) 0,0360 » » 3. — » » alcali (Na„0) .... 0,1860 » » 4. — » » cloro (Cl) . . 0,0560 » » 5. — » » anidride solforica (S08) 0,0096 » » 6. — » » anidr. carb. semic. (CO„) 0,2330 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0899 2,24 4,48 Mg+ + 0,0217 0,89 1,78 Na+ 0,1380 6,00 6,00 12,26 CI¬ 0,0560 1,58 1,58 SC,- - 0,0116 0,12 0,24 Hcor 0,6530 10,70 10,70 12,52 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : - 95 mt. 55 Campione Vili c COMPAGNIA NAPOLETANA GAS Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaCOJ . 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 4. — - » permanente » 5. — » temporanea » 0,8500 gr/litro 0,6500 » » 31° Francesi 1,5° » 29,5° » Composizione Titolo di calce (CaO) . magnesia (MgO) . . sesquioss. di ferro (Fe3Oa) alcali (Na30) .... cloro (Cl) . anidride solforica (S03) anidr. carb. semic. (C02) 0,1128 gr/litro 0,0428' » » 0,0111 » » 0,2520 » » 0,0543 » » tracce » » 0,2860 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0806 2,01 4,02 Mg+ + 0,0258 1,06 2,12 Fe+ + 0,0078 0,14 0,28 Na+ 0,1870 8,13 8,13 - 14,55 CI¬ 0,0543 1,53 1,53 SC),- - tracce HCO.,- 0,7930 13,00 13,00 14,53 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota: — 87 mt. Campione X a MANIFATTURE COTONIERE MERIDIONALI Va lutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 0,9310 gr/litro 2. — Alcaliuità totale (CaCCL) 0,7700 » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) . 47° Francesi 4. — - » permanente » ... 2° » 5. — (( temporanea » . . 45° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 0,0665 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,1680 » » 3. i — » » magnesia (MgO) . 0,0717 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,2290 » » 5. — » » cloro (Cl) . 0,0510 » )> 6. — » » anidr. carb. seni. (C02) . 0,3380 » » 7. — » » anidr. solforica (S03) . assente grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni . Ca+ + 0,1201 2,99 5,98 Mg+ + Na+ 0,0433 0,1702 1,78 7,40 3,56 7,40 16,94 Cl- 0,0510 1,43 HCCV 0,9400 15,40 1,43 15,40 16,83 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : — 76 mt, — 57 — Campione X b MANIFATTURE COTONIERE MERIDIONALI Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. . , 1,7740 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaC03) . 1,4700 » » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 105° Francesi 4. — » permanente » ... 1° » 5. — » temporanea » ... 104° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 0,0700 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0.3681 » » 3. — » » magnesia (MgO) 0,1570 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,3431 » » 5. — » » anidr. carb. semic. (C(X) 0,6460 » » 6. — » » cloro (Cl) . 0,1050 » » 7. — » » anidride solforica (SO..) assente giamini/litro Millimoli/lt. Mi Ili valenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,2630 6,56 13,12 Mg+ + 0,0948 3,89 7,78 Na+ 0,2550 11,10 11,10 32,00 cr 0,1050 2,96 2,96 so4-- assente HC03- 1,7900 29,40 29,40 32,36 Inacqua esaminata proviene da una falda a quota — 135 mt. Bollettino' Società Naturalisti 5 — 58 — Campione XI MANIFATTURA TABACCHI Valutazioni chimiche diverse 1. 2. 3. 4. 5. Residuo secco a 110° C. Alcalinità totale (CaC03) Durezza totale (idrotimetrica) » permanente » » temporanea » 0,7035 gr/litro 0,4510 » » 43° Francesi 13° » 30° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si03) .... 0,0440 gr/litro 8. — » » sesquioss. di ferro (Fe303) 0,0068 » » 2. — » » calce (CaO) .... 0,0964 » » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,1020 » » 4. — » » alcali (Na„0) .... 0,1083 » )> 5. — » » cloro (Cl)~ 0,0720 » » 6. — » » anidride solforica (SO.,) 0,0475 » » 7. — » » anidr. carb. semic. (C03) 0,1980 » » grammi/litro Millimoli/lt. Milliva lenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0705 1,76 3,52 Mg+ + 0,0616 2,53 5,06 Fe+ + 0,0048 0,086 0,16 Na+ 0,0803 3,46 3,49 12,23 cr 0,0720 2,03 2,03 S04- - 0,0570 0,59 1,18 HCO- 0,5510 9,03 9,03 12,24 L’acqua esaminata proviene da due falde rispettivamente a quote: -38 mt. e -65 mt, — 59 — Campione XII SOCIETÀ « RUEPING » - Iniezione del Legname Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — » » » 180° C. 3. — Alcalinità totale (CaC03) 4. — Durezza totale (idrotimetrica) 0,7620 gr/litro 0,7600 » » 0,6171 » » 30° Francesi 5. — » permanente »... 0° » 6. — » temporanea »... co o o » Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 0,1263 gr/litro 2. — » » magnesia (MgO) . 0,0368 » » 3. — » » alcali (Na20) .... 0,2220 » » 4. — » » cloro (Cl) ..... 0,0414 » » 5. — anidride solforica (S03) .... 0,0088 » » 6. - — anidr. carb. semic. (C02) . . . 0,2710 » » grammi/litro Millimoli/lt. Mi Ili valenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0903 2,25 4,50 Mg+ + 0,0222 0,91 1,82 Na+ 0,1651 7,18 7,18 13,50 cr 0,0414 1,17 1,17 S04“ " 0,0106 0,11 0,22 HCOa- 0,7461 12,23 12,23 13,62 — 60 — Campione XIII SOCIETÀ AZ. CENTRALI AGRICOLE MERIDIONALI « SACAM » Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. . 2. — Alcalinità totale (CaC03) . 3. — Durezza totale (idrotimetriea) 4. — ì> permanente » 5. — « temporanea » 1,3510 gr/litro 1,2010 » 7° Francesi 0° » 7° » Composizione 1. — Titolo di silice (SiO„) .... 0,0600 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,2221 » » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,1211 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,3660 » )> 5. — » » cloro (Cl) . 0,0650 » » 6. — » » anidr. carb. semic. (CO«) 0,5281 » » 7. — » )> anidride solforica (S02) tracce grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1587 3,95 7,90 Mg+ + Na+ 0,0730 0,2720 3,02 11,83 6,04 11,83 25,77 Cl- 0,0650 1,83 1,83 HCO„~ 1,4600 24,00 24,00 25,83 — 61 — Campione XIY SOCIETÀ AZ. ELETTRIFICAZIONE « S A E » Valutazioni chimiche diverse 1. - — Residuo secco a 110° C. . 2. — Alcalinità totale (CaCO„) 3. — Durezza totale (idrotimetrica) . 4. — » permanente » 5. — » temporanea » . Composizione 0, 8248 gr/litro 0,5730 » 48° Francesi 6° » 42° » Tilolo di silice (Si02) . . •. » » calce (CaO) . » )> magnesia (MgO) . » » alcali (Na„0) . » » cloro (Cl) . » » anidride soli. (S03) » » anidr. carb. sem. (CO„) 0,0300 gr/iitro 0,1608 » » 0,0828 » » 0,1300 » » 0,0880 )> » 0,0475 » » 0,2520 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1149 2,86 5,72 Mg ++ 0,0499 2,05 4,10 Na + 0,0965 4,20 4,20 14,02 Cl “ 0,0880 2,48 2,48 S04-~ 0,0570 0,59 1,18 HC03- 0,6400 10,50 10,50 14,16 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : —32 mt. — 62 — Campione XY I INDUSTRIA CONCIARIA ITALIANA « SAICI » Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaCO.,) . 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 4. — )) permanente » 5. — » temporanea » 0,6896 gr/litro 0,3650 » » 31° Francesi 8° » 23° » Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 0,1088 gr/litro 2. — » » magnesia (MgO) . 0,0478 » » 3. — » » alcali (Na20) .... 0,1248 » » 4. — » » cloro (Cl) . © © ~'l o 5. — » » anidride solforica (SO.,) 0,0381 » » 6. — » » anidr. carb. semic. (C02) 0,1606 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0777 1,94 3,88 Mg+ + 0,0282 1,18 2,36 Na+ 0,0926 4,03 4,03 10,27 cr 0,0740 2,08 2,08 so4- - 0,0458 0,47 0,94 HC03- 0,4450 7,31 7,31 10,33 L’acqua esaminata proviene Composizione 1. _ Titolo di silice (Si02) .... 0,0430 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,1430 » )> 3. — » )) magnesia (MgO) . 0,0710 » » 4. — » )> alcali (NasO) .... 0,1260 » » 5. — » » cloro (Cl) . 0,0740 » » 6. — » » anidride solf. (S08) . 0,0370 » » 7. — » » anidr. carb. sem. (C02) 0,2130 » » grammi/litro Millimoli/It. Milli valenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1020 2,55 5,10 ' Mg+ + Na+ 0,0430 0,0930 1,77 4,07 3,54 4,07 12,71 CI¬ 0,0740 2,10 . 2,10 SC,- - 0,0450 0,47 0,94 HC03- 0,5901 9,69 9,69 12,73 L’acqua esaminata proviene da due falde rispettivamente a quote : — 34 mt, e —53 mt, — 65 — Campione XVIII SOCONY VACUUM ITALIANA - RAFFINERIA DI NAPOLI Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo a secco a 110° C . 0,7150 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaC03) 0,3587 » » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) . 43° Francesi 4. — » permanente » 8° » 5. — » temporanea » . 35° » Composizione 1. — Titolo di silice (SiO„) .... 0,0340 gr/litro 2. — » » calce (CaO) .... 0,1397 )> » 3. — » » magnesia. (MgO) . 0,0709 » » 4. — » » alcali (Na20) .... 0,0907 )> » 5. — » » anidride solforica (S03) 0,0904 » » 6. — » » cloro (Cl) . 0,0692 » » 7. — » » anidr. carb. semic (C02) 0,1577 » » grammi/litro Millimoli]lt. Millivalenze/Jitro cationi anioni Ca+ + 0,0998 2,49 4,98 Mg+ + 0,0428 1,76 3,52 Na+ 0,0673 2,93 2,93 11,43 CI¬ 0,0904 2,55 2,55 SC),- - 0,0831 0,86 1,72 HCOs- 0,4374 7,17 7,17 11,44 L5 acqua esaminata proviene da tre falde rispettivamente a quote : — 47 mt. — 74 mt., — 96 mt. Campione XIX a « I.M.A.M. » Industrie Meccaniche Aeronautiche Meridionali Valutazioni chimiche diver 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — Alcalinità totale (CaC03) 3. — Durezza totale (idrotimetrica) 0,5570 gr/litro 0,3660 » » 13° Francesi 4. — » permanente »... 0° » 5. — » temporanea »... 13° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) . 0,0580 gr/litro 2. — )> » sesquios. di ferro (Fe203) 0,0018 » » 3. — » » tetross. di mang. (Mn204) 0,0015 » )> 4. — » » calce (CaO) . 0,0432 » » 5. — » » alcali (Na20) . 0,2012 » » 6. — » » magnesia (MgO) . 0,0185 » » 7. — » » cloro (Cl) . 0,0485 » » 8. — )> » anidride solforica (S02) . 0,0242 » » 9. — » » anidr. carb. semic. (C02) 0,1610 » » grammi/litro Millimoli/lt. IVIillivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0308 0,77 1,54 Mg+ + 0,0111 0,46 0,92 Fe++ 0,0012 0,02 0,04 Mn++ 0,0010 0,02 0,04 Na+ 0,1493 6,49 6,49 9,03 1,36 Cl- 0,0485 1,36 0,60 so4-- 0,0290 0,30 7,32 HC03- 0,4460 7,32 9,28 L’acqua esaminata proviene da una falda a quota: — 70 mt. — 6? ~ Campione XIX b « I. M. A. M. » - Industrie Meccaniche Aeronautiche Meridionali Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 1,25 gr/litro 2. — Alcalinità totale (raC03) 1,07 » » 3. - — Durezza totale (idrotimetrica) 40° Francesi 4. » permanente » 1° )> 5. — » temporanea » 39° » Composizione 1. — Titolo di silice (Si03) 0,0532 gr/litro 2. — » » calce (CaO) . 0,1336 )> » 3. — » » magnesia (MgO) . 0,0592 » », 4. — » )> alcali (Na30) . . 0,4830 » » 5. — » » cloro (Cl) . 0,0710 » » 6. — » » anidr. carb. semic. (CO.) 0,4700 » » 7. — » » anidride solforica (SO,) assente grammi/litro Millimoli/lt. Milliva lenze/litro . cationi anioni Ca+ + 0,0954 2,38 4,76 Mg++ 0,0357 1,47 2,94 Na+ 0,3600 15,68 15,68 23,38 CÌ+’* 0,0710 2,00 2,00 HC03" 1,2470 21,46 21,46 23,46 • L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : — 135 mt. — 68 Campione XXI a ANALISI DELL’ACQUA RINVENUTA IN UN POZZO SCAVATO NEL 1906 ALLA SOCIETÀ « VALSACCO (*) Composizione Titolo di silice (Si03) .... » » calce (CaO) .... » » magnesia (MgO) . » » ossidio di sodio (Na30) » » » » potassio (K30) » » cloro (Cl) . )> » anidride solforica (SO;ì) » » anidr. carb. semic. (C03) 0,0560 gr/litro 0, 1 545 » » 0,0504 » » 0,0772 » » 0,0782 » » 0,0577 » » 0,0260 » » 0,2123 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca ++ 0,1104 2,75 5,50 Mg++ 0,0304 1,25 2,50 Na+ 0,0573 2,49 2,49 K+ 0,0350 1,66 1,66 12,15 Cl" 0,0677 1,90 1,90 S04-- 0,0312 0,32 0,64 HC0s- 0,5880 9,64 9,64 12,18 (x) - Casoria E. : Sui processi di mineralizzazione delle acque in rapporto con la natura geologica dei terreni e delle roccie. Ann. R. Scuola Sup. Agr. di Portici , IV , 1903. L’acqua esaminata proviene da tre falde rispettivamente : a quote — 35 mt. e — 105 mt. 69 — Campione XXI b ANALISI DELL’ACQUA RINVENUTA IN UN POZZO SCAVATO NEL 1906 PER LA SOCIETÀ « VALSACCO » Composizione — Titolo di silice (SiO„) .... 0,0520 gr/litro — )> » calce (CaO) .... 0,2450 » » — » )> magnesia (MgO) . 0,1297 » » — » » ossido di sodio (Na20) 0,2787 » » — » » » » potassio (K20) 0,1094 » » — » » cloro (Cl) . 0,0706 » » — » » anidr. carb. semic (C03) 0,5558 » » — » » anidride solforica (S03) assente grammi/litro Millimolijlt. Millivalenze/Jitro cationi anioni Ca+ + 0,1751 4,36 8,72 Mg+ + 0,0782 3,21 6,42 Na+ 0,2068 8,99 8,99 K+ 0,0908 3,02 3,02 27,15 Cl" 0,0706 1,99 1,99 HC03- 1,5400 25,26 25,26 27,25 O ~ Gasoria E. : Sui processi di mineralizzazioue delle acque in rapporto con la natura geologica dei terreni e delle rocce. Ann. R. Scuola Sup. Ag. Por¬ tici, IV 1903. L’acqua esaminata proviene da una falda a quota : — 70 mt. — 70 Campione XXII ANALISI DELL’ACQUA RINVENUTA IN UN POZZO SCAVATO NEL 1880 PRESSO IL GASOMETRO (l) \ - ' ■ . . Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. . . . 1,420 gr/litro 2. — Alcalinità totale (CaC03) . . . 1,176 » » 3. — Durezza totale (idrotimetrica) . . 62° Francesi Composizione 1. — Titolo di calce (CaO) .... 0,209 gr/liti 2. — » » magnesia (MgO) . 0,100 )) )) 3. — » » alcali (NasO) .... 0,416 )) )) 4. — » » cloro (Cl) . 0,084 )) )) 6. — » » anidr. carb. semic. (C02) 0,517 )) » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,1496 3,73 7,46 Mg+ + 0,0606 2,49 4,98 Na+ 0,3093 13,45 13,45 25,89 CI¬ 0,0846 2,38 2,38 23,51 ECO.,- 1,4350 23,51 25,89 O Palmeri P. — Il pozzo artesiano dell’Arenaccia del 1880 confrontato con quello di Palazzo Reale di Napoli del 1847. - « Lo Spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei » - voi. I. Napoli, 1887. L’acqua proviene da una falda a quota ; — 123 mt, — 71 Campione XXIII ANALISI DELL’ACQUA DI UN POZZO TRIVELLATO NELLE ADIACENZE DELLA CHIESA DEI FIORENTINI IN NAPOLI (4) Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 2. — » » a 180° C. . 3. — Alcalinità totale (CaC03) 4. — Durezza totale (idrotimetrica) 5. — » permanente » 6. — - » temporanea » 0,5700 gr/litro 0,5661 )> » 0,2249 » » 5,5° Francesi . 0° » 5,5° » C omposizione 1. — Titolo di silice (Si02) .... 2. — )> » calce (CaO) .... 3. — » » magnesia (MgO) 4. — » » alcali (NasO) .... 5. — » » anidride solforica (S03) 6. » » cloro (Cl) . 7. — » » anidr. carb. semic. (C03) 0,0273 gr/litro 0,0288 » » 0,0026 » » 0,2227 » » 0,0290 » » 0,0762 » » 0,0989 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0206 0,51 1,02 Mg++. 0,0016 0,06 0,12 Fe++ 0,0018 0,03 0,06 Na+ 0,1653 7,18 7,18 8,38 cr 0,0762 2,15 2,15 so4~ - 0,0348 0,36 0,72 HC03- 0,2180 4,49 4,49 no3- 0,0565 0,91 0,91 8,28 (*) - Meo : Relazione sull’esame dell’acqua di un pozzo trivellato durante gli scavi di fondazione di nuovi fabbricati nelle adiacenze della chiesa dei Fiorentini in Napoli. - Bollettino Soc. dei Naturalisti , Napoli , voi. LX1 , 1952. — 72 — Campione XXIV ANALISI DELL’ACQUA DEL POZZO ARTESIANO DI PORTA DI MASSA (*) Valutazioni chimiche diverse 1. — Residuo secco a 110° C. 0,8610 gr/litro 2. — » » » 180° C. . . . 0,8600 » » Composizione 1. — Titolo di silice (Si02) . . 0,0284 gr/litro 2. — » » calce (CaO) . 0,0330 » » 3. — » » magnesia (MgO) . . 0,0033 » » 4. — » » ossido di sodio . 0,3413 » » 5. — » » » » potass. (KsO) 0,0296 » » 6. — » » cloro (Cl) . . . . 0,1475 » » 7. — » » anidride solforica (S03) 0,0942 » » grammi/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro cationi anioni Ca+ + 0,0235 0,58 1,16 Mg+ 0,0019 0,08 0,16 K+ 0,0245 0,62 0,62 Na+ 0,2532 11,01 11,01 * 12,95 cr 0,1475 4,16 4,16 S04— 0,1130 1,17 2,34 HC03- 0,3625 5,93 5,93 no3- 0,0326 0,52 0,52 12,95 (*) - Rebuffat O. : Sulle acque del sottosuolo di Napoli - Atti R, Istituto di Incoraggiamento - Napoli, voi. 78 ; 1926. *f'*' XVIII I I- / {-t J T£RB£/iO U£G£TA/£ ARO/ Li A SABB/OSA CON lAP/UO ARG/LIA SCUBA SCAGi/OSA tubo g/allastro COMPATTO \ Ì- SABB/A B/M£ CON CAP/ILO' I A PO U COSO , STBATf D/ TUBO £ SAB 1/A COM ACQUA TUBO £ l AVA COMPATTA SAAB /A B/r/t AA6/U0SA COMPATTA SABB/A con ABBOnDANTB D ACQUA SABB/A / lAP/UO APO/ÙOSO~ 3/A Fig. 2. XXIII Boll. Soc. Naturalisti in Napoli — Voi. LXIV (1955). Boll. Soc. Naturalisti in Napoli — Voi. LXIV (1955) Fig. 3 NAPOLI Tufo giallo 35 periodo A II *j v i u m Tufo giallo sfraf if icafo 3? periodo e maier. Vesuvio Materiale Ve s’u viano Pozzolana 22 periodo ■ Brecce e tufi del 19 periodo — 73 — Dopo aver esposto le composizioni delle acque esaminate, pèf dare una idea della disposizione delle rocce atttraversate jaelle tri¬ vellazioni riportiamo nella fig. 2 le sezioni stratigrafiche dei pozzi dai quali provengono molte delle acque analizzate. + * * Accenniamo ora, molto brevemente, alla genesi ed alla natura geologica della zona che ci riguarda, sulla cui conoscenza è neces¬ sariamente fondata ogni indagine intorno all’andamento delle falde artesiane ed alla mineralizzazione delle acque. Detto argomento è stato esaurientemente trattato dal prof. D’E- rasmo nella memoria: « Studio geologico dei pozzi profondi della Campania » pubblicata in questo Bollettino nel 1931. L’anfiteatro di monti calcarei che da Capua, Caserta, attraverso Nola si spinge fino al Sarno, delimita una vasta conca un tempo sommersa dal mare. Il materiale alluvionale trasportato dalle acque fluenti da quelle montagne verso il mare stesso, ed il materiale eruttivo prodotto dalla imponente attività vulcanica destatasi nella zona, portarono al riempimento graduale della primitiva insenatura marina, per cui, attraverso una fase lagunare, si giunse gradatamente alla emersione completa. Ultima ad emergere fu appunto la zona orientale, da noi presa in esame, la cosiddetta « Valle del Sebeto » che viene a trovarsi al limite fra i due distretti vulcanici napoletani: quello flegreo e quello vesuviano (vedi la cartina della fig. 3 disegnata dal dott. Bruno de Nisco sotto la direzione del prof. A. Scherillo — Boll. Ser¬ vizio Geologico , LXXV — 1953). Quando la piaga fu man mano ricoperta da materiale alluvio¬ nale e vulcanico, a seconda della finezza di granulazione di tale materiale vennero a formarsi delle stratificazioni di diversa permea¬ bilità; le acque che giungevano nella zona, percolando attraverso gli strati più permeabili, si accumularono sugli strati impermeabili sui quali poterono liberamente fluire, generando così delle falde artesiane. L’impermeabilità del materiale — che venne in tal modo a co¬ stituire il letto delle falde — dovuta originariamente solo alle di¬ mensioni piccolissime delle particelle, andò man mano aumentando a seguito dei fenomeni di argillifìcazione dei feldspati e dei vetri, ad opera delle acque medesime. Boll. Soc. Naturalisti 6 — 74 Per poter spiegare P andamento delle falde idriche sotterranee e per tentare di mettere in relazione il tipo di mineralizzazione delle acque esaminate con il tipo di roccia dei serbatoi naturali e dei terreni da esse attraversati nel percorso, è necessario individuare la provenienza delle acque che raggiungono la depressione da noi considerata; ciò non riesce difficile se diamo uno sguardo di insieme alla configurazione geografica della zona che circonda la « Valle del Sebeto ». In questa confluiscono le acque sotterranee provenienti dal grande serbatoio dei monti calcarei del Nolano, quelle provenienti dal sistema del Somma-Vesuvio ed infine le acque discendenti dalle colline napoletane, appartenenti queste ultime al sistema flegreo (13). Il primo bacino alimenta le falde più profonde : si tratta in genere di falde molte ricche, in quanto l’anfiteatro montuoso è co¬ stituito da calcari fratturati che consentono percolazione ed accumulo in notevole misura. Solo alla natura calcarea (14) di detto bacino si deve attribuire l’elevato contenuto di bicarbonati alcalino-terrosi delle acque più profonde, non giustificabile nel caso che esse attraversassero solo terreni vulcanici. Le falde più superficiali sono invece alimentate prevalentemente dalle acque dei due sistemi: vesuviano e flegreo; si nota infatti che in queste acque, rispetto a quelle più profonde, aumentano i bicar¬ bonati alcalini e diminuiscono i bicarbonati alcalino-terrosi. Man mano che ci si avvicina al limite ovest della zona con¬ siderata si nota una diminuzione graduale della durezza fino ad avere acque dolcissime come quelle: Vili (a), XIX (a) e VII; quei pozzi, evidentemente, devono essere alimentati quasi esclusivamente dalle acque meteoriche filtranti attraverso il tufo flegreo delle col¬ line napoletane. Il vulcanesimo, quindi, non ha distrutto nella zona la circola¬ zione artesiana, ma 1’ ha solo alterata; le irregolarità del sistema idrico sotterraneo, che facilmente si rilevano nelle varie sezioni stra¬ tigrafiche riportate nella fig. 2, possono attribuirsi sia all’ intreccio (13) Dainelli G., Guida della escursione dei Campi Flegrei. Atti XI Congr. (ìeogr. Ita!., voi. IV. Napoli 1930. (14) De Angelis D’Ossat G., Le acque dei calcari {le sorgenti di Caposele ). Boll. Soc. Geol. Itafi, XXX. Bontà, 1912. — 75 — delle stratificazioni, frequente nei terreni vulcanici, sia alla possibi¬ lità di formazione di depositi solo parziali. Si osserva inoltre, nella stratificazione dei materiali, l’alternanza di prodotti trachitici flegrei e leucotefritici vesuviani; perciò, dato il diverso contributo apportato dai due centri eruttivi nonché dai venti e dalle acque, non si può schematizzare come altrove un unico tipo di successione qualitativa e quantitativa del materiale attraversato nelle perforazioni. Ancora, in dipendenza della genesi della zona, si nota che spesso non c’è continuità negli strati, anche per perforazioni a piccola di¬ stanza l’una dall’altra, come in talune di quelle eseguite nell’ambito di uno stesso stabilimento. Il tufo giallo trachitico, prodotto caratteristico dei secondo pe¬ riodo flegreo, lo si riscontra solo nelle perforazioni eseguite sulla destra del Sebeto, in accordo con quanto riporta il Guadagno (15); esso poggia quasi costantemente su di uno strato di tufo verdognolo, così come si riscontra nelle trivellazioni eseguite nella zona esclu¬ sivamente flegrea. In alcuni casi al disopra del tufo giallo è pre¬ sente uno strato di pozzolana. In quasi tutti i pozzi poi, si riscontrano, a quote diverse, strati torbosi attestanti la fase lagunare e paludosa attraversata dalla zona in questione nel passaggio da plaga marina a continente. * * * Nel tentativo di individuare il probabile andamento delle falde artesiane, in base ai dati a nostra disposizione, abbiamo notato (vedi fig. 1), che gli stabilimenti, di cui all’elenco a pag. 44, per la gran parte si trovano più o meno allineati su due direzioni pre¬ ferenziali, l’una parallela (A B) e l’altra — grosso modo — perr pendicolare (C D) alla linea di spiaggia. Sui piani verticali passanti per le rette orientate secondo queste due direzioni, sono state ri¬ portate, per ogni pozzo, le profondità alle quali l’acqua è stata rin- (lj) Guadagno M., Il pizzo artesiano della Centrale elettrica del Volturno Boll. Società Naturalisti, voi. XXVIII. Napoli, 1926. — , Il tufo giallo trachitico. Atti del R. Istituto di Incoraggiamento, Napoli, 1928, venuta, in modo da rappresentare l’andamento delle falde lungo le due direzioni scelte : (Figg. 4 e 5). Fig. 5 Solo lungo la direzione C D, è stato possibile, sulla scorta dei dati a nostra disposizione, tracciare lo spaccato geologico per de¬ lineare anche i probabili andamenti stratigrafici. (Fig. 6). 77 — Tutte le quote riportate sui diagrammi delle figg. 4, 5 e 6 sono riferite al piano di campagna, in quanto le sezioni dei pozzi in nostro possesso mancano per lo più delTindicazione della quota sul livello del mare. m Wm Terreno di riporlo T orba ijfip Tufo m 1 m 1 ::±: Sabbia e sfrafi di fufo. Lava vulcanici incoerenfi Fig. 6 Per gli stabilimenti per i quali avevamo a disposizione più se¬ zioni stratigrafiche relative ai pozzi, abbiamo riportato dei dati medi per le quote delle falde. Da quanto finora esposto, nella zona esaminata esistono tre falde acquifere sovrapposte : la più superficiale fu per molto tempo V u- nica utilizzata nella zona, ma dato il continuo aumento dell’attività industriale ben presto la sua portata non fu più sufficiente a sod- — 78 — disfare le esigenze dei nuovi stabilimenti. Le varie ditte furono quindi costrette a far trivellare pozzi più profondi e le due falde individuate successivamente risultarono più ricche, data l’ampiezza del bacino calcareo che le alimenta. Ma l’acqua rinvenuta, essendo più dura deve, di regola, subire il trattamento chimico di depurazione. Il livello della prima falda oscilla tra i - 30 e i - 47 mt. dal piano di campagna; solo nel pozzo XVI il livello risalirebbe fino a - 16 mt. in accordo con quanto afferma il Ruggiero secondo il quale ai quadrivio di Poggioreale la prima falda si trova a - 10 mt. (16). Essa scompare a nord-ovest, cioè nella zona limite che dalle vi¬ cinanze del mare, all’altezza di Via Stella Polare, sale fino a Piazza Enrico Cenni (Poggioreale); infatti non la si ritrova nello stratigrafie dei pozzi Vili e X. L’andamento della seconda falda è pure abbastanza regolare: la quote variano fra -60 e -83 mt. Anche essa risale alla fine di Via Traccia, verso il quadrivio di Poggioreale. In quanto alla terza falda i dati a nostra disposizione sono meno numerosi; comunque per essa le quote oscillano tra i - 85 e i - 130 mt. Dalla fig. 5 risulta che, mediamente, il livello per tutte tre le falde si abbassa man mano che ci si avvicina al mare. Si tenga pre¬ sente la posizione del grande serbatoio calcareo del Nolano la cui influenza predomina su quella degli altri due bacini di alimenta¬ zione. Inoltre osservando la fig. 4 notiamo che il livello delle tre falde si abbassa anche procedendo da est ad ovest lunga la linea di spiaggia: evidentemente lungo questa direzione prevale invece l’influenza del vicino sistema: Somma-Vesuvio. Per dare ora una rapida visione di insieme dei tipi di acqua provenienti da tali falde, riportiamo nella fig. 7 le rappresentazioni grafiche della composizione analitica di tutti i campioni da noi esa¬ minati. L’agente mineralizzatore predominante è, per tutte, l’ione HCO„'~; in minore quantità sono contenuti: l’ione S04-- e l’ione Ci-. Il titolo dei cloruri è pressocchè costante in tutte le acque, quello dei solfati è molto variabile ; in alcune acque l’ione S04 manca completamente. (16) Ruggiero P. 1., c. — 19 — Le durezze totali sono molto diverse a seconda della falda da . ,, . millivalenze del calcio . P cui 1 acqua proviene; il rapporto: — rrn — ; - T-, - r— varia Ira x A L L millivalenze del magnesio 1 e 2,5. Nulla possiamo dire circa il rapporto Na+/K+, in quanto le analisi furono originariamente eseguite a scopo industriale e quindi gli alcali, calcolati in base aH’alcalinità e alla durezza per¬ manente, sono espressi complessivamente in sodio (Na+). Non ci è stato pertanto possibile verificare quanto afferma il Casoria circa la prevalenza del potassio sui sodio, prevalenza che contradistingue¬ rebbe le acque della zona vesuviana da quelle delia zona flegrea (17). In alcuni campioni sono presenti anche ferro e manganese in quan¬ tità apprezzabili. Si tratta quindi di acque ricche di bicarbonati alcalini e alca- lino-terrosi, cioè sali formatisi in seguito all’azione aggressiva della C02, sciolta nelle acque stesse, sulle rocce del sottosuolo : rocce calcaree e rocce vulcaniche. Alla successiva scissione degli acidi polisilicici liberatisi in seguito all’attacco delle rocce vulcaniche è dovuto il notevole contenuto di silice colloidale in tutte le acque esaminate. I residui variano a secondo della intensità della mineralizza¬ zione, tra 0,7 e 1,7 gr/litro. Molti pozzi attingono acqua a falde diverse; la composizione di tali acque, variabile a secondo del regime del pozzo, nulla può dirci quindi circa il tipo di acqua di ogni singola falda. Allo scopo di definire tale tipo abbiamo individuato, presso le varie industrie, i pochi pozzi alimentati da una sola delle tre falde e ne abbiamo analizzata l’acqua relativa, traendone le seguenti con¬ siderazioni : 1) — Caratteristiche delVacqua della /a falda. L’acqua presenta un residuo su 0,8 gr./litro e durezza totale su . . v t . . ! ! millivalenze degli alcalino-terrosi 40 (francesi). Il valore del rapporto - è circa 2,5. millivalenze degli alcali (17) Casoria E., Le acque della regione vesuviana . Ann. R. Scuola Sup. di Agr. di Portici. Napoli, VI, 1891. (18) Rebuffat O., 1. c. — 80 — Caratteristiche particolari sono : l’elevato valore della durezza permanente ed il notevole contenuto di solfati che, nelle acque dei pozzi in prossimità del mare (III), giunge ad eguagliare quello dei cloruri. I nostri risultati sono in accordo con i dati di analisi forniti dal Prof. Rebuffat in un suo lavoro del 1926 e da noi riportati qui di seguito (18). Campione 1 Campione 2 1) — Titolo di silice (Si02) 2) — > » calce (CaO) 3) — » » magnesia (MgO) 4) — » » solfati (S03) 5) — » » cloruri (Cl) 0,051 gr/lt 0,175 » » 0,058 » » 0,118 » > 0,128 » » 0,045 gr/lt 0,168 » » 0,040 » » 0,168 » » 0,151 » » 2) — Caratteristiche delVacqua della IIa falda. L’acqua presenta un residuo oscillante fra 0,68 e 0,93 gr/lt ed una durezza totale variabile fra 22° e 47° (francesi). Il contenuto di alcali e cloro è invece pressocchè costante; ciò lascia supporre che i diversi valori della durezza e del residuo siano da attribuire solo ad una variazione del contenuto di CCL libera e semicombi¬ nata, e quindi, del tenore di bicarbonato di calcio. Caratteristica di questa acqua è la durezza permanente bassis¬ sima o addirittura nulla; a differenza della prima falda i solfati sono quasi completamente assenti. Il contenuto di bicarbonati alcalini è , ■ . millivalenze degli alcalino-terrosi maggiore e quindi il valore del rapporto - — - : - millivalenze degli alcali diminuisce e si avvicina all’unità. 3) — Caratteristiche delV acqua della IIIa falda. L’acqua della IIP falda ha le stesse caratteristiche di quella della lì , soltanto è molto più fortemente mineralizzata ; infatti i valori dei residui sono più elevati (1,02 _f- 1,77 gr/litro) e la du¬ rezza totale arriva sino a 108° (francesi). Tali caratteristiche sono confermate dall’analisi riportata dal Casoria per l’acqua dell’ex zuccherificio della Società « Yalsacco » nella zona di Poggioreale. Anche il Palmeri trova una composizione analoga per l’acqua rinvenuta a quota: - 123 mt., in un pozzo sca¬ vato nel 1887 al Gasometro. (18) Rebuffat O., I, c. Fig. 7 y b da soldoslanfe la parie cenlrale della ciffa di Napoli H C03" Miscele di I! IP e IlPfalda Miscele di Pe IP falda Falda soffosfanfe la parfe cenfrale della ciffa di Napoli 81 — Le rappresentazioni grafiche della composizione di queste due acque sono state da noi accluse a quelle della terza falda. Per quanto riguarda le miscele di acque delle varie falde, la loro composizione, evidentemente, varia a secondo dei rapporti di mescolanza ; comunque l’apporto di ogni falda è individuabile a mezzo della mineralizzazione specifica dell’acqua della falda stessa. La su detta individuazione è però complicata dal fatto che all’atto della mescolanza intervengono delle reazioni tra i vari sali disciolti nelle acque stesse : confrontando ad es. la composizione dell’acqua III a, proveniente dalla prima falda, con quella del- 1’ acqua III ò, proveniente da tutte tre le falde, si nota che la du¬ rezza permanente scende da 14° (francesi) a 2° (francesi) pur va¬ riando di poco il titolo di solfati e cloruri. Probabilmente i bicar¬ bonati alcalini delle acque più profonde, reagendo con il solfato di calcio presente unicamente nell’acqua della prima falda, hanno dato origine a solfato sodico, con contemporanea precipitazione di car¬ bonato di calcio. Dei tre pozzi di cui allo stabilimento Vili, uno di essi, pur avendo circa la stessa profondità degli altri due (-92 mt.), fornisce acqua di composizione completamente diversa, cioè molto dolce (9° Fr.) e con basso residuo, (0,4 gr/litro). Tale acqua risulta analoga a quella ritrovata a -130 mt. nello stabilimento VII, a -70 mt. in quello XlXa, a -96 mt. ai Fiorentini (1?), e a -91 mt. a Porta di Massa (*°). E’ per tanto probabile che essa appartenga già alla falda arte¬ siana che scorre solo sotto la parte centrale della città di Napoli e che è alimentata quasi esclusivamente dalle acque meteoriche fil¬ tranti attraverso il tufo delle colline napoletane. Data l’origine delle acque profonde della zona esaminata, si è pensato che la loro composizione dovesse risultare analoga a quella delle lontane acque sgorganti dai pozzi nella zona a nord-est della città (tra Poggioreale e Casalnuovo), che l’Acquedotto di Napoli ha fatto trivellare allo scopo di adeguarsi alle accresciute esigenze della città. (19) Meo F., 1. c. (20) Rebuffato., 1. c8 — 82 — Riportiamo qui di seguito Fanalisi, cortesemente fornitaci dal¬ l’Acquedotto, relativa ad un campione di acqua dei pozzi artesiani della zona di Lufrano : 1) — Durezza totale 2) - permanente ...... 6,10° » 3) - temporanea ...... 31,50° » 4) — Residuo secco a 110° C. 0,7692 gr/ litro 5) — Titolo di silice (Si02) ...... 0,0665 » » 6) - > » sesquiossidi di alluminio e ferro (R, 0;5) 0,0040 > » 7) - » » calce (CaO) ...... 0,1735 » » 8) — » » magnesia (MgO) . . . 0,0482 » » 9) — » > cloro (Cl) ....... 0,0624 > » 10) — » » solfati (SO,) . 0,0644 » > 37,60° Francesi DaH’esame di tali dati risulta che, in effetti, anche a così no¬ tevole distanza della zona da noi esaminata, il tipo di acqua resta abbastanza costante. Lo stesso può dirsi nei riguardi della composizione di un’acqua prelevata da un pozzo a Potnigliano, di cui riportiamo i dati qui di seguito. 1) - Durezza totale (idrotimetrica) • i 35° Francesi 2) - » permanente » » 9° » 3) - » temporanea » » 26° » 4) - Alcalinità totale (CaCO,) . 0,312 gr/litro 5) - Residuo secco a 110° C. . 0.717 » » 6) - Titolo di silice (Si0.2) . . 0,040 > » 7) - » » sesquiossidi di alluminio e ferro (R2 O,) 0,004 » » 8) - » » calce (CaO) . . . , 0,168 » » 9) - » » cloruri (Cl) . 0,071 > » 10) > » solfati (SO,) . 0,081 » » La raccolta di dati e di notizie riguardanti l’idrografìa e l’idro¬ logia del sottosuolo di Napoli e dintorni continua presso l’Istituto di Chimica Industriale. Per tanto, successivamente, verrà riferito sul medesimo argomento per zone diverse da quella sud-orientale che è stata presa in esame in questa prima nota. Napoti - Istituto di Chimica Industriale dell’ Università Giugno 1955 Segnalazione di un livello di pomici in Grotta Romanelli, presso Castro (prov. di Lecce). Nota del socio Antonio Lazzari (Con una Tav. fuori testo) (Tornata del 29 aprile 1955) Alla base dei depositi che costituiscono il riempimento di Grotta Romanelli, cioè a contatto con ibcalcare ippuritico del Creta¬ cico superiore, fu segnalata da G. A Blanc una « formazione di pietrame calcareo, K, i cui elementi appaiono arrotondati da un fluitamento più o meno prolungato, ed ai quali sono frammisti dei frammenti di pietra pomice, aneli’ essi arrotondati » (* 1). Questa semplice segnalazione della presenza di materiale piro¬ clastico non è stata poi seguita da alcuna successiva notizia, se si escluda il brevissimo cenno, fornito da quello studioso, nella seconda nota illustrante i depositi della grotta. Difatti, parlando del pietrame calcareo a spigoli arrotondati che costituisce la spiaggia marina sollevata, è detto che in esso si rinvengono « anche alcuni frammenti arrotondati di pomici, di evidente apporto marino » (2). Appare chiaro, quindi, che il materiale pumiceo rinvenuto in quelle esplorazioni, dovesse essere assai scarso, e la sua presenza ritenuta assolutamente casuale, se il Blanc, che pure ha preso in esame, e sistematicamente illustrato anche dal punto di vista geo¬ chimico, i vari depositi di Grotta Romanelli, non ha creduto dovervi dedicare altro che i brevi cenni sopra riportati. Pertanto non sarà privo di interesse per gli studiosi, soprattutto per le deduzioni che mi sembra possibile trarre, fornire qualche notizia su un ritrovamento di un livello di pomici da me effettuato recentemente (17 aprile 1955), in occasione di una mia visita a quella grotta. (*) Blanc G. A., Grotta Romanelli. I: Stratigrafia dei depositi e natura e origine di essi. Arch. per l’ Antrop. e la Etnol., voi. L, fase. 1-4, 1920. Firenze, 1921. (2) Blanc G. A., Grotta Romanelli. II: Dati ecologici e pai etnologici. Atti la Riunione Ist. Ital. Paleont. Umana. Arch. per l’Antrop. e la Etnol., voi. LVIII, fase. 1-4., 1928. Firenze, 1930. — 84 — Si tratta di un deposito insolito, la cui presenza è in grado di fornire un prezioso elemento per un tentativo di sincronizzazione dei depositi più antichi di quella stazione preistorica, con l’attività esplosiva del Vulture, sembrandomi questo l’unico vulcano al quale si possa attribuire l’origine delle pomici. Nella zona centrale della grotta, là dove il suolo calcareo rag¬ giunge quasi la sua massima elevazione (almeno in quella porzione della cavità in cui sono stati completamente rimossi i depositi di terra bruna e di terra rossa, rispettivamente formazioni A-G di Blanc), il livello I, costituito da detrito calcareo grossolano a spigoli vivi, ed il livello H, rappresentato da una crosta stalagmitica di spessore variabile fino a 20 cm, poggiano sul calcare in posto, senza la in¬ terposizione della spiaggia sollevata K. E qui che si rinviene un livello di forma lenticolare, costituito esclusivamente da pomici, dello spessore massimo di circa 15 cm (vedi Tav. la, figg. 1 e 2). Il deposito suddetto può considerarsi diviso in due parti di¬ stinte, di cui quella inferiore risulta costituita da minute pomici grigiastre, finemente porose, che ad un esame macroscopico non mostrano evidenti segni di alterazione. Nella parte superiore, in¬ vece, le pomici sono profondamente alterate, sì da assumere una colorazione rosso mattone e giallastra, con passaggi intermedi. Tale colorazione rappresenta, presumibilmente, il risultato di un vario grado di ossidazione dei composti del ferro presenti in quel ma¬ teriale. Non mi pare, difatti, che per spiegare il colore delle pomici superiori, si possa invocare la presenza di ossidi di ferro pervenuti dalla formazione della terra rossa (livello G della stratigrafia sta¬ bilita da Blanc) in quanto, in tal caso, anche il pietrame calca¬ reo a spigoli vivi e la crosta stalagmitica ne risulterebbero inte¬ ressati. Del resto, mi pare logico ammettere che la crosta stalag¬ mitica stessa, che salda la parte superiore del livello a pietrame calcareo, abbia impedito qualsiasi discesa di sostanze coloranti dai depositi soprastanti. Le pomici da me rinvenute sono assai piccole ed irregolarmente arrotondate con diametro massimo compreso fra 2 e 15-18 mm; il che sembrerebbe parlare in favore di un trasporto abbastanza lungo. La presenza di un vero e proprio livello a pomici non era stata mai segnalata; ed io stesso, che pure ho occasione di recarmi in quella grotta con una certa frequenza, non lo avevo precedente- mente osservato. Ciò trova la sua spiegazione nel fatto che il pie- trame calcareo (livello I di Blanc) con il suo vario ed irregolare an¬ damento, aveva evidentemente occultato fino ad ora il deposito di po¬ mici. Questo sarebbe poi affiorato recentemente, a sèguito della tem¬ pesta del mattino del 13 dicembre 1954, di eccezionale violenza, le cui ondate dovettero pervenire fin nella grotta, come è dimostrato dai molti segni di dilavamento subito dal materiale di risulta degli scavi (che riempie cunicoli e marmitte aperte sul suolo della grotta stessa), fin anche al piede attuale del deposito paleolitico. Il problema della determinazione del centro vulcanico di pro¬ venienza di tale materiale piroclastico è, evidentemente, di grande interesse. Naturalmente, la via più logica e sicura per pervénire a tale precisazione è rappresentata dall’ analisi chimica che, quando si tratti di materiale fresco, costituisce un mezzo di indagine per¬ fettamente atto a stabilire i rapporti genetici fra materiale vulca¬ nico e centro eruttivo di origine. Ma è da notare che le pomici di Grotta Romanelli risultano alquanto alterate, e quindi l’ ana¬ lisi chimica può fornire solo qualche ragguaglio orientativo, senza peraltro consentire una definizione sicura del magma da cui esse provengono. Purtuttavia, non volendo trascurare neppure questo aspetto del problema, è stata eseguita una analisi chimica da parte del prof. Antonio Scherillo, Direttore dell’ Istituto di Mineralogia dell’ U- niversità di Napoli ({), che ha fornito i risultati indicati nella tabella N. 1, nella quale sono anche riportati, per i necessari raffronti, i dati relativi ad alcune rocce del Vulture analizzate da Narici (3). Nella tab. N. 2 vengono invece indicati i rispettivi valori del Niggli, per rendere meglio evidenti i rapporti. Dalla prima di tali tabelle risulta anzitutto che l’analisi rela¬ tiva alle pomici inferiori di Grotta Romanelli si differenzia alquanto da quelle riportate per altri prodotti del Vulture, scelti fra quelli che sembrano avere maggiore affinità con il mio materiale. (*) Mi è gradito esprimere qui i sensi della mia viva gratitudine al prof. A. Scherillo, per l’affettuosa collaborazione di cui ha voluto onorarmi, non solo occupandosi personalmente dell’analisi delle pomici, ma per avermi anche fornito i dati relativi alle ricerche di Narici, nonché gli elementi indispensabili per la migliore comprensione dei rapporti dei materiale da me raccolto con gli altri pro¬ dotti del Vulture. (2) Narici E., Contributo alla petrografia chimica della provincia pirogra¬ fica campana e del M. Vulture. Zeitschrift f. Vulkanologie, voi. XIV, pag. 239. Berlino, 1931 - 32. — 86 — Tabella N. 1 — Composizione chimica. Pomici di Grotta Romanelli Tefrite hauynica di Melfi Leucit- tefrite di Servialto Tefrite hauynica di Rionero Si(X 49.00 48.63 43.82 48.38 Ti00 0.30 0.88 1.00 0.66 ZrO, 0.03 — — — ALÒ, 16.33 18.27 16.62 22.83 Fe.,0, 5.05 4.35 . 4.73 3.40 FeÒ 3.70 1.73 3.32 2.66 MnO 0.10 0.18 0.19 — MgO 3.42 3.24 4.75 1.96 CaO 8.48 8.31 11.35 6.66 BaO 0.04 — — ' — K.,0 1.11 2.48 2.65 4.31 Na*0 3.65 2.65 4.88 5.15 cr 1.40 0.06 0.61 0.45 SO. 0.18 0.04 0.71 1.48 PA 0.14 1.00 0.97 0.45 C09 0.20 — — — H9Ó" 4.35 3.75 1.27 0.42 ELO+ 3.41 4.15 3.16 1.38 a dedurre 100.89 99.72 100.03 100.41 (-0/C1) 0.35 0.01 0.14 0.10 100.54 99.71 99.89 100.31 1 L’alto tenore in FeO, MgO è CaO indica che si tratta indubbiamente di una roccia basica, della quale, peraltro, non è possibile stabilire il tipo petrografico perchè l’alterazione ha avuto sicuramente l’effetto di impoverirla di alcali, e specialmente di K.,0 (una parte del quale può essere stato sostituito da Na90). A questo proposito è necessario ricor¬ dare che per il mio materiale non si può neppure escludere la presenza di Na CI dovuto alle acque marine nelle quali le pomici galleggia¬ rono a lungo, e dalle quali debbono anche essere state investite re¬ centemente (13 dicembre 1954). Poiché le pomici sono tutt’altro che fresche, i valori del Niggli riportati nella Tab. n. 2, hanno solo un valore indicativo; per la stessa ragione, ovviamente, risulta del tutto inutile procedere ad un calcolo della « norma ». 87 — Dal confronto fra le varie analisi riportate, e fra i relativi va¬ lori del Niggli, non appare decisamente una consanguineità fra le pomici e le altre rocce considerate; purtuttavia è da notare che esiste una certa analogia con i dati della tefrite hauynica di Melfi e con la leucit - tefrite di Servialto. A questo proposito è, però, da Tabella N. 2 — Valori di Niggli. Pomici di Grotta Romanelli Tefrite hauynica di Melfi Leucitofiro tefritico di Servialto Tefrite hauynica di Rionero Si 145 145 101 133 al 28.5 32 23.5 37 fm 35.4 29 32.5 22 c 26.9 26.5 29 20 ale 9.2 12.5 15 21 k 0.23 0.39 0.26 0.36 mg 0.42 0.5 0.53 0.4 tener presente che le nostre pomici non possono assolutamente essere attribuite all’hauynofiro di Melfi (anche se questo, secondo De Lorenzo (*) rappresenta una delle ultime manifestazioni del Vulture) perchè ivi si tratta indubbiamente di una cupola lavica che non può aver dato origine a vistosi prodotti di esplosione. E poiché, come verrà precisato nel corso della presente nota, le pomici di cui trattasi debbono essere state eruttate nel corso di un tardo Tirreniano, così possiamo ragionevolmente ammettere che esse derivino dalle fasi parossismiche finali dell’attività del Vulture, vale a dire da quelle che portarono alla formazione dei cratere distoma di Monticchio, ove attualmente sono insediate le acque dei due laghi. Tale cratere, eccentrico rispetto alia caldera primitiva, dovette avere una attività prevalentemente esplosiva, dopo la quale si determinò il collasso finale della piattaforma. Se si ammette che le pomici appartengano a tali ultime esplosioni, viene a spiegarsi anche (*) De Lorenzo G., Studio Geologico del Monte Vulture, Atti R. Acc. Se. Fis, e Mat., Ser. IIa , voi. X, n. 1. Napoli, 1899. la loro più elevata basicità e, conseguentemente, il loro arricchi¬ mento in minerali feritici e l’impoverimento in minerali sialici. Esse pomici potrebbero, quindi, corrispondere anche alla tefrite hauynica di Rionero. Peraltro è da rilevare che considerazioni di carattere topogra¬ fico e sull’andamento delle correnti marine lungo le nostre coste, fanno senz’ altro ritenere che il materiale da me raccolto debba pro¬ venire dal Vulture, la cui attività si estrinsecò nel Quaternario e — più propriamente — dopo il Calabriano, come sarà ora dimo¬ strato. Difatti quando il Vulture era in attività, i suoi prodotti piro¬ clastici dovevano pervenire all’Adriatico in grande quantità e ciò per la vicinanza di quei vulcano alla costa orientale della Puglia. A ciò si aggiunga l’azione di trasporto esercitata dall’ Ofanto, che lambisce 1’ edificio vulcanico sul lato occidentale (l) , e nelle cui acque dovevano direttamente pervenire con abbondanza, i ma¬ teriali piroclastici eruttati nelle fasi esplosive. Del resto, mi sembra che la quanto mai propizia posizione geo¬ grafica del Vulture rispetto all’ Adriatico, nel quale sfocia l’Ofanto, di cui sono tributari tutti i piccoli corsi d’acqua che scendono dalle pendici di quel vulcano, porti ad escludere qualsiasi altra possibi¬ lità di provenienza di quel materiale (~). Non sembra difatti ammissi¬ bile che si tratti di prodotti di origine campana (flegrea e vesu¬ viana), nè pontina, nè — infine — che si possa pensare ad una origine egea, trattandosi di centri vulcanici il cui chimismo è di gran lunga meno affine a quello delle pomici di Grotta Ro¬ manelli. (*) Osservando l’andamento del medio corso dell’Ofanto, si è portati ad am¬ mettere che la grande curva che il fiume descrive, dopo avere sfiorato il Vulture da occidente, rappresenti il risultato di movimenti locali di sollevamento, o di sbarramento, verificatisi in quelle zone in conseguenza dell'inizio dell’attività vul¬ canica. (2) E’ noto che anche oggi, nelle sabbie marine dell’Adriatico meridionale, e specialmente nella zona prossima alla foce dell’ Ofanto, si rinvengono grandi quan¬ tità di cristalli di magnetite, augite, orneblenda, ecc. che secondo Ludwig, Virgilio, Sacco e Checchia-Rispoli, avrebbero la medesima provenienza dal Vulture, anche se il Chelqssi abbia espresso (Boll. S. G. 1911) una contraria opinione, rite¬ nendoli provenienti dal fondo marino. Più recentemente Maxia ha ripreso l’ argomento dimostrandone la effettiva provenienza dal Vulture (cfr. Maxia C., Sulle sabbie magnetifere del bacino del V Ofanto (Puglia). Periodico di Mineralogia, XII, n. 1, pag. 145. Roma, 1941). — 89 — Se, quindi, tali pomici pervennero alla grotta in conseguenza de.l loro trasporto per effetto della corrente che scende dall’ alto Adriatico, risulta fondata l’ipotesi che ciòdovette avvenire in conco¬ mitanza con qualcuna delle fasi di attività violenta esplosiva del Vul¬ ture, durante le quali le acque dell’Ofanto dovettero, evidentemente, convogliare all’Adriatico notevoli quantitativi di materiale piroclastico. Appare quindi fondato un tentativo di correlazione fra il li¬ vello a pomici di Grotta Romanelli e l’ attività di quel vulcano. Ma, prima di procedere a tale tentativo, converrà anzitutto ri¬ cordare che i materiali del Vulture sono certamente di età post- calabriana, come può agevolmente desumersi dalle loro condizioni di giacitura rispetto alle argille del Pleistocene inferiore ; il che del resto, era stato già notato da De Lorenzo (l.c.). ’ t Ma i dati rilevabili in quelle zone portano alla constatazione c he l’attività del nostro vulcano dovette estrinsecarsi prevalente¬ mente nel corso del Tirreniano, con fasi finali al termine di quel piano. Per ben comprendere una tale situazione, occorre richiamare l’attenzione sul fatto che in quelle regioni, situate al margine nord- orientale dell’ Appennino meridionale, il Pliocene ed il Calabriano inferiore (*) costituiscono un unico ciclo sedimentario ; vi manca il Calabriano superiore e certamente anche il Siciliano. I conglomerati di chiusura del Calabriano inferiore corrispon¬ dono, quindi, ad una regressione; ed è evidente che nel corso del restante Calabriano e del Siciliano, quei sedimenti furono varia¬ mente modellati, con incisioni vallive nelle quali, a sèguito delle eruzioni del Vulture, e per gli sbarramenti che ne derivarono, an¬ darono ad insediarsi le acque dei laghi di Venosa e di Vitalba. L’attività del vulcano, o almeno quelle fasi che dettero luogo alla produzione di ingenti quantitativi di materiale piroclastico, (x) L’attribuzione al Calabriano inferiore è basata soprattutto sullo studio delle microfaune di numerosissimi campioni prelevati nell’ambito del F° 175 (Cerignola). A tale proposito si vela: D’Erasmo G., Lazzari A., Minieri V. e Moncharmont Zei M., Sul rilevamento del F° 175 III. Boll. Serv. Geol. Italia, voi. LXXV, 1953. Roma, 1954. - Relazione preliminare sul rilevamento geologico del F° 175 II (Lavello), ed aree limitrofe. Ibidem, voi. LXXVI, 1954. Roma, 1955- In particolare si consulti, anche per le malacofaune: Moncharmont Zei M., Contributo alla conoscenza del Calabriano della Valle deWOfanto. Ibidem, voi. LXXVII, 1955. Roma, 1956 (in corso di stamp-a) Boll. Soc. Naturalisti 7 — 90 — dovette iniziarsi, quindi, nel corso di un tardo Siciliano, o me¬ glio ancora, nel Tirreniano. Ciò, del resto, trova riscontro in quanto è dato dedurre dai caratteri delFindustria litica rinvenuta nei depositi limno -vulcanici di Terranera di Venosa, ed altre località vicine, nonché dalla sua associazione con i resti di Elephas antiquus , Rhinoceros merchi , Hippopotamus amphibius , ecc. Le ricerche condotte da Rellini (*) e da D’ Erasmo (2), riprese negli ultimi tempi da C. A. Blanc (2), dimostrano che in quel giaci¬ mento i manufatti litici ed i resti di mammiferi sono in posto; e pertanto, dai caratteri dell’industria di tipo achenleano, si può senz’altro ammettere che il riempimento di quel lago pleistocenico dovette avvenire in una fase calda, che dobbiamo ritenere corri¬ spondente ad un Tirreniano I, durante il quale Grotta Romanelli era certamente al di sotto del livello marino. A questo proposito, occorre tenere nel debito conto i dati mor¬ fologici e micropaleontologici che si possono raccogliere nei din¬ torni di Grotta Romanelli. Lungo la costa compresa fra Marina di Castro e S. Cesaria Terme, è bene evidente un livello di terrazzo costiero a m. 30-35 s. 1. m., cui corrispondono i depositi marini presenti a Castro ed a Porto Miggiano, presso S. Cesaria Terme, che si spingono ad altezza di poco inferiore. Tali depositi sono rappresentati da càrpari scarsamente fos¬ siliferi, intercalati da ridotti livelli di argilla grossolanamente sab¬ biosa con Lithotliamnium. Questa risulta abbastanza ricca in lo - raminiferi, con frequenza di Miliolidi di habitat caldo e grande abbondanza di Cibicides lobatulus (4) che offre una notevole varia¬ bilità di forme, analogamente a quanto è stato messo in evidenza da Accordi (5) per la Barma Grande. (x) Reclini U. Sulle stazioni quaternarie di tipo “ chélléen „ del V Agro Veno- sino. Mem. R. Acc. Lincei, CL Se. Fis., ser. V, voi. XV. Roma, 1915. (2) D’ Erasmo G., La fauna della Grotta di Loretello presso Venosa. Atti R. Acc. Se. Fis. e Mat., Ser. 2a , voi. XIX, n. 4. Napoli, 1932. (:ì) Blanc C. A., Venosa. Gisement à industrie tayacienne et micoquienne de Loreto. In : IV Congrés intern. Inqua, Roma - Pisa 1953 : Excursion dans les Abruzzes, les Pouilles et sur la cote de Salerno. Roma, 1953. (4) Il dr. Enrico Di Napoli Alliata, noto specialista in foraminiferi, mi ha cortesemente comunicato che l’abbondanza di tale specie può essere assunta come elemento significativo di habitat caldo. (5) Accordi B., I foraminiferi tirreniani della Barma Grande. Ann. Univer¬ sità Ferrara, voi. Vili, parte I. Ferrara, 1950, y — 91 — La posizione del terrazzo, che raggiunge l’altezza generalmente riconosciuta nel Mediterraneo, e l’associazione microfaunistica di quei depositi, conducono, quindi, alla conclusione che, durante il Tirreniano I, Grotta Romanelli doveva certamente trovarsi al di sotto del livello del mare (*), o addirittura era ancora in via di formazione. Le pomici recentemente rinvenute dovettero pervenire quindi sulla costa occidentale del Canale d’Otranto in un periodo in cui la grotta doveva essere già completamente emersa e dopo che l’uomo aveva proceduto al suo primo insediamento nella marmitta costiera (~) lasciandovi resti di focolari ed ossa di Rhinoceros mer¬ chi. , Hippopotamus amphibius , ecc. e, a più forte ragione, dopo la formazione della spiaggia fossile (livello K). Poiché è da escludere che possa avere avuto luogo una sedi¬ mentazione delle pomici nella grotta (il che porterebbe ad ammet¬ tere una nuova variazione del livello marino per eustatismo, ed anche perchè esse non sono sufficientemente piccole da essere permeate dall’ acqua in tutti i loro meati), si deve ragionevolmente ritenere che quel materiale sia stato piuttosto lanciato nella grotta dalle onde, quando la cavità di trovava già definitivamente emersa, e prima che si formasse all’imboccatura lo sbarramento costituito dalla nota breccia ossifera, di età certamente posteriore al periodo di sommer¬ sione della grotta (y). (*) Del terrazzo tirreniano è presente un vasto lembo anche presso Grotta Romanelli, sulla destra di chi guarda dal mare, ed al di sopra della non lontana Grotta Zinzulusa. (2) Ove si tengano presenti forma e dimensioni della grotta, appare strano che l’uomo primitivo, pur avendo a disposizione uno spazio assai ampio e la pos¬ sibilità di meglio ripararsi più all’interno, abbia invece stabilito la sua prima di¬ mora in quella cavità utilizzando una angusta ed abbastanza profonda marmitta costiera, della quale non doveva certo essere agevole l’utilizzazione. Non è quindi azzardato pensare che in realtà l’insediamento iniziale abbia avuto luogo in posi¬ zione più arretrata; e che l’ammasso di carboni ed i resti di mammiferi rinvenuti da G. A. Blanc al di sopra della spiaggia fossile siano pervenuti in tale posizione a seguito di dilavamento esercitato dal mare su un deposito esistente su tutto il suolo della grotta, o su una sola parte di questo. E, peraltro, da ricordare che contro tale mia ipotesi sembrerebbe stare il fatto che i reperti fossili di quel livello, secondo Blanc, non mostrano segni di usura per rotolamento (salvo il caso di una lamella di molare di Elephas che, sarebbe caduta dall’alto). (3) Per quanto venga ammesso che tale breccia ossifera si sia formata suc¬ cessivamente alla terra rossa della grotta (livello G, loess rosso di Blanc), pure non mi sembra da escludersi che tali depositi siano contemporanei. Tale terra rossa, in precedenza più propriamente chiamata bolo da Stasi [Stasi P, E. e Regàlia E., — 92 — La possibilità che abbiamo di datare l’età delie eruzioni che condussero alla formazione dei depositi limno-vulcanici di Venosa, per la presenza in essi dell’industria litica di tipo acheuleano, con¬ sente di stabilire che le pomici di Grotta Romanelli dovettero es¬ sere eruttate in un tempo assai posteriore; il che del resto risulta anche dalle considerazioni già esposte a proposito della situazione nella quale si trovava quella grotta nel corso del Tirreniano I. Riassumendo quanto precede, risulta quindi evidente che l’at¬ tività esplosiva del Vulture dovette iniziarsi certamente non prima del Calabriano superiore, data la assoluta mancanza di prodotti di quel vulcano nella serie argillo-sabbioso-conglomeratica sovrastante al Pliocene, e largamente affiorante nella zona. Certo è, però, che nel corso del Tirreniano I (e fors’anche già dal Siciliano) i prodotti piroclastici dovevano cadere abbondante¬ mente su quelle aree, tanto da essere convogliati in gran copia nel Lago di Venosa, del quale determinarono la scomparsa per riem¬ pimento. L’uomo, intanto, già viveva in quelle zone lasciandovi le te¬ stimonianze della sua industria di tipo acheuleano; il che ci ri¬ porta, quindi, all’interglaciale Mindel-Riss per la presenza, con i manufatti litici, dei resti di fauna calda. Ma il Vulture continuava la sua attività fornendo materiale piroclastico che l’Ofanto convo¬ gliava all’Adriatico. Le pomici, sottraendosi per il loro peso spe¬ cifico alla sedimentazione nelle zone antistanti la foce di quei fiume, potevano così raggiungere il Canale d’Otranto e penetrare, lan¬ ciatevi dalle onde, nella Grotta Romanelli dove si trovano ora inter¬ calate nella serie dei depositi e rappresentano una efficace testi¬ monianza delle ultime fasi della attività del Vulture, riferibili quindi al Tirreniano IL Napoli , Istituto di Geologia , Geografia Fisica e Paleontologia dell’ Univer¬ sità. Aprile , 1955. Grotta Romanelli ( Castro , Terra d’ Otranto). Stazione con faune interglaciali calda e di steppa. Arch. per l’Antrop. e la Etnol., XXXIV, 1°, 1904. Firenze, 1904] perchè in tutto simile al bolo così largamente diffuso nella zona (e che è diverso dalla terra rossa, quale s’intende in pedologia), potrebbe non rappresentare, quindi, a mio avviso, un deposito eolico, ma il risultato di sedimentazione del limo dalle acque che scendevano dall’alto dopo aver dilavato la vera terra rossa di quelle pendici, e che, presumibilmente, ristagnavano temporaneamente in quella cavità proprio a cagione dello sbarramento costituito dalla breccia in via di forma¬ zione. Solo i veli sabbiosi riscontrati da Blanc sarebbero, quindi, di apporto eolico, Fig. 1. — Veduta d’insieme della parte centrale della Grotta Romanelli. Fig. 2. — Particolare mostrante le condizioni di giacitura delle pomici. Boll . Soc. Naturalisti in Napoli — Voi. LIXV (1955). LAZZARI A. — Segnalazione di un livello di pomici ecc. Tav. I. 1. Calcare ippuritico in posto; 2. pietrame calcareo a spigoli vivi (livello I): 3. crosta stalagmitica (liv. H); 4. terra rossa o loess rosso (liv. G); 5. pomici. Nuove osservazioni sulla stratigrafia della città di Napoli (via Roma, via Pessina, via S. Teresa degli Scalzi). Nota del socio Antonio Scherillo (Tornata del 27 maggio 1955) In una mia nota precedente (*) mi sono occupato della strati- grafia lungo il primo tratto di via Roma, da S. Ferdinando a Piazza Carità; ora completo le mie osservazioni estendendole fino al Ponte della Sanità. Queste osservazioni sono state rese possibili dagli eccezionali lavori stradali da poco ultimati, e, naturalmente, si fondano su quei limitati tratti degli scavi che hanno messo in vista formazioni in posto o, almeno, non rimaneggiate dall’opera dell’uomo. Poiché que¬ ste sezioni utili si seguono talora a notevole distanza, la stratigrafia che ne ricaviamo è necessariamente incompleta e, talora, incerta. Per es. non è chiaro se quelle pomici finemente stratificate (potenza m. 1.50) che a S. Ferdinando (Piazza Trieste e Trento) all’angolo col Teatro S. Carlo, in via Matilde Serao e in alcuni punti di via Roma si trovano immediatamente sottostanti al piano stradale rap¬ presentino un materiale in posto o rimaneggiato, oppure addirittura l’ antica massicciata stradale. In corrispondenza del primo tratto di via Roma le sezioni più complete sono quelle che vengono messe in evidenza al Ponte di Tappia intorno al palazzo S. M. E. Ho già riportato una di queste nel mio precedente lavoro, ma dovrò occuparmene ancora per una più precisa identificazione dei singoli strati. (*) Scherillo A,. Osservazioni stratigrafiche sul sottosuolo di via Roma (Na¬ poli). Boll. Soc. Natur. in Napoli, voi. LXIll, 1954, pag. 121-122. — 94 — Stratigrafia generale. — Come base stratigrafica prendo la serie della zona Vomero-Arenella, che ho illustrata e raffigurata in un lavoro precedente (2). Il tufo giallo, caotico, che è la formazione più antica, affiora, immediatamente sotto il piano stradale, nei primo tratto di via S. Teresa degli Scalzi in corrispondenza dell’edificio del Museo Na¬ zionale. Il tufo ai momento dello scavo presentava in mezzo alla massa gialla delle plaghe grigio azzurrastre che però, esposte all’a¬ ria, ingiallivano rapidamente, come avviene per le parti grigie del tufo di S. Stefano al Voinero (3). La successione stratigrafica è sostanzialmente la stessa che si riscontra nella zona Vomero-Arenella, perciò partendo dall’affiora¬ mento di tufo giallo del Museo Nazionale si incontrano le medesime formazioni, sia salendo verso il Ponte della Sanità, che scendendo verso S. Ferdinando. Dal Museo al Ponte della Sanità, cioè lungo via S. Teresa degli Scalzi, per il primo tratto, (ossia fino alla chiesa di S. Teresa) con¬ tinua ad affiorare il tufo giallo, mentre tra la chiesa e via Materdei sul tufo, che è eroso, si appoggiano i prodotti di Agnano (G) : vi si riconoscono lembi delle « pomici principali » (C , b) e delle « seconde pomici)) (C, d) colie pozzolane connesse. Tra via Materdei e via Fonseca compaiono le « pozzolane humificate » (E), con una potenza di circa m. 2, a cui seguono i prodotti più recenti. Di questi mi occuperò in modo particolare in seguito. Lungo la direttrice via E. Pessina - via Roma si nota anzitutto che la superficie del tufo giallo che affiora al Museo si abbassa ra¬ pidamente sotto il livello stradale. Negli scavi di Piazza Museo comparivano il tufo giallo e tutte le formazioni successive, ma con segni evidenti di erosione e rimaneggiamento. Qui infatti la situazione è la seguente. Il tufo giallo, che passa ad un tufo giallo grigiastro non molto coerente, si trova a poca pro¬ fondità sotto il piano stradale ed è eroso e ricoperto da lembi dei prodotti più antichi del «terzo periodo flegreo » , rappresentati da pozzolane grigio-giallastre. Anche queste sono erose e alia loro volta ricoperte dalle « pozzolane humificate )> che hanno spessore (2) Scherillo A., La stratigrafia della zona Vomero-Arenella (Napoli). Boll. Soc. Natur. in Napoli, Voi. LXIII, 1954, pag. 102-112. (3) Scherillo A., Petrografia chimica di tufi flegrei. 1) Il tufo giallo. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., Serie 4, Voi. XVII, pag. 343-356. Napoli, 1950. — 9S — molto vario (da i/2 m. a 1 m.). Sopra queste si hanno i prodotti del « terzo periodo recente ». Nessuna sezione utile si è avuta lungo via E. Pessina perchè qui lo scavo seguiva un antico cunicolo e così pure in Piazza Dante. Qui però il fondo della trincea ha raggiunto ad alcuni metri di profondità il tufo giallo. Ad ogni modo quella che in questa zona sarebbe stata probabilmente la stratigrafia dei prodotti più recenti è mostrata da quanto ho potuto osservare in via S. Maria a Costan¬ tinopoli. Su questo tornerò più avanti. Neppure tra Piazza Dante e Largo Carità ho potuto osservare buone sezioni; comunque pare che qui le formazioni attraversate dagli scavi siano principalmente le a pozzolane humificate ». Per la stratigrafia lungo il tratto successivo di via Roma ri¬ mando al mio lavoro precedente. Variazioni della stratigrafia del « terzo periodo recente » tra il Vomero e Materdei. — Rispetto alla stratigrafia del Vomero-Arenella, le formazioni C (Agnano) ed E (pozzolane humificate) non presentano grandi variazioni, come dirò meglio in seguito. La formazione D (Sol¬ fatara) sembra mancare. Dove si ha invece una differenza sensibile dallo schema del mio lavoro precedente è nel « terzo periodo recente ». Poiché do¬ vrò riferirmi molto spesso alla stratigrafia del Vomero-Arenella e d’altra parte ho modificato, per quanto leggermente, lo schema stratigrafico per tali formazioni, ne dò nella fig. 1 uno schema ag¬ giornato, che si riferisce a quanto si osserva al Vomero occidentale. Sopra la formazione E costituita essenzialmente da pozzolane humificate, poco distintamente stratificate, si notano dunque i se¬ guenti termini appartenenti in gran parte alla formazione F (Cigliano e Astroni). a) Pozzolana grigiastra (cm. 10-20, ma spesso mancante). E que¬ sto l’unico, termine riferibile, forse, a Cigliano; tutti i seguenti sono invece da riferirsi ad Astroni. Cenere violacea, lapillo, humus. ò) « Pozzolane variegate » grigie e giallastre. Nella parte occi¬ dentale del Vomero sono nettamente stratificate per la presenza di alcuni straterelli di lapillo interposti e raggiungono la potenza di circa m. 1. Nella parte più bassa hanno colore marrone, superior¬ mente sono grigie. Questo termine è limitato verso l’alto da una fascia di 20-30 — 96 - cm. di « pozzolane giailine » separata dalle sottostanti « pozzolane variegate » da uno straterello di humus. Si tratta quindi di un ter- G : •'.‘A’. ; «!-» V-> ^ ^ ° ” O o ° V» ^ ^ O G _ • * • ^ • * V c>0 • . . *-* ’ ' * - • ò .• c-> • * d o •£.- Ù.^.JvV . V’ - * - * • - . * . O • *'“* • ‘-> iTTTTTTn nrrm > rn-rrrm n i hm)hhmm»»v;th urrmr-rTTTTunnrn Tm:~ ,ii ii ,,| i,,.'uinir,i.mr;ii l’iiin .Mininii c 7Z b Fig. 1 mine che dovrebbe esser tenuto distinto, ma spesso lo strato di humus si riduce tanto che la distinzione è difficile; perciò, per ra¬ gioni pratiche, lo considero insieme con le « pozzolane variegate ». Humus violaceo. c) « Pozzolane grigie » (cm. 30), spesso ricche di lapilli e sabbie. Humus violaceo. d) « Pozzolane e pomici interstratificate » (cm. 30-40). Le poz¬ zolane sono per lo più giallastre. e) « Pomici A » (cm. 20-30). f) « Pozzolane interposte » grigio giallastre. Nella parte occi¬ dentale del Vomero sono costituite dal basso verso l’atto da: 1) poz¬ zolane e sabbie in straterelli sottilissimi che cessano con una superfi¬ cie alquanto irregolare, in corrispondenza della quale sono leggermente — 97 — ingiallite (cm. 20); 2) pozzolane grigio-giallastre (cm. 30); 3) pozzo¬ lane grigio-giallastre più scure, perfettamente concordanti con le precedenti (cm. 30). g) « Pomici B » (cm. 20-30). h) «Pozzolane di chiusura», grigio-giallastre (potenza varia, poiché presentano una superficie d’erosione; al massimo m. 1-1,50). Humus violaceo o avana. Segue la formazione G costituita da pozzolane giallo-grigiastre con una fascia di pomici interposte. Nonostante il leggero accenno di discordanza che si nota nel¬ l’ambito delle « pozzolane interposte » (fra 1 e 2), considero, fino a prova contraria, che i termini da d ad li costituiscano in realtà un termine unico: infatti non ho mai notato discordanza tra le po¬ mici A e B. Questa stratigrafia tende a modificarsi gradualmente, a misura che si procede verso Est. Per es. nelle adiacenze di Piazza Leonardo, di fronte alla scalinata che scende in via Salvator Rosa, si notava la seguente successione (fig. 2): — 98 — 1) Pozzolana humificata, avana ; 2) Pozzolana grìgio-violacea con uno straterello di lapillo in¬ terposto (cm. 10) ; 3) Pozzolane giallastre (cm. 40) ; 4) Pozzolana grigia, parzialmente erosa, tra due fascie violacee (cm. 20, in media) ; 5) Pozzolane e pomici stratificate (cm. 40) ; 6) Pomici (cm. 40); 7) Pozzolane grigio-giallastre (cm. 20) ; 8) Pomici (cm 20) ; 9) Pozzolane grigio-giallastre con una superficie di erosione cm. 20-40) ; 10) Pozzolane grigio-giallastre con una fascia intercalata di po¬ mici rimaneggiate. La stratigrafia corrisponde evidentemente a quella dello schema della fig. 1, colla differenza però che le pozzolane giallastre (3) cor¬ rispondono alle « pozzolane variegate » più le «pozzolane gialline », ma con una notevole diminuzione di potenza, e che le « pomici A » (6) tendono a riunirsi alle « pomici B » (8) formando un unico strato, per la riduzione delle « pozzolane interposte » (7). Lungo il declivio tra V Arenella e Materdei la stratigrafia so¬ stanzialmente non muta, però spesso le pomici A e B, colle pozzo¬ lane connesse, sono state erose e sostituite da lenti di pozzolane e pomici rimaneggiate. La fig. 3 illustra la stratigrafia all’ incrocio tra la salita Gonfa¬ lone, via Giacinto Gigante e via Battistello Caracciolo : 1) « Lapillo nero » di Agnano, colle « seconde pomici » sotto¬ stanti; 2) Pozzolane humificate avana (m. 2 circa) ; 3) Pozzolane violacee chiare (cm. 10) delimitate verso l’alto da una fascia violacea con lapilli (a dello schema della fig. 1) 4) Pozzolane giallastre (cm. 30) (6); 5) Pozzolane grigie, tra due fascie violacee (cm. 20) (c) ; 6) Pozzolane e pomici rimaneggiate (m. 2 circa) (d-h) ; 7) Terreno di riporto. La stratigrafia del « terzo periodo recente » tra il Ponte della Sanità e S. Ferdinando. — Le precedenti osservazioni aiutano ad interpretare la stratigrafia del « terzo periodo recente », lungo la direttrice Ponte della Sanità S. Ferdinando. La sezione della fig. 4 era visibile in via S. Teresa degli Scalzi in corrispondenza dell’ incrocio con via Fonseca : — 99 — 1) Pozzolana humificata giallo-grigia (m. 0,70); 2) Pozzolana humificata grigiastra (mi. 0,70); 3) Pozzolana giallo-marrone, leggermente humificata (cm. 50); Queste tre fascie appartengono alla « formazione E ». La « formazione F » comprende gli strati seguenti : 4) Pozzolane, gialline nella parte inferiore (cm. 20), grigie nella su¬ periore (cm. 10), accompagnate da tre fascie di humus violaceo: corrispondono rispettivamente a b ed a c dello schema. 5) Pomici in parte stratificate (m. 1). Corrispondono a d, e, g. 7 La sezione della fig. 6 si riferisce a Piazza Museo e si tro¬ vava ai piedi del muraglione delle scale di S. Potito. E evidente che alcuni dei termini sono rimaneggiati : 1) Pozzolane humificate, marrone (parte superiore della « forma¬ zione F »); 2) Pozzolane grige e gialline, alternate a quattro straterelli di hu¬ mus violaceo e marrone (cm. 50 complessivamente). Corrispon¬ dono ai termini a, b e c ; 3) Pozzolane giallastre con una sottile fascia di pozzolana grigia al centro (in complesso cm. 50). Potrebbero rappresentare una varietà locale del termine d , ma forse si tratta di materiale di trasporto; — 100 — 4) Pomici fini, miste a pozzolana (cm. 50), delimitate in alto da una fascia di humus. E un materiale rimaneggiato, che però corri¬ sponde ai termini da e ad h e forse comprende anche d ; 5) Lente di pozzolane grigie e sabbie, tra due fascie di humus (po¬ tenza massima cm. 30); 6) Pomici e pozzolane grigiastre interstratificate (cm. 50). Anche 5 e 6 sono materiali rimaneggiati. Fig. 5 Fig. 6 Come ho detto, nessuna sezione adatta è stata messa in evi¬ denza in via Pessina e in Piazza Dante, ma la sezione della fig. 6 che era visibile in via S. Maria a Costantinopoli, all’ incrocio con via Conte di Ruvo, penso che possa indicare quale è, in tutta questa zona, la stratigrafia delle formazioni più recenti : 1) Pozzolane humificate avana (E) ; 2) Pozzolana grigia tra due fascie violacee (cm. 15) (c); 3) Pomici con pozzolane, sotto gialline, sopra grigie (cm. 50) ( d ); 4) Pomici grossolanamente stratificate, in parte erose (cm. 60-40) (e, g); 5) Humus avana (cm. 30) ; 6) Pozzolane gialline (cm. 50) (« G » o materiale rimaneggiato). Infine per quanto riguarda la sezione alla base del Palazzo S.M.E. che ho riportato nel mio lavoro precedente, è possibile ora precisare con maggiore sicurezza la posizione dei diversi termini. I termini 1, 2, 3 dello schizzo sono riferibili alla « formazione F ». — 101 — La « formazione E » si riduce ai termini 4 e 5 ; il primo corrisponde a b ed a c, l’ultimo a d, f e g che però sono rimaneggiati e mesco¬ lati all’ humus di chiusura della « formazione F ». I termini da 6 a 12 corrispondono forse, almeno in parte, a « G »; gli ultimi, in¬ tercalati da straterelii di humus, dovrebbero essere prodotti vesu¬ viani. Conclusioni. — Confrontando la stratigrafia del tratto Ponte della Sanità-S. Ferdinando con quella del Vomero-Arenella, penso che la « formazione C » (Agnano) sebbene in nessuna sezione sia mostrata nel suo insieme, non presenti variazioni notevoli. Infatti, non solo a Largo Carità, ma anche all’ angolo tra via Medina e via dei Fiorentini ed a monte di via Roma, all’angolo tra vico Cariati e via Porta Garrese sono stati messi in evidenza due dei termini più tipici della formazione; cioè il « lapillo nero » (C e) e le « seconde pomici » (C d) collo stesso aspetto che hanno al Vomero- Arenella. Quanto alle « pomici principali » ho potuto osservarle, e solo in parte, in un unica sezione di via S. Teresa degli Scalzi, ma sulla loro presenza ovunque (salvo dove non siano state successi¬ vamente erose e asportate) non ci sono dubbi perchè questo è il termine più largamente diffuso e si trova, non solo al Vomero- Arenella, ma anche alle Fontanelle, a Capodimonte, a Capodichino e più oltre ancora, cioè in zone ben più lontane dal centro di emissione (Agnano) di quanto sia il tratto Ponte della Sanità-S. Fer¬ dinando. Le « pozzolane humificate » (E) hanno in genere una potenza di circa m. 2 (Largo Carità). Non comprendono strati di lapilli e pomici. Le maggiori variazioni si notano nella « formazione E » che diminuisce la sua potenza da m. 2,50 circa a m. 1,50-0,50 e si ri¬ duce ad alcuni (al massimo 3) straterelii di pozzolane grigie o gial- line delimitati da esili fasce di humus violaceo o avana e ad una grande fascia di pomici. La riduzione è tuttavia graduale, senza di¬ scontinuità, come mostrano le diverse sezioni illustrate. BIBLIOGRAFIA Oltre ai lavori citati, v. anche : Scherillo A., Sulla revisione del foglio “ Napoli „ della Carta Geologica d’Italia. Boll. Servizio Geol. d’Italia, Voi. LXXV, pag. 808-826, Roma 1953. — — Sul lavoro di revisione del foglio a Napoli „ della Carta Geologica d’Italia compiuto nel 1954. Ibidem, Voi. LXXV1, pag. 581-587, Ro¬ ma 1954. Su alcuni pozzi profondi perforati alla base del Gauro (Campi Flegrei). Nota del socio Renato Sinno (Tornata del 29 Aprile 1955) Durante i lavori di revisione del F° 184 (Napoli) della Carta Geologica d’Italia (tavoletta IV S. E. Marano di Napoli, III N. E. Pozzuoli), in una delle tante escursioni effettuate nello scorso anno per il rilevamento della zona del Cigliano - Gauro, ebbi modo di osservare che in località Crisci, e precisamente in contrada Sardo, suU’allineamento Porta del Campigliene - Teano, era stata effettuata una perforazione per la ricerca di acqua occorrente per l’irrigazione. Avendo immediatamente preso contatto col proprietario del pozzo, ormai già in perfetto funzionamento, riuscii ad avere solo notizie sommarie circa i tipi di materiali incontrati durante i lavori di ricerca dell’ acqua che, stando alle parole del proprietario, era affiorata a circa metri 200 di profondità. Non potetti che misurare la temperatura dell’ acqua rinvenuta (45° - 50°) mentre non potetti raccogliere alcun campione di roccia perforata in quanto queste in parte erano state sgombrate, in parte erano state mescolate e classificate tutte con un unico nome : tufo giallo, poco indicativo per la conoscenza sicura dei sottosuolo in quella zona. Non mi restò altro che attendere qualche nuovo tentativo di ricerca di acqua, tentativi che peraltro in questi tempi vanno costan¬ temente aumentando, permettendo una più profonda conoscenza del sottosuolo. L’ attesa non è stata lunga : infatti nello scorso mese di marzo fui avvertito che un nuovo pozzo era in via di perforazione in contrada Capomazza, nella masseria di proprietà del Signor Stefanelli Paquale, situata alla base del versante ovest del Monte Barbaro. Recatomi sul posto ed avendo seguito da vicino i lavori di perforazione, ho potuto raccogliere tutto il materiale rinvenuto del quale passo a dare la descrizione, con il relativo spessore delle formazioni incontrate. 104 da m. 0 a m. 18 - Terreno vegetale e materiale vario di trasporto delle ultime eruzioni, da m. 18 a m. 28 - Pozzolana gialla. da m. 28 a m. 81 - Tufo giallo compatto da attribuirsi come for¬ mazione del Gauro. da m. 81 a m. 84 - Tufo arrossato da m. 84 a m. 144 - Tufo verde ricco di pomici di varia grandezza più o meno chiare. Com’è noto questo tufo verde nei Campi flegrei non si rinviene mai in superficie, ma costituisce la piattaforma su cui si imbasa il tufo giallo napoletano. Di tale tufo hanno dato notizia i seguenti Autori: 1° Il D’Erasmo (i) nel suo studio sui pozzi profondi della Cam¬ pania. Tali tufi verdi sono attribuiti dall’ Autore citato al secondo periodo dell’attività flegrea e costituiscono la fase sottomarina, a differenza di quelli gialli che rappresentano la fase subaerea ma ap¬ partenenti allo stesso ciclo eruttivo. 2° L’ Ippolito (2) nel suo studio su alcuni pozzi profondi del Napoletano. L’Autore infatti, in questo studio sui materiali rinvenuti nella trivellazione di un pozzo profondo (metri 584) perforato nel Rione delle Mofete sul versante verso il Fusaro, cita appunto il tufo verde (che indica col nome di formazione b ) che è come al solito presente al disotto del tufo giallo napoletano, ed è attribuito al 2° periodo dell’attività flegrea. La trivellazione recentemente eseguita nella zona di Arco Felice in contrada Capomazza, e della quale dò comunicazione nella nota presente, mette ancora una volta in evidenza quindi, con una co¬ stanza che potremmo definire quasi rigorosa, la presenza nelle zone più profonde dei Campi Flegrei del tufo verde, formazione sulla quale si è imbasata la successiva formazione del tufo giallo. Napoli - Istituto di Mineralogia delV Università - Aprile 1955. O D’Erasmo G., Studi geologici dei pozzi profondi della Campania. Boll. Soc. Nat. in Napoli, Voi. XLIII. Napoli, 1931. (2) Ippolito F., Su alcuni pozzi profondi del Napoletano. Boll. Soc. Nat. in Napoli, Voi. LUI. Napoli, 1945. L’arenaria di Rocchetta S. Antonio (Avellino). Nota del socio Bruno De Nisco (Con una Tav. fuori testo) (Tornata del 25 febbraio 1955) Compiendo alcune escursioni nella zona di Rocchetta S. Antonio (Avellino), ho avuto occasione di raccogliere campioni di un’arenaria che costituisce la quasi totalità del rilievo collinoso su cui sorge quell’abitato. Scopo della presente nota è lo studio petrografico e geologico di tale roccia. Questa zona dell’ Irpina fu rilevata dal Cassetti (*) nel corso della campagna geologica del 1913. Questo Autore attribuì tutto il territorio di Rocchetta S. Antonio all’Eocene che risulterebbe rap¬ presentato, litologicamente, dalle Argille scagliose e variegate, inter¬ calate da lembi, più o meno estesi, di calcari compatti o marnosi e di arenarie giallastre. L’ arenaria in esame, in particolare, viene considerata come un’arenaria calcarea. I caratteri stratigrafici di questa formazione sono quanto mai interessanti. L’area su cui essa è distribuita è piuttosto varia e di¬ scontinua, l'estensione è ridotta, la potenza variabilissima. La stra¬ tificazione è nulla o caratterizzata da intercalazioni argillose. Assenti, o per lo meno non riscontrati, resti fossili ed impronte fisiche. I campioni da me raccolti e studiati sono due. Il primo, pre¬ levato presso la sommità della collina, a quota 600, ed in prossi¬ mità di un’antica costruzione adibita attualmente a caserma di Ca¬ rabinieri; ed il secondo sulla strada che da Monteverde porta a Rocchetta S. Antonio, ove, all’arenaria, sono intercalati alcuni stra- terelli argillosi. Ambedue i campioni non rivelano, all’osservazione macroscopica, sensibili differenze. La roccia si presenta abbastanza compatta, di colore uniforme giallo paglierino, con granuli silicei visibili ad oc- (J) Cassetti M., Appunti geologici su alcune regioni della Capitanata , delVIr- pinia e delV Ahbruzzo Chietino ed Aquilano (Campagna geologica del 1913)- Boll. R. Comitato Geol. d’Italia, Anno XLIV. Roma, 1913. — 105 — chio nudo e pressocchè di dimensioni costanti (in media con dia¬ metri di un millimetro circa). Alla lente, i granuli di quarzo appaiono arrotondati, senza la lucentezza caratteristica, con le superfici interamente smerigliate. Su questi due campioni ho eseguito l’ analisi chimica, che ha dato i seguenti risultati: Campione 1° Campione 2 SiOs 91,62 90,48 TiO~ 0,06 0,06 ALO.. 3,45 4,24 FeA 1,20 0,60 MnO tr. tr. CaO 1,30 1,52 MgO 0,90 2,15 co2 0,56 0,90 H2Ò" 0,09 — H~0+ 0,37 0,04 . 99,55 99,99 L’analisi è stata eseguita con i comuni metodi di ricerca, ope¬ rando su di un grammo di sostanza. Il Mn ed il Ti sono stati do¬ sati colorimetricamente. La quantità di C02 , in ambedue le analisi, è legata alla quan¬ tità di Ca. Nella seconda analisi, la quantità di Mg risulta apparen¬ temente in eccesso; ma, probabilmente, tale eccesso può essere do¬ vuto a frammenti di natura pirossenica o anfibolica. L’ eventuale presenza di tali minerali, però, non è stata accertata attraverso lo studio della sezione sottile, sia per la esiguità dei frammenti, sia per la scarsa diffusione nella massa. La ricerca dei cationi Ti + + + + e Mn + + è stata effettuata allo scopo di stabilire se il cemento potesse avere carattere particolare, come ad esempio, un carattere bauxitico o lateritico. Il grado di sfericità e quello d’ arrotondamento dei granuli sono stati determinati qualitativamente. Queste due caratteristiche, molto spesso confuse tra loro, ci permettono di stabilire, con un certo grado di sicurezza, l’agente di trasporto. Vedremo, però, in seguito le altre considerazioni fatte al riguardo. Boll. Soc. Naturalisti 3 106 Per la determinazione precisa del grado di sfericità e di quello d’ arrotondamento occorrerebbe misurare alcune variabili, oltre le tre dimensioni di ogni granulo, applicando, poi, uno dei diversi metodi a tal uopo escogitati (~). Non ho utilizzati questi metodi di diffìcile ed elaborata applica¬ zione, accontentandomi di stimare qualitativamente, in sezione sot¬ tile, le proprietà suddette. Bisogna osservare che, in sezione sottile, è rappresentato con più realtà, attraverso due diametri, il grado di arrotondamento più che il grado di sfericità. Quest* ultimo, d’altra parte, ha un significato petrografico diverso dal grado di arroton¬ damento; più semplicemente, mentre la sfericità è una proprietà direi ereditaria, cioè dipendente dall* habitus sotto cui si presenta il minerale e dalla sua sfaldatura, l’arrotondamento, invece, dipende solo dall’usura sopportata dal minerale sottoposto alle azioni dina¬ miche del trasporto. Nel caso specifico dell* arenaria in esame, i granuli risultano equidimensionali per la maggior parte, allungati. Rispetto, poi all’ar- rotondameut >, 1’ 80 70 circa dei granuli risulta sub-arrotondato, cioè con spigoli non vivi, raccordati con tratti a piccolo raggio di cur¬ vatura e con la maggior parte della superficie non abrasa. Il restante 20 70 circa risulta arrotondato, cioè con l’intera superficie abrasa e gli spigoli raccordati con archi a raggio di curvatura uguale all’in- circa al raggio del massimo cerchio inscritto (fig. 1 della Tavola). Sempre in sezione sottile, ho determinato le dimensioni dei granuli. Le misure, eseguite su tre sezioni, hanuo dato i seguenti risultati : granuli con dimensioni max fino a m in 0,60 34 7» » »/ » tra m/m 0,60 e m/m 1,00 42 % )) )X » maggiori di m/m 1,00 24 Vi li granulo medio ha le dimensioni di m/m 0,7 per 1,0. Gli studi di Mackie (;!) hanno messo in evidenza, per l’arroton¬ damento, la prevalenza del trasporto eolico rispetto a quello acqueo. Questo Autore ha dimostrato che la quantità totale di granuli arro¬ tondati risulta proporzionale direttamente all’attrito, che dipende, a sua volta, dal volume e dal peso specifico, proporzionale alla di- (2) I principali metodi sono riportati, in sintesi, in: Milles H. B., Sedimen¬ tar v petrography, pp. 113-114, Londra, 1929. f) Mackie W., Trans. Edmb. Qeol , Soc., Vii, 1897, pag. 298, — 107 — stanza e alla velocità del movimento, mentre è inversamente pro¬ porzionale alla durezza del materiale trasportato. L’ efficienza del trasporto eolico, rispetto a quello acqueo, risulta evidente se si fanno le seguenti considerazioni: il peso specifico del materiale assume un valore inferiore se si considera il trasporto in acqua, inferiore è anche la velocità del mezzo acqueo rispetto a quello aeriforme ed, infine, è anche inferiore, per 1’ acqua, la distanza di trasporto. Ma un altro carattere specifico dell’arenaria ci richiama al tra¬ sporto eolico: la smerigliatura delie superfici. I granuli di quarzo, isolati dall’alterazione delle rocce originarie, trasportati dal vento con moto vorticoso, hanno lungamente soffregato tra loro e contro la superficie del suolo, smerigliando le loro superfici. Questo ca¬ rattere sembra, d’altra parte, non essere esclusivo del trasporto eo¬ lico. Secondo recenti studi del Crommelin e del Cailleux (4) pare accertato che in acqua, in particolari condizioni, possa verificare la smerigliatura delle superfici. Le dimensioni dei granuli, infine, ci forniscono ragguagli circa la velocità, non eccessiva, del vento che effettuò il trasporto. L’ arenaria non rivela la presenza di altri minerali oltre il quarzo. La non riscontrata presenza dei comuni minerali pesanti, come il rutilo, lo zircone, la monazite, ecc., potrebbe essere spie¬ gata dall’ elevato peso specifico dei minerali stessi che ne impedì il trasportò. L’assenza delle miche, quasi sempre presenti e caratte¬ ristiche dei depositi costituiti in un mezzo acqueo, è spiegabile, per¬ chè gli effetti sommati della facile e perfetta sfaldatura basale e dell’attrito, riducono questi minerali in una polvere impalpabile e scagliosa, facilmente trasportata in sospensione e dispersa dal vento molto più lontano dei granuli più pesanti trasportati per trazione. L’osservazione microscopica ha messo in evidenza 1’ esistenza di inclusioni, più o meno regolari, in molti granuli di quarzo; ma, anche con i più forti ingrandimenti, non mi è stato possibile deter¬ minare la natura di queste. Il Mackie (5) ha dimostrato, per le are¬ narie inglesi, come dall’assenza, dalla natura e dal tipo d’inclusioni nei granuli di quarzo delle rocce clastiche, si possa risalire alla roccia originaria. D’altra parte è ovvio, a meno che non si tratti di (4) Crommelin R. D. e Cailleux A., Sur le sables calcaires de la cote egpy- lienne à 50 Km. ò l’ouest d' 4lexandrie, C, R„ som m. Soc. Géol. Fran, Pag. 75-76, Paris, 1939. (5) ». c. 108 — materiale che abbia subito piccoli spostamenti, non rinvenire inclu¬ sioni irregolari come bolle liquide o gassose, in quanto queste in¬ clusioni, comportandosi come soluzioni di continuità nella massa del granulo, lo rendono facilmente fratturabile. Le conclusioni del Mackie, anche se non applicabili alle nostre arenarie, ci forniscono un’interessante possibilità di studio. Nel caso specifico, la presenza dei granuli senza alcuna inclusione, e di altri con inclusioni regolari, ci induce a pensare che il materiale pro¬ venga sia da rocce eruttive che da rocce metamorfiche, e forse in maggior copia dalle seconde più che dalle prime. L’esistenza di rocce ignee e metamorfiche nella Calabria ci può indicare questa regione come luogo d’origine del materiale, ma, non è da escludere, una provenienza dalle formazioni cristalline della Tirrenide. Quest’ultima origine sembra essere richiamata anche dalla natura petrografica rii alcuni ciottoli granitici più o meno alterati raccolti nella stessa zona, tra quelli componenti il conglomerato di chiusura del Calabriano. Molti individui di quarzo sono parzialmente fratturati. La frat¬ turazione è visibile a nicols incrociati, per la diversità dei fenomeni di polarizzazione (fig. 2). Una buona percentuale di granuli, infine, presenta evidente il fenomeno della estinzione ondulata. La frattu¬ razione e l’estinzione ondulata dei granuli suggeriscono azioni dina¬ miche abbastanza forti; in particolare, l’estinzione ondulata può essere dovuta in parte anche alla pressione reciproca dei granuli tra loro (6). Non mi è stato possibile determinare la natura mineralogica del cemento, perchè, questo, in sezione sottile, appare come un sottilissimo velo di sostanza amorfa, che, molte volte, riducendo a zero il suo già esiguo spessore, porta i granuli ad intimo contatto tra loro. Neppure una tentata separazione meccanica, per sottoporre il cemento ad analisi chimica, ha dato risultati soddisfacenti. H processo di alterazione subito dalle arenarie o sabbie è so¬ prattutto un processo di ossidazione per i composti del ferro con¬ tenuti in molti silicati, come granati, pirosseni, anfiboli e miche, con formazione di Fc30:J anidro o idrato che, insolubile, tinge la roccia in giallastro. Se questo ben noto processo d’alterazione, per condizioni climatiche particolari, è molto intenso, si può giungere alla scomparsa totale di tutti i silicati, anche dei più resistenti, la (ft) Howel W., Tornei* T. e Gilbert G., Petrography, Ati introduction ecc,- Freeraan C., S. Francisco, 1954. Boll. Soc . Natur. in Napoli - Voi. LXIV (1955). B. De Nrsco — L'arenaria di Rocchetta S. Antonio ( Avellino). Tav. I. Fig. 1. Fig. 2. L’arenaria di Rocchetta S. Antonio osservata in sezione sottile (Fig. 1 : Nicols //, X 30; Fig. 2 : Nicols X 30) Fig. 3. Sezione attraverso la zona di Rocchetta S. Antonio (punteggiato = arenarie ; tratteggiato = argille) — 109 cui unica testimonianza sarà un pigmento di natura ocracea, che impartirà alla roccia il colore caratteristico. L’arenaria silicea di Rocchetta S. Antonio è, dunque, una forma¬ zione geologicamente matura ; una formazione, cioè, nella quale i processi d’alterazione hanno esplicato per intero tutta la loro attività. Il materiale costituente 1’ arenaria, trasportato dal vento, si è deposto in un bacino nel quale si andavano costituendo altri sedi¬ menti, specialmente argillosi. La presenza di una matrice argillosa, occludendo i vuoti tra granulo e granulo, ha reso la roccia imper¬ meabile, impedendo quindi la formazione di un vero e proprio ce¬ mento. L’attuale cementazione potrebbe essere dovuta in parte all’in- timo contatto dei granuli tra loro, in parte al già accennato residuo ocraceo, ed ancora, influendo la composizione chimica del sedimento in modo selettivo, in parte all’ esistenza di una certa quantità di silice amorfa. Dal punto di vista geocronologico occorre, innanzi tutto, rile¬ vare che l’arenaria silicea di Rocchetta S. Antonio non deve essere considerata alla stessa stregua degli esotici calcarei di varia età in¬ clusi nella formazione delie Argille scagliose, ma, piuttosto, una particolare facies litologica a carattere regionale, data la sua note¬ vole estensione anche nelle zone limitrofe. Questa considerazione ci richiama particolari condizioni clima¬ tiche, che si accorderebbero specialmente con quelle verificatesi nel Paleogene superiore (Eocene superiore ed Oligocene). A tale epoca, dunque, può essere, con ogni probabilità, ascritta 1’ arenaria silicea di Rocchetta S. Antonio, in mancanza, finora, di avanzi faunistici di più sicura e più precisa datazione. Mi sembra tuttavia di poter escludere 1’ attribuzione di essa a livelli neogenici, non solo perchè, nell’ area del Foglio 175 della Carta d’Italia, rilevamenti in corso (7), hanno potuto stabilire la pre¬ senza di formazioni di tali età con facies litologiche e paleontolo¬ giche alquanto diverse, ma anche perchè alcune correlazioni strati- grafiche mi inducono a considerare assai più probabile l’attribuzione all’Eocene superiore e all’Oligocene. Napoli , Istituto geo-paleontologico dell' Università. Febbraio , 1955. (7) D’Erasmo G., Lazzari A., Minieri V. e Moncharmont Zei M.. Sul rileva¬ mento geologico del Foglio Cerignola (175), quadrante III. Boll. Serv. Geol. d'Ita¬ lia, voi. LXXV. Roma, 1953. Stratigrafia del Monte di Coroglio (Napoli). Nota del socio Bruno De Nisco (Tornata del 27 maggio 1955) I. — Premessa Poiché i numerosi studiosi della vulcanologia flegrea non hanno mai esaminato in dettaglio la zona del Monte di Coroglio, anche se molti di essi hanno avanzato ipotesi sulla possibile esistenza di centri eruttivi, ho ritenuto non inutile uno studio dettagliato di questa piccola e meravigliosa zona dei Campi Flegrei: studio che si limi¬ terà alla descrizione e, dove è possibile, all’attribuzione dei prodotti piroclastici. Come è noto, sotto il nome di Monte di Coroglio si comprende una zona urbana di Napoli racchiusa a NW dalla strada che dalla Rotonda di Posillipo porta al Lido di Coroglio, e a SE dalla strada che per Via Lucrezio Caro, in corrispondenza di una linea d’implu¬ vio, conduce alla Cala di S. Basilio. Verso SE il Monte di Coroglio si affaccia con pareti precipiti sul mare, nel quale si aprono tre piccole e distinte baie: la prima, limitata dalla strada per Nisida e dalla Punta di Annone; la seconda, Cala Badessa, limitata dalla Punta del Cavallo e la terza, Cala di Trentaremi, dalla zona denominata la Gaiola. Breislak (l) per primo e Gunther (2) successivamente si occu¬ parono di questa zona, rilevando come l’attuale e caratteristica mor¬ fologia facesse intravedere resti di edifici craterici antichi. A questi lavori prettamente morfologici va aggiunto quello del Walther (3). O Breislak S., Topografia fisica della Campania. Firenze, 1798. (2) Gùnter R., The Phlaegrean fields. Geogr. Journ., voi. X, n. 4. Londra, 1897. (3) Walther Y., I vulcani sottomarini del Golfo di Napoli. Boll. R. Com. geol. d’Italia. Roma, 1886. Più recentemente, altri Autori, fra cui De Lorenzo (*) nel 1908 e Dainelli (*) nel 1930 si occuparono della stessa zona, dimostrando l’appartenenza dello scoglio del Lazzaretto all’apparato vulcanico di Coroglio e negando l’esistenza di più centri eruttivi. Parascandola (3). mette a punto tutte le osservazioni e con¬ clusioni degli Autori precedenti, giungendo egli stesso, con perso¬ nali osservazioni, a conclusioni di grande interesse, che riguardano più particolarmente la presenza di nuovi centri eruttivi nella zona a NNW di quella considerata. Vighi (4), infine, ha rilevato la zona di Trentaremi, riconoscendo i resti di un edificio vulcanico di tufo giallo che egli chiama vul¬ cano di Trentaremi. II. — La costituzione geologica A) Prodotti del secondo periodo Jiegreo. La più potente formazione del 2° periodo, anche in questa zona, è quella del tufo giallo «napoletano », anche se possiamo attribuire a questo periodo due, se non tre tufi semicoerenti e biancastri. Le formazioni del 2° periodo sono nettamente visibili : alla base della collina di Posili ipo, con numerose intercalazioni di ceneri e, in special modo, di pomici ; lungo tutta^ la parete verso il mare del Capo di Coroglio, dove sono visibili due distinte unità: l’inferiore, come la precedente, e la superiore nettamente stratificata e ricchissima d’inclusi pomicei; alla base di Punta del Cavallo e nella parte occidentale della Cala di Trentaremi. Penta (5) ascrive parte di queste formazioni al 1° periodo. Le relazioni stratigrafiche tra le tipiche formazioni del 2° e 1° periodo osservabili in altre località non giustificano questa attribuzione. C) De Lorenzo G., Il cratere di Nisida nei Campi Flegrei. Atti R. Accad. Se. Fis. e Mat., s. II, voL XIII, n. 10. Napoli, 1908. (2) Dainelli G., Guida all’ escursione ai Campi Flegrei. Atti NI Congresso Geogr. ital. Napoli, 1930. (3) Parascandola A., / vulcani occidentali di Napoli. Boll. Soc. Nat. in Na¬ poli, voi. XLVIII. Napoli, 1936. (4) Vichi L., Rilevamento geologico a Sud del parallelo di Baia, e della zona di Nisida , Coroglio e Trentaremi nei Campi Flegrei. Boll. Soc. geol. Ital., voi, LXIX, fase. II. Roma, 1950. (5) Penta F., Pozzolane , sabbie e pietrischi della Provincia di Napoli per malte e calcestruzzo. L’Industria Mineraria, n. 7, luglio 1941. — 112 - Questi prodotti, infatti, sono equivalenti a quei tufi biancastri che affiorano allo sbocco della Valle del Verdolino ai Camaldoli, superiori alle formazioni del piperno e alla relativa breccia, e im¬ mediatamente inferiori al tufo giallo tipico. 1. — Cala di Punta di Annone. La parete s’innalza di circa 150 metri sul livello del mare e risulta interessata da due nettissime discordanze, delle quali una, la superiore, è caratterizzata da uno strato di humus (discordanza y). E difficile rendersi conto come la diagenesi, che ha trasformato in tufo giallo compatto il materiale cinereo, abbia interrotto su di un piano la sua azione. Sorge 1’ idea di un reciproco movimento delle formazioni e quindi di un rovesciamento della serie. L’esistenza di una faglia non concorda, però, con le osservazioni stratigrafiche, per cui credo che la risposta debba ricercarsi in cause insite nella formazione stessa. Cause fisico-chimiche hanno determinato questo insolito e netto confine tra una formazione diagenizzata ed una rimasta allo stato originario. Tra le deposizioni subaeree dei due materiali è intercorso un lungo periodo di tempo, come è dimostrato dal piccolo strato di humus interposto. Questo periodo di stasi ha determinato la forma¬ zione di minerali che hanno impedito la diagenesi, oppure la per¬ dita di quelle tali sostanze volatili necessarie ed indispensabili ad essa. A parte queste considerazioni, la parete presenta in successione ai prodotti di copertura del 3° periodo, la grande massa del tufo giallo compatto. I prodotti del 3° periodo sono separati dal tufo giallo da ceneri grigie, prive d’inclusi, che considero come un prodotto caratteristico della zona e che rappresentano il passaggio tra il 3° ed il 2° pe¬ riodo. Questa caratteristica ed esclusiva formazione di Monte Coro- glio potrebbe essere attribuita a Nisida o forse potrebbe derivare dalla erosione del tufo giallo o dal suo mappamonte. II tufo giallo tipico si presenta abbastanza ricco d’ inclusi, sia di tufo verde, sia di pomici in avanzato stato di alterazione, sia di lapilli lavici vetrosi. Il tufo grigio biancastro, c), immediatamente sottostante, risulta nettamente stratificato ed è ricchissimo d’ inclusi pomicei di varie dimensioni, le quali vanno da cm 20x30 fino alla grandezza di un pisello. Queste pomici, a frattura vetrosa e molto fresche, conten¬ gono mica biotite in piccole lamine, augite in netti cristalli ed habitus prismatico allungato e rari cristalli di magnetite e feldspati. Tutta la superficie di questo tufo risulta interessata, in senso lon¬ gitudinale, da solchi molto pronunciati, dovuti ad erosione eolica. Al di sotto di questo tufo grigio, in netta discordanza e quasi al livello del suolo, se ne ritrova un altro, pure grigio, a), un po’ più coerente del precedente (vi è scavata una piccola grotta), carat¬ terizzato da un’alternanza di strati cineritici e pomicei. Questa Cala è limitata a Sud dalla Punta di Annone, che risulta costituita dal tufo giallo superiore, identico a quello della parete, a cui seguono dall’alto : g) strato di pomici nere delle dimensioni di una noce, di circa cm. 10 di potenza; — discordanza y ” ; /) tufo giallo ricco d’inclusi* tra cui molto evidenti e caratte¬ ristiche sono le pomici e le scorie nere di dimensioni varie (fino a cm. 30 X 30); potenza metri 3,50 circa; — discordanza y ’ ; e) strato di pomici nere, come in f) ; potenza cm. 20 circa ; — discordanza y ; d ) tufo grigiastro tendente al bigio, nettamente stratificato, con piccole ma rare pomici, in qualche punto a stratificazione incrociata, ma con immersione generale verso SE di circa 30°. La serie e), f) e g) (pomici nere, tufo con scorie, pomici nere) deve essere considerata una formazione locale, sia per la natura litologica dei suoi inclusi, sia per la sua distribuzione. 2. — Cala Badessa. Proseguendo lungo la costa verso SE, la parete risulta costituita da tufo giallo tipico, h), non comparendo il tufo grigio incoerente. A circa metri 15 dal livello dei mare, si ritrovano le formazioni e), f) e g) di Punta di Annone. In questa Cala sbocca il Collettore di Napoli, che si apre di fronte ad uno scoglio costituito da due unità di tufo giallo, di cui la superiore appare nettamente stratificata per effetto dell’ azione erosiva del vento in corrispondenza dei livelli pomicei e 1’ infe¬ riore, invece, compatta. Prima di giungere alia Punta del Cavallo ritroviamo di nuovo il tufo grigio-biancastro incoerente, c), anche qui in netta discor- — Ìl4 — danza col tufo giallo superiore. Gli strati si immergono verso W con un’inclinazione di circa 45°. Il confronto di questi dati statigrafici con quelli relativi alla Cala di Punta Annone ci porta a considerare questi due affioramenti come le quaquaversali interne di uno stesso cratere. 3. — Punta del Cavallo. Questa Punta si spinge per oltre 300 metri nel mare, in dire¬ zione SSW, racchiudendo, quasi come un molo naturale, la Cala di Trentaremi. Guardando la parete occidentale si notano numerosissimi livelli di un tufo grigiastro nettamente stratificato, c), che risultano formati da strati di ceneri grigie con pochissimi inclusi, intervallate da strati ricchissimi di pomici. Gli strati s’immergono generalmente verso W, con inclinazione di 30° circa. In taluni punti l’inclinazione è varia, data la non uni¬ formità della base di appoggio e la fine suddivisione del materiale originario. La parete orientale, invece, data l’immersione degli strati supe¬ riori, mette in evidenza un complesso inferiore costituito da un tufo giallastro, coerente, senza inclusi. Il passaggio tra l’unità superiore, che qui è caratterizzata dalla presenza di grosse pomici, e quella inferiore risulta da una discordanza a forma di cupola. 4. — Cala di Trentaremi. In questa Cala la parete occidentale e quella orientale risultano nettamente distinte tra loro. La parete occidentale, infatti, presenta alla base delia Punta del Cavallo ancora il tufo grigio-biancastro incoerente c). A circa metri 15 sul livello dei mare, questo tufo è interrotto da una discordanza angolare nettissima, che lo separa da un altro tufo, anche questo grigio ed incoerente, 6), che presenta immersione quasi opposta a quella del tufo grigio superiore. Il tufo grigio inferiore, caratterizzato anche dalla povertà d’in¬ clusi, procedendo verso Est, a metà circa della Cala, si trasforma gradualmente in tufo giallo compatto e tipico. La parete orientale, invece, è interessata da numerose litoclasi nel tufo giallo, che è sormontato dalla sottile serie delle ceneri grigie di transizione i). A circa metri 2 dal livello del mare, il tufo giallo si risolve — llS — in un tufo di color bigio caratteristico. Questa variazione di colorè è un fenomeno comune lungo tutta la linea di battigia della zona, ed è ancor più evidente alla Cala S. Basilio. Trattasi, evidentemente, di una modificazióne fisico - chimica dovuta all’ azione dell’ acqua marina. h 9 f e d c b a Fig. 1. Fig. 2* Riepilogando, le formazioni del 2° periodo, risultano, dal basso in alto, le seguenti: a) tufo grigio con strati pomicei; — discordanza a ; — i 16 — b) tufo grigio di Trentaremi ; — discordanza j3 ; c) tutto grigio stratificato con grosse e fresche pomici: — discordanza y; d) tufo grigiastro tendente al bigio nettamente stratificato con rare pomici ; e) , /), g), formazione delle pomici nere e del tufo giallo con scorie nere e relative discordanze y” e y’; li) tufo giallo tipico «napoletano)); — discordanza £ ; i) ceneri grigie prive d’inclusi (Nisida ?) ; l) prodotti del 3° periodo. La serie sopra detta è schematizzata nella figura 1. B) Prodotti del terzo periodo Jlegreo. Prima di iniziare la descrizione dei materiali del 3° periodo occorre fare una premessa di ordine generale. Tutti gli studiosi che hanno rilevato le tipiche formazioni del 3° periodo si sono a lungo soffermati sulla granulometria, sulla natura mineralogica, sulla quan¬ tità e natura degli inclusi, ecc., perdendo, molte volte, il filo nella successione della serie. Lo studio pirografico dei singoli strati, infatti, conduce a ri¬ sultati molto simili tra loro per essere utilmente confrontati e per servire alla ricostruzione della serie. E merito dello Scherillo (j) l’aver messo in evidenza questo inconveniente e d’aver indicato una via semplice e sicura per lo studio dei prodotti simili petrografi- camente, ma d’importanza stratigrafica così diversa. Questo Autore ha individuato strati o successioni di strati caratterizzati, ad esempio, o da tipiche alternanze di materiali granulometricamente diversi o da colorazioni e sfumature caratteristiche. Trovati questi livelli, essi si seguono fino al loro luogo d’ori¬ gine o meglio si seguono fino ad accertarne la provenienza da un determinato centro eruttivo. In tal modo abbiamo a disposizione degli strati o livelli guida che ci permettono, di fronte ad una delle numerose e simili sezioni, una rapida e sicura orientazione nel tempo. (*) (*) Scherillo A., Sulla revisione del Foglio Napoli della Carla geologica d’Italia . Boll, Serv. geol. d'Italia, voi. LXXV. Roma, 1953. — 117 — Le località della zona in esame, nelle quali affiorano i prodotti del 3° periodo, sono: a) un viale privato (proprietà Volpe), che si apre a 100 metri a valle della Stazione della Funivia della Mostra d’Oltremare, quota 109 s. 1. m.; b) Campo Denza, un piccolo campo sportivo che si trova a 200 metri daU’imboeco di Vico Lucrezio Caro, quota 74 s. 1. m.; c) la Rotonda di Posillipo, in più punti: sopra la Trattoria Pau- dice, a monte del muro di sostegno e di fronte a questo, quota 79 s. I. m.; d) quota 153 s. 1. m. del Capo di Posillipo,* e) immediatamente al di sotto e per una potenza di circa 10 metri della strada panoramica che gira intorno a Capo Posillipo, quota 125 s. 1. m. I materiali costituenti queste formazioni sono molto simili a quelli rinvenuti nella zona dell’abitato di Napoli e nella loro suc¬ cessione ritroviamo serie di strati caratteristici e quindi di facile attribuzione. Correlando i vari rilievi eseguiti nelle località sopradette, la serie dei materiali del 3° periodo del Monte di Coroglio può essere così ricostruita, dal basso: Prodotti provenienti da Agnano : a) « Pomici principali » ; b) pozzolane, pomici e lapilli alternati, sabbie; — discordanza a ; Prodotti provenienti dalla Solfatara: c) pozzolane stratificate con pomici, pozzolane non stra- ficate; — discordanza pi, con humus ; Prodotti provenienti da centri lontani (?) : d) pomici « di base » ; e) pozzolane variamente umificate, facenti passaggio a humus avana; 3° periodo antico 3° periodo ^ intermedio ) 3° periodo \ ^ pozzolane variegate; Prodotti degli Astroni : recente ) ° g) pomici. Tutta la serie è schematizzata nella figura 2 della pag. 115. 118 — 1. — Prodotti di Agnano. Alia base delle formazioni del 3° periodo si riconoscono i pro¬ dotti di Agnano. Questi non poggiano sul tufo giallo compatto come spesso avviene per altre località. Ho già fatto notare la presenza di uno strato di ceneri giallognole immediatamente seguenti al tufo giallo e separate da questo da un’evidente e pronunciata discordanza. A queste ceneri segue un’alternanza di pomici e pozzolane, le così dette « Pomici principali » dello Scherillo (1), riconosciute come tipici prodotti della prima attività d’ Agnano. Questa forma¬ zione, la cui potenza dovrebbe essere abbastanza grande per la vi¬ cinanza del centro eruttivo, è ben rappresentata e nettamente visi¬ bile sia al di sopra della Trattoria Paudice, dove è discordante sul tufo giallo, e con una potenza di circa un metro, sia al Campo Denza, dove la potenza raggiunge i due metri circa. Avevo già notato, in altre osservazioni, la variabilità di potenza delle « Pomici principali », variabilità non concorde con la distanza del centro eruttivo. Tale caratteristica, insieme alla varia granulo¬ metria dei prodotti, non solo ci indica un’attività vulcanica discon¬ tinua e variabile nel tempo, ma ci porta a credere anche che l’asse del condotto vulcanico doveva essere inclinato. Alla formazione delle « Pomici principali » seguono vari strati di ceneri grigie, di varia potenza, separati da due discordanze, vi¬ sibili ambedue al Campo Denza, mentre alla Rotonda di Posillipo, si vede l’inferiore. 2. — Prodotti della Solfatara. I prodotti della Solfatara sono bene individuabili in una forma¬ zione compresa tra due discordanze e seguono i prodotti di Agnano che, come ho detto, si chiudono con uno strato di sabbie ed una discordanza (proprietà Volpe). La formazione risulta, perciò, così costituita dal basso : a) pozzolane stratificate con grosse pomici; b) » stratificate con pomici più piccole; c) » con qualche accenno di stratificazione; d) » non stratificate ; e) humus. (*) (*) Loc. cit. — 119 — La potenza di questa serie è di metri due circa. Al termine più basso della serie corrisponde 1’ apertura delia bocca vulcanica della Solfatara, che dovette precedere quella degli Astroni. Incerta è l’attribuzione alla Solfatara di uno strato di pomici, di cm. 40, in proprietà Volpe. Fig. 3. — Carta geologica del Monte di Coroglio : Scala 1: 10.000. Il tratteggio orizzontale indica i prodotti del IlIJperiodo flegreo ; quello ver¬ ticale si riferisce ai prodotti del II periodo, e precisamente il tratteggio più largo riguarda i depositi di tufo giallo, e quello più fitto gli altri prodotti piroclastici, prevalentemente di colore grigio. 3. — Formazione delle pozzolane giallastre par¬ zialmente u mi fi c a t e . Questa formazione corrisponde a quella delle « Pozzolane gial- lastr e-humus » dello Scherillo (i). Allo strato di pomici fa seguito una serie di pozzolane gialla¬ stre, miste ad humus , di varia potenza (metri 1,50 in proprietà Volpe) che, evidentememente, stanno a rappresentare un periodo di attività vulcanica intermedia o meglio, un periodo di rallentamento. (*) (*) Loc. cit. — 120 L’avanzato processo di umificazione, presentato da queste poz¬ zolane, è significativo in proposito. La provenienza di questo materiale deve attribuirsi a bocche eruttive lontane, mentre 1’ umificazione delle pozzolane e la potenza della formazione lasciano pensare ad un lungo intervallo di tempo tra le due eruzioni che hanno dato prodotti di sicura attribuzione. 4 . — Prodotti degli A s t r o n i . I prodotti degli Astroni sono confusi coi terreno vegetale e con prodotti recenti, quali quelli vesuviani. I termini più rappresentativi sono uno o due strati di pomici chiare e ceneri. Queste ultime, però, spesso mancano. La potenza di queste formazioni è piccola ed in genere non supera il metro. Ili — Conclusioni Le osservazioni stratigrafiche precedenti portano non solo a ren¬ dere più sicura l’ esistenza del centro eruttivo di Trentaremi, già segnalata dal Parascandola ({) e dal Vighi (2), ma confermano altresì la presenza di più centri, forse inizialmente sottomarini, che, erut¬ tando in rapida successione, modificarono, insieme con l’azione di¬ struttrice del mare, la morfologia dei luoghi. Napoli, Istituto di Geologia, Paleontologia e Geografia fisica dell’Università, Maggio, 1955. (*) (*) Loc. cit. (2) Loc. cit. Processi verbali delle tornate ordinarie Tornata ordinaria del 28 gennaio 1955 Presidente: G. d’ Erasmo Segretario: U. Moncharmont Sono presenti i soci: Arena, Casertano, Covello, de Nisco, d’Erasmo, Fiorio, Desiderio, Lazzari, Mazzarelli, Messina Pescione, Moncliarmont, Moncharmont Zei, Napolitano, Pierantoni U., Salti, Scherillo, Sinno. La seduta è aperta alle ore 17,10. Il Segretario legge il verbale della seduta del 22 dicembre 1954, che viene approvato. Il Presidente comunica: 1) che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in data 7 gennaio 1955, annunzia la concessione di un contributo per la pubblicazione del Bollet¬ tino, contributo la cui entità verrà ulteriormente precisata ; 2) che sono pervenuti in dono i lavori dei Soci: A. Lazzari La sedi¬ mentazione dei terreni in facies di flysch, secondo le antiche osservazioni di R. Zuber e M. Moncharmont Zei / foramiiuferi della scogliera a Cladocora caespilosa della Punta delle Pietre nere , presso il Lago di Lésina in Prov. di Foggia. Il Presidente porge il saluto al nuovo socio de Nisco, intervenuto alla seduta. La seduta è tolta alle ore 17,35. Tornata ordinaria del 25 febbraio 1955 Presidente: G. d’ERASMo Segretario: U. Moncharmont Sono presenti i Soci: Arena, Capone, de Nisco, d’Erasmo, Fiorio, La Greca, Lazzari, Mazzarelli, Minieri, Moncharmont U„ Moncharmont Zei, Parascandola, Parenzan, Pellegrini, Salfì, Sarà, Scherillo, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,10. Il Segretario legge il verbale della tornata del 28 gennaio 1955, che viene approvato. Il Socio Sinno legge la relazione dei Revisori dei Conti, i quali pro¬ pongono l’approvazione del bilancio consuntivo del 1954. L’Assemblea, approva all’unanimità. Il Presidente : 1) dà lettura del Bilancio preventivo per l’anno 1955, comunicando la concessione di un contributo per la stampa del Bollettino di L. 70000 da parte della Presidenza del Consiglio (Ente per la cellulusa e la carta); II 2) propone di elevare a L. 10.000 (diecimila) ciascuno dei due premi Cayolini de Mellis per studenti del 3° anno e del 4° anno di corso della Facoltà di Scienze naturali, a far tempo dal 1955. L’Assemblea approva quest’ultima proposta e il Bilancio preventivo del 1955. Si passa alle comunicazioni scientifiche: Il Socio de Nisco dà lettura della sua nota dal titolo: L’arenaria si¬ licea di Rocchetta S. Antonio ( Avellino ) (con una tavola fuori testo). Il socio Lazzari presenta il lavoro del socio non residente Teodosio De Stefani dal titolo « Notizie preliminari sul rilevamento geologico del F° 250 fìagheria>. Di entrambe le note si approva l’inserzione sul Bollettino. Il Presidente porge il saluto al nuovo socio Pellegrini intervenuto alla seduta. La seduta è tolta alle ore 18,15. Tornata ordinaria del 25 marzo 1955 Presidente: G. d’ERASMo Segretario: U. Monciiarmont Sono presenti i soci: de Nisco, d’Erasmo, Desiderio, La Greca, Minieri, Moncharmont U., Monciiarmont Zei, Pierantoni U., Salti, Sarà, Scherillo, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,20. Il Segretario legge il verbale della tornata del 25 febbraio 1955, che •viene approvato. Il Presidente comunica la concessione del contributo di L. 50.000 re¬ lativo agli anni 1953 e 1954 da parte del Consiglio di Amministrazione del¬ l’Università di Napoli. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il socio Sarà presenta una nota dal titolo : « Note su Pericolila ondu¬ lata Tonn e Pericolila Iiispanica Sarà (Psgchodidre) » e se ne approva l’in¬ serzione sul Bollettino. La seduta è tolta alle ore 17,50. Tornata ordinaria del 29 aprile 1955 Presidente: G. d’ERASMO Segretario: U, Moncharmont Sono presenti i soci: de Nisco, d’Erasmo, La Greca, Lazzari, Mazza- re Ili, Minieri, Moncharmont, Moncharmont-Zei, Parenzan, Salti, Sinno, Vittozzi. t La seduta è aperta alle ore 17,45. Il Segretario legge il verbale della tornata del 25 marzo 1955 che viene approvato. Il Presidente comunica che ha visto la luce il voi. LXIII anno 1954 del Bollettino della Società e lo presenta ai soci convenuti. Ili Si passa alle comunicazioni scientifiche: Il socio Sinno presenta una nota dal titolo : « Su alcuni pozzi profondi perforati alla base del Gauro ( Campi Flegrei)». Il socio Lazzari presenta una nota dal titolo : « Segnalazione di un li¬ vello di pomici vulcaniche in Grotta Romanelli, presso Castro, in provincia di Lecce » con 2 fotogr. Il socio Lazzari comunica inoltre Tavvenuto rinvenimento di un fram¬ mento di mandibola umana nella Grotta Romanelli di Castro, nella por¬ zione inferiore del livello a terra bruna, segnalando la notevole impor¬ tanza del reperto, che è il primo ritrovamento umano in tale Grotta dopo quello di P. E. Stasi del 1905. La seduta è tolta alle ore 18,25. Tornata ordinaria del 27 maggio 1955 Presidente: G. d’ Erasmo Segretario: U. Moncharmont Sono presenti i soci: De Nisco, d’ Erasmo, La Greca, Lazzari, Mon- charmont, Moncharmont Zei, Orrù, Pierantoni, U. Ruffo, Salfì, Scherillo, Sinno, Torelli, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,15. Il Segretario legge il verbale della tornata del 29 aprile, che viene approvato. Il Presidente comunica che è pervenuto in omaggio la nota del socio Parenzan: « Prospettive nuove nel campo della navigazione subacquea e della oceanografìa ». Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche: Il socio Scherillo presenta una nota dal titolo: « Osservazioni sulla stratigrafia lungo Via Roma, Via Museo (Via E. Pessima) e Via S. Teresa degli Scalzi in Napoli „ ». La seduta è tolta alle ore 17,45. Tornata ordinaria del 24 giugno 1955 Presidente: G. d’ERASMo Segretario: f. f. V. Minieri Sono presenti i soci: Casertano, de Nisco, d’Erasrao, Fiorio, La Greca. Lazzari, Merola, Minieri, Orrù, Parascandola, Parenzan, Pellegrino, Pie¬ rantoni U., Salti, Sarà, Sersale, Signore. In assenza del segretario Moncharmont, che ha scusata l’assenza do¬ vuta a ragioni di ufficio, funge da segretario il socio Minieri. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il segretario legge il verbale della tornata del 27 maggio 1955 che viene approvato. Il Presidente comunica i ringraziamenti del socio Malquori per le condoglianze espressegli dalla Società per il recente grave lutto sofferto IV Dà poi notizia che al concorso per i due premi «Cavolini- De Mellis » scaduto il 31 maggio scorso hanno partecipato in tempo utile la Sig.na Adriana Colussi e la Sig.na Eugenia Masucci, e che il Consiglio Direttivo, in accoglimento di analogo giudizio, espresso dalla Facoltà di Scienze, le ha considerate entrambe meritevoli delle due borse di studio da L. 10.000 ciascuna. L’Assemblea unanime approva. Dà infine notizia che nel prossimo ottobre avrà luogo in Sardegna il VII Congresso nazionale di Speleologia, al quale è stata invitata anche la Società. L’Assemblea dà la sua cordiale adesione e decide di farsi rappre¬ sentare dai soci La Greca e Parenzan. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Sersale, a nome delle dott. Lambertini e Scorza, presenta ed illustra una loro nota dal titolo: «Le acque delle falde sotterranee nella zona industriale sud-orientale della città di Napoli ». Il socio Merola presenta ed illustra una sua nota dal titolo: « Sui rapporti tra eterocarpia, trimonoi- cismo e monoteismo nel genere Dimorpliollieca ». Il socio de Nisco presenta ed illustra una sua nota dal titolo: « Stra¬ tigrafia del Monte di Coroglio ». Il socio La Greca presenta ed illustra una sua nota dal titolo: «Su una malformazione delle forcipule di un Chilopodo del genere Scolopendra». Vengono infine svolte le seguenti comunicazioni verbali: Il socio Pa¬ renzan dà notiza di una « Stazione biologica sperimentale sotterranea di Napoli» da lui approntata pazientemente nel sottosuolo di «Via dell’An¬ ticaglia », che sarà a disposizione di coloro che desiderano profittarne per le loro ricerche, dal 15 luglio in poi. Il socio Parascandola riferisce sullo stato attuale del Vesuvio al 23 giu¬ gno 1955. La seduta è tolta alle ore 19,30. Tornata ordinaria del 25 novembre 1955 Presidente: G. d’ERASMo Segretario: U. Monciiarmont Sono presenti i soci: d’Erasmo, Desiderio, La Greca, Lazzari, Minieri, Monciiarmont, Monciiarmont Zei M., Parenzan, Pierantoni U., Salii, Sche- r il Io, Scorza, Sersale, Signore, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,15. Il Segretario legge il verbale del 24 giugno 1955, che viene approvato. Il Presidente comunica: 1) Il saluto del Ministro della Pubblica Istr. Paolo Rossi all'atto della sua entrata in carica; 2) la scomparsa del prof. Remo Grandori, già direttore dell’Istituto di Entomologia agraria dell’Università di Milano; 3) la ricezione del completamento del sussidio dell’Ente Cellulosa e Carta e effettuata nuova domanda di sussidio; 4) la nuova domanda di sussidio fatta il 20-7-55 al Ministro della Pubbl. Istr. V II Presidente comunica altresì che per il premio “ Antonio e Paolo della Valle „ entro il termine prescritto del 31 ottobre 1955, si è presen¬ tato un solo, concorrente e. propone che la commissione giudicatrice sia costituita dai soci proli'. U. Pierantoni, G. Montalenti e M. Galgano. L’As¬ semblea approva unanime. Si fissano le date delle tornate ordinarie per Panno 1956: 27 gennaio, 24 febbraio, 30 marzo, 27 aprile, 25 maggio, 28 giugno, 30 novembre, 28 dicembre. Il Presidente presenta le pubblicazioni pervenute in dono: Maria Giuseppina Castellana Lanzara: “ La flora dei Presidi toscani alla fine del secolo XVIII „ ; G. d’ Erasmo: Sopra un molare di Teleoceras del giacimento fossilifero di Sahabi in Cirenaica „; A. Lazzari: ” Le condizioni geo-idrologiche del bacino del Basso Sinello V. Minieri: “IL significalo paleoclimatico e V età della “ crosta calcarea „ nell’area del foglio 115 (Ceri- gnola). La seduta è tolta alle ore 18. Tornata ordinaria del 30 dicembre 1955 Presidente: G. d’ERASMo Segretario: U. Moncharmont Sono presenti i soci: Antonucci, Covello, d’Krasmo, Desiderio, Lazzari, Merola, Moncharmont U., Moncharmont Zei M., Orrù, Parascandola, Paren- zan, Pellegrino, Pierantoni A., Sarà, Scherillo, Sersale, Signore, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Segretario legge il verbale della seduta del 25 novembre 1955 che viene approvato. Il Presidente comunica: 1) l’avvenuta scomparsa del prof. G. B. Alfano, socio ordinario resi¬ dente, il 27 dicembre 1955, assicurando che la Società è stata rappresen¬ tata alle onoranze funebri, fa un breve cenno biografico e dà incarico al prof. Parascandola, di commemorare la figura dello scomparso in una delle prossime tornate; 2) la decisione del Consiglio Direttivo di aumentare a L. 1.000, a far tempo dal 1° gennaio 1956, la quota sociale annuale. La decisione viene ratificata dall’Assemblea dei Soci: 3) la ripresa del cambio con la rivista «L’Universo > dell’Istituto geo¬ grafico militare di Firenze, dal 1956; 4) la ripresa del cambio con l’Akademie der Wissenschaft di Gottinga del nostro Bollettino, con la p. II dei « Nachrichten der Wissensaften in Gothingen ». Si passa quindi alle comunicazioni verbali ed il socio Parascandola fornisce alcune notizie ed osservazioni sulla Solfatara. Il Presidente formula gli auguri per il prossimo anno 1956. La seduta è tolta alle ore 18,05. ELENCO DEI SOCI AL 31 GENNAIO 1956 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, - Piazza Nicola Amore, 2 (teief. 21.702). 2. Antonucci Achille - Ord. scienze nel Liceo « J. Sannazzaro ». Napoli - Via Benedetto De Falco, 14 (teief. 42.818). 3. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli - Via Cimarosa, 69 (teief. 77.855). 4. Bacci Guido - Direttore Istituto di Zoologia. Università di Sassari. 5. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale Università. Napoli, - Via Roma, 368 (teief. 20.391). 6. Capaldo Pasquale - Studente di Scienze Naturali, Napoli - Traversa Giacinto Gigante, 36 (teief. 70.184). 7. Caroli Ernesto - Libero docente di Zoologia. Napoli, - via Cimarosa, 66. 8. Carrelli Antonio - Dirett. Ist. di Fisica. Università di Na¬ poli. - Piazza d’Ovidio, 6 (teief. 43.313). 9. Casertano Lorenzo - Libero docente di Fisica terrestre - Assistente nell’Osservatorio Vesuviano. Resina. (Napoli). 10. Castaldi Francesco - Libero docente di Geografia. Napoli, - via Aniello Falcone, 260 (teief. 73.890). 11. Gatalano Giuseppe - Dirett. Ist. di Botanica. Università Na¬ poli - via Foria, 223 (teief. 41.842), 12. Covello Mario - Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Univer¬ sità Napoli, - via Leopoldo Rodino, 82 (teief. 22.038). 13. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli. - via Salvatore Di Giacomo a Marechiaro, 24 (teief. 84.470). 14. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nell’ Ist. Magistr. « P. Villari ». Napoli, - via S. Pasquale a Chiaia, 29. 15. De Lorenzo Giuseppe - Prof, emerito di Geologia Univer¬ sità Napoli, via Luca da Penne, 3 (teief. 82.397) 16. De Nisco Bruno - Ingegnere, dott. Scienze geologiche - via Cimarosa, 37 (tei. 74.406). VII 17. D’Erasmo Geremia - Dirett. Ist. di Geologia Università Na¬ poli, |Largo S. Marcellino, 10 (telef. 21.075). 18. De Rosa Antonio - Dott. in medicina. Napoli - via Nar- dones, 14. 19. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli - Viale G. Cesare 6. d. Napoli (418). 20. Dohrn Rinaldo - Direttore emerito della Stazione Zoolo¬ gica. Napoli, - Villa Comunale (telef. 61.705). 21. F aggella Renato - Assistente di Geografia economica <- Fac. Ec. e Comm. Napoli - via Salvator Rosa, 18. 22. Florio Armando - Prof. ord. Liceo Scient. Statale 2° di Napoli - via S. Margherita a Fonseca, 23 (tei. 42.870). 23. Galgano Mario - Dirett. Ist. d’istologia e di Embriologia, Università. Napoli - via Latilla, 18 (telef. 43.798). 24. Giordani Francesco - Dirett. Ist. di Chimica generale Uni¬ versità. Napoli - Corso Umberto I, 34 (telef. 28.747). 25. Imbò Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica terrestre Università e Direttore dell’Osservatorio Vesuviano. Napoli - Largo S. Marcellino, 10 (telef. 24.935). 26. Ippolito Felice - Dirett. Ist. di Geologia applicata Università. Napoli, - via Fr. Crispi, 32 (telef. 80.420). 27. La Greca Marcello - Lib. doc. di Zoologia. Aiuto Ist. Zoo¬ logia Università Napoli. - via Capodimonte, 27 (telefono 45.654). 2 8. Lambertini Diana - Ass. ord. Chimica industriale. - via Mezzocannone, 16 - Napoli (telef. 22595). 29. Lazzari Antonio - Lib. doc., Prof. ine. di Geografia fisica Università Napoli - via S. Liborio, 1 (telef. 26.658). 30. Majo Andreotti Ester — Lib. doc. di Geografia fisica Uni¬ versità Napoli - Piazza Nicola Amore, 2 (telef. 11.702). 31. Majo Ida - Ord. di Scienze Naturali nei Licei. Napoli - S. Anna dei Lombardi, 10. 32. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale. Napoli - Largo S. Marcellino, 10 (telef. 22.904). 33. Maranelli Adolfo - Ord. di Scienze Ist. tecnico « A. Diaz » Napoli, Corso Vittorio Emanuele, 281 (65.695). 34. Mazzarelli Gustavo - Ine. Topografia e Cartografia Univer¬ sità. Napoli - via Luca Giordano, 51. 35. Merola Aido - Libero docente di Botanica, Ass. Istituto Botanico Università. Napoli, via Foria, 148 (telef. 41.842). — Vili — * 36. Migliorini Elio - Dirett. Ist. di Geografia Università. Napoli. - Largo S. Marcellino, 10 (telef. 24.301). 37. Minieri Vincenzo - Assistente ord. Istituto di Geologia Università. Napoli - via Kerbaker, 10 (telef. 77.262). 38. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’ Uni¬ versità di Bari. Napoli - via E. De Marinis, 1 (telef. 28.846). 39. Moncharmont Ugo - Ord. Scienze Liceo « Vitt. Eni. II ». Napoli - via Aniello Falcone, 88 (telef. 75.003). 40. Moncharmont Zei Maria - Assistente ord. Istituto di Geologia Università. Napoli - via Aniello Falcone, 88 (telef. 75.003). 41. Montalenti Giuseppe - Dirett. Ist. di Genetica Università. Napoli - via Mezzocannone, 8 (telef. 24.261). 42. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’ Aeronautica. Napoli - Vico Storto Purgatorio ad Arco, 2 (telef. 28.652). 43. Nicotera Pasquale - Assistente ord. Istituto di Geologia applicata Università. Napoli - via Mezzocannone, 16 (te¬ lef. 23.818). 44. Orrù Antonietta - Dirett. Ist. Fisiologia generale Univer¬ sità. Napoli - Rione Beisito a Posiilipo, Palazzina D’Ono- frio (telef. 89.818). 45. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Uni¬ versità Napoli, Ispett. Min. P. I., - via Carducci. 46. Pannain Lea - Prof, di Scienze nei Licei. Napoli - via Giosuè Carducci, 29 (telef. 61.725). 47. Parascandola Antonio - Prof. ine. Petrografia Università. Napoli. 48. Parenzan Pietro - Biologo Ist. Talassografico Taranto - via Cesare Rosaroll, 95 (telef. 56.364). 49. Parisi Rosa - Prof. ine. di Fisiologia vegetale Università, Napoli, - via Giuseppe Zurlo, 13 (telef. 58.631). 50. Pellegrini Oreste - Assistente ord. Istituto Botanica Uni¬ versità Napoli - via Gradini S. Matteo, 26 (telef. 41.842). 51. Pescione Adelia - Assistente ord. Istituto di Geologia appli¬ cata Università. Napoli - via Nuova Capodimonte, 210, (telef. 42.152). 52. Pierantoni Angiolo - Chimico Laboratorio Igiene e profi¬ lassi della Provincia Napoli, Galleria Umberto I., 27 (te¬ lef. 21.076). 53. Pierantoni Umberto - Prof, emerito di Zoologia Università Napoli - Galleria Umberto I., 27 (telef. 21.076). IX 54. Punzo Giorgio - Prof. Scienze Naturali. Napoli - via Mer- geilina, 226 (telef. 86.796). 55. Quagliarcelo Gaetano - Prof. ord. di Chimica Biologica Università. Napoli, via Salvator Rosa, 299 (telef, 42.844). 56. Riffa Anna - Ord. di Scienze nel Liceo «Umberto I» Napoli, Piazzetta Marconiglio, 4 (telef. 52.516). 57. Salfi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, via Mezzocannone, 53 (telef. 29.092). 58. Salvi Pasquale - Dott. in Medicina e Chirurgia. Napoli, via Carlo Poerio, 91 (telef. 62.498). 59. Sarà Michele - Libero doc. Zoologia, Assistente nellTsti- tuto di Zoologia Università. Napoli, Riviera Ghiaia 92. (telef. 88.175). 60. Scherillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, via Mezzocannone, 8 (telef. 23.388). 61. Sersale Riccardo - Assistente ord. Istituto di Chimica In¬ dustriale Università Napoli, via Mezzocannone, 16. 62. Signore Francesco - Prof. ine. di Vulcanologia Università. Napoli, via Tasso, 199 (telef. 86.723). 63. Sinno Renato - Assistente ord. Istituto di Mineralogia Uni¬ versità. Via Solimene, 6 (telef. 71.715). 64. Tarsia in Curia Isabella - Ord. Scienze Liceo « J. Sannaz- zaro » Napoli, Corso Umberto 1, 106 (telef. 24.568). 65. Torelli Beatrice - Lib. Doc. di Zoologia. Ord. Liceo «Vitt. Eman. II». Napoli, Via Luca da Penne, 3 (telef. 85.036). 66. V iggiani Gioacchino - Lib. docente di Ecologia agraria Uni¬ versità. Napoli, via Posillipo, 281 (telef. 84.325). 67. V ittozzi Pio - Libero docente di fisica terrestre, assistente nell’Ist. di Fisica Terrestre Università, Napoli. - Via Are- nella, 79 (telef. 72.206). SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola - Prof, nei Licei. Via S. Antida, 3 Caserta. 2. Arena Vittorio - Dott. in Scienze Naturali. Napoli, via Gesù e Maria, (telef. 40.446). 3. Bonanno Giuseppe - Prof, di Scienze Naturali. Brindisi,. Piazza S. Dionisio, 2. 4. Bruno Alessandro - Lib. doc. Napoli, via Fenice a Otto- calli, 34. 5. Candura Giuseppe - Facoltà di Agraria. Università Bari. 6. Capone Antonio - Assistente nell’Istituto di Chimica farmac. Università. Napoli, vico Bagnara, Il (telef. 43202). 7. Carnera Luigi - già Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Firenze, Viale Ugo Bassi, 38. 8. Cerreti Attilio - Direttore dell’Istituto Talassografico, Ta¬ ranto, via Roma, 3. 9. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria, Diret¬ tore dell’Osservatorio di Fitopatologia per la Calabria. Ca¬ tanzaro, via Giusseppe Sensales, 26. 10. Cotecchi a Vincenzo - Prof, incaric. di Geologia applicata nell’Università di Bari. 11. Cuguzza Silvestri Salvatore - Assistente. Ist. Vulcanologia. Università Catania. Casella Postale 204, Catania. 12. D‘ Ancona Umberto - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Padova, via Loredan, 6. 13. De Ferma Baldassarre - Dirett. Ist. di Zoologia Università Bari, Napoli, via Latilla, 18 (telef. 43.798). 14. De Stefani Teodosio - Dott. in Scienze Naturali. Palermo via Alloro, 49. 15. F rango Domenico - Ord. Scienze Liceo Classico « P. Gian- none ». Benevento. 16. Giordani Mario - Prof. ord. di Chimica Università. Roma, Piazza Mazzini, 27. 17. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Naturali. Ischia. - Via Acquedotto. 18. Jucci Carlo - Prof. ord. di Zoologia Università. Pavia. 19. Lacquaniti Luigi - Via S. Rocco, Trav. 5 n. 5, Palmi (Reg¬ gio Calabria). 20. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Univer¬ sità. Perugia. 21. Maino Armando - Docente in Fisica. Ufficio Geologico. Ro¬ ma, Piazza S. Susanna, 13. 22. Maini Padre Saverio - Convento S. Chiara, Napoli. 23. Mancini Fiorenzo - Aiuto Ist. Geologia appi. Università Firenze. Piazzale delle Cascine. Firenze. 24. M'endia Luigi > Assistente nell’Istituto Idraulico Fac. Inge¬ gneria Università. Napoli, via Mezzocannone, 16. XI 25. Meo Fernando - Officina del Gas. Via Stella Polare. Napoli. 26. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali. Napoli. 27. Monroy Alberto - Dirett. Ist. di Anatomia Comparata, Uni¬ versità. Palermo. 28. Omodeo Pietro - Prof. ine. di Istologia Università. Siena. 29. Pasquini Pasquale - Dirett. Ist. di Anatomia Comparata Uni¬ versità. Bologna, via Belmeloro, 14. 30. Patroni Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Torre dei Greco, via Nazionale 198a (Villa Palombo). 31. Penta Francesco - Prof. ord. di Geologia applicata Fac. Xng. Università. Roma, via Ferratelle, 33. 32. Perconig Enrico - Micropaleontologo. AGIP Mineraria. Via F. Ili Gabba, 1. Milano. 33. Ranzi Silvio - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Milano, via Celoria, 10. 34. Rodio Gaetano - Prof. ord. di Botanica Università. Catania via Longo, già Tommaselli, 19. 35. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool., Assistente nel Museo Ci¬ vico Storia Naturale, Verona, Lungadige Porta Vittoria, 9, 36. Scorza Vincenza - Assistente Istituto di Chimica Industriale Università. Napoli. Via Mezzocannone, 16 (teief. 22.595). 37. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI feb¬ braio, 21. 38. Sorrentino Stefano - Prof, di Scienze Natur., Garbagnate (Milano). 39. Stegagno Giuseppe - Prof, di Scienze Natur., Verona, via Gazzera, 23. 40. Tosco Uberto - Libero doc. Botanica Univ. Torino. Piazza Galimberti, 17. Torino. 41. Trotta Michele - Dott. Veterin., Salerno, via Sapio, 27. 42. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), via Cavour, 15. 43. ViGHt Luciano - Libero doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini Settore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 44. Zavattari Edoardo - Prof. ord. di Zoologia Università. Ro¬ ma, Viale Regina Margherita, 326. Elenco dei periodici che si ricevono attualmente in cambio. PERIODICI ITALIANI Annali della Facoltà di Scienze Agrarie della Università degli Studi di Napoli Portici. Annali deli Istituto Superiore di Scienze e Lettere « S. Chiara». Napoli. Annali del Reale Osservatorio Vesuviano. Napoli. Annuario delle Biblioteche Italiane. Min. P. Istruz. Roma. Annuario deli Istituto e Museo di Zoologia deli Università di Napoli. Napoli. Archivio di Oceanografia e Limnologia. Venezia. Archivio per l’Antropologia e la Etnologia. Firenze. Archivio Zoologico Italiano. Torino. Archivio Zoologico Italiano - Attualità Zoologiche. Torino. Ateneo Veneto. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti. Venezia. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania. Catania. Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara. Ferrara. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. I. Classe di Scienze fisiche ma¬ tematiche e naturali. Torino. Atti dell’ Accademia Ligure di Scienze e Lettere. Genova. Atti della Reale Accademia delle Scienze fisiche e malematiche. Napoli. Atti della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena. Modena. • Atti della Società italiana di Scienze naturali e del Museo Civico di Storia naturale di Milano. Milano. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali residente in Pisa. Memorie. Pisa. Atti dell’Istituto Botanico della Università. Laboratorio Crittogamico. Pavia. Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona. Verona. Bolletlino dei Musei e degli Istituti Biologici della Università di Genova. Se¬ zione Biologia Animale. Genova. Bollettino del Laboratorio di Entomologia Agraria « Filippo Silvestri» Portici. Napoli. Bollettino della Società Adriatica di Scienze naturali in Trieste. Rocca San Casciano. Bollettino Società italiana biologia sperimentale. Napoli. Bollettino della Società Entomotologica Italiana. Genova. Bollettino della Società Geografica Italiana. Roma. Bollettino della Società Veneziana di Storia Naturale e del Museo Civico di Storia Naturale. Venezia. Bollettino dell’Istituto Entomotologico dell’Università degti Studi di Bologna. Bologna. Bollettino dell’Istituto e Museo di Zoologia dell’Università di Torino. Torino. Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano. Orvieto. XIII Bollettino di Zoologia Agraria e Bachicoltura. Roma. Bollettino di Zoologia dell’Unione Zoologica Italiana. Torino. Commentari dell’Ateneo di Brescia. Brescia. Commeixtation.es - Pontificia Accademia Scientiarum. Roma. Delpinoa. Nuova serie del Bollettino dell’Orto Botanico della Università di Napoli. Napoli. Doriana. Supplemento agli Annali del Museo Civico di Storia Naturale «Giacomo Boria» Genova. Genova. Fragmenta Entomologica. Roma. Memorie della Società Entomologica Italiana. Genova. Memorie del Museo Civico di Storia Naturale di Verona. Verona. Memorie del Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina. Trento. Memorie e Note dell’Istituto di Geologia applicata dell' Università di Napoli. Napoli. Memorie e Rendiconti dell' Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Aci¬ reale. Acireale. Nuovo Giornale Botanico Italiano (Nuova Serie). Firenze/. Pubblicazioni della Stazione Zoologica di Napoli. Napoli. Redia. Giornale di Entomologia. Firenze. Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Parte Generale e Atti Ufficiali - Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche - Classe di Scienze Matematiche e Naturali - Milano. Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e Matematiche. Napoli. Rendiconto delle sessioni dell’ Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Se. Fisiche - Bologna. Rivista ai Biologia Coloniale. Roma. Studi Trentini di Scienze Naturali. Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina. Trento. Universo - Rivista dell’ I. G. M. Firenze. PERIODICI STRANIERI « Acta Agrobotanica. Polskie Towarzystwo Botanicnze - Varszawa. Acta Borealia. A. Scientia, Troni so. Acta Botanica Fenilica. Società prò Fauna et Flora Fennica. Helsingfors. Acta Entomologica Fenilica. Societas Entomologica Fennica. Helsinki. Acta Musei Macedonici Scientiarum Naturatimi i. Skopje. Acta Parasitologica Polonica. Polska Akademia Nauk. Warszawa. Acta Societatis Botanicorum Poloniae. Warszawa. Acta Societatis Entomologicae Cechoslovenicae. Praha. Acta Societatis Zoologicae Cechoslovenicae. Praha. Acta Zoologica Fennica. Societas prò Fauna et Flora Fennica. Helsingfors. Anales de la Escitela Nacional de Ciencias Bioio jicas. Mexico. Anales de la Sociedad denti fica Argentina. Buenos Aires. Anales del Instituto Botanico A. J. Cavanilles. (Anales del Jardin Botanico de Madrid). Madrid. Anales del Instituto de Biologia. Mexico. XIV Anales del Instituto de Geologia. Universitari Nacional Autonoma rie Mexico. Mexico. Anales del Museo Argentino de Ciencias Naturales « Bernardino Rivadavia ». Buenos Aires. Ammalia Fenilica. Helsinki. Annales Botanici Societati s Zoologicae Botanicae Fennicae « Va iamo ». Hel¬ sinki. Annales de la Società Rogale Zoologique de Belgique. Louvain. Anales Entomologici Fenilici. Helsinki. Annales Hist. Nat. Musei Nationalis Hungarici. Budapest. Annales Musei Serbiae Meridionalis. Skoplje. Annales Uninersitatis Mariae Curie Sklodowska. Sectio C. Biologia. ' Lublin. Annales Zoologici Societatis Botanicae Fennicae « Valiamo». Helsinki. Annals of thè Missouri Botanical Garden. S. Louis (U.S.A.). Anuario da Sociedade Broteriana. Coimbra. Aquila. Annales Instituti Ornithologici Hungaria. Budapest. Archiv. de freiinde der Naturgeschichte in Mecklenhurg. Bostock. Archivimi i Societatis Zoologicae Botanicae Fennicae « Valiamo». Helsinki. Arkii ? fór Botanik. Stockolni. Arhiv fór Zoologi. Stockholm. Arxius de la Seccia’ de Ciéncies Institnt d’Esludis Catalans. Barcelona. Bericht der Oberheissischen Gesellscliaft fiìr Nalur - and He'ilkunde za Gies- sen. Giessen. Biological Bulletin. Lancaster (U.S.A). Biological Reviews of Cambridge Philosophical Society. Cambridge, Uni¬ versity Press. Boletim da Sociedade Broteriana. Coimbra. Boletin de la Reai Sociedad Espanola de Historia Naturai. Actas. Boletin del instituto di Geologia - Universidad Nacional Autonoma de Mexico. Mexico. Balletti n de la Società Zoologique de Frutice. Paris. Ballettili de Vlnstitut Rogai des Sciences Naturelles de Belgique. Bruxelles. Ballettili da Miiséum National d' Itistoire Nat tirelle de Paris. Paris. Ballettili International de l’Académie Tcheque des Sciences. Prague. Bullelin of thè Agricultural Experiment Station Universitg of Minnesota. Bulletin of thè California Insect Siirvèg. Los Angeles. Bulletin of thè Geologicat Institution of thè Universitg of Upsala. Upsala. Bullelin of thè Illinois Naturai Historg Snrveg. Urbana (111. - U.S.A*.). Bulletin Volcanologique. Association de Volcanologie de PUnion géodesique et gèopliysique Internationale. Napoli. Conspectus Florae Angolensis. Elaborado pelo Instituto Botanico de Coim¬ bra. Lisboa. fìecheniana. Bonn. Endeavour. Rivista trimestrale per segnalare il progresso delle scienze al servizio dell’umanità. London. Entomologische Arbeiten aus dem Musami G. Freg, Miinchen. Munchen, Fmlomolo gisk Tidskrift. Stockholm. Fragmenta Floristica et Geobotanica. Kraków, XV Geological Survey Bulletin. Washington. Geological Survey Professional Papers. Washington. Geological Survey Water Supply Papers. Washington. Illinois Biological Monographs: The University of Illinois Press, Urbana. Instituto Nacional de Investigación de las Ciencias Xaturales y Museo Ar¬ gentino de Ciencias Xaturales «Bernardino Rivadavia», Buenos Aires. Comunicaciones. Ciencias Botànicas, Ciencias Geologicas, Ciencias Zoológicas. Miscelanea. Publicaciones de Extension Cultural y Didadica. Revista. Ciencias Botànicas. CienciasGeologicas.CienciasZoológicas. Journal of thè Institute of Polyteclinics - Osaka City University. Series B, Physics. Osaka. Journal of thè Institute of Polytechnics-Osaka City University. Series C, Chemistry - Osaka. Journal of thè Marine Biological Association of thè United Kingdom. Cam¬ bridge. Lloydia. Cincinnati (Ohio). Memoranda Societatis prò Fauna et Flora Fenilica. Helsingfors. Mémoires de la Società Zoologique Tchècoslovaque de Progne. Praha. Mitteilimgen des Xaturivissenschaftlichen Vereins fiir Steiermark. Graz. Monographiae Botanicae. Varszawa. Xova Acta Leopoldina. Ilalle/Saale - Leipzig. Proceedings of thè Boston Society of Xatural History. Boston. Proceedings of thè Xova Scotian Institute of Science-I Iati fax. Halifax. Proceedings of thè Rogai Physiographic Society al Lund. Lund. Proceedings of thè Sedioli of Sciences. Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Biological and Medicai Sciences. Amsterdam. Publicacoes do Instituto de. Zoologia « Dr. Augusto Xobre » Faculdade de Cièncias do Porto. Porto. Publications de ta Faciliti des Sciences de VUniversité Masaryk. Praha - Roda. Rivière scientifique - A ss. Xatur. Xice et Alpes Maritimes. Nice. Iìozpravy. Ceskoslovenskò Akademie Vèd. Praha. Senckenbergiana. Frankfurt a. M. Transactions of thè Academy of Science of Saint Louis. S. Louis. Transactions of thè Wisconsin Academy of Sciences , Aris and Letters. Ma¬ dison, Wis. Travaux Biologiques de VInstitut J. B. Carnoy. Louvain. Tropical Woods. Yale University, School of Forestry. New Haven (Conn)- University of California Publications in Entomologi]. Berkeley and Los An¬ geles. University of California Publications in Zoology. Berkeley and Los Angeles. Direttore responsabile : Prof. Umberto Pierantoni Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli — I. IV. 1940